Nota: dopo quasi 2 anni di “astinenza” dalle fanfiction, periodo dove
ho scritto esclusivamente mie original, torno a scriverne una buttandomi nel
genere riflessione/introspettivo che mi piace tanto. Spero venga decente… XD Beh, sarete voi a dirmelo, suppongo, no? ^^
Questa è la seconda stesura di Rain of Tears, inizialmente era in terza
persona. L’ho riscritta totalmente e questa effettivamente m’ispira di più (grazie Lele per
il consiglio ^.^). La prima stesura risale ad agosto 2006, la seconda al mese
successivo. Eh, continuo a rimaneggiare le mie fanfic e le pubblico ancora meno
.__.
Consiglio musicale: qualsiasi canzone lenta, con possibilmente un piano o
una chitarra. Personalmente consiglio il sottofondo di “Sadness and Sorrow”
proveniente dalla OST di Naruto (sia orchestral sia piano version) e “Sayonara”
di Gackt.
Rain of tears
Non so a cosa pensare. La pioggia lava via dal mio corpo ferito – non quanto la
mia anima – ogni singola riflessione, senso di colpa, dolore… non riesco a
riflettere.
La strada è fangosa, sotto la pioggia che inesorabilmente cade a terra,
scrosciante, ormai da svariati minuti. Precisamente, da quando sono riuscito a
sconfiggere colui che ha cercato con tutte le sue forze di fermarmi, di
impedirmi di commettere pazzie, di vendermi al diavolo incarnato. Ma non c’erano
state ragioni che mi potessero fermare… ormai mi sono spinto troppo avanti.
Il mio sguardo è vacuo, gli occhi neri circondati da profonde occhiaie. Fisso un
punto indefinito del bosco davanti a me… forse non voglio neanche pensare. Non
so se pentirmi o essere orgoglioso di quel gesto.
Stringo con la mano la spalla sinistra, che ancora pulsa dolorosamente: il
sigillo maledetto si fa sentire, ricordandomi che il suo potere ha un prezzo
molto elevato.
Basta, mi devo fermare un po’.
Rallento un istante e decido di appoggiarmi ad un albero: ormai sono abbastanza
lontano dalla valle dove abbiamo combattuto e nessuno mi sta inseguendo.
Considerando le condizioni di Naruto, poi, se qualcuno ci ha raggiunti si è
fermato ad aiutarlo.
Sento la corteccia ruvida graffiarmi la pelle nuda della schiena, lasciata
parzialmente scoperta dai due ampi squarci ai lati del simbolo degli Uchiha
sulla maglia, segni della comparsa delle ali nel secondo stadio d’evoluzione del
sigillo.
Avvicino le gambe al petto, lievemente divaricate, e appoggio sulle ginocchia
gli avambracci, lasciando ricadere in avanti la testa; i capelli umidi mi
coprono gli occhi e i lati del viso, mentre percepisco solo ora che la pioggia è
terminata, dopo il misero tentativo di lavare via quel vergognoso duello che –
ne sono sicuro – nessuno dei due combattenti avrebbe mai dimenticato, qualsiasi
cosa succeda in futuro. Le uniche gocce che cadono ancora scivolano dai rami e
dalle foglie, sfiorandomi la pelle come al solito innaturalmente candida. Sono
fredde, molto fredde. Sono lacrime? Chi sta piangendo, lassù?
Alla fine avevo vinto. Non era così?
No. La battaglia l’ho vinta io, questo è vero, ma non ho ucciso Naruto. Per
quale ragione non lo so: forse debolezza, forse ribellione verso Itachi, forse
un improvviso ricordo di mio padre che mi avverte di non seguire le orme di mio
fratello, forse il viso di mia madre che ha sempre avuto fiducia in me… Mi mordo
un labbro: forse perché, nonostante non voglia ammetterlo del tutto, sono
diverso da Itachi e non riuscirei ad uccidere a sangue freddo coloro per i quali
nel tempo ho cominciato a provare affetto. Almeno, non nella situazione attuale.
