I
need you to survive
Gale incrocia i miei occhi e, muovendo solo le
labbra, mi dice qualcosa che non capisco. Lui deve averlo capito,
perché ripete lo stesso movimento con le labbra, una, due
volte. Il significato di quelle parole mi raggela, perché
non avrei mai pensato di arrivare a quel punto. Certo, è
più che ragionevole, anche io l’avrei chiesto e,
soprattutto, avevo promesso a Gale che l’avrei fatto.
Silente, ma pur sempre una promessa. Eppure tra il dire e il fare ci
sono in mezzo tutti e 12 i distretti.
Sparami.
Punto il fucile. I Pacificatori, o meglio, Snow, gli faranno qualunque
cosa, se capiranno chi è. E di certo, con tutte le
interviste per i miei due Hunger Games, chi a Capitol City non avrebbe
riconosciuto il mio “cugino”?
Gale fa una smorfia. O forse era un sorriso d’addio, ma non
vedo bene. Io sto piangendo, ho la vista annebbiata e tremo come una
foglia. Anche lui ha le lacrime agli occhi, mentre lotta con i
Pacificatori. Il messaggio è chiarissimo: “Sparami
prima che mi portino via”.
Il suo volto viene coperto dal mirino del fucile, o almeno quasi del
tutto. In realtà vedo i suoi occhi, perché sto
mirando giusto in mezzo.
Il colpo parte. Almeno sarà una morte veloce, penso. In
quella frazione di secondo, Gale chiude gli occhi. Cado a terra. Non
rivedrò mai più i suoi occhi. Mai.
Ma accade l’imprevedibile. Non so di chi sia la colpa. Mia
che tremavo? O forse perché avevo la vista annebbiata? Dei
Pacificatori che l’hanno spostato? Forse, prima era un
po’ piegato sulle ginocchia e loro lo hanno alzato. Di
chiunque fosse la colpa, non lo colpisco in testa, ma lo colpisco al
petto. Giusto sotto la spalla, quel tanto che basta per non evitare il
polmone, a occhio e croce. Ma come ho già detto, non ci vedo
bene.
Però quella vista mi schiarisce subito le idee e mi asciugo
le lacrime. Ho, come sempre, combinato un disastro. Gale si affloscia
tra le braccia che un attimo prima lo trattenevano con
difficoltà, ma respira ancora, pur affannosamente. Quelli,
per tutta risposta, lo lasciano lì e se ne vanno. Facile la
vita, ho fatto il lavoro al posto loro! Mi detesterei, se avessi tempo
per farlo e se nel mio cuore ci fosse ancora posto, tra disperazione,
angoscia e terrore. Altro che squadra di tiratori scelti.
Perché sono così brava a difendere me stessa e
così inutile per gli altri?
Devo raggiungere Gale. Non mi interessa il dislivello di tre piani, lo
devo raggiungere in qualche modo. Non so come, ma mi ritrovo appigliata
all’inferriata sopra di lui. Non penso di aver mai saltato
così tanto in vita mia. Però, ora devo scendere
di sotto, possibilmente senza cadere e senza calpestarlo, dato che
giace steso a terra, ansimante. Sono quei respiri, gli stessi che hanno
preceduto la morte di Rue, a darmi la forza di lasciarmi cadere.
Mi aggrappo all’inferriata del balcone su cui si trova lui.
Ed è sempre con la stessa, disperata forza che le mie
braccia resistono al contraccolpo, mentre i piedi penzolano nel vuoto,
ed è sempre lei che mi fa coraggio e mi consente entrare
anche io nella porta, lanciandomi e riuscendo perfino ad evitare di
cadergli sopra, grazie all’ultimo sforzo delle mie braccia.
Rotolo di lato rispetto a lui. Non mi concedo neanche un momento per
ansimare per lo sforzo. Mi fiondo subito a vedere come sta Gale, anche
se è ovvio che sta male.
– Gale! –
Lui tiene la mano appoggiata sulla ferita, senza neanche la forza di
provare ad arginare il flusso di sangue.
