Occursi
Occursi
Perciò, io ti farò
come ho detto, o Israele;
e poiché io farò questo contro di te,
preparati, o Israele, a incontrare il tuo Dio!
Poiché, eccolo Colui che forma i monti e crea
il vento,
e fa conoscere all’uomo qual è il suo
pensiero;
Colui che muta l’aurora in tenebre,
e cammina sugli alti luoghi della terra;
il suo nome è Geova,
l’Iddio degli eserciti.
Amos
4:12-13
Will
scosse tristemente la testa vedendo la figura di Jason che si sbatteva la porta
alle spalle – Devi perdonarlo. Jason sa essere un gran cafone quando vuole, ma non
è cattivo. – cercò di farle sorriso, ma Louisa notò solo una smorfia triste.
Lei,
invece, aveva l’adrenalina che vorticava velocemente nelle arterie, dandole un
forte senso di irrequietezza. Se la gamba non le avesse fatto troppo male,
avrebbe inseguito Jason per tirargli un calcio sugli stinchi, sfogandosi e
urlando fino a non avere più fiato nel polmoni – Sarà come dici, ma mi sembra
un gran maleducato comunque. – il tono era acido, come se avesse mangiato un
limone intero.
Se
non fosse stata talmente tanto arrabbiata, avrebbe potuto cercare di capire il punto di vista di Jason e la
tristezza di Will. Se una perfetta sconosciuta fosse apparsa dal nulla, avesse
innescato una trappola mortale e poi avesse insistito per trovare l’anello del
proprio padre defunto, anche lei avrebbe reagito come Jason.
Pensando
all’anello la rabbia che provava per le parole ironiche di Jason, lasciò il
posto a un profondo senso di disperazione. Yang Fen era morto e forse ciò che cercava era
perduto per sempre; scacciò dalla mente quel pensiero, Louisa non poteva
permettersi di perdere la speranza, non con tutte quelle vite in ballo. Doveva
continuare a cercare, almeno finché ne aveva le forze – Senti, – disse a Will,
cercando di controllare il tono della propria voce e sperò che non risultasse
acida come prima – Dovrei tornare alla casa di Fen.. –
Sul
volto del ragazzo si dipinse un sorriso dolce, e Louisa sentì le guance farsi
calde, notando la piccola scheggiatura sull’incisivo di Will, che lo rendeva meno perfetto, ma ai suoi occhi più
carino – Non sei una che molla al primo no, eh? – estrasse una piccola torcia
dalla tasca della camicia e gliela puntò agli occhi, accecandola per un paio di
secondi – Riflessi pupillari normali. – poi, inaspettatamente, le diete un
pizzicotto alla base del collo.
-
ahi! – strillò Louisa più per sorpresa, che per vero dolore e scansò
istintivamente il busto – Ma che fai? –
-
Riflessi nocicettori in ordine, – disse scrutandola sottecchi finendo di
esaminarla, il suo sorriso si allargo e Louisa divenne sempre più torva sotto
quello sguardo – Quindi devo dedurre che sei solo masochista. –
Louisa
sbuffò e incrociò le braccia al petto, sottraendosi agli occhi grigi di Will –
Oggi mi sono beccata della pazza e della masochista, bell’affare.. –
Will
ridacchiò, prendendo la mano della ragazza e premendo leggermente sul polso con
due dita – Scusa per la masochista. Mi è scappato, ma dovevo controllare che tu
non avessi una commozione cerebrale. Jason mi ha detto che hai preso una bella
botta in testa. –
-
Sei un medico? – domandò rilassandosi leggermente sul lettino, capendo
finalmente il perché del pizzicotto a tradimento – No, – rispose scuotendo
la testa - Solo uno studente, ma mio padre è il medico
del villaggio e mi ha insegnato un po’ di cosette. Posso? – prese uno strumento
che teneva vicino al lettino e glielo mostrò aprendo la custodia.
Louisa
riconobbe un fonendoscopio; lo aveva visto usare spesso durante le visite
mediche all’Istituto, ma non si era mai lasciata visitare da uno sconosciuto.
Nonostante
Will non le sembrasse un tipo pericoloso ebbe improvvisamente paura di lui - Che
devi fare? – chiese sulla difensiva, spostandosi di un paio di centimetri verso
il muro, ignorando le proteste della gamba ferita.
-
Nulla di che. Controllare la pressione, poi cuore e polmoni. Voglio escludere
qualsiasi possibile problema. –
-
E non potevi farlo mentre ero senza sensi? – ogni minuto che passava Louisa
sentiva il sospetto crescere nei confronti di Will. Tanta gentilezza non era
normale in una persona che non l’aveva mai vista prima.
-
L’ho fatto, non appena Jason ti ha portata qui, ferita e coperta di sangue, ma
voglio fare un controllo per sicurezza. A dir la verità avrebbe dovuto
visitarti mio padre, ma era fuori per un emergenza. Ho dovuto fare qualcosa io
e spero che non ti dispiaccia. Ti vedo visibilmente tesa. –
Louisa
arrossì leggermente – No! Cioè si, in genere i dottori sono tutti.. –
-
Cinquantenni canuti, pieni di rughe con lo sguardo di chi ne ha viste troppe e
la puzza sotto il naso? – chiese ironicamente Will, mettendosi il fonendoscopio
attorno al collo.
-
All’incirca; ma non fraintendere, non che mi dispiaccia che tu mi abbia
aiutata. Voglio dire: tu non sei ne canuto, ne cinquantenne, sei..- fece una
pausa con la bocca improvvisamente secca - Sei giovane e gentile.. – il calore
si diffuse dalle guance al collo, mentre desiderava sprofondare nel pavimento
per la piega che stava prendendo il discorso.
-
Ma non ti fidi di me. – concluse Will prendendo l’apparecchio per la pressione
e tirandole su la manica fino alla spalla. Louisa aprì la bocca per replicare e
cercare di spiegarsi, ma il ragazzo la fermò portandosi un dito alle labbra –
Aspetta. – sillabò, mentre gonfiava il bracciale attorno al braccio.
Dopo
un paio di secondi Louisa sentì il braccio formicolare, per poi percepire le
potenti pulsazioni del suo sangue che portavano l’ossigeno e i nutrimenti in tutti
i distretti del suo corpo quando il ragazzo inizio a sgonfiare lentamente il
palloncino del bracciale- Hai la pressione un po’ altina, – decretò Will – Ma
credo di averti messo a disagio io. – strappò il velcro del bracciale e glielo
tolse, risistemandole gentilmente la camicia - Vuoi una tazza di tè e facciamo quattro
chiacchere? –
Louisa
soppesò l’offerta per alcuni secondi guardando gli occhi grigi e sinceri del
ragazzo – Va bene – disse cercando di mettersi seduta sul lettino. I muscoli
della gamba ferita si tesero improvvisamente e uno spasmo di dolore la
attraverso violentemente, facendole perdere la presa, già precaria, che aveva sui gomiti. Will la
afferrò dietro la schiena e la spinse indietro sul lettino, controllandole di
nuovo il polso – Sei diventata terribilmente pallida. Vuoi un antidolorifico? –
il battito del cuore di Louisa impazzì, era vicinissima al viso di Will che la
guardava con crescente preoccupazione.
Lo
spinse via, chiudendo gli occhi e cercando di calmare il proprio cuore. Aveva
passato anni a sopprimere quel tipo
di istinti, si era addestrata apposta per non farsi distrarre e non sarebbe
stato un medico, o meglio uno studente medico
di campagna a farle cambiare idea – Sei
molto gentile grazie, ma preferirei di no. Se sto ferma riesco a ignorare il
dolore, ma ora come ora, vorrei veramente la tazza di tè che mi avevi proposto
poco fa.. – si bloccò, quando Will si morse il labbro.
-
Vedi, per farti il tè dovrei andare in cucina, ma non posso lasciarti da sola.
