Sequel
M
i s a r à s u f f i c i e n t e c h e
i n u n a n g o l o d e l m i o
m o n d o c i s i a t u
Capitolo I
- Gin, sai per caso che succede di sopra? -.
Ginevra Weasley si voltò verso Harry Potter con un'espressione
più che chiara: non aveva idea di cosa stesse succedendo al
piano superiore. Si limitò a guardarlo, senza dargli alcuna
risposta.
- Perché non sali e controlli? -.
- Rischierei di beccarmi in faccia il pezzo di una sedia -.
- Magari ha qualche problema. Vai a vedere -. Sbuffando e con una certa
esitazione, Ginny si diresse verso le scale, salendo piano piano quel
tot di gradini che l'avrebbero portata dinanzi la porta della stanza
della sua migliore amica.
Una volta arrivata a destinazione potè sentire il baccano che si sentiva di sotto doppiamente amplificato.
Bussò, sicura che non avrebbe ricevuto alcuna risposta.
Bussò una seconda volta, più forte rispetto a prima.
- Chi è? -. Le arrivò una voce ovattata dall'interno, alla quale si affrettò a rispondere.
- Herm, sono io. Ginny. Posso entrare? -.
Tre, due, uno... la porta davanti a lei si spalancò e, da quella
che non sembrava più affatto una stanza,
uscì Hermione Granger, studentessa modello, la strega
più brillante della sua età e Caposcuola di Grifondoro,
socchiudendosi la porta alle spalle.
- Che stai combinando là dentro, Hermione? Sembra che ci sia la Seconda Guerra magica, in camera tua! -.
- Pulizie -.
Ginny la guardò tra l'incredula e il divertita. - Pulizie? -.
- Esatto -. Hermione aveva i capelli arruffati, le guance arrossate, i
primi bottoni della camicia sbottonati, la cravatta allentata ed era a
piedi scalzi.
Si portò le mani ai fianchi e spostò il peso su un piede,
guardandola incuriosita. - E pulisci con la divisa addosso? -.
- Sì, perché? C'è qualche problema? -.
Ginny la guardò dall'alto verso il basso. -No, mi sembra strano
che tu faccia pulizie il due di marzo, alle cinque e mezzo del
pomeriggio, invece che studiare -.
- Oh, domani non vado a lezione. Per questo non studio -. Lo disse con
una tale tranquillità che sembrava non ci fosse nulla di strano
in quella frase.
- E non vai nemmeno a lezione! Herm, che ti succede? - le poggiò una mano sulla fronte - hai, per caso, l'influenza? -.
Hermione si scrollò dalla testa la mano della sua migliore amica
e la guardò come se tutto andasse splendidamente, come se non ci
fosse alcun problema. - No, Gin. Sto benissimo, puoi stare tranquilla -. Le sorrise.
- Allora perché ti comporti in modo così strano? -.
- Come mi sto comportando? -.
- Dici di stare facendo pulizie, ma ci credo poco, non studi e domani ti salti volontariamente le lezioni! Dimmi tu sei non è un comportamento strano! -.
- No, non è un comportamento strano -.
- Lo è per Hermione Granger -.
- Ho una cosa da fare, domani. E' di massima urgenza, non può aspettare -.
Sii convincente, pensò.
Ginny la guardò di sottecchi. - Farò finta di crederti solo se mi dici cosa stai facendo lì dentro -.
- Te l'ho detto. Pulizie -.
Sii convincente.
***
"Non sai mentire, mia piccola Mezzosangue".
"Questo lo dici tu, Furetto".
"Oh, no. Lo dicono in molti, invece".
"Ah, sì? E chi lo dice?"
"Io, ed è quanto dire".
***
- Facciamo così, quando vorrai dirmelo me lo dirai -.
Vedendo che non dermodeva, e sapendo che non l'avrebbe fatto, quella
era l'unica cosa che le restava da dire.
- Okay -. Restarono qualche secondo a fissarsi, senza dire niente. Poi
Ginny si girò e scese le scale, mentre lei tornò in
camera per smontarla una terza volta.