Forse più avanti, in un futuro non troppo distante, ci riuscirò.
Seduto sotto questa pianta a temporale terminato, con le piccole gocce che di
tanto in tanto ricadono sui miei capelli, ripenso a ciò che lascio dietro di me
per un futuro incerto e probabilmente suicida: un flusso d’immagini che non
riesco ad interrompere… il Team 7, Kakashi, Sakura, Naruto. Il team 7… prima di
iniziare questo viaggio, questa stessa notte, ci ho pensato a lungo. Dopo lo
sterminio del mio clan sono diventati i miei unici contatti col mondo.
Kakashi. L’ho stupito durante la prova d’ammissione, con quella che
successivamente il maestro aveva definito velocità superiore al normale genin e
con la potenza delle mie tecniche di fuoco, inusuali per un ninja appena
diplomato. Però mi ha sempre rimproverato per il mio protagonismo, ricordandomi
più e più volte che è il lavoro di squadra a forgiare il vero ninja.
In questa situazione disastrata, non posso fare a meno di sorridere. Il lavoro
di squadra… era andato a farsi benedire da tempo, ormai. Da quando mi sono
rivoltato come un serpente contro coloro che mi erano stati vicini.
Sempre i serpenti… eh, Sasuke? Forse è nella tua natura.
Tuttavia Kakashi aveva avuto fiducia in me, aveva confidato nel mio talento e
nel mio buon senso; il passato di Kakashi somiglia al mio e probabilmente ha
pensato che la mia rabbia sarebbe svanita per lasciare dietro di sé solo il
ragazzo che avrei potuto essere senza quella strage. Io stesso lo ammiravo,
nonostante non lo abbia mai chiamato “sensei”: la sua forza era sorprendente e
per questo era famoso anche all’estero, per di più era un ottimo insegnante.
Inoltre mi ha fatto dono del Mille Falchi…
Mi guardo la mano sinistra, ora graffiata. Sono un ingrato, oltre che un
egocentrico. Mi risuonano ancora nella mente le parole del maestro jonin: “il
mille falchi è un potere che ti ho dato per proteggere le persone che ami”… ma
l’avevo usato per quello scopo solo una volta, contro Gaara del deserto.
Perdendo, per di più. L’inutilità del voler proteggere le persone a cui si vuole
bene… in passato non sono riuscito a difendere i miei genitori, il mio clan, non
sono riuscito a sconfiggere Itachi, successivamente non sono riuscito a
difendere i miei amici. Poi, quello straordinario potere del fulmine, l’avevo
rivolto proprio contro i miei amici per attaccare, ferire, uccidere.
Quando io, con aria ferita e superiore, avevo minacciato di uccidere coloro che
per il maestro erano le persone più importanti, e il ninja aveva risposto col
suo solito sorriso mascherato che erano già tutti morti, mi sono sentito ancora
peggio. La foto scattata quel giorno ormai lontano del team 7 mi riapparve
davanti gli occhi. Kakashi capiva veramente come mi sentivo, allora…? “Abbiamo
trovato dei compagni preziosi, non è vero?”. Avevo abbassato lo sguardo e mi
erano tornati alla mente i miei due compagni. Sì, era vero… ma non era
abbastanza per cancellare dal mio animo tormentato l’immagine di tutti i miei
parenti straziati – cadaveri riversi a terra, non più esseri viventi – per
annullare il desiderio di vendetta, il mio senso di inadeguatezza, di non essere
migliorato poi molto in quel periodo. Se ormai non avevo più lacrime da
piangere, i miei occhi neri abbassati e le labbra incurvate in una triste piega
avevano fatto sperare al maestro in una redenzione dell’allievo così pieno di
dolore e talento. Si era sbagliato… no, ero io stesso a volerlo convincere di
aver sbagliato. Avevo promesso in passato, e non ci sarebbero stati compagni o
amici a spingermi a rompere quel suggello di vendetta.