– Gale! Resisti, ora… ora ti porto da
qualcuno che ti curerà, resisti, io… –
Volevo dire “ti salverò” ma mi
è parso troppo eroico, dato che non ho la minima idea di
dove e come portarlo. Ma non devo finire la frase, perché
lui socchiude un attimo gli occhi per vedermi e poi si abbandona.
– Gale! –
Respira. Ancora. Sta ancora respirando, ma ha i respiri contati. Perdo
due preziosi secondi a chiedermi quanti gliene rimangono, prima che
finisca tutto. Scosto la sua mano dal petto ed inizio io a tenere
premute entrambe le mani sulla sua ferita. Sento il calore del sangue
contro la mia mano, sento la sua pelle fredda quando gli scosto i
capelli dal volto che si è tinto di un pallore cadaverico.
So che tenendogli premuta la ferita non andrò da nessuna
parte, ma non ho idea di cosa fare.
– Gale, resisti, non mi puoi lasciare… ti
prego… Gale, non mi lasciare… ho bisogno di te!
–
Ogni traccia di qualcosa che non sia disperazione scompare. Non so da
dove mi sono uscite quelle parole, ma è la pura
verità. Lo bacio sulla fronte, sperando che si svegli, che
mi guardi, perché non sopporterei di non vedere
più i suoi occhi. O peggio, di rivederli fra i mille occhi
del Giacimento, tutti ugualmente grigi, senza trovare i suoi.
Piango. Chissà cosa direbbe lui nel vedermi così.
Mi ha chiesto lui di sparare, l’ho fatto. Perché
ora non dovrebbe morire?
Perché sono egoista. Magari senza saperlo l’ho
fatto apposta. Un po’ come per le bacche agli Hunger Games.
Magari l’ho colpito al petto sperando di ingannare i
Pacificatori come ho fatto con gli Strateghi, solo che non me ne sono
resa conto. Cosa dirà Hazelle? E i miei amici
dell’ormai perduto distretto 12? E i miei compagni di
squadra, e Haymitch, e...
Le mie elucubrazioni vengono interrotte da un soffio. Alzo lo sguardo
e, in piedi sulla pancia di Gale, che già fatica a respirare
senza bisogno di aiuti, c’è un gatto. Non un gatto
qualsiasi, ma il gatto più brutto del mondo.
–
Vattene! Stupido gatto, che vuoi fare? Non vedi che sta già
abbastanza male? Scendi di lì!
Ranuncolo soffia un po’ ma obbedisce. Sarebbe stata quasi una
scenetta comica. Piango su Gale, quasi cadavere e mi ritrovo davanti un
gatto. Solo che non ho per niente voglia di ridere. Torno a
bisbigliare, implorando Gale di non andarsene. Da quando sono
così frignona?
–
Ranuncolo! –
Alzo lo sguardo e, sulla soglia dell’appartamento,
c’è Prim. Sposta lo sguardo da me a Gale al gatto
e di nuovo a Gale.
–
Katniss! Che cos’è successo? – chiede,
agitata.
Indossa un uniforme da medico. Dev’essere arrivata qui con
gli altri del distretto tredici. Si sente un esplosione, ma Prim,
noncurante, si inginocchia accanto a Gale. Io, ancora scombussolata per
la sua comparsa, la lascio fare. Ranuncolo mi guarda come a dire
“Se il tuo amico si salva sarà grazie a
me”. Non c’è bisogno di spiegazioni,
Prim, è già partita in quarta. Ha perfino con se
il kit medico, di quelli veri, non di quelli che danno ai soldati. Di
quelli che solo i medici sanno usare.
Ricompongo mentalmente i pezzi, mentre Prim inizia ad armeggiare con i
suoi medicinali, con bende, fasce e quant’altro. Chiudo gli
occhi, perché ho paura di vomitare, ma non posso lasciare
lì Gale. Probabilmente, Prim si è infilata fra i
medici, ma Ranuncolo l’ha seguita per poi sfuggirle. Lei
l’aveva rincorso fin lì e lui mi ha trovato. In
fondo, se Gale sopravvivrà dovrò seriamente
dovuto prendere in considerazione l’idea di scusarmi per
averlo tentato di annegare, per il gioco del Gatto Pazzo e tutto il
resto. È un prezzo accettabile, per salvarlo. Basta solo che
si salvi davvero.
