Follia d'amore e d'oscurità

di Sylphs
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PROPOSTA DI MATRIMONIO






Irene danzava leggiadra e gioiosa per la sua stanza, con la gonna del vestito celeste che le ondeggiava come le onde del mare intorno alla vita e i capelli al vento, un sorriso ad illuminarle il viso, gli occhi luccicanti, e faceva giravolte e piroette, mentre dalle finestre aperte il sole la baciava e la faceva scintillare. R la amava! R la amava! S’erano tenuti la mano, si erano dichiarati l’un l’altra, ed ora erano legati…per sempre. Sarebbe riuscita a farlo uscire allo scoperto. Ora ne era certa. L’avrebbe avuto al suo fianco!
“Irene!” esclamò suo padre entrando con un gran sorriso stampato in faccia e le braccia allargate come in un abbraccio. La ragazza lo accolse di buon grado, gettandosi su di lui: “Buongiorno, papà!” ridendo, lo afferrò, si piazzò un suo braccio sui fianchi e si lanciò in un tango sfrenato. Era euforica. E Giorgio non aveva tardato ad accorgersene: “Cos’è tutta questa allegria?”
“L’amore è una cosa meravigliosa, non credi?” fece lei con aria misteriosa, facendogli fare un casquet. Suo padre per un attimo fu solo confuso, poi una luce di comprensione gli accese il viso: “Oh, capisco” commentò, a sua volta molto allegro e soddisfatto come se si fosse reso conto che sarebbe stato ancor più gradito alla figlia: “Allora la mia notizia ti rallegrerà ancor di più!”
“Quale notizia?” domandò lei tutta presa a piroettare ovunque. Giorgio ampliò il sorriso: “Stephan è qui sotto! È venuto a farti visita!”
Di colpo la ragazza si bloccò, impallidì, venne presa come da un mancamento. Barcollò e lasciò andare bruscamente il padre, portandosi una mano alla gola e abbassando gli occhi atterriti al pavimento. Dischiuse le labbra, un tremito la prese, fu improvvisamente conscia del cerchio d’argento che le cingeva l’anulare. Sollevò la mano e se lo fissò come se non lo riconoscesse, atterrita. Giorgio, perplesso e deluso dalla sua reazione, le sfiorò un braccio: “Non sei contenta?”
Irene sussultò e alzò la testa di scatto, fissandolo. Stephan…il suo amore di città. Il bel ragazzo che l’aveva corteggiata prima che si recasse ad Heather Ville, su cui lei spesso aveva fantasticato. Un tempo avrebbe gioito enormemente della sua visita, ma ritrovarselo lì ora che R era entrato nella sua vita, ora che le aveva confessato il suo amore, era quanto di più inaspettato e doloroso le potesse capitare. Come si sarebbe comportata? Cosa avrebbe detto? Era forse peccato parlare a Stephan dopo aver detto ad R di ricambiare i suoi sentimenti? Ed era invece peccato verso Stephan essersi data a un altro, quando lui la corteggiava da più tempo, e sentiva nei suoi confronti ancora una vena di affetto ricacciato nel profondo del cuore? Oh, perché era venuto?! Perché aveva turbato la sua beatitudine?
Pallida in volto, indietreggiò e scosse la testa: “Non voglio vederlo. Digli che sto male”.
Giorgio aggrottò la fronte, contrariato: “Irene, cosa ti prende? Pensavo che Stephan ti piacesse! È un bel ragazzo, un uomo probo…è venuto qui apposta per te. È preoccupato per te. Ti proibisco di fare queste scenate. Se non ti garba in qualche modo, abbi la decenza di dirglielo in faccia, invece di chiuderti qui!”
