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Autore: My Pride    29/02/2012    7 recensioni
The land is no longer in view, the clouds have begun to frown, but with a stout vessel and crew, we'll say “Let the storm come down”
Quando mi ero imbarcato per divenire un pirata ero più che conscio del destino a cui sarei andato in contro e ai pericoli in agguato, ma viverlo sulla mia stessa pelle era tutt’altro che facile.
Non avevo mai compreso realmente quanto il mare potesse essere crudele.
[ Spin off della storia «Oceani in Burrasca» ]
[ Seconda classificata al contest «Dal titolo alla storia» indetto da NonnaPapera e Writers Arena Rewind ]
Genere: Generale, Sovrannaturale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
- Questa storia fa parte della serie 'Curse of the sea'
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L'urlo delle sirene
[ Seconda classificata al contest «Dal titolo alla storia»
indetto da NonnaPapera e Writers Arena Rewind ]

Titolo: L’urlo delle sirene
Autore: My Pride
Fandom: Originali › Sovrannaturale
Tipologia: One-shot [ 3720 parole
[info]fiumidiparole per un totale di 6 pagine ]
Genere: Generale, A tratti vagamente introspettivo, Sovrannaturale, Drammatico (?)
Rating: Giallo / Arancione
Avvertimenti: Accenni Slash, Vagamente nonsense, Linguaggio a tratti un po’ colorito
Nota1: Questa storia è uno spin off di Oceani in Burrasca, ma non è necessario leggere quel racconto per comprendere questa, poiché si tratta di un prequel dell’opera originale.
Nota2: Nel corso della storia potrebbero essere presenti espressioni come “Aye” e “Nay”, che significano rispettivamente “Sì” e “No” in italiano, e “Och”, che è un rafforzativo del “Sì”. Esse non sono un errore, bensì una scelta personale dell’autore, ormai affezionatasi a tale dicitura
Prompt per la challenge: 4° Argomento: Eventi atmosferici › Tempesta


DISCLAIMER:
All rights reserved © I personaggi presenti in questa storia sono tutti maggiorenni e mi appartengono, dal primo all'ultimo. Sono comunque frutto di pura immaginazione. Ogni riferimento a cose e persone realmente esistite e/o esistenti è puramente casuale.
This work is licensed under a Creative Commons Attribution-Noncommercial-No Derivative Works 3.0 License.



L'URLO DELLE SIRENE
 
Le Sirene lo incantano con limpido canto,
adagiate sul prato: intorno è un mucchio di ossa
di uomini putridi, con la pelle che raggrinza
. [1]
 
