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Salve a tutti, come va?
Questa storia prende il via, oltre
che il suo personaggio principale, da una serie di storie che ho
scritto qualche tempo fà e a cui sono particolarmente
affezionata. Silevril, protagonista di questa storia è proprio
il figlio dei due protagonisti della mia serie precedente, ovvero
Alatariel ( parente di Feanor e invischiata in tutta la faccenda dei
Silmaril ) e Aeglos ( del polopo di Olwe di Alqualonde, a cui nè
Feanor nè i Silmaril hanno portato proprio quello che si dice
giovamento). Dopo svariate vicende, parecchio rancore, un numero
imprecisato di fughe e rincorse, nonchè due esili, i due sono
riusciti a capire come stare insieme conciliando il loro grande amore
con la voglia di sgozzarsi a vicenda, facendo pure un figlio che porta
lo stesso nome del Gioiello di Feanor.
Ecco, questa è la storia di
Silevril, con nuovi personaggi e pochi o nessun rimando particolare
alla serie "madre", quindi potete leggerla tutti, anche senza conoscere
il resto (nessuno vi vieta però di fare un salto sul Narn o Alatariel ar Aeglos ).
Spero di ritrovare vecchie
conoscenze e di farne di nuove, con l'invito sempre di dirmi tutto
ciò che non funziona e/o eventuali errori.
La Terra di Mezzo e i personaggi
tolkeniani non appartengono a me, scrivo senza scopo di lucro e bla bla
bla, mentre invece Silevril e gli altri sono interamente miei quindi se
volete usarli chiedetemelo e ne possiamo parlare con piacere. Buona
lettura!
Prologo: So close no matter how far [1]
Silevril sospirò pesantemente, guardando la porta di casa sua
come se fosse un Drago dei Tempi Remoti. Probabilmente, si disse, un
Drago sarebbe stato decisamente più facile da far ragionare
rispetto a sua madre.
Avevano avuto un'altra, violenta, lite quella mattina e ormai non ne
poteva più di lei, della sua arroganza e di quell'invisibile,
eppure inespugnabile, laccio che lei aveva legato al suo polso. Si
sentiva stanco di lottare ogni giorno con la donna che l'aveva messo al
mondo, stanco di quello scontro di volontà che nessuno dei due
riusciva mai a vincere, stanco di essere ancora in balia di lei e delle
sue lacrime e delle sue suppliche.
Prigioniero di quella casa da troppo tempo, come un bambino tenuto in
punizione per una marachella, solo che lui, ormai, non era più
un bambino da molti anni.
Alla fine si costrinse a girare la maniglia e ad aprire la porta, entrando accompagnato dai raggi del sole morente.
Alatariel era lì, seduta su una piccola sedia di legno e paglia,
le mani strette a pugno ed il volto rigato di lacrime. Non si mosse
quando lo sentì, ma Silevril riuscì a scorgere molto
chiaramente il suo sguardo indurirsi.
< Non avevi detto che non saresti mai più tornato? >
Eccola, la voce sprezzante e acida che aveva imparato ad associare al
dolore. Credeva di poterlo ingannare, ma si sbagliava: nessuno, nemmeno
il suo sposo Aeglos, la conosceva profondamente quanto lui, nessuno era
stato più legato a lei di quanto lo fosse stato lui. Aveva
memoria di essere stato nel suo grembo, ricordava i pensieri di lei
nella sua testa ancora prima di avere coscienza di sè, ne aveva
sentito la paura e il dolore per tutto il tempo e anche ora, pur non
essendo più connessi mentalmente ma due individui distinti, ne
percepiva sempre l'anima come nessun altro.
< Le mie intenzioni non sono mutate, madre, > le disse, < ma
io non sono te e non scompaio nel nulla, lasciando coloro che mi amano
nello sconforto e nel dubbio. >
La vide tremare e seppe che quella freccia, seppur lanciata a malincuore, aveva colto nel segno.
Aveva soppesato a lungo quel sentimento di rancore che provava verso di
lei, non avrebbe voluto arrivare a tanto, ma tutti quegli anni passati
senza di lei, senza sapere dove fosse, se sarebbe mai tornata erano
ancora impressi a fuoco nella sua memoria... era solo un bambino,
all'epoca, e tutto ciò che aveva desiderato era l'abbraccio di
sua madre.
Alatariel si voltò verso di lui, le sopracciglia aggrottate e gli occhi ridotti a due fessure.
< Non hai nessun diritto di dirmi questo, Silevril! >
sibilò quasi, furiosa < Non capisci e non capirai mai, non
sei come tuo padre. >
< No, > sospirò < ma non è vero che non capisco. >
Si sedette accanto a lei e la guardò dritta negli occhi.