- Cosa ti ha detto? -.
Si sedette a terra, appoggiando la schiena alle gambe di Harry. - Dice che sta facendo pulizie -.
- Ma ci sono gli elfi per quello! -.
Infatti.
- Faglielo capire -.
Non riusciva a trovarla.
Non riusciva a trovarla da nessuna parte.
Non poteva essere sparita nel nulla.
Non poteva averla persa...
Aveva cercato ovunque senza nessun risultato ed era decisamente disperata.
... La sua foto.
Si fermò un secondo a pensare, stremata da tutto quello spostare, alzare, risistemare e spostare di nuovo.
Non si capacitava del fatto di averla persa, anche perché non
era uscita da lì dentro, da quella stanza. Era sempre stata appesa a quel muro,
non l'aveva mai staccata da quella parete, nemmeno per stringersela al
petto, per guardarla più da vicino, per sfiorare quel viso che
le sorrideva.
Non aveva mai fatto una cosa del genere, anche se più volte ci aveva pensato, e adesso era sparita.
L'incantesimo di Appello era servito a ben poco, all'interno di quelle quattro mura. Era
ovvio che lì non c'era, altrimenti sarebbe stata tra le sue mani
già da un bel pezzo, ormai.
***
"Sei sempre così disordinata,
Granger!". La guardava divertito dal suo letto sul quale sedeva a gambe
incrociate e con il suo immancabile ghigno stampato in volto.
"Io non sono disordinata, Malfoy. Concepisco sempliemente l'ordine in una maniera diversa da come la concepisci tu".
"Sì, ma io non perdo mai niente".
"Perché?", tirò la testa fuori dall'armadio, "ti sembra che abbia perso qualcosa?".
"Direi di sì. Una maglietta che stai cercando disperatamente da più di mezz'ora".
"Hai detto bene, la sto cercando, ma questo non vuol dire che io l'abbia persa".
"Oh, quindi tu la staresti cercando da più di mezz'ora in questo ammasso di indumenti che hai garbatamente steso
per terra?". Vederla, adesso, buttata sul pavimento che rovistava tra
maglie e pantaloni, volati fuori dal mobile che stava ispezionando
qualche secondo prima, era molto più divertente che vederla
praticamente dentro l'armadio.
"Sorvolo sull'ironia della frase, comunque sì. E' proprio quello che sto facendo".
"Essere ordinati richiede..."
"Guai a te se lo dici, altrimenti giuro che ti crucio seduta stante, Malfoy".
"Perché? Cosa stavo per dire?".
"Che, cito, «essere ordinati richiede ordine mentale»".
"Hai fatto, a mia insaputa, pratica con la Legilimanzia?". Era decisamente stupito.
"No, Malfoy. Conosco soltanto a memoria le tue illuminanti citazioni filosofiche".
"Hai una penna prendi-appunti, ammettilo".
Fece un suono con la bocca in segno di diniego. "Ritenta".
"Ripeto: hai preso lezioni di Legilimanzia".
Sbuffò, esasperata. "Ho soltanto una buona memoria, Malfoy. Cosa che tu, evidentemente, non hai".
Stettero qualche minuto in silenzio. Lui continuava ad osservarla, lei a rovistare tra le sue cose.
"Diciamo che siamo pari".
"Nel senso?".
Ridacchiò. "Io non sono ordinata e tu non hai memoria", poi
alzò gli occhi verso di lui e rispose a quel sorriso
meraviglioso che lui le rivolgeva.
***
Adesso avrebbe volontariamente ucciso qualcuno pur di vedere di nuovo quel sorriso... tutto per lei, come una volta.
Le mancava averlo vicino a sé, sentire il suo respiro sul suo
viso, la sua bocca sulla sua, le sue mani su di lei. Le mancava la
protezione che provava quando l'abbracciava, i brividi che le
scorrevano lungo la schiena quando le sussurrava qualcosa all'orecchio.