Non ora che ti sei sentita male. –
-
È stato solo un momento. È passato, non c’è bisogno che ti preoccupi così
tanto; e poi, non per essere scortese, ma non so nulla di te, per quello che
conosco dietro questa tua gentilezza potrebbe nascondersi un maniaco o peggio. - la mente di Louisa volò
irrimediabilmente ai suoi mortali nemici, i Grigori, ma si calmò pensando che
se Will fosse stato uno di loro, la avrebbe
uccisa non appena avesse visto l’anello al collo.
Will
inclinò leggermente la testa di lato e Louisa si sentì trafiggere il petto da
quegli occhi grigi – Immagino, – disse il ragazzo freddamente – Di non essermi
guadagnato la tua fiducia accogliendoti in casa mia, curandoti e tenendoti al caldo,
quando la logica mi diceva che tu avevi
appena messo in pericolo il mio migliore amico. Amico, che per inciso, mi ha
implorato di salvarti. –
Louisa
non riuscì a sostenere oltre lo sguardo glaciale di Will, sapeva di essere
stata meschina e scortese nel dire che Will poteva essere un maniaco o
insinuando che fosse un Grigorio.
Nessuno
l’aveva costretto a curarla, e nessuno l’aveva costretto ad essere gentile con
lei – Mi dispiace, – disse. La voce le uscì in un sussurro roco e la gola era
secca e in fiamme – So di essere stata cattiva, non volevo dire quelle cose. Mi
sono scappate, – una mano calda di Will si infilò sotto il suo mento e la
costrinse a guardarlo di nuovo. I suoi occhi erano più gentili e il sorriso era
tornato sul suo volto – Non volevo le tue scuse. Immagino che per insistere
così tanto per trovare l’anello di Fen, tu abbia un motivo importate, ma se
tratti tutti con sufficienza e freddezza non arriverai mai da nessuna parte. –
la lasciò andare e la testa di Louisa si mosse meccanicamente verso il muro
contro cui era appoggiato il lettino. Lo vedeva appannato e liquido per le
lacrime che iniziavano a sfuggirle.
Will
era riuscito a farla sentire in colpa e Louisa sapeva da molto tempo che a
volte feriva le persone usando le parole sbagliate; lo faceva in maniera del
tutto inconsapevole, e dovevano farglielo notare per capire dove e come
sbagliava; e ora, tramite i gesti e le parole di Will, si rendeva conto di
averlo ferito – Will, senti, – represse un singhiozzo isterico e cercò di
dominare la voce, incredibilmente acuta – Non volevo offenderti, tu sei stato
incredibilmente gentile a prenderti cura di me, e lo è stato anche Jason a
salvarmi la vita, ma, – fece una pausa per asciugarsi il naso - Devo veramente
cercare l’anello di Fen, o almeno avere qualche prova del fatto che non sia qui.
È troppo importante per me. È importante per tutti. – la mano di Will coprì la
sua, costringendola ad allentare la presa spasmodica che aveva sulla camicia –
Guardami. – le disse dolcemente – Per favore, guardami. – Louisa si passò il
dorso della mano sugli occhi, cercando di fermare le lacrime che non smettevano
di scendere. Ancora con gli occhi le bruciavano si voltò a studiare il volto
sereno di Will e ritrasse istintivamente la mano sotto quello sguardo. Sentiva qualcosa
all’imboccatura dello stomaco, forse era quello che le altre ragazze definivano
“farfalle”, ma lei l’avrebbe definita come una sensazione di profonda
conoscenza e malinconia. Come se
rivedesse qualcuno dopo tanto tempo, ma non riusciva a ricordarne i tratti e a
collegare i momenti in cui si erano conosciuti – Louisa, è così importante
trovare quell’anello? – chiese asciugandole una guancia – Così tanto da non
poter aspettare di guarire? –
Louisa
gli prese la mano e la posò delicatamente sul lettino, il sangue si accumulò
sotto la pelle dove lui l’aveva sfiorata – Si, non posso aspettare. Anche se
dovessi strisciare, devo andare a cercare informazioni. –
Will
proruppe in uno sbuffo e gli spuntò un mezzo sorriso agli angoli della bocca –
Non ci posso fare nulla allora. Ho qualcosa che dovrebbe aiutarti ad aumentare
la soglia del dolore, ma ti stordirà un po’. Se vuoi provare, posso farti
un’iniezione, ma non so quando durerà l’effetto terapeutico –
Il
battito del cuore di Louisa perse un colpo per la sorpresa. Quel ragazzo stava
facendo i salti mortali e si stava esponendo a un gran rischio per aiutarla – Sei
sicuro di essere solo uno studente? Voglio dire: non hai una laurea, non farai
danni? –
-
Certo che posso fare danni, sono un essere umano. Come dice il proverbio:
errare è umano..-
-
Ma perdonare è divino – concluse Louisa con un sorriso, ricordando il proverbio
che sentiva spesso all’Istituto.
-
Stavo per dire: ma perseverare è diabolico, veramente. – il sorriso di Will si
allargò di un paio di molari, rendendo Louisa irrequieta. Quel sorriso era
importante, lo sapeva e doveva ricordarselo - Louisa, io voglio davvero
aiutarti e per farlo devo metterti in piedi. Non sono che al terzo anno di
medicina, ma credimi se ti dico che so quello che faccio. A volte mio padre
dice che ho un dono; voglio crederci e lo voglio usare ora, per aiutare te, se
tu vuoi fidarti di me. -
Louisa
mosse leggermente la gamba ferita e avvertì una forte fitta di dolore e la
testa prese girarle, mentre la vista si appannava e il volto di Will scompariva
per diversi secondi, sostituito da diverse luci che le si accesero davanti agli
occhi. Le orecchie le fischiavano, escludendo la domanda di Will e sentì il
contenuto dello stomaco risalirle il petto, incendiandolo con il suo retrogusto
acido.
La
mano di Will si posò su una guancia, mentre lei recuperava rapidamente l’uso
della vista e dell’udito – Che è successo Louisa? Sei pallida e sudorante, ti
sei sentita male ancora? –
Louisa
non rispose, lo stomaco era ancora contratto e rischiava di vomitare addosso a
Will se avesse osato aprire bocca in quel momento – Vuoi provare a fidarti di
me? E vedere se il medicinale fa effetto? – Louisa tentò di annuire, ma la
nausea le provocò un'altra ondata di vertigini e ricadde stancamente sui
cuscini. Si passò una mano sulla fronte, bagnata di sudore, per quel piccolo
sforzo che aveva appena fatto.
Da
sola, senza l’aiuto di Will, non sarebbe mai riuscita a raggiungere la casa di
Fen e non avrebbe potuto mandare avanti la sua ricerca – Will, – disse con voce
incerta e strascicata – Mi daresti quel farmaco? E anche dell’acqua? – vide
Will annuire, passandole un lembo del lenzuolo sulla quale era stesa sulla
fronte – Mi allontano qualche secondo, non cadere nel frattempo. – Will le dava
spalle aprendo e chiudendo i cassetti dei mobili e Louisa fu presa da un fiotto
di rabbia improvvisa.
Non
era colpa sua se stava così male, o meglio era colpa sua che non aveva dato
retta a Jason, ma se quel ragazzo l’avesse avvertita delle trappole, lei non
sarebbe finita in quel lettino, in un ambulatorio nelle Highlands con la gamba
talmente malconcia da non poterla muovere.
Quando
Will riapparve accanto a lei, con un bicchiere d’acqua in mano e una siringa
nell’altra, la mente di Louisa aveva deciso che la colpa di quella situazione
era tutta da attribuire a Jason e al suo modo di fare irritante e strafottente.