< Nessuno ti ha mai capita quanto me, ma è per questo che devi lasciarmi andare. Lasciami andare. >
< Oh, Silevril > Alatariel trattenne un singhiozzo e si
tappò la bocca con una mano. < Ho trovato la pace solo grazie
a te, tu mi hai riportato alla vita e se vai via, in quale abisso
ricadrò? Tornerò ad essere quella di un tempo? >
< No, perchè non sono stato io a liberarti, non vi è
mai stata alcuna catena. Sei ciò che sei, Alatariel. >
L'elfa lo guardò intensamente, soppesando le sue parole alla
ricerca di un significato più profondo, nascosto sotto la
superficie, ma non ve n'era alcuno. Probabilmente, e Silevril ne era
quasi certo, Alatariel non avrebbe mai accettato il suo desiderio di
lasciare quella casa, troppo egoista per ammettere che suo figlio ne
aveva un disperato bisogno. Era sempre stata quella la sua maledizione,
sua e di coloro che la circondavano: lei amava di un amore possessivo
ed insano, un'esclusività morbosa che la portava ad odiare la
compagnia di chi tanto agognava... allora andava via, spariva per anni,
solo per poi ritornare come se niente fosse successo, con un sorriso ed
una lacrima.
< Ascolta, madre, > sispirò, cercando di affrontare
l'argomento con quanta più calma possibile, < non vado via
per colpa tua, o almeno non solo per colpa tua. Sai cosa vuol dire
desiderare qualcosa di più, desiderare di poter viaggiare e
impegnare la propria mente in qualcosa! >
< Lo so, > appariva sconfitta, quasi rattrappita, eppure il suo
sguardo era alto e fiero, lo trafiggeva in un modo che gli ricordava la
sua lontana infanzia, < e non voglio fermarti, non davvero.
Hai vissuto qui per trecento anni ed io... io non sono sempre stata con
te e so che non riesci a perdonarmelo, così come tuo padre.
Avete tutto il diritto di accusarmi e, credimi, io stessa mi accuso di
cose ben peggiori, ma sono fatta così ed Aeglos ha imparato a
conviverci. > Si bloccò e gli prese la mano, stringendogliela
talmente forte da fargli male.
< Ho paura, Silevril, > disse, < ho paura perchè prima
che arrivassi tu la mia vita stava scivolando pericolosamente in un
abisso di oblio e disperazione. >
< Non accadrà di nuovo. > Ne era assolutamente certo. Suo
padre aveva parlato a lungo della loro storia, in quei giorni desolati
in cui lei non c'era, aveva tentato di spiegare ciò che un
bambino non avrebbe mai potuto comprendere, ma adesso era diverso,
adesso sapeva e capiva ed era sicuro di una cosa: lo spirito infuocato
che animava sua madre era ancora potente, nonostante tutto, ed era
forgiato dello stesso fuoco che albergava anche detro di lui e non si
sarebbe mai enstinto.
< Come lo sai? > sbottò e lui sorrise.
< Non riesci a sentirti, madre? Sei forte e nulla ti
abbatterà. Hai Aeglos con te, vedrai che riuscirai a farlo
impazzire ancora a lungo. >
Allora rise; era cristallina ed allegra, la stessa risata che aveva
accompagnato i suoi giorni più felici e fu come un buon augurio.
< Pace fatta tra noi, mio adorato Silevril? >
< Pace fatta, madre > rispose, sporgendosi ad abbracciarla.
***
Aeglos era stato tentato di entrare non appena suo figlio aveva
varcato la porta di casa, ma si era trattenuto. Non era giusto
intromettersi, doveva lasciare che le cose si spiegassero tra loro due
soli, anche se probabilmente si sarebbero offesi e picchiati. Gli
veniva quasi da ridere a quel pensiero: sua moglie era l'essere
più testardo di Arda, questo lo sapeva bene, ma suo figlio, pur
nella sua calma controllata e in quella disinvolta spacconeria, non era
da meno.
Per questo si sorprese non poco quando lo vide uscire sorridendo
appena, chiudendosi la porta alle spalle e traendo un gran sospiro.
Non appena lo vide, Slevril gli andò incontro e si sedette al
suo fianco, con la chiena poggiato contro il largo tronco di pino che
cresceva d'avanti la loro casa.
