Dopo essermi fatto controllare il biglietto aereo e stabilito che la faccia – da cazzo – che c’è sul passaporto è la stessa con la quale vado in giro tutti i giorni entro nell'aereo, pur sapendo che non la rivedrò se non prima di molto tempo.

La gente non torna indietro nel tempo durante la notte, o almeno, non la gente normale. E lui era un comunissimo ragazzo di poco più di ventidue anni, che lavorava in un negozio sportivo.
Il destino gli aveva riservato una seconda chance con lei?
Poteva davvero ricominciare tutto daccapo, evitando gli sbagli commessi in passato?

Ayla sa che non smetterà mai di pensare a Niall, perché, andiamo, dopo due anni e cinque mesi chi riuscirebbe ad alzarsi una mattina e smettere di pensarci?

«Posso sapere come ti chiami?»
Lei parve sorpresa a quella domanda, ma James non ci fece caso. «Marlenne»
«Uh – Estrasse una rosa da un vaso e la osservò attentamente – Quanti anni hai?»
«Piano. Ti sembra un caserma di polizia? – Rise – Tu, come ti chiami?»
«James. Ora mi dici quanti anni hai?»
«Venti, appena compiuti»
James si allontanò dal tavolo, affiancando Marlenne e indicandole un genere di rose «Un mazzo di quelle, per piacere».

L’indomani sarebbero partiti e Brooke non l’avrebbe più rivisto per un po’. Non si ricordava esattamente quanto, ma non era certo poco.
Lui le aveva proposto di andare in tour con loro, di seguirli, per passare più tempo insieme, ma la sua carriera da giornalista la incatenava a Londra, con qualche viaggio straordinario ogni tanto per incontrare star di fama mondiale.
Come se Niall non lo fosse.

“So che ti ho fatto male, che probabilmente ora tu mi odi e che pensi di non meritare nessuna delle cose che ti ho fatto, ma mi sono preso la briga di scriverti delle cose, 21 più precisamente, che sono successe, e che non credo tu sappia. Cose che mi hanno portato ad amarti, e a prendere la decisione che quando leggerai questa lettera, io avrò già messo in atto da qualche giorno, come tu ben sai.”

«Ho fatto male a fartelo vedere?» Dixie mi fissava, con la testa leggermente inclinata. I lunghi capelli tra il nero e il castano scuro le ricadevano sulle spalle, mettendo in risalto il suo viso che faceva penare tutti i ragazzi del quarto anno.
Presi una foto dallo scatolone, spolverandola leggermente con la manica del maglione e mettendomi più comoda a sedere, sorridendo lievemente «no, no, affatto» appoggiai la foto accanto a me, iniziando pian piano a tirarle fuori tutte e posizionandole accanto a noi, fissando i volti che ritraevano, contandole. Erano undici in tutto, come i mesi che avevamo passato insieme, io e lui.