La prese per un braccio, ed Irene, disperata e angosciata, fu costretta a lasciarsi trascinare via di peso. Le gambe erano molli come gelatina, si sentiva prossima a svenire da un momento all’altro. Non desiderava vedere Stephan, affrontare il suo sguardo innamorato dopo quanto era successo tra lei ed R. Gettò uno sguardo sconfortato al buco nero che s’allontanava sempre più, domandandosi se R avesse sentito tutto. Lei amava R, ne era certa…la fascinazione che provava, la dipendenza, erano sintomi d’amore, anche se non conosceva il suo aspetto e poteva solo immaginarlo in sogno. Per Stephan più che altro sentiva un misto di tenerezza e di pietà, che non riusciva ad associare ad alcun sentimento…non si sentiva pronta a dirgli la verità, dopo averlo illuso per tutto il tempo. Ma come avrebbe potuto sapere di R? Prima aveva sempre creduto che Stephan fosse la sua occasione migliore.
Lui l’attendeva nella sala da pranzo, accanto al portone spalancato sulla luce del giorno, con indosso una camicia con le maniche tirate su, un paio di pantaloni marroni e un berretto di feltro da cui uscivano ciocche disordinate dei suoi capelli castani. Si rigirava goffamente tra le mani la borsa di cuoio che portava a tracolla e si guardava timorosamente attorno. Allorché Irene lo scorse, mentre scendeva le scale cigolanti al fianco di suo padre, il cuore le venne stretto in una morsa. Oh, Stephan…era un così bel ragazzo, un bravo ragazzo con l’aria del gran lavoratore. Era venuto per lei…eppure lei non poteva dargli quello che chiedeva.
Gli occhi nocciola intenso di Stephan la individuarono. Si illuminarono di una luce potentissima e un sorriso gli illuminò il volto dai lineamenti regolari: “Irene!” gridò, gioioso, correndole incontro a braccia aperte. Era la prima volta che osava farlo. La volta sbagliata. Irene si fermò e si irrigidì, terrorizzata al pensiero che lui potesse abbracciarla. Il giovane la raggiunse di gran carriera, la afferrò per la vita con insieme timidezza ed impeto, e la sollevò da terra, facendola volteggiare. Irene, però, con un senso di disagio, si dibatté debolmente nella stretta di Stephan: “Ciao, Stephan” sussurrò con voce inespressiva. Lui la rimise giù e la contemplò a lungo con uno sguardo appagato e felice. Le teneva ancora le braccia intorno ai fianchi: “Non sai quanto avrei voluto venire prima!”
Aveva l’aria di una tenerezza romantica, così Irene, con una vampata che le arrossava le guance, distolse lo sguardo, imbarazzata e fredda. Suo padre, da parte sua, impacciato, si ritirò in fretta: “Vi lascio soli, ragazzi”.
Quando furono soli, Stephan riprese a guardarla e le sorrise, raggiante: “Non…non dici niente?” le chiese, emozionato. Irene fece una smorfia: “E tu?” replicò, con lo stesso tono piatto. Di solito era sempre stata lei quella che parlava e che copriva in qualche modo il silenzio. Lui arrossì e abbassò gli occhi. Con mano tremante le accarezzò i capelli: “Mi sei tanto mancata”.
La fanciulla si scostò, divorata da un senso di colpa fastidioso. C’era ancora qualcosa che la legava a quel giovane, qualcosa di indefinito: “Ci hai messo tanto” disse infine. Lui assunse un’espressione di scusa: “Sono stato molto occupato col lavoro. Ora però sono qui. Con te. È…è meraviglioso!” le prese le mani di slancio e vi posò un bacio. Infastidita che le dimostrasse solo ora che era troppo tardi quella passione, Irene le sottrasse e indietreggiò di un passo. Stephan parve sorpreso e dispiaciuto, ma poi si guardò intorno: “Un posto assai lugubre. E così poco adatto ad una ragazza”.
“Io lo trovo splendido” ribatté lei aspra. Certo, come poteva Stephan apprezzare il fascino nascosto di Heather Ville? Era troppo cieco, troppo legato a quello che vedeva per farlo. Lei, però, lei aveva imparato a leggere le ombre e a trovare la bellezza celata dalla polvere e dal luridume. Il giovane continuò a scrutare l’ambiente oscuro e polveroso con aria poco elogiativa. Tutto quello che vedeva era solo un mausoleo buio, schifoso, marcio, con i muri fragili e scrostati, candelabri simili a serpenti avviluppati, ragnatele spesse come corde abbarbicate alle travi nel soffitto, pervaso da un insistente tanfo di muffa. In una cavità nei muri alcuni piccoli vermi bianchi strisciavano sinuosi, andando e vendendo, e ragni neri e putrescenti si calavano dalle ragnatele appesi a fragili fili di seta, allargando le zampe verso di loro.
