Fredde, fredde e pesanti le sue catene. Gli cingono il collo, rendendogli arduo perfino respirare. Gli cingono i polsi, rendendo lenti e difficoltosi anche i più semplici movimenti.
Erano il simbolo della sua prigionia, quella prigionia che gli aveva fatto da madre per tutta la vita.
Quella cella che è stata la sua culla, e che diventerà la sua tomba quando il padrone deciderà finalmente di liberarlo da quel supplizio.
In quella cella, così buia, neppure i raggi del sole osano avventurarsi. Lui non li ha mai visti, non li ha mai sentiti sulla pelle, ma a volte, immerso nel buio prova a immaginarli, immagina come sarebbe sentire i loro calore sul suo corpo, colpito solo dal freddo pungente e dalle botte brutali.
Sogna il sole, immerso in quella oscurità a cui lo avrebbe sottratto solo la Morte.

Quando la vita ti toglie tutto.
Quando anche solo sperare ti provoca un insopportabile dolore.
Quando ti trovi solo nella tua stanza e solo l’oscurità, solo il freddo ti avvolgono…allora comprendi che sei malato.
Non esiste cura… questo male ti divora da dentro, lentamente ma inesorabilmente, ti distrugge il corpo e la mente, ti rende schiavo della tua pazzia, del tuo terrore.
“Hai visto questo male che cresce dentro di me…e se sei davvero mio fratello, non potrai distogliere lo sguardo”

Percy Jackson, in una giornata di pioggia, vede una stana figura immobile sul muretto della strada.
Ignaro delle conseguenze della sua azione, e attratto da una forza a lui sconosciuta, si avvicina quel tanto che basta per guardarlo bene in volto, trovandosi inavvertitamente a fissare due occhi scuri come i profondi abissi del Tartaro.

Solo lo scrosciante scendere della pioggia. Picchiettava contro la macchina che avanzava lungo la strada illuminata dalla luce dei lampioni...erano lì per sorvegliare e per dare la fugace sensazione di sicurezza.
Ma guidare con un mal tempo di notte non sempre va d’accordo con la fortuna, mai con la sicurezza.
I fari accecanti, papà che frena bruscamente, la mamma che grida, tuo fratello che ti stringe tra le braccia.
Uno schianto.
Poi tutto finito.
Dovresti gridare, dovresti piangere...
Piangere...sei così spaventato che non ricordi neanche come si fa.
Un giorno sono riuscito a guardarmi dentro...
Ho visto un bambino che non sa piangere.
Ho visto un ragazzo che non sa ridere.
Un cuore che non può amare.
Un cuore avvelenato che ha ucciso la tua bellezza.
E un giorno riuscirò a guardarmi indietro...

Ogni palcoscenico esiste con un unico scopo: nascondere ciò che accade dietro le quinte...lì dove gli attori mostrano il vero volto...l'imperfezione...l'animo corrotto dal peccato che albeggia indisturbato nei loro cuori inaciditi dalla vita.
La lussuosa città di Tokio, in particolar modo, è un palco assai abile nel nascondere con la pulizia, i suoi palazzi, gli illustri abitanti, principi e principesse, re e regine, amici e nemici...con l'allegra routine che tutti seguono con in volto sempre un sorriso che, a chi è buono e ingenuo, può sembrare felice.
Ma anche il migliore di palchi gelosamente cela una realtà di inganno e corruzione....di peccato e desiderio...di sangue e di vendetta...e dei giochi crudeli della madre di ogni sentimento negativo: l'AMORE, madre di quel veleno mortale che risponde al nome di ODIO.
E il marcio del mondo sta lì...che come un serpente, nel modo più discreto possibile, si insinua negli animi di un gruppo di giovani sciocchi e ingenui...che, ignari di tutto, giocano, ridono e litigano...
Son Goku era uno di quelli...un ragazzo ingenuo e allegro, con tutti i problemi dell'adolescenza che, nascendo, aveva firmato la sua condanna a morte...

La luna splendeva alta nel cielo scuro, illuminando con la sua luce gelosa il paese di Konoha accarezzando le pareti delle case e le strade che si trovavano ai margini della città, dimenticate.
Allontanate, incomprese.
Lì vivevano gli Uchiha, figli dell’avidità e del potere del sangue, che prendendo questa loro reclusione come un motivo quasi d’orgoglio, avevano preferito mantenere il loro sangue e il loro potere all’interno del clan, sposandosi solo tra di loro ed educando i figli a una filosofia di superiorità che li aveva portati a divenire sempre più odiosi e asociali agli altri.
Ed è in una di quelle case abbandonate che parto a raccontarvi questa storia, la casa più rispettabile e ammirata tra le dimenticate: La dimora in cui Fugaku Uchiha, il capo del clan, viveva assieme a sua moglie Mikoto e ai suoi figli Itachi e Sasuke.
I due fratelli in particolare saranno i personaggi dell’intera nostra vicenda, ma più specialmente lo sarà il loro amore. Un amore fraterno, un amore platonico, un amore passionale, un amore adultero.
Un amore che distrugge, un amore che rigenera, un amore che ama, un amore che odia.
Un amore sporco.

“Naruto…accidenti a te, ma lo sai che ore sono?!”
Jiraya aveva sopportato di tutto nella sua lunga esperienza di ninja…agguati e morte…mille e mille battaglie…anche a Tsunade era sopravvissuto…
Si riteneva quindi, a buon ragione, un tipo abbastanza incrollabile…
Ma, realizzò, quel ragazzo biondo lo avrebbe fatto finire in manicomio un giorno o l'altro, molto pesto (quel ragazzino o anche la sua mania di ammirare il fisico femminile…)
“Certo che lo so…è mezzanotte” rispose lui in modo fin troppo ovvio. Come se fosse la cosa più normale del mondo svegliare qualcuno nel cuore della notte…in più facendogli prendere un infarto…
Una One shot per festeggiare il compleanno dell'Eremita dei Rospi!