The Album, o Citazioni di PattyOnTheRollercoaster (/viewuser.php?uid=63689)
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The
Album
o
Citazioni
Capitolo
uno
Ring Ring
o Inizia da un funerale
Il mio nome
è Michel Holbrook Penniman Jr. Sembra un nome molto
importante da portare sulle spalle, e le mie spalle, sebbene credo
siano abbastanza forti, non hanno molta voglia di essere sempre
così pesanti. Per questo motivo ho scelto un altro nome, un
nome meno complicato, uno che tutti possano ricordare per quanto
è corto. Un nome semplice, simpatico, colorato: Mika.
Nonostante questo non si possono comandare certe
vecchie abitudini, soprattutto se della propria madre, e lei, come
tutta la mia famiglia e i conoscenti più stretti, mi
chiamano ancora Michel. E tutti lo sanno, che ancora vengo chiamato
Michael dalla mamma, soprattutto quando si mette a strillare:
«Michael!»
Dio,
no, non sono neanche le sette di mattina.
«Michael!»
Alzo la testa e getto un’occhiata alla
sveglia. Be’, in realtà sono le dieci passate.
«Michael!»
Mugugno. Perché? Perché non
posso dormire fin quando voglio? In fondo sono già un uomo
bello che fatto, ho quasi trent’anni. Ah, le madri non
smettono mai di essere madri, anche se il loro pargolo è un
cinquantenne brizzolato. Ma comunque, cos’è tutta
‘sta fretta? Sono tornato a casa da appena un giorno dopo il
tour negli Stati Uniti, ed è già tanto che io non
sia andato a riposarmi a casa mia e invece sia passato a salutare i
miei. Adesso mi ricordo del perché non ci vengo mai quando
sono stanco. Per di più il mio appartamento non è
neanche così lontano da casa loro, insomma perché
cavolo ci sono venuto?!
«Michael!»
Mi tiro su e quasi cado dal letto. «Che
c’è?», strillo contrariato.
«Al telefono, è per
te!»
Sbuffo e riaffondo nelle coperte. Mi chiama per
quisquilie del genere? «Non possono richiamare?!»
La testa di mia madre sbuca in quella che era la
mia vecchia stanza. «Dovresti rispondere, è
importante.»
E va bene. Maledetti, svegliare una persona
all’alba delle dieci… Mi alzo e ciabatto fino alla
porta, dove mamma mi porge il cordless. «Pronto?»
Una voce di donna mi avvisa di qualcosa che non mi sarei mai
aspettato. «Buongiorno, qui è il Royal College of
Music, parlo con Michel Holbrook Penniman Jr?»
«Sì, sono io.»
«Volevamo informarla che uno dei suoi
professori, Walter Pagnin, è venuto a mancare la settimana
scorsa. Stiamo contattando molti dei suoi ex studenti perché
partecipino al funerale. Lei è disponibile signor
Penniman?»
La notizia mi colpisce come uno schiaffo. Non mi
aspettavo nulla del genere quando ho detto quel sonnolento
“Pronto?”. A saperlo prima, mi sarei dato un
contegno. Mi ricordo il professor Pagnin, insegnava solfeggio ed era
uno dei miei professori preferiti. Era un uomo alto e grosso, indossava
sempre giacca e cravatta e aveva quel modo di parlare che ti faceva
sentire subito a tuo agio.
«Signore?»
«Sì, sì ci sono.
Al funerale, intendo. Ci sono.»
«Può darmi il suo attuale
indirizzo per spedirle l’invito?»
Il funerale di Walter Pagnin si terrà
fra una settimana. Non sono del tutto sicuro di volerci andare;
immagino che tutti quanti saranno addolorati e tristi mentre io, per
quanto il professor Pagnin sia stato uno dei miei preferiti, non riesco
a sentire più di un dispiacere blando, controllato. Ho un
po’ paura di sentirmi fuori posto. Nonostante questo il
funerale è arrivato, e tutto è andato bene fino a
cerimonia ultimata.
Le panche della chiesa sono tutte piene fino a
metà, dove gli invitati iniziavano a farsi più
radi. A fine cerimonia parlo con qualche persona che ho riconosciuto,
qualche vecchio compagno di scuola, poi mi dirigo, sollevato eppure in
qualche modo un po’ meno allegro, all’uscita della
chiesa. Seduta sull’ultima panca c’è una
ragazza minuta che ha indosso una felpa leggera e il cappuccio calato
sulla testa. Non ci avrei mai fatto caso a lei se quella,
all’improvviso, non si fosse alzata precipitosamente per
uscire e non mi fosse finita addosso.
«Oh scusami, non guardavo dove
andavo», fa lei chinandosi a raccogliere il cellulare e una
piccola agenda che le erano caduti.