    Guardavo in alto verso la coffa, sulla cima della quale sventolava fiero e spavaldo il vessillo nero che era l’orgoglio di noi pirati.
    Intorno a me, più altisonanti del sinistro scricchiolio dei legacci che assicuravano le vele all’albero di mezzana e di trinchetto, si udivano i sussurri concitati della ciurma e i singulti che alcuni di loro non riuscivano a soffocare, pur coprendosi la bocca con il palmo della mano.
    Lo scontro con quel galeone aveva provocato ingenti danni al parapetto e al castello di prua, e per quanto il carpentiere si stesse già occupando delle riparazioni, il medico di bordo non aveva potuto avere la stessa fortuna riguardo alle condizioni dei nostri compagni feriti.
    Avevamo perso esattamente quindici uomini. Sembrava persino ironico da dire, giacché ricordava una di quelle vecchie canzoni che tutti noi eravamo soliti cantare quando un arrembaggio andava a buon fine
[2]. Però non c’era assolutamente niente di divertente, lì. Dei nostri compagni erano morti, e adesso era giusto che riposassero in mare. Ed era proprio quello il motivo per cui fissavo con insistenza il Jolly Roger [3], quasi stessi cercando di trarre da esso la forza di cui necessitavo.
    In quanto Capitano avevo rassicurato gli animi e seguito io stesso le operazione, aiutando i miei uomini ad ammassare le amache dentro cui avevano in seguito cucito i cadaveri dei nostri compagni per seppellirli in mare; ma, quando era arrivato il momento del posizionamento dell’asse lungo la balaustra, ero letteralmente fuggito dall’altro lato del ponte, lasciando il timone nelle mani del mio Vice per rifugiarmi contro il parapetto, esattamente dove mi trovavo in quel preciso istante.
    Sospirai pesantemente, osservando le vele che si gonfiavano in conche di vento e la bandiera che si piegava al suo volere, distorcendo il teschio minaccioso disegnato su di essa. Quando mi ero imbarcato per divenire un pirata ero più che conscio del destino a cui sarei andato in contro e ai pericoli in agguato, ma viverlo sulla mia stessa pelle era tutt’altro che facile. Non avevo mai compreso realmente quanto il mare potesse essere crudele, né tanto meno le minacce che esso celava nei suoi oscuri abissi, ma dopo quanto era accaduto mi ero reso realmente conto di quanto la realtà potesse essere destabilizzante.
    «Capitano», mi sentii chiamare piano, e fu con un lungo sospiro che distolsi lo sguardo dalla bandiera e lo riabbassai, incrociando gli occhi seri e malinconici del mio Vice. Non servirono altre parole per comprendere ciò che era venuto a comunicarmi, così mi limitai semplicemente ad annuire e recuperai il mio cappello, calcandomelo bene in testa prima di attraversare a passi decisi il ponte della nave, sentendo il rumore dei suoi stivali farmi eco sulle assi di legno.
    Avevano già caricato i corpi sulle passerelle, disponendosi diligentemente ai lati della balaustra con cappelli e bandane premute contro il petto in segno di rispetto. L’elogio funebre spettò a me, e, mentre osservavo i cadaveri dei nostri compagni venire gettati in mare fino ad essere inghiottiti dal violento spumeggiare delle onde, mi colpì l’orribile consapevolezza che quella non sarebbe stata l'ultima volta. Ci eravamo imbarcati in un’impresa che sarebbe potuta costare la vita a molti, forse persino a me stesso, e la morte, amante infida e crudele, aveva già chiamato a sé troppi di noi.
    «Te la sei cavata bene», mi sussurrò il mio Vice con voce ferma, lo sguardo perso all’orizzonte che si tingeva pian piano dei colori del tramonto.
    Sbuffai pesantemente, dandogli la schiena prima di portarmi nuovamente il cappello piumato alla testa. Mi diedi anche una rapida sistemata alla pesante casacca rossa e sgualcita, come se farlo mi desse un motivo in più per distrarmi. «Non sono un moccioso, Cid
[4]. Non c’è bisogno che tu mi consoli».
    «È normale», rimbeccò però lui, impedendo che mi allontanassi e continuando solo quando si rese conto che mi ero voltato ancora una volta per guardarlo. «Il fatto che tu ti senta scosso, intendo. Un Capitano che si sente partecipe del dolore del proprio equipaggio è un buon Capitano».
    A quel suo dire, rimasi lì per lì spiazzato. Quando l’avevo conosciuto in quella bettola a San Salvador non mi era per niente sembrato il tipo da simili pensieri, poiché mi ero semplicemente soffermato sulle sue abilità di cartografo e navigatore. Avevo in seguito scoperto che era un vero e proprio donnaiolo che amava divertirsi, per quanto si mostrasse estremamente concentrato quando si trattava di un combattimento. Sentirlo adesso parlare in quel modo, con in volto un’espressione così seria e impassibile da far apparire i suoi lineamenti simili a quelli di una statua di marmo, era un avvenimento che definire inusuale era un eufemismo.
    «Torna al timone, Cid», replicai dunque in risposta, sentendo l’assoluto bisogno di chiudere lì quella conversazione. Ogni componente della ciurma aveva ripreso le solite mansioni - chi si fermava era perduto, per quanto capissi il loro dolore per la recente perdita dei compagni -, ed era giusto che anche noi facessimo lo stesso senza perdere tempo in futili chiacchiere. «Il turno di guardia stanotte spetta a Joseph, e comunica al cuoco che non consumerò la cena nella mia cabina, bensì con i miei uomini».
    Si volse rapidamente nella mia direzione come se avesse voluto protestare, e l’avrebbe fatto di sicuro se non avesse letto qualcosa nei miei occhi, qualcosa che io stesso non riuscivo per niente a comprendere. «Agli ordini, Capitano», masticò a denti stretti, quasi fosse stato costretto ad ingoiare letteralmente un rospo. Dal canto mio, non avevo tempo da perdere dietro alle sue stupide e solite rimostranze. Se avesse voluto - e se ne avessi avuta voglia io, c’era da aggiungere -, ne avremmo discusso in seguito in privato, lontani da occhi e orecchie indiscrete.
    Per il momento preferivo semplicemente lasciarlo solo e tartassato dai dubbi.
 
