Lo stesso non si può dire di Ethan, che non ci trova niente di bello nello stare lì a mangiare a prima mattina, non ha quasi mai fame, men che meno in questi momenti, quando l’ansia è così forte da stringergli lo stomaco come se fosse uno strofinaccio bagnato da strizzare per far cadere tutta l’acqua di cui è impregnato il tessuto. Ecco come si sente in questo momento. Anche se avesse fame, non riuscirebbe a mangiare in ogni caso.
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I minuti si susseguivano velocemente e quella stanza diventava testimone e complice delle mie debolezze, della mia fragilità, dei miei sfoghi che sapevano di amarezza. Sapevano di delusioni, fallimenti, sbagli, cose non dette ma anche di cose dette. Cose dette con troppa foga, cose dette con il cervello sconnesso. Cose dette senza pensarci ma che poi mi sono rimaste attaccate addosso. E non me le sono mai più scrollate.

Camminava a passo regolare, con le mani lungo i fianchi e lo sguardo che si poggiava ovunque la sua attenzione lo richiamasse.
(JongKey.)

Le parole erano poche, nessuno si sbilanciava a parlare, eppure entrambi avrebbero voluto lasciar fluire fiumi, fiumi di parole. Avrebbero voluto raccontarsi, spiegarsi, avrebbero voluto condividere la propria vita l'uno con l'altro. Avrebbero voluto aprire lo scrigno del proprio cuore perchè l'altra persona ne aveva la chiave.

"Oh, sei nelle mie vene e non riesco a farti uscire"

Gli aveva detto chiaramente che “un vaso rotto non potrà mai tornare come prima”
Frase vera, senza dubbio, ma loro si amavano.

La vita di Kibum era sempre stata piena di tanti pesciolini, quelli rossi che si tengono nelle grandi bocce di vetro trasparenti. Il rosso a Kibum ricordava la carta della sua tavoletta di cioccolato preferita.

“Il bagnoschiuma... ne ho comprato uno nuovo prima, al limone. Dimmi se ti piace, poi.”
“Hnm.”

“Che ci fai sveglio? Ti… senti male?”
Jonghyun scosse il capo e Kibum tirò un sospirò di sollievo. “Ti stavo osservando…”
“Jongie…a cosa pensavi,mh?” si appoggiò col viso su un suo braccio, accoccolandosi, socchiuse gli occhi mentre aspettava che Jonghyun parlasse.
“Pensavo al perché stai con me.”

-Signora Kim... crede davvero che lo abbia... infettato... come dice lei, vero? Crede ancora che lo abbia plagiato, non è così?-
Kibum era seduto sul divano, le mani intrecciate davanti a sè, composto.
-Certo che lo hai fatto, devi uscire dalla sua vita, una volta e per tutte.-
-Beh, si sbaglia.-

Kim Kibum, 21 anni. Vivo a Seoul, da solo, in una casa non molto grande.
Lavoro in un bar, sopravvivo come meglio posso.
Ho un particolare problema: Cerco di far uscire il dolore che mi porto dentro, provocandomi altro dolore.

E anche quella lacrima scivolò sulla sua guancia bollente. Fuori faceva freddo, ma la sua pelle bruciava.

E alla fine si legarono entrambi. Si imbrogliarono, si aggrovigliarono, quella sera. Si avvilupparono in un nodo difficile da sciogliere, un nodo in cui sono tutt'ora impigliati.

-Jonghyun.. vorresti baciarmi?-
Perché glielo stava chiedendo? Non aveva bisogno mica del permesso, ormai lo facevano fin troppo spesso. Ultimamente passavano più tempo con le labbra incollate, che altro.

“Ti manca?”
“Si.”