Vendetta…
Chino ancora un po’ la testa, chiudendo gli occhi.
Sakura. Quella ragazza… inizialmente non mi aveva dato una buona impressione:
sembrava che ogni suo sforzo avesse come fine esclusivo il farsi notare da me.
Forse all’inizio era veramente così, ma non ci facevo caso, come non avevo mai
fatto caso neanche all’accademia degli sguardi adoranti delle altre ragazzine.
Mi irritavano. Non ho chiesto io di essere così venerato. Sapevo di averle
rivolto spesso parole dure: che era una palla al piede, che era più debole di
Naruto… anche se in realtà sì, sapevo altrettanto che aveva un certo potenziale:
magari ne aveva poco, ma l’aveva dimostrato con la prova dell’arrampicata degli
alberi, superando sia me sia Naruto al primo colpo. E se proprio l’avessi
odiata, l’avrei lasciata in pasto ai nemici: in realtà non mi fidavo molto di
lei e mi intromettevo sempre nei suoi combattimenti, proteggendola col mio
stesso corpo, per evitare che il Team 7 diventasse precocemente formato da soli
due genin. Probabilmente quel mio modo di fare tra il protettivo e il previdente
le ha sempre tolto luce, impedendole di mostrare il suo talento. Certo non posso
definirmi un ninja sensibile, ma attento sì: avevo capito subito che qualcosa
non andava in lei alla vigilia dell’esame chunin.
Non mi ha stupito più di tanto quando, due sere fa, ha cercato di fermarmi
all’uscita del villaggio. Come al solito l’ho allontanata e respinta con
indifferenza, sorpassandola senza neanche guardarla. Senza neanche notare le sue
lacrime.
Lacrime che erano scivolate lente dopo pochi secondi, quando aveva cominciato a
gridare cercando di fermarmi, chiedendomi perché non volessi mai raccontarle
nulla, perché non mi fidassi di lei, facendomi ricordare i tempi passati,
cercando di farmi notare l’errore madornale che stavo commettendo. E ancora una
volta avevo mentito spudoratamente e avevo proferito parole affilate come
pugnali: “Non ricordo”, quando invece il ricordo di quel momento era vivo nella
mia mente. E, ironico, in una seconda beffa ancora peggiore, “dopo tutto questo
tempo, sei ancora insopportabile”.
La stessa frase che le avevo detto quel giorno… che bastardo che ero stato. Me
ne rendevo conto.
Non posso impedire ad un sorriso ironico e amareggiato di comparire sulle mie
labbra, qui, in questo bosco buio e sperduto al confine tra due continenti,
mentre ricordo tutti questi momenti… da solo.
Ma era sveglia, Sakura: “perché ti comporti sempre come se mi odiassi?” Se n’era
accorta… eppure aveva continuato a starmi vicino e ad assillarmi, a provare a
cambiare qualcosa.
Mi aveva confessato chiaro e tondo il suo amore, disperata e speranzosa, e io
l’ho presa in giro.
Mi aveva proposto di aiutarmi, e io l’avevo allontanata.
Poi, la sua minaccia: mi avrebbe fermato ad ogni modo, anche urlando.
Rapido come sempre, l’avevo raggiunta alle spalle, facendole morire le parole
sulle labbra.
“Sakura…” la chiamai piano.
Non sono mai stato bravo con le persone e con i sentimenti. Però in quel momento
le mie labbra cambiarono espressione: non erano più specchio di un sentimento
duro e impassibile, erano… non so neanche io che cosa volessi esprimere in quel
momento. Forse non voglio dare un nome a quel sentimento… gratitudine? O altro…?
“Grazie”.
Grazie di essere stata sempre presente.
Grazie di aver condiviso i miei pensieri e pesi senza rompere le promesse che ti
imponevo – non avevi detto a Naruto del sigillo fino a quando non è venuto a
saperlo da solo, vero?