-
Ti do una mano a tirarti su? – Louisa scosse lentamente la testa e provò a
puntarsi sui gomiti, cercando di non muovere la gamba. Quel piccolo gesto le
bastò a mozzarle il fiato e sarebbe ricaduta all’indietro se Will non l’avesse
sostenuta, mettendole prontamente una mano dietro la schiena – Non è normale
che tu stia così male. – il ragazzo si morse il labbro, visibilmente
preoccupato e aiutò Louisa a tornare stesa – Speravo che riuscissi a stare
seduta qualche secondo senza aiuto, ma è meglio se tiro su la testiera. – le
dirò su lo schienale, permettendole di stare semistesa e di non pesare troppo sulla
gamba malconcia – Va meglio così? – domandò passandole il bicchiere d’acqua,
che Louisa bevve avidamente con bocca secca e la lingua in fiamme – Grazie –
disse con un sospiro soddisfatto, – Va molto meglio. Grazie. – guardò la siringa
che Will teneva in mano – Che ci devi fare con quella? – il sangue le defluì
dal viso. L’ago era incredibilmente acuminato e l’idea che potesse bucarle la
pelle le faceva rizzare i peli lungo le braccia. Ritrasse il braccio, mentre
Will le posava una mano sulla spalla – Louisa, guardami. Non ti faccio nulla se
non vuoi, puoi ancora decidere di non farlo e riposarti qui finché non ti
sentirai meglio. –
-
Quel farmaco aumenta sul serio la soglia del dolore? Riuscirò a muovermi? –
chiese, tenendo sempre sott’occhio la siringa.
-
Non dico che correrai la maratona, avrai comunque bisogno d’aiuto per
camminare. La tua era una ferita abbastanza profonda..-
-
Fammela! – lo interruppe lei – Io detesto gli aghi, quindi fammela, prima che
cambi idea. – chiuse gli occhi, cercando di cancellare dalla mente l’idea che
quel ragazzo appena conosciuto stesse per pungerla.
Odiava
gli aghi più di ogni altra cosa al mondo, era più forte di lei, come ne vedeva
uno iniziava a sudare freddo e desiderava fuggire il più in fretta possibile.
-
Come ti chiami? – chiese Will ad un tratto. Louisa spalancò gli occhi – Come,
come mi chiamo? Louisa, no? – Will ridacchiò, mentre si infilava i guanti e
metteva del disinfettante scuro su una garza.
Will
le tirò su una manica della camicia, appena sotto la spalle – So che ti chiami
Louisa, quello che intendo dire è che non ci siamo presentati. Io sono William
Caimbeul, prima che mi muori di paura, volevo almeno fare una presentazione
decente. –
Louisa
sentì il fresco del disinfettante sulla pelle – Credevo che a voi scozzesi non
importasse nulla delle presentazioni. – rispose non riuscendo a distogliere lo
sguardo dal proprio braccio e da William, che la teneva dolcemente con la mano
inguantata, tendendole delicatamente la pelle.
Con
la mano libera Will la prese sotto il mento e la costrinse a guardarlo,
distraendola dalla tensione che saliva dentro di lei e che le irrigidiva i
muscoli – Chi ti ha detto questo? –
-
Non me lo ha detto, me lo ha fatto capire. – gli occhi corsero a fissare con
astio la porta dell’ambulatorio chiusa.
-
ah, Jason! – disse capendo a chi si riferiva Louisa - Non è una cima in fatto di educazione,
soprattutto con gli estranei. Quando eravamo piccoli e ancora non ci
conoscevamo mi ha tirato una mela in testa. Peccato che fosse una mela del
nostro frutteto. – Louisa tornò a guardarlo con un mezzo sorriso. Non riusciva
a immaginarsi qualcuno tirare una mela addosso a un ragazzo così gentile e
premuroso – E tu che hai fatto? – chiese incuriosita.
-
Gli ho rotto un braccio – disse Will sorridendo al ricordo – Non l’ho fatto
apposta, è scivolato ed è caduto dall’albero su cui si era arrampicato quando
l’ho inseguito. Fatto! – disse soddisfatto.
Louisa
sentì premere il braccio e vide che Will le teneva la garza contro la pelle – Che
hai fatto? – chiese, domandandosi se per caso lui le avesse già fatto
l’iniezione senza che lei sentisse nulla.
-
Ti ho punto, che domande! Comunque non mi hai risposto, mi dici il tuo nome e
ci presentiamo in maniera decente? – prese una piccola scatola gialla e rossa
vivo e ci buttò dentro ago, siringa e guanti, mentre aspettava che Louisa si
decidesse a rispondere.
Louisa
sospirò, Will la spiazzava terribilmente. Raramente vedeva ragazzi che non
fossero membri dell’Istituto, e le era stato esplicitamente proibito parlarci
se non per chiedere indicazioni stradali – Louisa Van Der Meer. – disse infine
– William, grazie per avermi aiutata e tutto il resto. –
Come
il farmaco iniziò a fare effetto, Louisa si sentì un po’ stanca e sudata, ma
muovendo la gamba, non le arrivavano più fitte lancinanti, ma solo un
sensazione sorda e pulsante che non riusciva a identificare correttamente – Come
hai fatto? – chiese ruotando leggermente il piede per saggiare la sua nuova
resistenza. Will le fu accanto e ne osservò incuriosito i movimenti – Non ne ho
la più pallida idea. Era un bolo intramuscolo; il rilascio e
l’assorbimento dovevano essere
ritardati, così avevi più tempo per muoverti. – si spostò ai piedi del lettino
e osservò la gamba con aria clinica – Fermami se ti faccio male. – spinse il
piede di Louisa, poi ruotò il collo del piede, cercando di far lavorare tutti i
muscoli della gamba. La ragazza sentì poco più di un fastidio, come se le
prudesse qualcosa sotto la pelle, all’altezza della ferita – Prova a far forza
Louisa, spingi. –
-
Spingere cosa? –
-
La gamba, fai forza, spingi contro le mie mani, ma se senti dolore fermati
all’istante. – Louisa obbedì e iniziò a spingere con forza la gamba, ma non sentì
dolore, anzi, si sentiva sempre meglio e provò a spingere più forte,
costringendo Will a contrastarla seriamente.
Louisa
smise di spingere improvvisamente e le guance si infiammarono, rendendosi conto
che stava ammirando le curve dei bicipiti di Will messi in risalto dallo sforzo
fisico.
Ritrasse
il piede di scattò e fissò il muro, sperava ardentemente che Will non avesse
notato il suo disagio, ma da quel che aveva capito di Will, aveva diversi dubbi
– Ti sei fatta male? – chiese il ragazzo.
-
No, – disse senza guardarlo – Anzi, sto molto bene, non sento più nulla alla
gamba, come se non mi fossi mai fatta niente. –
Will
le rivolse uno sguardo dubbioso, mordicchiandosi il labbro inferiore prima di
porgerle la mano – Ti va di provare a scendere e fare qualche passo? - Louisa annuì vistosamente e accettò la mano
che le Will le tendeva. Saltò, quasi letteralmente, giù dal lettino; come mise
i piedi per terra constatò, con sorpresa, che la gamba non le faceva male,
aveva solo un insistente prurito dove era stata ferita, ma per il resto si
sentiva riposata e piena di energie; se glielo avessero proposto, avrebbe
scalato l’Everest.
Accompagnata
da Will, che la teneva saldamente per la mano e sotto il gomito, fece avanti e
indietro diverse volte dalla porta al lettino, strappando a Will un sorriso
soddisfatto e un sguardo di pura ammirazione – Devo dire che ti muovi come un
cacciabombardiere. Con la ferita che avevi avresti dovuto fare mesi di
riabilitazione. Sei forse un miracolo della scienza medica? – chiese prendendo
il sfigmomanometro e il fonendoscopio in mano – Ti misuro di nuovo la
pressione. Prima di uscire da qui voglio che sia tutto in ordine. –
-
O forse, – disse Louisa, porgendo il braccio – Ho avuto un ottimo medico. –
Will
le fece cenno di tacere, mentre sgonfiava per la seconda volta il bracciale nel
giro di mezzora – Hai una pressione ottimale nonostante tu abbia perso
parecchio sangue. Vorrei dare un’occhiata alla ferita e vedere se la fasciatura
regge. – si mosse verso di lei, ma Louisa si scostò malamente, guardandolo
torva, proteggendosi contemporaneamente la gamba con
la mano – Nonn ce n’è bisogno. Credimi. Se sentissi che qualcosa non va te lo
direi, okay? – il suo istinto le urlava a gran voce di non scoprire la gamba, e
nel corso degli anni, l’istinto le aveva salvato più di una volta la vita.
