Il silenzio nel campanile

di La Mutaforma
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Quelle ballerine di bronzo danzavano sulla sua testa, il loro canto gli riempiva la mente, quelle stesse note che lo avevano reso sordo ad ogni altro rumore. Le sue stanche orecchie avrebbero potuto udire solo i battiti pulsanti delle campane, mentre lui le faceva agitare in quelle loro splendide danze che riportava le genti sulla strada di Dio, dal peccato li faceva riemergere dall’abisso, e tornavano a Notre Dame.

I pochi rintocchi echeggiarono tra le mura del campanile solitario, mentre le note stanche e lapidarie accompagnavano il misterioso campanaro verso il parapetto. Pochi arcigni volti di pietra erano rivolti insieme a lui verso il crepuscolo, verso le strade che non avrebbe mai potuto toccare.

E guardò. Guardò l’orizzonte come un naufrago guarda il mare, come un esule ricorda con dolore la propria casa. Come se avesse perso qualcosa di sé tra le pietre e le strade, nelle case e negli occhi degli sconosciuti che non avrebbe mai potuto guardare con coraggio e rispetto.

Nascosto all’ombra del Signore -o meglio dire, della Signora- dove era stato predestinato da Dio stesso, avrebbe potuto consumare ancora i suoi giorni a suonare e a sognare.

E quella greve allitterazione suonò così amara tra le sue labbra che il cadente suono delle campane gli sembrò quasi melodioso.

 

Adieu. Per te, Esmeralda, suonerò tutte le volte che sarà necessario. E ritornerai da me, come la colomba sbattuta dal vento, quando avrai più bisogno di rifugio, e i tuoi piedi nudi danzeranno ancora sulle onde argentee della Senna.

 

Ormai tornava il silenzio nel campanile, e nessuno avrebbe più danzato per Quasimodo. Nessuno avrebbe mai cantato per Quasimodo, il sordo.

Nessuno avrebbe mai parlato con Quasimodo, il muto.

Nessuno avrebbe mai guardato Quasimodo, il prigioniero.

Sospirò, e il suo orrendo sospiro risuonò nel freddo e bronzeo silenzio delle sue campane.

 





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