“Dovresti tornare in città” concluse, circondando le spalle della giovane con fare protettivo, come se volesse sottrarla all’aria venefica di quella dimora. Lei provò solo fastidio e si liberò con uno strattone della sua presa: “Perché?” domandò: “Cosa mi aspetta in città? Soltanto staticità e pettegolezzi. Qui sto vivendo una nuova vita. Una vita più bella”.
Mentre lo diceva, gli occhi le brillavano di una luce febbrile che inquietò notevolmente Stephan. La ragazza sembrava sotto l’effetto di un potente incantesimo che le faceva apparire splendido quel luogo marcio e invisibili i vermi che strisciavano quasi dappertutto. Di colpo volle poterla prendere in braccio e portarla via subito, senza neanche dichiararsi. A stento riuscì a dominarsi: “Ora che sono qui, che ne dici di mostrarmi la tua camera?”
Dall’espressione si sarebbe detto che Irene non avesse alcuna voglia di farlo. Ma a malincuore, con la schiena curva, acconsentì e gli fece strada ai piani alti. Ad un certo punto, sentì che Stephan le aveva preso timidamente la mano. Quel suo ostinarsi a stabilire un contatto con lei le provocò un’ondata di rimorso. Non gli lasciò la mano solo per non addolorarlo, e perché la sua presenza, in qualche modo, la rassicurava e dissipava le ombre. Nel mentre salivano le scale, si udì, vicinissimo, un lieve fruscio. Stephan si bloccò di colpo, stupito, Irene impallidì.
“Hai sentito?” bisbigliò lui, frugando l’oscurità con occhi spaventati. Lei si morse con forza il labbro: “Cosa? Io non ho sentito niente!” gli sorrise e lo tirò per la mano, con un fare forzatamente giocoso: “Suvvia, vieni, lascia che ti mostri la mia camera!”
Lui storse le labbra, poco convinto, ma si lasciò trascinare. Aveva la sensazione folle di essere profondamente sgradito lì, il desiderio impellente di andarsene immediatamente. Era come se una voce strisciante come quella di un verme e roca come quella di una bestia gli sibilasse dal nulla: “Vattene! Vattene!” d’istinto, rabbrividì. Appoggiò la mano libera al corrimano, e subito la ritrasse con un gemito, portandosela alla bocca per succhiarla. Irene si fermò e si voltò dalla sua parte, con un’espressione interrogativa dipinta sul bel viso: “Che cos’hai?”
“Mi sono tagliato!” gemette lui. Sul palmo della mano aveva un lungo taglio slabbrato che perdeva abbastanza sangue. Le gocce vermiglie cadevano e si infrangevano sui gradini di legno con un suono gorgogliante. Irene gli prese la mano ferita e la esaminò per un po’, poi sollevò su di lui gli occhi azzurri arrabbiati: “Avresti dovuto fare più attenzione!”
“Ma il corrimano era scheggiato!”
“Io non mi sono mai tagliata” lo informò seccamente: “E sono qui da ben tre settimane, Stephan”.
Stephan la fissò, incredulo della sua rabbia, addolorato per il suo fastidio. Non l’aveva mai vista così. Neanche quando avevano avuto qualche piccolo alterco. Gli voltò con decisione le spalle e riprese a salire le scale. Fu costretto ad andarle dietro, senza più toccare nulla, con la mano sanguinante serrata al petto. Quel posto gli piaceva sempre meno, soprattutto l’influenza che aveva su Irene.