Will
le sorrise rassicurante, mentre alzava le mani arrendevole – Va bene. Non ti
controllo la gamba per il momento, ma se vedo anche un solo cenno di cedimento
sul tuo volto, una singola goccia di sudore o segni di pallore, ti controllerò
dalla testa i piedi e non accetterò un no in risposta. Sono un medico; e se
devo passare sopra le persone con un carro armato per salvarle, lo faccio. –
-
Ma.. –
-
Ma è una congiunzione avversativa che va a contrastare quello che ho appena
detto. Quindi, o fai quello che ti dico, o ti faccio una fiala di morfina e ti
stendo finché non mi ascolterai. Puoi scegliere. – si guardarono negli occhi
per alcuni secondi e Louisa constatò che Will non scherzava: le avrebbe
sul serio dato la morfina se lei non gli
avesse dato retta. Abbassò gli occhi, confusa per aver perso quello scontro di
volontà – Credevo che si potessero rifiutare le cure mediche. – disse con un
filo di voce.
Will
la sentì – Non nei casi di emergenza. – disse mettendole entrambe le mani sulle
spalle – Ora muoviamoci, o tra un po’ farà buio e non vedremo più nulla. – Will
si diresse alla porta e aprendola fece cenno di precederla in corridoio, mentre
lui spegneva le luci.
Louisa
aspettò che Will si richiudesse la porta alle spalle, prima di guardarsi
intorno. Sul corridoio, avvolto dalla semioscurità, si affacciavano diverse
porte il legno scuro, e la carta da parati verde con disegni color panna, e il
silenzio totale, le davano la sensazione
di soffocamento e di malattia mortale.
Un
brivido scosse Louisa dalla testa ai piedi – Non devi avere paura, – disse Will
indirizzandola verso la fine del corridoio dove si intravedevano le scale – È
una casa vecchia e piena di scricchiolii, ma non c’è nulla di cui aver paura. –
Louisa
accarezzò la colonnina della balaustra, ammirandone gli intagli a forma di
fiori e tralicci – Tutte le vostre case sono così? –
-
Da quel che ho capito, hai visto la casa di Jason, – disse Will con un sospiro
iniziando a scendere le scale due a due – Sono stili parecchio simili, ma devo
dire che Miss Marple sarebbe orgogliosa di quella di Jas. –
-
Miss Marple? – ripeté Louisa seguendo Will e domandandosi chi mai potesse
essere quella donna.
-
Mai letto Agatha Christie? – alla domanda di Will, Louisa scosse lentamente la
testa, bloccandosi a metà delle scale.
-
Scriveva romanzi gialli. Miss Marple è una dei suoi protagonisti – spiegò Will,
voltandosi a guardarla da un paio di gradini più in basso – Quando torniamo, se
vuoi sapere qualcosa di più su di lei, ti presto uno dei miei libri. –
Louisa
riprese a seguirlo, domandandosi come facesse Will a fidarsi così tanto di lei
da dirle che le avrebbe anche prestato uno dei suoi libri. Lei, non avrebbe mai
potuto dare i suoi a qualcuno, non li avrebbe prestati nemmeno a quelli che
considerava dei fratelli, figurarsi a un ragazzo che conosceva da poche ore.
Will
le posò gentilmente una mano sulla spalla – Louisa, mi stai ascoltando? –
domandò Will, richiamandola alla realtà.
-
Cosa scusa? Stavo pensando a delle cose. –
-
Ti ho chiesto: vuoi che ti presti una delle mie giacche? Sono un po’ grandi per
te, ma la tua si è tutta rovinata e macchiata di fango ed erba. – Louisa si
fissò le scarpe e il pavimento sentendosi di nuovo bollente in faccia.
Ormai
era certa che Will fosse così gentile di natura, anche se prima, quando l’aveva
minacciata di usare la morfina, aveva uno sguardo che lei non avrebbe mai osato
sfidare. Se fossero stati nemici, Louisa avrebbe tremato sotto quegli occhi
grigi - Sei gentile, ma preferirei rifiutare. Voglio dire, posso stare anche
senza giacca. Stamattina c’era solo un po’ di vento e cielo coperto. –
-
Peccato che abbia piovuto fino a un’ora fa e la temperatura si sia abbassata.
Insisto, Louisa. – le porse una giacca marrone, invitandola ad infilarsela e
Louisa capitolò con un mezzo sorriso. Le parole e le premure che Will le
riservava, iniziavano a mettere in difficoltà le sue capacità di porre dei
rifiuti razionali.
Si
abbottonò la giacca fino al collo e guardandosi allo specchio, Louisa si sentì
un palombaro.
A
William sarebbe sicuramente finita a metà coscia, mentre a lei arrivava oltre
il ginocchio, coprendo totalmente i pantaloni bruciacchiati e strappati. Le maniche
le coprivano interamente le mani, e il tessuto le pesava terribilmente sulle
spalle facendola incurvare.
Sentì
qualcuno scoppiare a ridere non distante da lei e Will
-
Un sacco di patate sarebbe sicuramente più a suo agio di te! – allo specchio vide
Will alzare gli occhi al cielo e girarsi verso la porta alle loro spalle.
-
Jason! Essere un po’ gentile, mai? – voltandosi lentamente, impacciata dalla
giacca di Will, Louisa vide due brillanti occhi azzurri fissarla da sopra il
divano.
-
Mi hai fissata per tutto il tempo? – domandò portandosi le braccia al petto e
guardandolo, con quello che sperava fosse uno sguardo furioso.
Il
sorriso di Jason si allargò, scavando due fossette ai lati delle labbra – Io
sono gentile Will, è la nostra ospite
che mette a dura prova quel lato del mio naturale ed esuberante carattere.
Quando guardo i suoi occhioni grigi spalancati nel vuoto, il mio desiderio
principale è quello di strapazzarla per bene. Comunque esci? E ti porti via
l’uccello del malaugurio? – domandò spostando lentamente lo sguardo da Louisa a
Will.
L’ondata
di rabbia che aveva travolto Louisa, quando lui era uscito sbattendo la porta,
la riavvolse come un mantello ed entrò nella stanza a passo di marcia con le
mani chiuse a pugno lungo i fianchi – Come scusa? – chiese cercando di
mantenere un tono di voce calmo e distaccato.
Jason
continuò tranquillamente a guardare oltre Louisa, nella direzione di Will, che
ancora non aveva emesso un suono – Dovresti tenere a bada i tuoi animaletti,
Will. Alcuni sono troppo estroversi e potrebbero dare fastidio. –
-
Senti un po’ bellimbusto, ma come ti permetti di parlarmi così? E poi chi
sarebbe l’uccello del malaugurio? –
Jason
si grattò distrattamente il collo – Sai quando a casa mia ti ho detto di non
toccare nulla e tu, ovviamente hai
dovuto fare di testa tua, credevo solo che fossi solo un po’ tarda, ma ora mi
ricredo: tu soffri di stupidità mentale congenita e scusa la franchezza, porti
anche un tantinello sfiga. –
-
Sfiga? – domandò Louisa sbattendo gli occhi e facendo un mezzo passo indietro.
-
Sfiga: avversità, sfortuna, scalogna, disgrazia, fatalità, iella. Chiamala come
ti pare. Ogni parola ti rappresenta perfettamente. – scartò la testa all’indietro
evitando lo schiaffo che Louisa provò a dargli, non resistendo più all’impulso
di far sparire quel ghigno – Ma visto che sono una persona gentile ti farò un
rapido riassunto della situazione e ti farò partecipe delle mie conclusioni:
primo: hai fatto suonare l'allarme messo ai confini di casa mia e mi hai svegliato
da un bellissimo sogno fatto di stupende donne formose, arcobaleni e unicorni;
e sono di pessimo umore quando mi svegliano. Secondo: mentre mi vestivo in
fretta e furia per vedere chi era il cretino che cercava di forzare una casa
visibilmente vuota, ho sbattuto l'alluce contro la cassettiera facendomi un
gran male, tra parentesi, lo aggiungo alle spese mediche che mi rimborserai.