 
    La navigazione era proceduta senza intoppi per tutto il resto della serata, ed eravamo stati fortunati a non incontrare sulla nostra rotta altri galeoni desiderosi di depredare i nostri tesori. Avevo passato l’ora successiva alla cena a scrutare inutilmente verso l’orizzonte buio attraverso il cannocchiale, appostato nei pressi del cassero e con la sola compagnia di Joseph accomodato nella coffa, dalla quale gettava di tanto in tanto qualche occhiata di sotto tra uno sbadiglio e l’altro.   
    Per rompere la monotonia aveva cominciato ad intonare qualche strofa, ed era da più di mezz’ora che le parole «The land is no longer in view, the clouds have begun to frown, but with a stout vessel and crew, we'll say “Let the storm come down
[5]!”» mi risuonavano nelle orecchie, giacché era l’unico pezzo della canzone che rammentava e non aveva la benché minima intenzione di dare tregua alla mia povera testa.
    Mi venne quasi voglia di tirar fuori la pistola dalla fondina e sparare un colpo d’avvertimento per metterlo a tacere, ma mi limitai semplicemente a stringermi maggiormente nel pesante giaccone che indossavo, nel vano tentativo di attenuare il freddo inteso che aveva cominciato a discendere sulla superficie del mare. Le nuvole ad ovest erano dense e cariche di pioggia, e non ci voleva di certo un esperto per rendersi conto che, presto o tardi, ci saremmo imbattuti in un temporale con i fiocchi. I miei uomini avevano già ammainato le vele dell’albero di trinchetto e provveduto ad affrontare in anticipo un’eventuale tempesta, per quanto per il momento si sentissero solo violente sferzate di vento che si insinuavano nei vestiti e raggelavano le ossa.
    Un’onda più alta delle precedenti fece oscillare pericolosamente la nave, e quasi ci mancò che cadessi in mare se non mi fossi aggrappato prontamente al parapetto;  il mio cannocchiale non fu così fortunato ed imprecai a denti stretti, sbuffando. Perfetto. Ci mancava soltanto quella. Dall’alto sentii un’esclamazione soffocata da parte di Joseph, che smise finalmente di ripetere quella dannata strofa che, fino a quel momento, non aveva fatto altro che assillarmi e rendermi nervoso. Forse era l’unica cosa positiva di quello sbandamento, quella.
    Fui quasi sul punto di fare dietro front e tornare in cabina quando sentii Joseph urlare «Uomo in mare!», richiamando in quel modo sul ponte una buona fetta dell’equipaggio. Per quanto assonnati e tutt’altro che vigili, vidi alcuni di loro si riprendersi abbastanza in fretta da recuperare una corda robusta e sporgersi poi oltre il parapetto, scrutando il mare alla ricerca della persona che Joseph aveva avvistato. Il buio era così fitto e le onde si stavano ingrossando talmente tanto da non permettere di avere una buona visione dell’orizzonte, e, sebbene mi fossi sporto a mia volta nel tentativo di vedere qualcosa, non riuscivo nemmeno a capire dove cominciasse il mare e dove finisse con esattezza il cielo.
    Quando finalmente riuscimmo a vedere quel corpo che galleggiava inerme fra le onde, venendo sballottato avanti e indietro, mobilitai i miei uomini per soccorrerlo e tirarlo alla svelta su, urlando ordini ad alta voce per sovrastare il fragore delle onde che si abbattevano senza remore contro la chiglia della nave.  