Quando entrò nella sua camera, fu rassicurato nel constatare che era più luminosa e pulita di tante altre, ma appena ebbe varcato la soglia metà della sua rassicurazione scomparve, poiché era avvolta da una potente aura di contaminazione, come se vi fossero avvenuti fatti segreti e innominabili e, proprio davanti al letto, nel muro, c’era un grosso buco nero, cavo, al cui interno non si scorgeva nulla. Quando lo fece notare a Irene, lei rispose bruscamente la storia sul condotto di areazione. Si accomodarono sul letto di lei, e la ragazza si offrì di medicare la ferita di Stephan. Immerse un fazzoletto di stoffa in una ciotola piena d’acqua appoggiata sul comodino e, delicatamente, prese a tamponare il taglio. Lo faceva perché non voleva che lui soffrisse, ma ben presto Stephan le posò addosso uno sguardo languido. Irene alzò un poco gli occhi, se ne accorse, e subito li riabbassò, arrossendo violentemente. C’era un che di terribilmente stonato in tutta la situazione.
“Allora…” balbettò infine, per rompere il silenzio imbarazzato: “Come vanno le cose in città?”
“Tutto bene” replicò lui: “L’officina di mio padre và avanti che è una bellezza. Mia madre ha preso un forte raffreddore, ma sono sicuro che guarirà presto, ha una gran tempra, la mia vecchia! Poi…beh, alla tua scuola molti volevano avere tue notizie, ho raccontato loro che sarei andato a farti visita, ma che stavi bene e non risentivi della solitudine. I tuoi zii…”
Ben presto Irene smise di ascoltarlo. Erano discorsi così noiosi! Non le importava nulla di cosa stavano facendo i suoi zii né con chi si era fidanzata Susanna Mainsfield. Più che altro era assorta dal taglio che stava asciugando col fazzoletto inzuppato. Aveva quasi la forma di un graffio, un graffio inferto con violenza e sadismo. Gli strinse la mano troppo forte e Stephan sobbalzò: “Irene!” esclamò: “Ma mi stai ascoltando?”
Lei tornò in sé: “Certo. Stavi dicendo?”
Lui alzò un sopracciglio con fare preoccupato: “Stavo dicendo” riprese, amareggiato che lei non avesse sentito ciò che da mesi si stava preparando a dirle: “Che ho lavorato duramente e ho guadagnato una cospicua somma”.
“Uhm?” fece lei distratta, fasciandogli la mano col panno. Stephan prese un profondo respiro, chiuse gli occhi e andò avanti a fatica: “Una somma con cui posso permettermi una casa. Il lavoro non mi mancherà mai. Ci so fare nel mio campo”.
Irene cessò di colpo di occuparsi della mano e lo fissò, presa da un terribile presentimento. Oh, no, no, ti prego, no…Stephan le prese le mani, che lei tenne inerti nelle sue, la guardò dritto negli occhi col fare più dolce e appassionato che gli riusciva, e, goffamente, con impaccio, le sedette più vicino: “Quello che sto cercando di…di dirti” balbettò: “È che io…io…”
“Stephan, forse…” attaccò lei nervosa, ma il giovane le posò un dito sulle labbra, mettendola a tacere. La guardò teneramente: “Lasciami finire, per favore. Io…io credo di…di amarti, Irene” divenne paonazzo, e distolse subito gli occhi, il corpo tremante: “È da tempo che ti amo e ora che ho una posizione posso dirlo. Non sono un poco di buono. So che siamo molto giovani, so che di solito alla nostra età si pensa ad altro, ma io mi sento pronto…Irene…vuoi sposarmi?”
In quel momento un terribile grido di dolore e di rabbia demoniaca scosse Heather Ville fin nelle fondamenta, rimbombando come il ruggito di morte d’un demone dell’inferno. Irene impallidì e spalancò gli occhi atterrita, mentre Stephan, con un violento sobbalzo, balzò in piedi terrorizzato e ansioso: “Cos’è stato?! Cos’è stato?!” si guardò intorno freneticamente, alla ricerca della fonte di quel tremendo ululato, ma era tutto tranquillo, non c’era niente a parte loro nella stanza.
“Niente! Non è stato niente!” strepitò Irene cercando insistentemente di farlo risedere: “Cosa? Che dici? Io non sento niente!”
Stephan la fissò, pallido come un morto, e l’afferrò per le spalle: “Quell’urlo…non puoi non averlo udito…era…orribile…disumano”.