Terzo: non ho più una casa, l'hai fatta saltare e mi sono riempito di schegge
di metallo e legno la schiena. Ora, correggimi
se sbaglio, ma converrai con me che porti sfortuna. Comunque è appena
mattina, farai tranquillamente in tempo a far esplodere una bomba
nucleare e farti rapire. -
Louisa
inspirò bruscamente, pronta a fare una tale tirata a Jason che, se tutto andava
come lei voleva, gli sarebbero venuti i capelli bianchi, quando la mano di Will
la trattenne per una spalla – Lascia perdere, – le disse gentilmente – Jason è
uno che non si batte a parole. E poi non ne vale la pena. –
-
Potrei stenderlo come un tappetino per il bagno. –
Jason
incrociò le braccia al petto, guardandola divertito – Anche a me piacerebbe
stenderti tesoro, ma visto quanto sei piatta non ci sarebbe gusto. – Louisa
sentì la presa sulla sua spalla farsi più pressante, mentre desiderava
acchiappare Jason e ridurlo alla dimensione di una molecola. Con quel ragazzo
il detto: “porgi l’altra guancia”, veniva messo a dura prova anche se al suo
posto ci fosse stato un angelo.
-
Andiamo. – la incalzò Will all’orecchio – Faremo tardi. – Louisa inspirò
profondamente, cercando di calmarsi e di ritrovare la lucidità.
-
Va bene, Will! Spero almeno di riuscire a trovare l’anello. –
Mentre
si girava Jason la afferrò per un polso, stringendo fino a strapparle un gemito
– Sei ancora a caccia dell’anello di Fen? Hai deciso di fare altri danni, oltre
al farmi saltare per aria la casa? – Louisa tornò a fissarlo torva, mentre
strattonò il braccio cercando di liberarsi dalla sua presa che non cedeva di un
millimetro – Non smetterai mai di torturarmi con il fatto che la tua casa è
esplosa, vero? – domandò dando al ragazzo un forte pizzicotto sul dorso della
mano, cercando di liberarsi di lui.
Jason
sorrise mellifluo – Non in questa vita. Magari tra sette od ottocento
reincarnazioni, se ci incontreremo
ancora, ti perdonerò. -
-
Grazie, ma non mi serve il tuo perdono, mi basta che ti mordi la lingua o che
conti fino a cento prima di parlare –
Il
ragazzo alzò un sopracciglio, sembrava visibilmente incuriosito da Louisa,
quasi guardasse al microscopio una specie rara e sconosciuta – Sai quante
offese potrei inventare contando fino a cento? Mi dai un bel vantaggio.
Comunque ne possiamo discutere per strada.
Togliti quella giacca, cammini come un papero idrofobo. –
-
Come cammino scusa? –
-
Sei sorda oltre che stupida? – domandò Jason – Ho detto togliti quella giacca,
è troppo grande per te. Te ne presto una delle mie, dovrebbe andarti meglio. –
Jason passò oltre Louisa e Will e si diresse all’ingresso, prendendo un
cappotto scuro per se e una giacca di pelle, rivestita di lana marrone e la
porse a Louisa – Questa dovrebbe andarti meglio, almeno finché starai zitta non
farò la figura di uno che va in giro con una deficiente. –
-
Smettila di offendermi! E poi chi ti ha detto che tu vieni con noi? – seguita
da Will, Louisa raggiunse Jason, ma rifiutò la giacca nera che lui le porgeva
per stringersi in quella di Will.
-
Io non vengo con voi. Io vengo con te. Voglio che Will rimanga casa. – guardò
il suo amico per lunghi istanti, scambiandosi occhiate eloquenti, che a Louisa
sembravano valere discorsi interi.
-
Ce la farai lo stesso? – chiese Will a un tratto.
-
Se mi dà retta, sarò di ritorno per l’ora di cena. –
Will
fece un passo indietro e guardò Louisa, che stava cercando di capire che cosa
si fossero detti con gli occhi – Ok – disse il ragazzo – Ma prenditi cura di
lei. È ancora sotto osservazione. –
Louisa
si rivolse a Will, affondando le mani nel cappotto – Perché non puoi venire tu?
Jason è.. – si fermò cercando una parola che potesse descriverlo perfettamente,
ma non gli venne in mente nulla.
-
Una distrazione dannatamente sexy e affascinante? Lo so piccola, ma sentirmelo
dire non fa mai male, aiuta a mantenermi modesto, quindi ti prego, prosegui. – interruppe
lui guardandosi le unghie perfettamente curate.
-
..così! – aggiunse Louisa indicandolo – Vuoi veramente mandarmi con lui? –
Louisa iniziava a sentire il cuore accelerare al pensiero di passare il
pomeriggio con Jason. Ogni parola che quel ragazzo pronunciava era, o una
stilettata al suo ego, o uno stimolo per suo centro della rabbia.
Jason
scoppiò a ridere, mentre Will le faceva un sorriso rassicurante – Mi fido di
Jason. Con lui sei al sicuro, più di quanto tu non possa esserlo con me. –
-
A meno che non la rapiscano gli alieni. In quel caso lascerei perdere. – Louisa
si voltò di scatto per fissare torva Jason, che le fece un sorriso malizioso a
trentadue denti – Tranquilla. Non lascio le fanciulle in difficoltà e dal quel
che ho potuto tastare quando ti ho preso in braccio, sei decisamente una
fanciulla, anche se piatta come un tavolino Ikea –
Louisa
non sapeva più come rispondergli e si accontentò di diventare rossa fino al
collo – Mi hai palpato quando ero svenuta? – non riconobbe la propria voce,
mentre la gola le bruciò per la rabbia repressa.
-
Ogni singolo centimetro. Esaminata tutta, – lanciò un occhiata eloquente al
petto, per poi far scorrere lo sguardo sul resto del corpo – Sai, dovevo
controllare che tu non avessi ferire interne. – Louisa sentì i due ragazzi
scoppiare a ridere, mentre sapeva, di essere diventata ancora più rossa di prima.
-
Jas, smettila di prenderla in giro! – disse Will guardandola in faccia con gli
occhi che gli brillavano per le risate – Non vedi che la fai sentire a disagio?
Tranquilla, Jason è un gentiluomo, non toccherebbe mai una donna senza aver
avuto prima il permesso, ma gli piace prenderle in giro e far credere a tutte
che sia un amante fantastico. –
-
Io sono un amante fantastico. – aggiunse lui – Ora, per favore, levati la
giacca di Will. Quella che tengo in mano da un’ora come un attaccapanni, ti
terrà più al caldo. – sentendo il tono gentile di Jason, Louisa capitolò e
prese tra le mani la giacca nera che le porgeva. Era morbida e liscia al tatto,
anche se un po’ consumata e opaca – Hai detto che sei un amante fantastico, –
aggiunse lei, sbottonandosi la giacca di Will per poi allungarla verso il
proprietario – Chi lo dice? –
Jason
alzò un sopracciglio, visibilmente incuriosito dalla domanda, per poi farle un
altro sorriso di scherno – Vuoi provare? Perché di sopra c’è camera mia e..-
-
Non hai capito, – disse lei interrompendolo – lo dici tu, o lo dicono le donne
con cui sei stato? –
-
Vuoi le referenze piccola? Te le posso far avere nel giro di un’ora. –
-
Sono così poche? – chiese Louisa con un attacco di perfidia, mentre il sorriso
le si apriva – Allora non sei così bravo come dici. Forse, vorrei parlarci con
queste donne, solo per farmi quattro risate nei momenti di noia. -
Il
sorriso di Jason si smorzò di un paio di molari, mentre una vene sul collo si
gonfiò visibilmente – Okay, ammetto di essermelo meritato, ma tesoro, – si
avvicinò fino a trovarsi a pochi centimetri da lei, sovrastandola totalmente –
non provocarmi, non sono Will e non sono per niente gentile come lui. Io
accetto sempre le sfide. – Louisa sentì il calore propagarsi a ondate dal corpo
di Jason, nonostante tra di loro ci fossero diversi strati di vestiti a
proteggerli. Fece un passo indietro, bisognosa di mettere distanza fra lei e
quel ragazzo arrogante e sfacciato – Io non mi chiamo né piccola, né tesoro.