Grazie di sapere del mio clan senza farmelo pesare. Grazie per aver provato a
fermarmi.
Grazie per amarmi non in modo superficiale per via del mio aspetto, come la
maggior parte delle ragazze all’accademia, ma anche nei miei difetti e nel mio
carattere, provando a capirmi, conoscendomi nelle missioni che affrontavamo
insieme. Grazie per continuare ad amarmi nonostante io ti abbia ferita così
tanto.
Forse non sono adatto a te.
La tramortii con un unico colpo preciso, ma non ebbi il coraggio di lasciarla in
mezzo alla strada; la presi in braccio, sentendo il suo respiro caldo e regolare
sfiorarmi la pelle, e la posai delicatamente sulla panchina di pietra lì vicino,
osservandola un paio di secondi prima di andarmene e riprendere la mia strada.
Anche svenuta… stava piangendo. Piangeva per me.
Grazie di tutto e… perdonami.
Naruto. Un’eterna palla al piede, con l’unica voglia di superarmi; qualsiasi
cosa facessi, Naruto doveva farla meglio di me, e per questo provocava solo
casini. Egocentrico, continuamente ad urlare che sarebbe diventato Hokage. La
prima impressione non è stata delle migliori neanche con lui. Ma, come con
Sakura, poi ho lentamente cambiato idea, tanto da proteggerlo col mio stesso
corpo contro Haku, durante la nostra prima missione seria, rischiando la vita.
Chi voglio prendere in giro… La verità invece è che nonostante lo chiamassi
continuamente “idiota imbranato” e lo guardassi con superiorità, alla fin fine
un piccolo angolo della mia anima lo riconosceva già degno di me e lo annoverava
come amico fin dalle nostre prime rivalità minime, come quella corsa sugli
alberi. Perché è sempre stato solo, e io so cosa vuol dire soffrire. Fin da
quando ci incrociavamo lungo il fiume, da bambini, sapevamo entrambi che
esisteva una certa affinità tra di noi. Eravamo simili.
Ed era per quello che qualche minuto prima guardavo amaro verso il basso, in
piedi sopra la statua del fondatore del Villaggio della Foglia, con uno sguardo
rassegnato. Non avrei mai voluto, ma dovevo farlo.
Dovevo uccidere Naruto. Dovevo impadronirmi dello Sharingan Ipnotico.
Ancora di più, dovevo recidere qualsiasi legame troppo forte che mi trattenesse
ancora al Villaggio. Kakashi e Sakura li avevo già allontanati. Mancava lui. Per
rendere definitiva la mia dipartita, per suggellare con l’ultimo timbro il mio
tradimento, per spianare la strada davanti a me e non avere ulteriori rimpianti
alle spalle.
Per il bene di entrambi, la morte di uno dei due era necessaria.
Tuttavia perché ho detto quelle parole, ho ammesso che Naruto fosse diventato il
mio migliore amico, non lo so neanche adesso: forse volevo mettere tutte le
carte in tavola prima della fine, forse volevo colpirlo psicologicamente prima
che fisicamente. Un ninja non deve anticipare il proprio avversario?
Ma Naruto mi stupì ancora una volta: per lui, io ero diventato il fratello che
non aveva mai avuto. Fratello… che brutti ricordi mi riportano alla mente questa
parola. Può esistere un rapporto fra fratelli che non sia di eterno complesso
d’inferiorità per il minore dei due, che non sia scritto col sangue di vittime
innocenti? Nonostante questi pensieri mi percorressero freneticamente la mente,
uno sguardo stupito e doloroso mi comparve sul volto e per un istante lo
sharingan rosso splendente si era incupito.
Può la gioia di qualcuno dipendere da me?
E i miei occhi si riempirono di nuovo di immagini, i momenti felici che avevo
passato con Kakashi, Sakura e Naruto. Momenti che erano terminati per sempre.
