La ragazza bionda lo
guardava con le
lacrime agli occhi e in quello sguardo offuscato dalle lacrime,
l'Osservatore lesse la verità: quello era un addio.
- Andrà tutto
bene, signor
Giles. - disse Buffy cercando di apparire allegra. - Ora devo andare,
ma tornerò domattina. -
Giles annuì
debolmente, cercando
di rispondere al sorriso di Buffy, ma dentro di sè sapeva che
non l'avrebbe più rivista: lei sarebbe tornata, ma lui non ci
sarebbe più stato.
Stava morendo.
La ragazza uscì
in fretta dalla
stanza e Giles capì che era scappata per evitare di scoppiare
a piangere davanti lui. Non era mai stata brava a nascondere le
emozioni.
L'Osservatore
restò solo nella
stanza di ospedale in penombra, il silenzio spezzato solo dal ronzio
dei macchinari che tentavano di prolungargli la vita.
Era inutile, se ne
rendeva conto con
una dolorosa consapevolezza, quella volta non sarebbe sopravvissuto.
Non provava dolore, la
medicina moderna
gli risparmiava quella sofferenza, ma la sua mente, l'unica cosa che
probabilmente ancora funzionava in quel corpo martoriato, gli diceva
che con quelle ferite non avrebbe potuto resistere a lungo.
Non era stata colpa di
Buffy, lo
sapeva, ma sapeva anche che lei non si sarebbe perdonata di non
essere riuscito a salvarlo. Willow e Xander non si rendevano conto
della gravità della situazione, erano convinti che si sarebbe
ripreso anche questa volta, ma Buffy aveva capito. Per questo era
fuggita, per questo non riusciva a guardarlo negli occhi.
Giles avrebbe voluto
dirle che non
importava, che lui non la biasimava per non essere riuscita a
uccidere il demone che l'aveva massacrato, ma non poteva. Per Buffy
sarebbe stato peggio se avesse saputo che lui era consapevole della
sua morte imminente, lei avrebbe voluto credere che si era spento
serenamente.
Si sforzò di
tenere gli occhi
aperti e di resistere al torpore che lo stava invadendo: non voleva
dormire, si rifiutava di perdere in quel modo il poco tempo che gli
restava, voleva essere ancora lucido quando la fine sarebbe arrivata.
Chiuse gli occhi per
un attimo, cedendo
a un'ondata di debolezza, e quando li riaprì si stupì
di vedere una figura sulla porta. La luce del corridoio alle spalle
della persona sulla soglia gli rendeva impossibile capire di chi si
trattasse, ma Giles era certo che non fosse Buffy o uno dei suoi
amici.
L'Osservatore
cercò di
sollevarsi leggermente sul cuscino, inutilmente, il suo corpo non gli
rispondeva e Giles si chiese se dipendesse dai farmaci o dalle
lesioni. Forse era meglio non saperlo, si disse.
La luce rossa della
brace di una
sigaretta accesa gli tolse ogni dubbio sull'identità di quel
visitatore.
- Spike. -
Sussurrò, e lo sforzo
di pronunciare quella singola parola sembrò esaurire le sue
energie.
Il vampiro si
avvicinò al letto
e guardò l'Osservatore per qualche secondo.
- E così ti sei
fatto fregare,
Rupert. - Commentò fermandosi a osservare il monitor che
mostrava i segni vitali di Giles. - Mi hai deluso, non credevo che ti
saresti fatto ammazzare in un modo tanto stupido. Sei sopravvissuto a
quante? Tre? Quattro? Apocalissi e ti fai massacrare da un comune
demone? Davvero, Rupert, da te mi aspettavo di più. -
Giles gli rivolse uno
sguardo irritato.
Cosa voleva da lui il vampiro? Non gli bastava averlo infastidito ed
esasperato per anni? Ora doveva venire a tormentarlo anche sul letto
di morte?
Avrebbe voluto avere
le forze per
rispondergli a tono e mandarlo al diavolo, ma tutto quello che poteva
fare era guardarlo e sperare che lo lasciasse in pace, che tornasse
da dove era venuto.
No.
Non era vero.
Spike lo irritava
oltremisura, ma Giles
non voleva che se ne andasse, non voleva restare solo.
Aveva paura, anche se
detestava
ammetterlo. Il pensiero che entro poche ore sarebbe morto lo
terrorizzava.
Se Spike se ne fosse
andato, lui
sarebbe rimasto solo con i suoi pensieri, pensieri molto poco
piacevoli.
Spike gettò la
sigaretta a terra
e la spense col piede, poi si chinò sul letto, guardando Giles
negli occhi.
- Oh, ma guarda! -
Disse il vampiro
ironicamente. - Il grande Osservatore non è più tanto
sicuro di sè. Hai fifa, Rupert, non è vero? Eppure non
ti sei arreso, non c'è rassegnazione nei tuoi occhi. Tu non
vuoi morire. -
Giles si lasciò
sfuggire un
verso a metà tra un gemito e un singhiozzo e Spike gli prese
una mano, sorprendendosi lui stesso di quel gesto.
Il vampiro
osservò il
polso dell'uomo, la pelle coperta da una grossa medicazione e
lentamente aprì le bende, come se stesse lacerando la carta di
un regalo. La ferita era profonda, come le altre del resto, e, una
volta liberata dalla pressione della fasciatura, riprese a sanguinare
lentamente.
Spike premette le
labbra su
di essa, assaporando il sangue dell'uomo, bevendolo avidamente, senza
però distogliere lo sguardo dal viso di Giles.