Per te sono signorina Van Der Meer. – si
girò verso Will, che osservava silenzioso e rilassato lo scambio di battute – Se
fa piacere Will puoi continuare a chiamarmi Louisa – proseguì, sentendo la
rabbia svanire guardando il viso gentile del ragazzo, certa che a Jason avrebbe
dato fastidio il tono pacato e confidenziale che usava con Will – Davvero non
vuoi venire con noi? Mi salveresti da una noia mortale. – fece un ultimo
tentativo per avere vicina una delle poche persone realmente gentili che lei
avesse mai conosciuto, ma si rattristò
quando vide Will scuotere la testa – È meglio se vai solo tu con Jason, anche
se penso che vi scannerete a parole a vicenda, lui ti proteggerà: è un esperto
di arti marziali e mi fido del tuo buonsenso.. –
-
Come della sua fortuna? Perché avrebbe bisogno di un buon esorcismo in quel
caso. – interruppe Jason aprendo la porta di ingresso.
-
Ha avuto fortuna. – ribeccò il biondo - Ha incontrato te al momento del bisogno – Will
le tirò su la zip della giacca che Jason le aveva prestato – Spero che troverai
quello che cerchi –
Louisa
gli prese la mano, cercando le parole giuste per ringraziarlo – Lo spero anche
io. Grazie per le cure e per l’iniezione di prima, sto davvero bene ora.
Comunque non so quanto sia stata fortunata a incontrare Jason, riesce a farmi
arrabbiare costantemente –
Jason
si voltò, mentre rigirava tra le dita un paio di chiavi – Sono un toccasana per
la gente con la pressione bassa. E piccola, quando ti ho preso in braccio,
credimi se ti dico che avevi la pressione ai minimi storici. L’ho fatto per te,
ma potrai ringraziarmi insieme al conto della mia parcella da medico –
Louisa
boccheggiò per un paio di secondo – Sta scherzando vero? Lui non può essere un
medico, quale università malate gli ha dato una laurea in medicina? – Will le
mise le mani sulle spalle, rassicurandola con il suo gesto - No, non lo è, ma è un gran sbruffone.
Non farla morire di paura con la tua guida. – disse all’amico.
-
Non ti preoccupare Will, – disse Louisa, prima che Jason potesse infilare una parola
- Mi stringerò bene addosso la cintura di sicurezza. – varcò l’ingresso,
stringendosi nella giacca del ragazzo, profumava di felci, salsedine e di
ragazzo. Le girò lievemente la testa investita da quell’odore penetrante e
aromatico.
-
Guarda che non andiamo via in auto, – disse Jason aprendo un armadietto accanto
la porta e tirando fuori un paio di caschi scuri – Prendiamo la mia moto.
Sempre che tu non preferisca camminare due ore. –
Louisa
aprì la bocca, pronta dire che preferiva di gran lunga camminare piuttosto che
affidare la sua vita a un megalomane moro in moto, ma le parole che poco prima
Will le aveva detto la fecero desistere.
E
poi Jason era ancora vivo, tanto folle non doveva essere.
Prese
il casco più piccolo che Jason le offrì, cercando di capire come metterlo a
prima vista dato che non era mai salita su una moto in vita sua. Studiò i
movimenti del ragazzo, che faceva sembrare tutto facile e intuitivo.
Con
la visiera scura abbassata, Jason si rivolse verso di lei. – Che c’è? Non sai
mettere il casco? – Louisa si morse la lingua per non dargli una risposta
tagliente e scosse lentamente la testa – Non sono mai salita in moto, nemmeno
su un motorino. –
Anziché
scoppiare a ridere, come si sarebbe aspettata che facesse Jason, lui le prese
gentilmente il casco dalle mani – Dai qua, se te lo metti male può diventare
pericoloso e inutile. Meglio che faccia io. – le raccolse i capelli castani,
indicandole come tenerli fermi, mentre lui tirava le alette del casco,
facendoglielo scivolare dolcemente sul viso – Ti da fastidio? Lo senti scomodo?
– la voce di Jason arrivava attutita dal casco, come se si trovasse
improvvisamente sott’acqua.
Scosse
la testa, cercando di recuperare il senso offuscato, e il peso del casco la
rintronò, facendole perdere l’equilibrio.
Jason
la afferrò prontamente per il polso prima che potesse cadere e la tirò a di sé
– Non fare movimenti bruschi, o ti girerà la testa. Ora, alza il mento che ti
assicuro il casco. – un brivido scorse sulla schiena di Louisa, quando le mani bollenti
di Jason le alzarono il mento e armeggiarono velocemente con le cinghiette – Se
ti devi togliere il casco di corsa premi qui. – le mise un dito su un bottone
appena accanto all’allacciatura – È l’apertura rapida. –
Jason
la tenne stretta a sé mentre attraversavano il cortile; con il casco sulla
testa, Louisa faceva fatica a infilare correttamente un piede dietro e l’altro
e se non ci fosse stato il ragazzo a guidarla sarebbe caduta dieci volte in
dieci metri.
Il
ragazzo sfilò via il telo che copriva il mezzo, rivelando una moto color verde
brillante e nero satinato. Louisa alzò la visiera del casco.
Ora
che la vedeva da vicino preferiva di gran lunga andare a piedi, piuttosto che
affidarsi alla guida del ragazzo.
Per
quel che ne capiva, la moto rifletteva esattamente il carattere di Jason:
esibizionista, tagliente e sfrontata.
Jason
si mise a cavalcioni sul mezzo e incrociò le braccia, aspettando che lei si
decidesse a salire – Che ti prende? hai paura di scompigliarti i capelli? – la
voce di scherno di Jason le arrivava attutita dal casco, ma le rimbalzò nel
cervello come un elastico – Fatti in là! – ancora prima di rendersene
seriamente conto si stava già stringendo intorno alla vita di Jason – Non
competere con me bellimbusto in moto. Anche io so accettare le sfide! – sentì
Jason ridere forte, mentre le abbassava la visiera – Tieni forte ragazzina, ho tutta l’intenzione di mettere a
dura prova i tuoi nervi –
Mentre
la moto iniziò a rallentare, Louisa sentì l’impulso di dare di stomaco e
abbracciare la terra ricoperta di erba delle colline circostanti.
Quei
dieci minuti in moto con Jason le erano costati vent’anni di vita, dei
probabili danni irreversibili alle corde vocali per il troppo urlare, e il
giuramento di non salire mai più in moto con un arrogante menefreghista come
Jason. Prima che la moto fosse completamente ferma saltò giù, attutendo
l’impatto con il terreno con le ginocchia e strappandosi il casco dal volto – Tu!
Sei un pericolo pubblico! Si può sapere a quanto andavi? –
Jason
si prese tutto il tempo di sfilarsi il casco con calma e guardarla con quel
largo sorriso strafottente, che gli delineava le fossette e faceva saltare
tutti i nervi di Louisa. Se la ragazza non fosse stata tanto felice di
risentire la terra sotto i piedi gli avrebbe tirato un calcio sugli stinchi – L’ultima
volta che hai gridato, e tra parentesi devi aver superato la barriera del
suono, eravamo a 184 chilometri orari, ma potevo spingerla a dare di più, - si
passò la mano fra i capelli mori, scompigliandoli più di quanto non avesse
fatto il casco – Ma ci sono andato con il piede leggero, visto che era la tua
prima volta. –
-
Piede leggero? Quello lo chiami piede leggero? – gli lanciò il casco e si voltò
incrociando le braccia al petto. Il cuore le batteva violentemente contro la
gabbia toracica e i polsi le tremavano a tal punto che non riusciva a tenere le
mani ferme.