    Restammo lì per lì tutti interdetti nel renderci conto che quel naufrago era una donna. Tremava dalla testa ai piedi e aveva il volto pallido e le labbra livide, come se fosse rimasta in mare per un lungo periodo; i vestiti zuppi si erano incollati al suo corpo e la fasciavano come un sudario, ed erano strappati in più punti, lasciando scoperta una buona porzione di pelle nivea; il suo petto si alzava e si abbassava a ritmi irregolari, quasi facesse una fatica immane a respirare liberamente, e, per quanto le avessi scansato i biondi capelli fradici dal viso per permetterle di ispirare al meglio, sembrava ancora ben lontana dal riuscirci. «Porta male, Capitano», sentii dire alle mie spalle da uno degli uomini, e dalla voce mi parve essere Mastro Tom. Da vecchio uomo di mare aveva sempre creduto a superstizioni di quel genere, per quanto avessi messo in chiaro di non tollerarle prima ancora di prenderlo nella ciurma. «Avere una donna a bordo porta maledettamente male».
    Gli scoccai un’occhiataccia, aggrottando la fronte. Non avevo la benché minima intenzione di lasciar passare quella stupida diceria. «Portatela subito sottocoperta», tagliai corto, ignorando i borbottii concitati che serpeggiarono immediatamente sul ponte da parte della ciurma nell’udire quelle parole, «e, Will», volsi lo sguardo sul medico di bordo, che si fece attento pur continuando a sembrare palesemente teso, «occupati di lei».
    Lo vidi distintamente deglutire prima di grattarsi con fare nervoso dietro al collo, obbedendo al mio ordine dopo un lungo attimo di tentennamento. Scansò con due spallate un paio di uomini e mi si avvicinò maggiormente, caricandosi lui stesso la ragazza sulla schiena per avviarsi di sotto, e, mentre si allontanava, mi parve persino di vederlo fare di sfuggita il segno della croce con una mano.
    Scossi il capo e feci scorrere lo sguardo sul resto della ciurma, issandomi in piedi sotto le loro occhiate innervosite. Credevano davvero che avere a bordo una donna portasse iella? Och, per l’amor del Cielo! Non volevo simili capre superstiziose nel mio equipaggio. «Tutti ai vostri posti, topi di sentina! Scattare!» intimai loro, chiudendomi ben presto nella mia cabina per rimettermi all’opera ed evitare al contempo che qualcuno protestasse ancora o facesse domande. Non mi erano difatti sfuggite le occhiate perplesse e palesemente insicure che alcuni di loro si erano scoccati, quasi avessero ancora voglia di contestare la mia decisione di tenere a bordo quella ragazza. Per quanto a loro non stesse per niente bene, però, non potevano chiedermi di gettarla nuovamente in mare.
    Non seppi esattamente quanto tempo passò e quanto rimasi chiuso in cabina, ma avevo appena terminato di spiegare le carte nautiche sulla mia scrivania quando intercettai con la coda dell’occhio la porta che si apriva, quel tanto che bastava da permettere alla testa di Cid di fare capolino oltre essa. «Devo parlarti», decretò senza mezzi termini o giri di parole, entrando prima ancora che fossi io stesso a dargli il consenso di farlo.
    Non lo degnai di uno sguardo, fingendo di essere concentrato sulla rotta da seguire. «In questo momento sono alquanto occupato, Cid», replicai. «Dibatteremo più tardi».
    Prima ancora che me ne rendessi conto, però, una grossa mano si abbatté pesantemente sulla mia scrivania, nascondendo sotto il palmo della mano una buona porzione di mare in scala. «Io e te parliamo adesso, Gale
[6]», esordì pacato, enfatizzando le parole ad una ad una come se volesse inculcarmele bene in testa.
    Lo fissai negli occhi con fermezza, assottigliando lo sguardo prima di aggirare la scrivania e ritrovarmi faccia a faccia con lui, con nulla che potesse dividerci. «Discuti una decisione del tuo Capitano?»
    «In quanto tuo Vice, mi sento obbligato ad essere franco con te, razza di idiota», rimbeccò in tono serio e schietto, «quindi vedi di starmi a sentire senza sparare altre stronzate». Parve quasi trattenere il fiato e attese che ribattessi, ma poiché io non aprii bocca decise di continuare come se nulla fosse, per quanto la sua voce suonasse guardinga. «Gli uomini sono scontenti, Gale. Non condividono la tua scelta di tenere a bordo quella donna. Come se non bastasse, Mastro Tom continua a farneticare di sventure e maledizioni