Anche le sue battute le mancavano, quell'intimità che avevano
raggiunto. Le mancava tutto di lui. Poterlo osservare senza
preoccuparsi di apparire inopportuna nel caso in cui l'avesse scoperta,
poter scherzare con lui, sfiorargli la mano quando si trovavano in una
stanza piena di gente sicura che nessuno, in quella confusione, si
sarebbe accorto di un gesto così semplice ma estremamente
insolito, in quanto si trattava di Hermione Granger e Draco Malfoy.
E adesso era tutto finito. Era svanita quell'intimità, adesso
doveva stare attenta a non farsi scoprire quando lo guardava più
del necessario, non poteva più sfiorarlo tra la gente, non
poteva abbracciarlo e si sentiva persa senza le sue braccia che
l'avvolgevano.
Si sentiva vuota.
E in quel momento si sentiva una povera pazza che girovagava per
i corridoi in cerca di qualcosa che era sicura non potesse essere
lì dove la stava cercando, su quei pavimenti calpestati ogni giorno
da centinaia di studenti, ma che, per stupidità forse, o per
semplice ingenuità magari, si ritrovava a percorrere sull'orlo
della disperazione, setacciando ogni angolo, ogni fessura di quelle
pareti.
E ogni angolo svoltato era una nuova delusione.
Ti giuro che questa volta sono stata ordinata, pensò.
- Accio foto -. Niente.
Prevedibile.
Quello che trovò fu solamente tanta polvere e boccette varie che non destavano il suo interesse, al momento.
Dove sei? Dove sei? Dove sei?
Aprì decine di
porte, dentro alcune trovò anche qualche professore e dovette
scusarsi inventando qualcosa al momento.
Scese di qualche piano ed entrò dentro altre aule.
Poi ne aprì una, una che non era utilizzata da tempo, e raggelò sul posto quando vide chi vi era all'interno.
Era per terra, seduto a gambe incrociate, su un tappeto vecchio e
impolverato posto al centro della grande stanza. Il camino alle sue
spalle era acceso e le tende, leggermente strappate in basso, erano
completamente tirate non facendo penetrare nessun raggio del bel sole
che splendeva al di là di quelle finestre. Quei pochi banchi che
si trovavano ancora lì dentro erano addossati disordinatamente
alle pareti e su uno di quelli era poggiata la sua borsa, affiancata
dalla sua bacchetta. Davanti a lui solo un semplice libro, grande,
dalla copertina in cuoio, con le pagine gialle e consunte.
Il suo preferito, l'unico che sarebbe riuscito a leggere in una notte soltanto.
Malfoy.
Il calore della stanza la travolse completamente nell'istante in cui
spalancò violentemente quella porta e il naso, freddo e rosso
per il freddo dei corridoi, provò immediatamente sollievo per
quel magnifico calore.
Non aveva sussultato quando era entrata nella stanza sbattendo la porta
contro la parete e adesso la guardava impassibile, con il volto
sollevato verso di lei, qualche ciuffo che gli ricadeva sugli occhi,
una mano ancora poggiata sulla pagina dalla quale aveva alzato lo
sguardo per posarlo sul suo viso.
La bocca le divenne secca, la vista le si appannò, sentiva il
suo cuore battere all'impazzata, le mani le divennero più fredde
di quanto già non fossero, cominciò a sudare e le gambe
iniziaro a tremarle.
Che devo fare?
- Granger -. Un sussurro, la sua voce.
Non aveva la forza di rispondere, ma non aveva nemmeno la forza di schiodarsi da lì e andarsene.
Nel frattempo lui si alzò e cominciò lentamente ad avvicinarsi.
Lei entrò nel panico.
La sua mano si trovava ancora attorno alla maniglia della porta e aveva
cominciato a stringerla talmente tanto forte che le nocche le divennero
bianche.
Era l'unica cosa alla quale poteva aggrapparsi in quel momento e ne
aveva bisogno, perché senza quel misero appoggio sarebbe
caduta per terra, in ginocchio, davanti a lui, e non le sembrava per
niente il caso.