Jason
si avvicinò di soppiatto a la afferrò per la vita, stringendola contro di lui,
facendole sentire tutti i muscoli tesi e l’eccitazione del ragazzo – Mi piace
correre. Mi piace sentire il vento addosso, mi piace sentire l’adrenalina
scorrermi nelle vene e il cuore accelerare per ogni curva fatta da Dio. Che
senso ha vivere se non faccio le cose che mi danno piacere? –
Louisa
di districò da quella presa e mise qualche passo tra lei e Jason – A volte
bisogna vivere per il bene degli altri. Cosa penserebbe Will se ti ammazzassi
in un incidente? –
-
Che sono morto facendo quello che amavo. Io voglio bene a Will, è il mio
migliore amico e sono disposto a tutto per proteggerlo. E ora, non voglio che
tu lo coinvolga in quello che stai facendo. – il sorriso scomparve dal volto di
Jason e gli occhi del ragazzo si incupirono fino ad assumere una tonalità più
scura, che a Louisa ricordava tanto una tempesta in via di formazione.
-
Che ne sai tu di quello che sto facendo? – strinse i pugni lungo i fianchi e si
morse l’interno della guancia fino a sentire il gusto del sangue.
Teoricamente
gli umani non dovevano sapere quello che si trovava appena oltre la superficie
del mondo. E non dovevano venire a conoscenza del fatto che il loro tempo era
agli sgoccioli, se Fen aveva detto a Jason tutta la verità, anche il ragazzo e
tutte le persone che lui conosceva erano in pericolo.
-
Mio padre, – disse Jason interrompendo il filo dei suoi pensieri – Mi ha detto
che una volta apparteneva a una setta di poveri pazzi che credevano che il
mondo stesse per finire per opera di demoni, e che loro dovevano assolutamente
fermarli riunendo sette sigilli per poter salvare le colonne che sostenevano il
nostro mondo. Per come la vedo io, sono una marea di fandonie inventate da dei
ciarlatani, per spillare soldi e vivere come avvoltoi sulle spalle altrui. E tu
ragazzina, con i tuoi occhioni grigi bisognosi di aiuto, con le tue maniere
falsamente gentili; per come la vedo io sei venuta qui per cercare di
convincere mio padre a rimanerne invischiato di nuovo e forse anche Will se ci
riesci, ma non pensare di poter ingannare me. – si guardò intorno, facendo una
smorfia alla vista della casa distrutta infondo alla vallata – Ti ho portato
qui, come volevi, ora trova quello per cui sei venuta e non disturbarci mai più.
Will non ha bisogno di una fanatica come te nella sua vita, e non ti permetterò
di rovinargliela come i tuoi padroni hanno fatto con mio padre.-
Louisa
deglutì, il nodo alla gola le dava fastidio e non sapeva se arrabbiarsi per le
parole che Jason aveva usato per i Custodi o mettersi a piangere per una tale
prova di fedeltà - Non voglio rovinare
la vita a nessuno, Jason. Voglio solo l’anello di Fen. – seguì la linea dello
sguardo del ragazzo, fino a fermarsi sulla casa.
Le
fondamenta di pietra e sassi erano annerite dall’incendio e le mura sventrate
dall’esplosione, erano in frantumi e sparse per un raggio di una decina di
metri intorno alla casa. Il legno che sorreggeva i controsoffitti e il contro
tetto era crollato su se stesso, completamente carbonizzato, ne rimaneva solo
lo scheletro annerito.
Louisa
si toccò una guancia asciugandosi una lacrima sfuggita al suo rigido controllo,
non aveva mani assistito a una devastazione simile in vita sua – Mi dispiace –
sussurrò. Non le vennero in mente altre parole da dire a quel ragazzo che si
era dimostrato scontroso e arrogante. Eppure alla vista di quella casa
distrutta Louisa si sentì vicina a Jason.
Con
i suoi modi di fare impulsivi lo aveva privato, non solo delle sue proprietà
materiali, ma anche dei ricordi di una vita intera e del l’unico legame
rimasto con il padre adottivo – Mi
dispiace veramente, Jason. – parlava talmente tanto piano che non era sicura di
aver detto veramente qualcosa – Cercherò di rimediare in qualche maniera, anche
se gli oggetti che c’erano dentro sono andati per sempre. –
-
Non mi importa di quello che è bruciato, non entravo in quella casa dal giorno
del funerale, se volevo qualcosa lo avrei già portato via. Quello che mi ha
lasciato veramente Fen è qualcosa che non si più toccare con mano. Comunque non
puoi ancora avvicinarti a quelle rovine. Vedi il riverbero? Alcune braci devono
essere ancora accese. Quella casa è una fornace in questo momento. –
Louisa
annuì, troppo sconvolta per dire qualcosa. Aveva portato lei tutta quella distruzione
in un solo momento, aveva trattato male Jason nonostante lui le avesse salvato
la vita e se stava rendendo conto solo ora – Jason, per quello che hai detto
prima, – fece un gran respiro, cercando di calmare il cuore impazzito. L’istinto
le gridava di mettere più strada possibile tra lei e quella casa, ma per una
volta lo zittì, decisa a dire qualcosa di più a quel ragazzo – Quello che tu
sai di Fen o del mondo da cui provengo non è del tutto corretto. Nessuno chiede
soldi a nessuno, e per me e mia madre l’Istituto da cui arrivo è stata l’unica
cosa che ho mai conosciuto. Ci hanno accolto a braccia aperte quando nessuno ci
voleva..-
-
Mon credo che mi interessi. – disse Jason freddo – La storia della tua vita non
è affar mio, anche perché ora te ne andrai. – Louisa incrociò il suo sguardo
rimanendo raggelata dalla durezza del viso di Jason – Ti ho portato qui solo
per farti vedere il casino che hai combinato e per allontanarti da Will, quello
che farai appena me ne andrò sono affari tuoi. –
Louisa
represse l’impulso di rispondergli male, mentre un allarme nella sua testa
esplose con tanta violenza da appannarle la vista per un secondo – Dobbiamo
andare via. – disse cercando di recuperare l’equilibrio, mentre il gusto
dell’acido dello stomaco le riempiva la gola e la bocca – Immediatamente. – la
presa di Jason si fece ferrea sul suo braccio, mentre la scrutava attentamente
in viso – Ti senti male? Ho promesso a William che non ti saresti sentita male.
–
-
No. – le parole le uscivano soffocate, mentre il senso di oppressione al
cervello schiacciavano tutti i suoi pensieri razionali. L’unica parola che si
formava nella sua mente di continuo era: “corri!”.
La
mano di Louisa corse alla camicia, cercando l’anello che teneva nascosto sotto
i vestiti, se il suo istinto aveva ragione Jason era seriamente in pericolo.
Strinse
la mano intorno al cerchietto d’oro quando una voce calda e sensuale le vece
strizzare i peli sulla nuca – Ma che bel quadretto! –
Louisa
si voltò lentamente nella direzione da cui arrivava la voce.
A
una decina di metri di distanza, appollaiato su una Jeep completamente
scoperta, un ragazzo bello come un angelo li osservava un sorriso famelico
stampato sulle labbra - Mi dispiace interrompere una scena così dolce e
romantica, ma prima che finiate per rotolarvi sull’erba in un grandiosa scopata
d’addio, io requisirei la Sigillo. - mentre parlava il sorriso non arrivò mai a
illuminare gli occhi azzurri e Louisa sentì il violento impulso di mettere dei
chilometri tra lei e lo sconosciuto.