[7], agitando anche i più giovani».
    Ancora quella dannata storia che le donne a bordo portavano sfortuna, accidenti a quel branco di stupidi superstiziosi. Diedi le spalle a Cid, poggiando una mano sul bordo della scrivania, quasi volessi attutire in quel modo l’oscillazione della nave. «Allora ricorda loro chi è il Capitano e chi impartisce gli ordini su questa bagnarola, Cid. Non ho intenzione di gettare in mare una donna, per di più con una tempesta in atto, solo perché la mia ciurma crede a superstizioni del genere».
    «Vuoi rischiare un ammutinamento?» sbottò, afferrandomi violentemente per il giaccone, in modo da costringermi a voltarmi e a fissarlo in viso con attenzione. «E’ questo che vuoi, dannazione?»
    Gli scansai la mano con uno scatto rabbioso. «Siamo prossimi a raggiungere un’isola». Cercai di mantenere la voce ferma e pacata, per quanto sentissi qualche flebile accenno di rabbia divampare in essa e nel mio animo. «La lasceremo in città e riprenderemo il nostro viaggio dopo aver riempito la cambusa. Fine della discussione».
    Il suo pugno arrivò prima ancora che potessi avvedermene, centrandomi in pieno viso e facendomi sputare un po’ di sangue. Mi sfiorai con due dita il labbro inferiore, e quando mi portai i polpastrelli dinanzi agli occhi li vidi tinti di rosso. Se il nostro rapporto fosse stato diverso, non ci avrei pensato due volte ad ammazzare con le mie mani quel bastardo per quella presa di posizione. «Sei troppo tenero». Le parole di Cid suonarono sprezzanti e parvero quasi i sibili d’un serpente. «Non tutti potrebbero essere indulgenti come te, impara ad essere più freddo e distaccato. Lo dico per il tuo bene, brutto stupido».
    Lo afferrai per la casacca, assottigliando lo sguardo e stringendo un pugno lungo il fianco. «Prova ancora a colpirmi in viso a tradimento, figlio d’un cane, e ti giuro che sarai tu quello che andrà a far compagnia ai pesci», berciai, e il silenzio si dilatò per attimi infiniti, con il solo scricchiolio sinistro della nave e il mare in tempesta che agitava lo scafo a fare da sottofondo. Poi, inaspettatamente, Cid rise, chinandosi verso di me per sigillare le mie labbra con le sue, carezzando il palato soltanto di sfuggita prima d’allontanarsi.
    «Sai di sangue», mi schernì, rimediandoci da parte mia un pugno ben assestato alla bocca dello stomaco che gli fece scappare un suono sordo a cui non prestai attenzione.
    «Sei stato tu a colpirmi, dannato bastardo», sbottai poi in risposta, dispiegando ancora una volta le cartine che lui stesso aveva scombinato prima ancora che cominciassimo a discutere.
    Ebbi quasi la sensazione che fosse sul punto di andarsene quando sospirò, e nel voltarmi di poco lo vidi con lo sguardo perso oltre l’oblò, fisso probabilmente sul movimento delle onde. «Fino alla prossima isola, eh?» disse poi. «Se non arriveremo entro due giorni, temo che bisognerà prepararsi al peggio».
    «Tu sì che sai essere ottimista, Cid», ironizzai senza entusiasmo. «Forse è per questo che ti ho nominato mio Vice Capitano».
    «Nay, l’hai fatto perché scopo bene», ribatté, sarcastico a sua volta, sebbene fossi quasi sicuro che, in fondo in fondo, un po’ credesse alle sue stesse parole. Bastardo. Che credesse pure tutto ciò che voleva, non era un problema mio. «Buonanotte, Capitano», soggiunse poi, avviandosi alla porta senza attendere nemmeno una risposta.
 