L'Osservatore lo stava
guardando con un'espressione che era a metà tra l'inorridito e
l'affascinato, come se non riuscisse a capire come potesse essere
possibile quello che stava accadendo.
Spike sollevò
il viso
dalla ferita, bloccando l'emorragia con la stretta della mano, e gli
sorrise con le labbra sporche di sangue.
- Scometto che ti stai
chiedendo come sia possibile. Non ti sto facendo del male, Rupert,
sto solo bevendo il sangue che perdi dalle ferite, il chip non
reagisce in questo caso. Oh, non fare quella faccia, tanto a te non
servirà più. -
Il vampiro
tornò a bere il
sangue di Giles, ma si fermò nuovamente dopo un po'
accorgendosi che l'uomo stava tremando.
- Non voglio
ucciderti, Rupert. - Gli
disse in un sussurro, quasi con dolcezza. - No, tutto il contrario
direi. - Aggiunse, lacerandosi un polso e tendendolo verso il viso di
Giles.
L'Osservatore lo
guardò in
silenzio e il vampiro vide il dubbio e l'incertezza che si facevano
strada nei suoi occhi.
- Se non vuoi, non ti
forzerò
Rupert, è una promessa. Ma se non vuoi morire, e so che non
sei pronto a farlo, bevi il mio sangue. -
Si guardarono di nuovo
e Spike annuì,
rispondendo alla domanda che leggeva nello sguardo dell'Osservatore.
- E' vero. Cambierai.
Quando diventi un
vampiro perdi la tua anima, ma qualcosa di te rimane sempre: i tuoi
ricordi, la tua mente, potresti cambiare meno di quello che credi,
infine. Molti si lasciano accecare dalla sete di sangue, dalla
ferocia della nuova natura e diventano come bestie, ma non per tutti
è così. Alla fine non è tanto male essere un
vampiro. Se temi per l'incolumità dei tuoi amici, non
preoccuparti, ti impedirò io di far loro del male e se proprio
ci tieni, conosco un posto dove dicono che si possa riavere l'anima,
è da qualche parte in Africa. -
Giles chiuse gli
occhi, l'agitazione
che provava evidenziata dal pulsare veloce del suo battito cardiaco
sul monitor accanto al letto.
Quello era il momento
in cui doveva
prendere una decisione, il momento che aveva temuto di dover
affrontare per tutta la vita. Fino al giorno prima non avrebbe avuto
dubbi sulla sua scelta, ma ora era tutto diverso: la morte era una
cosa reale e vicina, troppo vicina, e solo adesso si rendeva conto
che tutta la sua preparazione come Osservatore non contava nulla.
Davanti a quel mistero era come tutti gli altri: solo e terrorizzato.
Spike gli stava
offrendo una
possibilità, una via di fuga. Sarebbe stato da codardi
accettare, si disse, sarebbe stato un tradimento nei confronti di
tutto quello in cui aveva sempre creduto, un affronto alle persone
che amava e a quelle che non era riuscito a salvare dai vampiri.
Giles lo sapeva, ne
era perfettamente
consapevole, eppure dischiuse le labbra ad accettare il sangue del
vampiro.
Bevve a lungo, il
silenzio spezzato
solo dal suo respiro affannoso e dal pulsare ritmico del monitor, poi
Spike ritrasse la mano.
- Così è
sufficiente.
Rupert, vuoi che ti faccia riavere l'anima anche se come vampiro non
la desidererai più? Vuoi che ti costringa a riaverla? -
Giles annuì.
- Va bene. Fra poco
morirai, Rupert. Ma
domani notte sarai un vampiro. Non avere paura, non credo che
soffrirai. -
Spike rimise a posto
la fasciatura sul
polso dell'uomo e lo vide chiudere gli occhi e addormentarsi
serenamente. Attese in silenzio, nascosto nell'ombra, ascoltando il
battito cardiaco di Giles che rallentava fino a fermarsi del tutto.
Il vampiro spense il
monitor e uscì
dalla stanza, accendendosi un'altra sigaretta.
Spike sbadigliò
annoiato,
iniziando a chiedersi se per caso avesse sbagliato qualcosa, quando
sentì un rumore provenire dal basso.
Saltò
giù dalla lapide
dove era seduto e protese una mano a stringere quella che era
spuntata dalla terra. Tirò con forza, aiutando l'altro vampiro
a uscire dalla tomba e gli rivolse un ghigno divertito.
- Ce ne hai messo di
tempo. Cominciavo
a pensare che fossi schiattato sul serio. -
Giles si guardò
intorno,
dapprima un po' disorientato, poi sul suo voltò si
allargò
un sorriso.
- Avevi ragione. Non
è male. -
- Non si può
dire che tu sia
vivo, ma almeno non sei morto. Allora cosa vuoi fare ora? -
- Avevi parlato
dell'Africa se non
sbaglio. -
Spike lo
guardò, quasi
incredulo.
- La rivuoi davvero? -
- A dire il vero no,
ma ricordo quello
che ho pensato quando ho deciso di diventare un vampiro: l'ho fatto
per non morire e mi hai promesso che mi avresti ridato l'anima. Sono
cambiato ora, ma mi fido di quello che ero. Voglio tornare ad essere
Rupert Giles, poi potrò decidere cosa fare. Non voglio che le
mie decisioni siano influenzate dalla mia nuova natura. -
Spike annuì.
- E Africa sia. -
Concesse.
Forse una volta
lì avrebbe
cercato di riavere l'anima anche lui, un po' gli mancava l'amore che
era capace di provare quando era William, ma ancora non era certo di
quello che voleva.
Si strinse nelle
spalle. Non importava,
aveva tutto il tempo del mondo per decidere. |