«Niente, non importa.» Tento
di raccogliere il tutto prima di lei, ma non ci riesco, però
quando entrambi siamo in piedi posso vederla in viso.
È molto più bassa di me, ha i capelli
di un biondo cupo, lunghi fino alle spalle, gli occhi verdi e labbra
grandi. Sembra stanca, ma io la riconosco lo stesso.
«Andrea?»
Lei alza gli occhi fumosi, occhiaie profonde le
solcano il viso. «Chi sei?»
Ho un attimo di smarrimento. O ho sbagliato
persona, oppure la mia faccia non rimane proprio impressa alla gente.
Eppure io e Andrea siamo stati compagni per quasi due anni prima che
lasciassi la Royal per incidere “Life in Cartoon
Motion”. «Sono Michael, non ti ricordi? Michael
Penniman.»
Andrea apre la bocca stupefatta, in una smorfia di
comprensione, e quella sua bocca carnosa disegna una
‘o’ perfetta. «Ma sì scusami.
Scusa, non ti avevo neanche guardato bene, ero distratta.»
Usciamo dalla chiesa insieme e cominciamo a
camminare l’uno affianco all’altro, verso il centro
della città, anche se non sappiamo bene dove stiamo andando;
non ci facciamo caso.
Ricordo bene Andrea, era una ragazza timida che se
ne stava sempre sulle sue. Era piuttosto cicciottella quando andavamo a
scuola, anche se all’ultimo anno aveva cominciato a perdere
peso. Ci siamo parlati spesso ma non avevamo un’amicizia
molto profonda, anche perché appena ho lasciato il college
ci siamo persi di vista. Assieme ci trovavamo bene, tutto qui.
«Quindi hanno chiamato anche te per il
funerale di Pagnin?»
«Sì, anche se veramente
l’avevo letto prima su un necrologio per strada. In
realtà non so neanche perché sono venuta, forse
solo perché sono nostalgica.»
«Ti offro un caffè, ti
va?» Mi fermo in mezzo al marciapiede e la guardo sorridendo,
incoraggiante. In fondo, forse anche io sono nostalgico, una parte di
me spera di poter ricordare con Andrea molte delle cose successe a
scuola.
«Sì,
d’accordo.»
Entriamo nel primo bar che troviamo, ci sediamo ad un
tavolino rotondo e ordiniamo due caffè e una fetta di torta
per me. Mi sistemo sulla sedia e mi rivolgo ad Andrea, puntellandomi
sui gomiti con un sorriso che mi va da parte a parte sulla faccia. Non
si direbbe che sono appena uscito da un funerale. «Allora?
Che mi racconti?»
Alza un sopracciglio e si stringe nelle spalle.
«Veramente, niente di interessante. Tu, piuttosto, ho sentito
che hai fatto un altro album. Com'è che si chiama?»
«The
Origin of Love, l’ho rilasciato l'anno
scorso.»
«Hai fatto un sacco di cose da quando te ne sei
andato dalla Royal, eh?» Per la prima volta
l’accenno di un sorriso compare sul volto di Andrea. Tiene il
cappuccio anche dentro il locale, ma leva la felpa poco dopo
perché comincia a fare caldo, siamo a metà
Maggio. In realtà il tempo qui a Londra è
orribile, come una ragazza con la sindrome premestruale: un giorno
è tutta amorevole, il giorno dopo una piantagrane.
«Sì è vero, ma
tutte queste cose le puoi trovare su internet.
Piuttosto…»
«Hai girato molti paesi?» Non
faccio neanche in tempo a chiederle che fa lei che mi interrompe.
«Sì, sono andato in un sacco di posti,
sia per i tour che per incidere i pezzi. Ma ad essere sincero non ho
mai tanto tempo per guardarmi intorno come si deve.»
«Oh Dio, dev’essere bello lo
stesso però. Mi piacerebbe tanto andare in
America.»
«Ci sono stato fino a una settimana fa,
ero in tour. Adesso mi fermo per un po’,
ricomincerò a fine Agosto.»
Gli occhi di Andrea scattano alla porta, alle mie spalle, e
lei si agita nervosa sulla sedia. «Mi dispiace che Pagnin sia
morto, era uno dei miei insegnanti preferiti», dice
all’improvviso. «Però, be’,
era vecchio. Di cosa è morto?»
«Gli è venuto un ictus, molto
forte. Il direttore della Royal mi ha detto che è rimasto
paralizzato per sei settimane prima di…», lascio
la frase in sospeso. Non è bello neanche da dire.
«Ah, ti prego parliamo di cose più
allegre!»
Andrea sorride e finisce il suo caffè.