La fanciulla aveva gli occhi pieni di frenesia e di angoscia, ma non per gli stessi motivi del ragazzo: “Che urlo? Di cosa parli? Cattivo, vuoi farmi paura dicendomi di sentire degli urli! Io non sento niente! Mettiti seduto, mettiti seduto. Se ti dico che non c'è niente!”
Lentamente Stephan sembrò rassicurarsi. Con un ultimo sguardo teso alla stanza, sedette cautamente sul letto e riconcentrò l’attenzione su di lei. Le prese le piccole mani e le sentì tremare forte. Se le portò al petto, con la delicatezza che si riserva alle cose sacre, e sacre lo erano davvero, fragili e affusolate: “Allora? Mi…mi vuoi?”
Irene lo fissò disperata e piangente. Il suo volto era pieno di aspettativa, pieno di speranza ma anche di timore, timore che lei potesse distruggere i suoi sogni con un semplice no. Lei non voleva fargli del male. Come fare del male a qualcuno che ci ama? Che ci vuole sposare? Che ha fatto tanti sacrifici per noi? Non poteva ferirlo. Non voleva ferirlo. Un tempo tra loro c’era stato qualcosa di sincero e di puro. Ma R…il suo orribile sfogo di furia e di sofferenza demoniaca…aveva già ferito lui, involontariamente, costringendolo ad assistere a quella scena. Doveva provargli il suo amore, e invece aveva ascoltato la dichiarazione di un altro. Povero R!
Ora però aveva davanti un povero Stephan. Uno Stephan che non voleva perdere del tutto. Il suo animo era più complicato e capriccioso di quanto si fosse aspettata. Certo non poteva sposarlo, lei era innamorata del mistero di Heather Ville e del suo amico senza volto, ma non se la sentiva di demolirlo e cacciarlo in malo modo.
“Stephan” sussurrò infine: “Quello che hai detto…è molto bello. Ma ecco… io…ci devo…pensare”.
Il sorriso speranzoso del ragazzo si trasformò in un’espressione delusa e insicura: “Ci devi pensare?” le fece eco, come se con quella frase gli avesse praticamente detto no. Era pallidissimo. Intenerita, Irene gli carezzò una guancia liscia, ma ritrasse quasi subito la mano, quasi pentita di quel gesto gentile: “Sì…sono decisioni difficili, sai. Il matrimonio è un grosso impegno. Se tu potessi darmi del tempo per riflettere…”
Pregò che lui non insistesse. Voleva prendere tempo, tempo per escogitare il modo di allontanarlo senza farlo soffrire e senza rivelargli di R, tempo di scoprire quanto aveva visto di tutto ciò l’uomo senza volto. Per un attimo Stephan esitò, mordendosi il labbro. Poi però si arrese con un sospiro e si alzò in piedi: “D’accordo. Tornerò dopodomani”.
La sciagurata sospirò di sollievo e gli sorrise: “Grazie. Sei molto comprensivo”.
Lui le scostò malinconico una ciocca di capelli dalla fronte: “Non è comprensione. Ma tengo troppo a te per negarti qualsiasi cosa”.
Nuovamente Irene fu presa dal rimorso e non riuscì a sostenere il suo sguardo che la implorava di accettarlo come compagno.
 
Quella notte, alla luce incerta della lampada, Irene si stava spazzolando lentamente i lunghi capelli biondi, con aria assente, seduta sul letto. Ogni ciocca impiegava circa cinque minuti ad essere pettinata, la tratteneva a lungo tra le capocchie della spazzola e lentamente i ciuffi scivolavano via, liberi e setosi, e le ricadevano sulla schiena. Dopo essersi pettinata tutta, macchinalmente ricominciava daccapo, fino ad avere i capelli elettrici. Intanto pensava.