 
    Fui svegliato da un forte rumore proveniente dal ponte.
    In un primo momento pensai che fosse a causa della pioggia che ancora picchiettava insistente contro l’imbarcazione, ma quando continuò, prima ancora di aprire gli occhi o di comprendere appieno la situazione, mi sporsi per afferrare saldamente la mia pistola, puntandola nella penombra in cui era avvolta la mia cabina come se mi aspettassi un attacco a sorpresa; solo quando mi resi conto di essere solo mi calmai a poco a poco, sebbene non avessi abbandonato l’arma che stringevo nemmeno quando mi liberai delle pesanti lenzuola.
    Il rumore che mi aveva destato dal sonno, però, si fece udire ancora una volta, e fu con una certa diffidenza che mi diressi la porta e sbirciai attraverso essa, scrutando con attenzione i dintorni. Non c’era assolutamente nessuno sul ponte, ad eccezion fatta delle botti che avevamo lasciato scoperte per poter raccogliere l’acqua piovana.
    Un nuovo tonfo proveniente dall’alto mi fece alzare immediatamente lo sguardo, e uscii subito nel rendermi conto che il rumore che sentivo era causato da qualcosa o qualcuno appostato sul castello di prua. Salii le scale di gran lena, vedendo la figura minuta della ragazza che avevamo salvato. Era di schiena e si era poggiata con le braccia sulla balaustra, guardando dritto dinanzi a sé con fare assorto nonostante il vento che le sferzava i lunghi capelli biondi. «Oh, sei tu. Che diavolo ci fai qui fuori con quest’acquazzone?» borbottai nell’avvicinarmi, ignorando le gocce di pioggia che mi bagnavano il capo.
    La vidi stringersi appena nelle spalle, e quando mi poggiai a mia volta contro il parapetto le vidi un triste sorriso dipinto sulle labbra. «Sto ascoltando il mare», mi disse semplicemente, facendomi inarcare senza volere un sopracciglio. Dal momento in cui l’avevamo presa a bordo non aveva fatto altro che dire cose strane non appena si era ripresa quasi del tutto, rifiutandosi persino di mangiare quando il cuoco, sotto mio tacito ordine, le aveva portato qualcosa da mangiare giù nella stiva, dove i miei uomini, pur riluttanti, avevano allestito una piccola branda per lei. Non avevano smesso di borbottare riguardo a maledizioni e sfortuna, per quanto avessero accettato senza fiatare la decisione che avevo impartito e non avessero più fatto altri commenti. Avevo persino tentato di chiederle come si chiamasse, ma aveva sempre eluso la domanda, confondendomi con le sue frasi bizzarre e le sue occhiate silenziose.
    Per quanto scettico, però, mi misi a mia volta in ascolto, fissando con attenzione dinanzi a me e tendendo le orecchie, come se mi aspettassi di udire una voce innalzarsi da esso. L’ululato del vento era simile al pianto straziante di una donna, e il fragore dell’acqua era talmente assordante da risultare spaventoso e dare l’impressione che fosse il mare stesso ad emettere quei suoni. «Sembra quasi che pianga», mi ritrovai a dire fra me e me, sentendomi al contempo un vero idiota per quella mia stessa affermazione.
    Lei, però, scosse il capo, senza distogliere lo sguardo dalle onde che si ingrossavano sempre più, facendo oscillare l’imbarcazione. «Non sta piangendo. Sta urlando», decretò seriamente, stringendo le mani sul parapetto fino a far sbiancare le nocche e atteggiando il viso ad una smorfia. Sembrava che la sola vista di quel mare in burrasca la facesse star male, come se ad ogni folata di vento che la investiva si sentisse scoppiare il cuore nel petto.