- Ti serviva qualcosa? -. Era a qualche passo di distanza da lei. Le
sembrava fatto più alto. O forse era solo un'impressione?
- Granger - fece altri due passi verso di lei - ti senti bene? -. Era... preoccupato?
- No... cioè, sì... non... -
- Sei pallida, dovresti andare in Infermeria -. No, non era
un'impressione. Era fatto più alto, e sì, si stava
preoccupando per lei.
- No, sto bene. Ora... Adesso devo andare -. Riuscì a uscire da
quello stato d'immobilità e a mollare quella maniglia sulla
quale era rimasta la sua impronta e che Malfoy si ritrovò ad
osservare finché non svanì del tutto.
Come i ricordi fantasma di qualcosa che adesso non c'era più.
Gli diede le spalle e prese a camminare velocemente per sfuggire al suo
sguardo, che aveva agognato di avere di nuovo su di lei per tanto,
troppo tempo. E adesso fuggiva. Fuggiva da lui, da quegli occhi di
ghiaccio, scrutatori.
Poteva cogliere l'occasione, chiedergli come stava e come aveva passato
quell'ultimo mese. Avrebbe potuto intavolare una conversazione
innocente, senza secondi fini. Così, solo per parlargli, per
sentirlo di nuovo parlare, parlare con lei. E invece era scappata.
Qualcuno avrebbe potuto definirla stupidità.
Lei preferiva chiamarlo istinto di autoconservazione, ma era servito a ben poco scappare.
Così come svoltò l'angolo le lacrime che attendevano di
uscire dai suoi occhi erano ormai libere e le laceravano il viso,
perforandolo, sfigurandolo così come avrebbe fatto dell'acido a
contatto con la sua pelle.
Tirò un pugno alla parete dietro di lei e non poteva fare cosa
più sbagliata. Quella non era il suo letto, che picchiava ogni
qualvolta sentiva il bisogno di sfogarsi contro qualcosa, ma della dura
pietra che adesso le aveva distrutto le nocche.
Si lasciò cadere lungo quello stesso muro, con la mano che
pulsava e qualche graffio insanguinato, e appoggiò la testa alle
ginocchia che aveva tirato su.
Adesso doveva realmente andare in Infermeria.
Doveva fare più attenzione a dove andava, a quali porte apriva.
Non aveva pensato che quello era il loro piano, che quella era la stanza,
la loro stanza. E non aveva fatto caso che lui era proprio lì
dentro, quando sarebbe potuto andare in qualsiasi altra aula, sino a quel momento.
***
-
Fai l'amore con me -. Tra un gemito e l'altro riuscì a dire
quelle poche parole.
Tra un bacio e l'altro riuscì a pronunciare
quel piccolo pensiero.
Tra le tante scosse di piacere
riuscì ad articolare una frase di senso compiuto, senza
tentennamenti, con voce sicura.
Quattro parole, un significato, una preghiera nascosta.
Il ragazzo riemerse dal collo di Hermione, gli occhi annebbiati dalla lussuria, dal desiderio.
I capelli gli ricadevano sugli occhi e questi tardarono a fissarsi in quelli della Grifonforo.
Nelle iridi della ragazza si celava una richiesta che sperava venisse accettata, ci sperava davvero tanto.
Piccoli, leggeri baci le posò sulle guance. Una scia di fuoco le
tracciò fino all'orecchio. - Tu... vuoi? -. Con voce rauca,
incredula, le chiese se veramente lo volesse. - Sei sicura? -. Hermione si ritrovò ad annuire.
- Qui? -.
Annuì un'altra volta.
Bastò uno sguardo e, dopo quella concessione, iniziarono una
danza dettata solo dal piacere, dal bisogno di completarsi a vicenda,
che andava a ritmo dei loro baci e dei loro ansiti, per poi concludersi
con un amplesso che non lasciò spazio alle parole.
Solo a un profondo scrutarsi e a delle frasi silenziose.
***
- Fai di nuovo l'amore con me -.
E lui la sentì.
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