Stephan…dopo mesi di corteggiamento silenzioso, di timidezze, di silenzi, non solo si era dichiarato, ma le aveva persino chiesto di sposarlo. Doveva amarla davvero, e lei sapeva che era raro trovare qualcuno che la amasse così. Ma lei aveva R. Si era data a lui, non solo perché parlava meglio di Stephan ed era più erudito, ma soprattutto perché le prometteva mistero e avventura, le prometteva di fuggire dalla realtà. Però, allo stesso tempo, rifletteva che il modo di Stephan di conquistarla era stato assai più naturale e più sincero, che non l’aveva avvinta né con discorsi né con promesse, ma, con candore e ingenuità, le aveva preso le mani, le aveva sorriso e dichiarato i propri sentimenti.
“Chi era quel ragazzo?!” tuonò di colpo una voce orribilmente contratta dalla rabbia, che uscì come un ruggito, come un uragano dal buco nero nella parete, cogliendola del tutto di sorpresa. Con un breve strillo, lasciò cadere la spazzola e si girò pallida verso il cunicolo. R doveva essere davvero infuriato, se aveva parlato con la luce ancora accesa. Doveva essere lì, accovacciato nell’oscurità, tremante d’ira, che la fissava con gli occhi illuminati dal dolore e dalla tetra sorpresa. Irene ne ebbe paura, poiché sapeva quant’era potente, e di cosa era capace. Indietreggiò di alcuni passi, con entrambe le mani bianche premute sul petto ansante: “R…io…”
“Rispondimi!” ruggì l’orribile voce che aveva perso ogni gentilezza, e terrorizzava sempre di più la poveretta: “Chi era quel ragazzo?!” se non gli rispondeva, Dio solo sapeva cosa avrebbe fatto. Provò a parlare, ma allorché dischiuse le labbra, scoprì di non avere aria. Confusa e spaventata, si portò le mani alla gola, e riprovò, balbettando: “L-lui…lui è Stephan. Una m-mia conoscenza d-di città”.
“Maledetta vipera!” urlò R, scagliandole contro quell’ingiuria con un tono così ruggente, con un accento così bestiale, che gli occhi le si colmarono di lacrime: “Mi hai mentito! Tu mi hai tradito! Mi hai fatto credere d’amarmi, quando avevi già quel tuo bel giovane! Nessuno inganna R! Nessuno!”
“Perché pensi che ti abbia ingannato?” singhiozzò la poverina, accasciata inerte contro il muro opposto: “Io conoscevo Stephan prima di venire qui, lui mi corteggiava nel passato…”
“Sei una bugiarda!” ringhiò R furibondo: “Quest’oggi tu lo ascoltavi con piacere, e mi conoscevi già! Sapevi già che ti amavo! Che pazzo sono stato ad amarti, a pensare che tu fossi diversa! Avrei dovuto uccidere il ragazzo subito. Avrei dovuto…”
“No!” gemette Irene in preda ai singhiozzi: “R, ti sbagli, io ascoltavo Stephan, ma solo perché non volevo ferirlo…lui per me non è più nulla. Esisti solo tu. Non hai bisogno di temerlo come rivale”.
“Ah, dunque lo difendi?” dall’interno del cunicolo venne un movimento sinistro. Irene scosse la testa disperata: “No, voglio solo che tu non sia arrabbiato con me. Ti prego, non fare quella voce, mi spaventi…”
“Credi che mi preoccupi ancora che tu sia spaventata o meno da me? Quando hai quell’altro che ti vuole sposare? Non sarai mai sua! Forse staresti meglio in un letto di diverso genere da quello nuziale. Sei una ragazza stupida e superficiale dal viso grazioso!”
Quelle parole la colpirono al cuore come una stilettata. Vide crollare di colpo tutti i suoi sogni e si accasciò a terra come un fiore calpestato, dove giacque singhiozzando senza ritegno, con le ginocchia strette al petto sussultante: “Mi fai male, R. Mi fai male sapendomi innocente. Io e Stephan non ci siamo mai nemmeno baciati. Per me lui non è nulla. Lo giuro!”
“Tu per me incarnavi un ideale” disse lui, la voce carica di disprezzo: “Eri semplicemente divina. Una creatura bella e intelligente che sapeva guardare oltre le ombre. Non avevo capito d’essermi immaginato tutto. Sei come tutte le altre. Basta che arrivi un bambolino con una bella faccia e vi sdilinquite tutte. Non me ne faccio nulla di una ragazza come tante”.