    Dal canto mio, cominciavo a capirci sempre meno. Aveva ripreso a straparlare e a rendermi confuso, tanto che mi ritrovai a poggiare la schiena contro la balaustra e a poggiare i gomiti su di essa, guardando un punto indefinito della nave nonostante la pioggia battente che rendeva tutto attenuato. «Va bene, ragazza. Facciamo finta che io ti creda», cominciai sarcastico, «che ne diresti adesso di dirmi chi sei? E anche il tuo nome, magari?»
    Con la coda dell’occhio, la vidi portarsi distrattamente una ciocca di capelli dietro alle orecchie, abbozzando nuovamente la parvenza di un sorriso. «Sono soltanto una povera ragazza troppo lontana da casa, il mio nome non ha importanza», rispose, contornando quelle parole con un’altra breve scrollata di spalle che avrebbe potuto significare tutto o niente.
    «E cosa diavolo ci facevi in mezzo al mare?»
    «Un naufragio», rimbeccò prontamente e con fare ovvio. «La nave su cui viaggiavo è naufragata e io mi sono ritrovata a vagare tra i flutti prima che mi trovaste voi».
    L’espressione che aveva in viso non tradiva nemmeno un’emozione, e fu proprio quella la causa del mio scetticismo. «Mi piacerebbe poterti credere», ironizzai, «ma qualcosa mi da’ la certezza che tu mi stia nascondendo qualcosa, ragazzina. Sei su una nave pirata e tu non hai nemmeno fatto una piega», soggiunsi, decidendo una volta per tutte di essere franco con lei. Quando si era resa conto di trovarsi su un galeone pieno di pirati non era sembrata per niente spaventata, anzi; si era soltanto guardata intorno come a voler ricordare tutto nel più minimo dettaglio, dal sottopassaggio che portava al ponte alle cuccette presenti nelle cabine dell’equipaggio. E adesso, pur sapendo che sopra di lei sventolava fiero e spavaldo il vessillo nero, non era apparsa intimorita come ci si sarebbe aspettato da una giovane donna come lei.
    Finalmente mi guardò, fissandomi intensamente con quei suoi occhi azzurri. In essi mi sembrava di scorgere una vena di velato panico, per quanto i lineamenti del suo volto fossero gli stessi di poco prima, indecifrabili e austeri. «E se le dicessi che sono anch’io un pirata, Capitano?» replicò con fare fintamente divertito, sfiorandomi una spalla con una mano.
    La guardai per un attimo e mi accigliai, distogliendo ben presto lo sguardo prima di scuotere il capo. «Quante sciocchezze», sbuffai. «A chi credi di darla a bere, ragazzina?»
    La sua improvvisa risata mi raggelò, per quanto in essa non avessi sentito nessuna ilarità, bensì una lieve minaccia. «Libero di non credermi, ma sappi una cosa, Capitano. Guardati attentamente le spalle», sussurrò in tono gelido e guardingo, quasi temesse di essere udita da terzi. «Guardati le spalle dai tuoi stessi uomini».
    A quel dire mi volsi rapidamente verso di lei e la cercai con gli occhi, ma di quella strana ragazza già non ve n’era più traccia. Solo l’infrangersi delle onde contro la chiglia della nave e una pinna che spariva nelle profondità degli abissi, squarciando il cielo plumbeo con un urlo agghiacciante.