Stringendo
l’anello nel palmo della mano, Louisa sentì il coraggio affluire dentro di lei,
sgombrando la mente dai pensieri confusi e irrazionali – Chi sei? – cercò di
mantenere calmo il tono della voce e di non far trapelare quanto fosse
impaurita.
Il
ragazzo scese dalla Jeep, avvicinandosi alla coppia con passi deliberatamente
lenti e felini. Se Louisa avesse dovuto associarlo a qualcosa, avrebbe detto
che le ricordava una tigre a caccia – Mia piccola, piccola, innocente Sigillo,–
il sorriso si allargò fino ai canini e Louisa fece un passo indietro,
soggiogata dal misterioso fascino velenoso che emanava quell’uomo – Non sono
qui per farti del male, i miei uomini mi avevano riferito che la casa di Fen è
diventata un bel falò, come se si festeggiasse l’Up-Helly-aa e sono venuto a
controllare. E cosa trovo? Una Sigillo che ci prova spudoratamente con un
ragazzo, come una puttana qualunque. Non credo che questa notizia faccia molto
piacere a Dio, non credi? -
Sentì
le mani di Jason stringerle le spalle, e si appoggiò al suo petto con la
schiena, tutti i muscoli del ragazzo era
tesi e pronti a uno scatto: anche lui percepiva quanto fosse pericoloso quel
tizio.
-
Tu, - Louisa richiuse la bocca, incapace di staccarsi da quegli occhi
ipnotizzatori – Non hai alcun diritto di giudicare! Chi sei tu per sputare
sentenze? –
Lo
sconosciuto spalancò gli occhi azzurri, per poi rovesciare la testa bionda e
riccia all’indietro e scoppiare a ridere fragorosamente – Avevo sentito dire
che i Sigilli studiavano sui Libri Sacri, che addirittura ne custodivano
alcuni, ma a quanto pare Belfagor e Abbadon si sbagliavano, voi non sapete
nulla di noi! Quello che ho di fronte è una ragazzina impaurita che trema sotto
lo sguardo di Belial, uno dei Sette Grandi Diavoli. –
Louisa
sentì un ringhio sorgerle prepotentemente dalla gola al nome di Belial e un
moto di rabbia sconosciuta le invase la mente – Sei uno dei Sette Traditori del
Cielo! Hai tradito Gabriel e il Creatore! –
Belial
si rimirò le unghie, allontanando della sporcizia invisibile con un gesto secco
delle dita – Diciamo che io e Dio
abbiamo una differenza di opinioni per quel che riguarda la gestione di quegli
animaletti striscianti che voi chiamate uomini e per quel che Gabriel, la
faccia che ha fatto quando le ho piantato un pugnale nello stomaco, valeva bene
il mio tradimento. Il suo modo di fare mi ha
sempre dato sui nervi, – lo sguardo di Belial attraversò Louisa, andando
a posarsi su Jason, che era rimasto immobile al suo posto con i muscoli tesi –
Ma queste sono cose che un essere umano non dovrebbe sentire. Dimmi Sigillo,
pensi che Dio interverrà a salvare un misero umano da un diavolo? Pensi che
aprirà il cielo e smuoverà le schiere celesti per lui? – indicò il ragazzo con
il mento, e Louisa strinse convulsamente la collana sentendo la pietra e le
incisioni del metallo, affondarle nel palmo.
Il
peso delle mani di Jason scomparve dalle spalle di Louisa – Non sono un
bambino, e ho smesso di credere nel Diavolo e in Dio, quando ho smesso di
credere in Babbo Natale. Non so che legame di follia ossessiva - compulsiva ti
lega a questa fanatica, ma ho promesso al mio migliore amico che non le verrà
fatto del male. E io mantengo sempre le mie promesse. – si mise davanti a
Louisa, prendendo una posizione che, Louisa aveva visto usare solo da alcuni
Custodi all’Istituto. Il peso del corpo di Jason gravava sulla gamba
posteriore, pronta all’attacco, mentre le mani e l’altra gamba erano pronte a
difendere qualsiasi tipo di attacco.
-
Bene, bene, - Belial allargò le braccia – Fatti sotto ragazzino. Fen era un
discreto combattente, sono curioso di vedere cosa hai appreso da lui. –
Louisa
vide un’arteria sulla tempia di Jason pulsare pericolosamente, mentre negli
occhi si accese una luce omicida.
Attaccò
Belial senza attendere oltre e provò a tirargli un calcio allo sterno che non
andò mai a segno perché il diavolo lo bloccò sul nascere puntandogli il piede
sul ginocchio – Troppo facile così. –
Jason
riprovò a attaccarlo mirando al collo con un colpo di taglio della mano, ma
Belial, si limitò a schivarlo spostandosi di lato – Non sei all’altezza di tuo
padre, i tuoi colpi sono imprecisi e deboli. –
Il
ritmo di attacco di Jason accelerò alternando calci di lato, a pugni mirati in
tutti i punti vitali di un uomo. Se davanti a se avesse avuto una persona
normale, Louisa era sicura, Jason avrebbe vinto in pochi secondi.
Il
sudore iniziò a colare lungo la fronte di Jason, mentre Belial evitò l’ennesimo
calcio mirato a fargli perdere l’equilibrio, semplicemente saltando – Come
spero che tu abbia capito bambino, io ti sono nettamente superiore. Potrei
continuare così una settimana e non avrei una goccia di sudore sulla fronte. –
si abbassò per schivare il calcio di Jason, e poi scartò di lato, evitando un
pugno che se fosse arrivato a segno, gli avrebbe sfondato il petto – Mentre tu
sgrondi, letteralmente. – afferrò il polso di Jason con una mano e lo tenne
saldamente senza sforzo apparente, facendogli un gran sorriso di scherno – Chiudiamola
qui ti va? Hai fatto quello che potevi e ti sei sfogato, sono sicuro che la
Sigillo ti aprirà la via per lo Sheol. Preparati,
o Israele a incontrare il tuo Dio! – con quella citazione biblica, tirò a
se Jason, che ormai aveva il fiatone e gli sferrò un violento pugno
all’imboccatura dello stomaco, per poi dargli un calcio rotante in viso spedendolo a tre metri di distanza.
Louisa
urlò e corse da Jason, sicura che ormai non ci fosse nulla da fare per il
ragazzo.
Il
viso di Jason era una maschera di sangue e il respiro era rantolante e
superficiale – Jason. – gli ripulì il sangue che gli usciva dalle labbra e dal
naso spaccato, mentre il viso di Jason si appannava a causa delle lacrime che
non riusciva più a fermare – Mi dispiace tanto. –
-
Saluta il tuo eroe e andiamo Sigillo, non ho tutto il giorno e ti voglio tenere
sotto controllo con un collarino fatto a posta per te. – la voce di Belial le
si inceppò nel cervello e un nuovo moto di rabbia sconosciuta prese possesso
del suo corpo, facendola tremare da capo a piedi.
Guidata
da una forza completamente nuova, Louisa si strappò la catenina dal collo e la
tenne ferma all’altezza del cuore Jason - simeni
kahowtam ‘al libbeka – non riconosceva le parole, ma le fluivano in testa
come un vecchio ricordo dimenticato e che ora riaffiorava limpido.
-
non provarci ragazzina –
-
kahowtam ‘al zeroweka, ki azzah kammawet
‘ ahabah – mise una mano sul petto di Jason, comprendo l’anello che la
identificava come Sigillo, mentre il calore delle fiamme che suggellavano la
Promessa le esplodevano lungo il braccio.
Dio,
qual è il prezzo che devo
pagare per salvare una
vita?
Nad:
non ho le forze per scrivere delle note decenti. Mi scuso per il ritardo, ma il
tirocinio mi ha prosciugata terribilmente. Ringrazio comunque tutti quello che
l’hanno letta e anche chi mi ha lasciato una recensione..spero che il capitolo
sia all’altezza delle aspettative, nonostante sia ancora l’introduzione.
Khyhan.
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