“Non dire così, ti prego” sussurrò la poveretta, straziata: “Io sono diversa. Io vedo attraverso le ombre. Per Stephan non provo altro che disprezzo. Anzi, ora lo odio, perché ha creato tra noi questo dissidio. Lo trovo sciocco e ordinario. Tu, invece, sei fuori dal comune. Non esiste nessuno come te. Ti imploro, perdonami! Mio dolce amico senza volto…perdonami. Ho bisogno di te. Ti prometto che non penserò più a nessun’altro” strisciò verso il buco allungando una mano alla disperata. Stavolta da lui non giunse alcuna reazione, neanche un sospiro. Irene contorse il volto in una smorfia di dolore: “Non mi merito questo tuo trattamento, R. Non ho fatto nulla che potesse rivelare una qualche attrazione nei confronti di Stephan. La mia unica colpa è stata quella di non averlo rifiutato. Se mi ami, perdonami. L’amore è anche perdono. Non è solo possesso. Non è solo gelosia”.
Dal nascondiglio arrivò un lungo sospiro. Poi R parlò, con voce più calma, ma fredda e calcolatrice, priva di qualsiasi calore: “Se ciò che dici è vero, allora, quando quel ragazzo tornerà qui, gli dirai che lo odi e che lo disprezzi, e che non vuoi più vederlo, nemmeno per offrirgli la tua amicizia…perché hai acconsentito a diventare la mia sposa”.
Irene sussultò alla proposta inattesa: “La tua…sposa?”
“Non subito, ovviamente” specificò R: “Prima passeremo delle piacevolissime ore insieme, per stabilire meglio i termini del nostro rapporto. Poi, quando io sarò certo del tuo amore per me, e tu sarai certa che ti amo sopra ogni altra cosa, ci sposeremo e resteremo qui…per sempre”.
“Per sempre” pensò Irene con un brivido. Per sempre confinata tra le ombre di Heather Ville…per sempre al fianco del suo amato senza volto. Spinta dalla magia che l’aveva avvinta, lasciò che quella proposta la riempisse di desiderio e si disse che lo voleva, voleva essere la sua sposa, e che sarebbe stata disposta a tutto pur di farsi perdonare, anche a ferire al cuore Stephan: “Farò come dici” mormorò con tono assente.
“Brava ragazza” disse lui, stavolta con un accenno di gentilezza: “Vedo di essermi sbagliato a crederti superficiale. Oh, ma tu piangi! Poverina, ti ho fatto proprio male con le mie parole, non è vero? Sono davvero una bestia! Scusami, Irene. La gelosia mi aveva annebbiato la mente. Ora però sono calmo. Avevo persino pensato di farti del male…ma ora mi rendo conto di che razza di orribile pensiero fosse. Far del male a te! Dovevo essere completamente pazzo. Dirai al ragazzo quello che ti ho suggerito?”
“Sì” disse docilmente la ragazza inginocchiata a terra col capo chino e i capelli che le spiovevano in avanti. Tutto, era pronta a tutto. Era posseduta. R parve trionfante: “Bene. Benissimo. Sono contento. La situazione è di nuovo sotto controllo. Ti amo tanto, Irene. È così bello amare qualcuno! Soffrire per amore è il dolore più sublime che abbia mai provato…penso di doverti ringraziare per avermi fatto soffrire. Mi ha insegnato molto. Vuoi essere la mia sposa, vero?”
“Sì”.
“Perfetto. Tesoro, stai tremando! Presto, và a letto, copriti. Non voglio certo che tu prenda freddo. Qui devi trovarti sempre benissimo. Dormi, cara Irene. Quando verrà il ragazzo, saprai cosa fare. Scusami ancora, ero fuori di me. Ma ora sono tornato l’uomo che conosci. Non succederà più”.
Irene si infilò sotto le coperte, come lui le aveva suggerito. Avrebbe obbedito. Era R che amava. Era R che voleva accanto. Stephan…lui non era niente. Tutto sarebbe tornato a posto.

 
 




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