 

 

[1] Omero. Odissea XII, 39-46.
Traduzione di Giuseppe Aurelio Privitera, Milano, Mondadori, 2007, pag. 355


[2] Richiamo alla canzone “Dead Man’s Chest” originaria del romanzo “L’isola del tesoro” di Robert Louis Stevenson.
Bisogna inoltre sapere che essa non è una vera “sea song”, bensì una semplice canzone fittizia inventata per l’appunto dal sopracitato scrittore.


[3] E’ la tradizionale bandiera dei pirati, raffigurata come due tibie incrociate sovrastate da un cranio bianco su sfondo nero. Il simbolo del teschio con le ossa incrociate è un simbolo diffuso e utilizzato in molti contesti, spesso e volentieri in collegamento con il concetto di morte.

[4] Omaggio ai tanti Cid comparsi in tutti i capitoli principali, spin-off, film o anime della saga Final Fantasy. Assieme ai chocobo e ai moguri, Cid è un marchio di fabbrica e non appare mai come la stessa persona, interagendo con il gruppo di eroi di turno in modo differenti.
Per la maggior parte dei titoli, Cid significa aeronave, e quasi sempre il Cid di turno guiderà egli stesso un veicolo o ne farà dono ai protagonisti per usarlo nelle fasi avanzate del gioco. Cid è solitamente un uomo di mezza età, se non più vecchio, che funge da figura di riferimento e fa un po’ da padre ai protagonisti più giovani. Il ruolo del Cid di questa storia è per l’appunto il navigatore, dunque neanche il suo nome è stato scelto a caso. Ha anche un altro ruolo che si scoprirà nel racconto a capitoli.
N. b. Questa nota in realtà era già presente nella long fiction, ma mi era parso giusto ripeterla anche qui per chi non conosce la storia originale.


[5] Strofa della canzone “A life on the ocean wave”, una tradizionale “sea song”.
La scelta di lasciarla in inglese è voluta, e c’è un motivo di fondo per cui è stata scelta proprio questa frase, ma esso sarà intuibile solo alla fine della storia, o almeno questa è l’intenzione.


[6] Il nome del Capitano non è stato scelto a caso ed è ovviamente uno pseudonimo. La parola “Gale” in inglese significa per l’appunto tempesta, burrasca, e la scelta sarà chiara solo una volta giunti alla fine della storia a capitoli, o almeno questa è l’intenzione.
N. b. Questa nota in realtà era già presente nella long fiction, ma mi era parso giusto ripeterla anche qui per chi non conosce la storia originale.

[7] Com’è risaputo, un tempo si credeva che invitare e tenere a bordo una donna durante la navigazione portasse sfortuna e conducesse gli sventurati marinai in contro a maledizioni certe, poiché tutto il mondo legato al mare era ed è tuttora considerato molto superstizioso.


SECONDA CLASSIFICATA
L'URLO DELLE SIRENE
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_Note conclusive (E inconcludenti) dell'autrice
Questa storia è stata scritta per il contest “Dal titolo alla storiaindetto da NonnaPapera e Writers Arena Rewind, e si è classificata seconda si quattordici storie con mio sommo stupore. Si tratta inoltre di uno spin off antecedente alla storia Oceani in Burrasca.
In verità la storia non ha molto senso, ne sono consapevole. Diciamo però che avevo una voglia matta di scrivere uno spin off sulla storia principale, così da far apparire almeno in parte anche l’equipaggio e la prima nave su cui si sono imbarcati, la maestosa Conqueror. E, beh, ammetto che volevo anche scrivere qualcosa riguardo alla sepoltura in mare, meglio però non sapere con esattezza il perché. Sarà che son pazza, chissà.
Spero comunque che, sebbene non sia accennato praticamente niente della storia principale - e non avrei nemmeno potuto farlo, dato che questi fatti si svolgono prima ancora degli eventi ivi narrati -, la storia sia apparsa abbastanza chiara e senza pecche troppo vistose anche per chi non sta seguendo la long.

Alla prossima. ♥

_My Pride_



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