«Hai ragione. Senti, perché non mi dai il tuo
numero? Io sono libera praticamente tutti i giorni fino alle dieci di
sera, e la mattina dormo almeno fino a mezzogiorno. Credo che sia
meglio che ti chiami io, se hai voglia.»
«Lavori di notte?»
«Sì, in un locale.»
Non dice altro, e io non indago. Le scrivo il mio
numero su un foglietto di carta e glielo lascio. Non appena Andrea me
lo strappa dalle mani si alza e scompare dal bar quasi di corsa,
salutandomi velocemente. Un uomo di mezza età si volta
mentre lei passa e fa un fischio che mi fa sbuffare di impazienza.
Cristo, che vecchio maiale! Spero di non diventare così.
Sono passati tre giorni da quando ho incontrato
Andrea al funerale. Non mi ha sconvolto la vita, intendiamoci, ma se ci
ripenso non posso fare a meno di ricordarmi quanto fosse strana in quel
momento. Mi ricordavo di lei come una cosetta bionda che sedeva sempre
dietro a qualcun altro, che parlava a voce bassa, e indossava abiti
troppo larghi anche per lei, come se volesse nascondervisi dentro.
Aveva delle amiche con cui passava la maggior parte del tempo e suo
padre la portava a scuola e andava a riprenderla ogni giorno in
macchina. Tutta questa timidezza non si addice a qualcuno che vuole
sfondare nel mondo assolutamente competitivo della musica, eppure
quando cantava capivi come mai era stata ammessa alla Royal Academy of
Music: la sua voce è qualcosa di spettacolare, sono convinto
che ce l’abbia ancora tutta in fondo alla gola, anche se
Andrea non ha accennato a nessuna carriera di cantante o simili. Mi
sembrava incredibile che una voce così potente potesse
uscire da una persona schiva come quella. Ammetto di essere curioso di
sentirla di nuovo cantare. Mi piaceva ascoltare gli altri compagni che
cantavano, e attendevo ogni volta l’esibizione di Andrea con
una certa impazienza. Non mi aveva mai deluso.
Eppure c’è un problema: lei
non chiama.
Non pensavo
che Andrea mi sarebbe mai mancata, non era mai stata parte
della mia vita in maniera tanto importante. Se ci penso,
però, in questi pochi giorni dopo il nostro incontro, mi
dispiace che non mi richiami. Probabilmente è una di quelle
persone che parlano tanto di amicizia ma alla fine non mantengono i
contatti. Insomma, tanto fumo e niente arrosto.
Rimango molto stupito quindi, una settimana dopo
circa, quando mi squilla il telefono alle quattro del pomeriggio.
Ring,
ring.
«Pronto?»
«Pronto Michael? Sono Andrea.»
Rimango zitto qualche istante perché
un’immagine stupida su internet ha catturato la mia
attenzione. Devo smetterla di guardare il pc quando sto al telefono!
«Pronto?»
«Eccomi. Ciao, come va?»
«Tutto bene grazie, e tu?»
Alzo le spalle, anche se lei non può
vedermi. «Al solito. Non sto facendo niente, sono
praticamente in vacanza.»
«Beato te. Senti, pensavo che magari ti andava di
fare un giro un giorno di questi. Io sono libera tutti i pomeriggi.
Pensavo che magari potevamo andare… che ne so, al cinema, o
a fare solo un giro in centro.»
«Sì, perché no? Anche
domani, se ti va.» Sorrido, incapace di trattenermi.
Perché mai, poi? Se mi fa stare così bene dovrei
organizzare un incontro di classe.
Oh, che ottima idea!
Ordunque... l'idea della fanfiction è piuttosto semplice,
sono io che non so spiegarla. In pratica ho fatto un capitolo per ogni
canzone dei primi due album, e in ogni capitolo ci sarà una
citazione dalla canzone (magari non proprio alla lettera,
però mi ci avvicinerò il più
possibile). Se mi è possibile farò anche
c'entrare il tema del capitolo con il tema della canzone, ma non vi
assicuro nulla!
Per cui preparatevi alla bellezza di venticinque capitoli (la
fanfiction più lunga che io abbia mai scritto, credo!) in
cui il nostro Mika ne passerà di tutti i colori: ci saranno
flashback del suo passato, gite al mare, cappelli a forma di pollo e
ovviamente l'intera famiglia Penniman, che non può mancare.
Se volete uno spoiler sul prossimo capitolo/canzone/citazione vi
segnalo il mio blog, e più precisamente se cliccate qui
avrete un piccolo anticipo sul capitolo di Domenica prossima.
Spero di avervi incuriosite! ^^
A Domenica prossima,
Patrizia
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