< È stato più facile di quel che pensassi. >
< Davvero? Questa mattina ho sentito le vostre grida fin sul ponte del Giuramento e adesso mi dici che è tutto risolto? In un lampo? >
L'elfo più giovane sorrise di sbieco, chiudendo gli occhi e
inclinando la testa all'indietro per poggiarsi di più
all'albero. Aveva sempre un'espressione austera, come quella di
Alatariel, ma quando sorrideva Aeglos riusciva a rivedere se stesso
negli angoli della bocca che non si sollevavano mai abbastanza, pur
trasmettendo uno scintillio di sincera gioia agli occhi chiari.
Non l'aveva mai confessato a nessuno, ma era grato ai Valar che suo
figlio non avesse gli occhi scuri e impenetrabili di sua madre, occhi
inquietanti e freddi; Silevril gli somigliava intensamente nell'aspetto
e nel carattere più di quanto non si rendesse conto egli
stesso... no, non avrebbe mai smesso di ringraziare i Valar e il grande
Iluvatar per quello.
< Non riesci mai a capire come prenderla, ada. > Lo spiegò
come se fosse un dato di fatto. < Bisogna lusingarla, dirle che
è forte e meravigliosa e che tutto si risolverà per il
meglio. >
< Credimi, Sil, ho passato mille e mille anni lusingando tua madre,
ma non è servito a molto. La verità che tu sei l'unico
che riesce a farla cedere e a sapere cosa dire. A volte, mi sembra di
rivedere Finarfin, anche lui era l'unico a riuscire a farla ragionare.
>
Risero insieme. Era una cosa a cui Aeglos si era abituato e a cui
sarebbe stata dura rinunciare: suo figlio gli aveva regalato la pace,
una felicità troppo profonda che mai avrebbe potuto immaginare,
aveva riportato Alatariel da lui, aveva quietato il suo tormento e
allontanato i fantasmi di un passato che entrambi erano stati incapaci
di lasciarsi alle spalle prima del suo arrivo.
Avrebbe sentito così tanto la sua mancanza!
Il pensiero di non vederlo ogni giorno, di non prendere il mare con lui
la mattina per poi tornare al tramonto o di non sentirlo più
cantare d'avanti al fuoco le sere d'inverno, era doloroso.
Lo guardò e strinse le labbra.
< Non temere, padre, > Silevril si era accorto del suo turbamento
e aveva smesso di sorridere < non è un addio! >
< No? >
Le parole erano amare, ma era arrivato il momento di pronunciarle
perchè sapeva, anche se Silevril non aveva detto nulla, che il
mare era il vero motivo per cui lasciava quella casa... lo sapeva
perchè aveva visto la chiamata nel mare nei suoi occhi e l'aveva
riconosciuta... lo sapeva perchè il mare chiamava anche lui ad
un viaggio che non avrebbe mai potuto compiere ma che Silevril poteva e
doveva affrontare presto.
Dovette leggergli quei pensieri chiari come in un libro perchè lo fissò negli occhi, serio.
< Non lascerò la Terra di Mezzo, adar, senza essere tornato
da voi prima. Lo giuro. Non me ne andrò senza aver detto addio a
te e ad Alatariel. >
***
L'alba faceva capolino attraverso
la tenda sottile e bianca che copriva la vetrata affacciata sul mare.
Il Golfo di Dol Amroth si stendeva placido e appariva quasi incendiato
dai raggi rossi del sole.
Silevril stava davanti alla porta e teneva per le briglie un bel
cavallo grigio, alto e slanciato, figlio di quello che sua madre gli
aveva portato da Rohan molti anni addietro. I suoi genitori erano in
piedi di fronte a lui e si tenevano per mano; Alatariel sembrava quasi
aggrappata al braccio di suo marito, ma non piangeva e i suoi occhi
erano duri e freddi come sempre, nonostante un lieve sorriso le
increspasse le labbra.
< I miei pensieri saranno rivolti costantemente a te, mio amato Silevril, > disse.
Non riuscì a fare a meno di posarle un bacio sulla guancia: lei
appariva così fragile, un cristallo pronto ad infrangersi, ma
sapeva che non era così.
Aeglos stava al fianco della donna che amava e i suoi occhi erano lucidi, eppure sorrideva anche lui.
< Aa’ menle nauva calen ar’ ta hwesta e’ ale’quenle, ion nin,[2] > sussurrò, < namaarie. >
< Namaarie. >
Salì a cavallo e lo spronò al galoppo.
Fu felice che nè Alatariel nè Aeglos lo avessero visto piangere.
Note:
[1]primo verso della meravigliosa "Nothing else matters" dei Metallica
[2]possano le tue strade essere verdi e possa il vento accompagnarti, figlio mio
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