Un pugno chiuso batte a terra schizzando fango tutto intorno, macchiando
ulteriormente i pantaloni bianchi, mentre l’altra mano va a sorreggere la fronte
corrugata.
No… io sono un vendicatore.
Grazie a Naruto non ho ottenuto lo Sharingan Ipnotico, ma ho comunque completato
il potente occhio: ora il rosso scarlatto dell’iride è decorato da tre piccole
tomoe, tre piccole virgolette, e non solo due. Dopotutto quel combattimento non
è stato inutile.
Anche se… quel breve contatto, durante lo scontro tra Mille Falchi e il nuovo,
energico potere di Naruto, mi ha fatto soffrire. Per un istante le nostre anime
si erano prese per mano, i due bambini che non avevano mai avuto il coraggio di
parlarsi perché troppo diversi si erano sfiorati.
Forse era stato a causa di quel lampo, di quella strana sensazione ancora viva
in me – qualcuno mi può comprendere, qualcuno tiene a me? – che non ho dato il
colpo di grazia a Naruto, nonostante giacesse ai miei piedi. Bastava un kunai a
tagliargli la gola, o a trafiggergli il cuore… ma non l’ho fatto.
Come aveva detto Kakashi, cosa sarebbe rimasto dopo che fossi riuscito ad
uccidere Itachi? Il mio corpo sarebbe stato di Orochimaru e la mia vita finita.
No… neanche questo. Forse un po’ di amarezza per aver sprecato un’esistenza a
rincorrere mio fratello per dare finalmente riposo all’anima dei nostri
genitori, ma sarebbe svanita col tempo. E come non sarei stato una marionetta
nelle mani di Itachi, non lo sarei stato nelle mani di Orochimaru.
Sono Sasuke Uchiha, nessun altro all’infuori di me stesso può scrivere il mio
destino.
Mi rialzo in piedi ancora debole, ma rinvigorito da una vena di forza rinnovata:
ora so bene cosa sto lasciando dietro di me. Qualcosa di importante, qualcosa a
cui tengo, la mia nuova e ultima famiglia, ma l’uomo non può ottenere nulla
senza sacrificio.
Da questo momento sono un ninja fuggitivo, continuerò a camminare con il solo
scopo di raggiungere il potere e la forza che desidero. Annullerò ricordi e
sentimenti per completare la mia corazza di freddo ghiaccio, impenetrabile da
magie o buona volontà altrui, che ho cominciato a costruirmi anni or sono.
E allontanando dolore e amarezza, dalla pioggia di lacrime appena terminata
sarebbe nato un nuovo Sasuke Uchiha.
*Rain of tears è la traduzione di namida no ame, che è parte del titolo della
puntata 134 di Naruto, al quale termine è ipoteticamente posizionata questa
fanfic. Lo so, suonava meglio in Jap, ma non l’avrebbe capita nessuno… Comunque,
questa espressione mi ha colpito così tanto da volerle dedicare una fanfic.
Nota finale: ovviamente questa visione di Sasuke è la mia. Non è detto che sia
quella giusta come non è detto che sia quella errata. Visto che la psicologia di
questo personaggio viene sempre vista come quella di un criminale senza appello
ho provato a renderla più “umana”, come lo vedo io. Trovo che il modo di
ragionare di Sasuke sfiori a volte l’assurdo, è vero (quanto l’ho odiato quando
ha lasciato Konoha >_<), però dietro ogni scelta c’è comunque un motivo che va
trovato e compreso.
Spero che questa mia visione sia comunque condivisa... e che la fanfic piaccia ^^ Mi piacerebbe leggere cosa ne pensate, che fa sempre piacere leggere recensioni per uno scrittore!!! ^^
Al momento sto lavorando ad una longfic su Naruto; l’ideazione è quasi completa,
sono arrivata ad un buon punto della stesura. Come ho detto all’inizio,
rimaneggio le mie fanfic fino all’esaurimento nervoso xD Spero però di
pubblicarla presto.
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