–
Non startene lì! Vai a chiamare qualcuno degli altri medici,
non posso fermare per sempre il sangue! –
Io mi riscuoto e corro, seguita da Ranuncolo. Immagino che voglia
assistere fino in fondo al suo trionfo. Lancio un ultimo sguardo a
Gale, il mio partner di caccia. Tornerò, prometto
silenziosamente. Tornerò e ti salverò.
Di quello che succede dopo, ho solo ricordi sfocati. Si sente
un’esplosione, vedo dei medici. Farfuglio loro qualcosa,
mentre mi sento mancare. Non mi importa se sono stata ferita di
striscio dall’esplosione mentre cercavo di raggiungerli, non
sono io ad aver bisogno di aiuto, ma Gale. Per fortuna, a guidare i
medici ci pensa Ranuncolo. I miei ultimi pensieri vanno tutti a Gale,
ma una piccola, infinitesimale parte ringrazia Ranuncolo e si appunta
di rivedere la considerazione che ho di lui. Poi, svengo.
Quando rinvengo sono in uno dei letti d’ospedale di Capitol
City. Strano, questa volta non sono né legata né
impazzita. Una cosa strana, per i miei standard. Ma non ho tempo per
rimuginarci sopra.
Dato che, oltre ad essere scottata su tutto il lato sinistro del corpo
(per fortuna sono scottature lievissime, basta confrontarle con quelle
dei miei primi Hunger Games) non ho riportato altri danni, mi stacco
rapidamente la flebo attaccata al mio braccio e, scoperte le mie gambe
stranamente solide, considerato com’erano nel momento in cui
sono svenuta, corro fuori. Un unico pensiero: devo trovare Gale. Ma
l’unico che trovo è Peeta.
– Ehi, sta calma. – mi fa.
Mi devo rimangiare quanto detto prima, credo di essere impazzita.
L’unica cosa che so pronunciare è il nome di Gale.
Devo sapere se è vivo, devo sapere
dov’è, se si riprenderà, quanto ci
vorrà, se tornerà esattamente come prima.
Perché Peeta ha quella dannatissima espressione?
Perché mi sorride, tranquillamente? Lo so che mi vuole solo
aiutare, ma quando cerca di riportarmi a letto glielo impedisco.
È normale o ha uno dei suoi attacchi? Di certo non ha
ingerito la pillola che gli avevo dato. Una parte di me deve tirare un
sospiro di sollievo, l’altra è troppo preoccupata.
– Sta’ calma, non puoi aiutarlo, adesso.
–
Vuoi tranquillizzarmi o farmi prendere dal panico? No, gradirei
saperlo! Ok, faccio un respiro profondo, mi ripeto per la centunesima
volta il ritornello “Mi
chiamo Katniss Everdeen…” , un altro
paio di respiri e finalmente riesco ad articolare:
– Come sta Gale? –
Sarò io che sono stanca, preoccupata ed esasperata, ma una
scrollata di spalle non è quello che mi aspetto.
Può essere rassegnazione, ignoranza, potrebbe voler dire che
è morto, che ovviamente sta bene ed io sono stupida a
preoccuparmi o qualunque altra cosa. Il mio sguardo interrogativo lo
costringe a parlare.
– Non ne ho idea. Lo hanno operato
d’urgenza, ma è ancora in sala operatoria.
– risponde.
Dannazione. Forse preferivo la scrollata di spalle. Ora sono
dannatamente preoccupata.
– “Ancora”. Da quanto
è lì dentro? – chiedo.
Per un momento penso che mi odierà per il modo in cui mi
interesso a lui, ma non ci fa caso. Non gli ho neanche chiesto come
sta, com’è sopravvissuto, ma non ho tempo.
Capirà, spero.
– Sette, otto ore. Ho perso il conto. –
Otto ore. Mi sento mancare, di nuovo. Quanto può essere
grave la ferita?
– Gli hai sparato tu. – dice. Il tono
d’accusa mi colpisce in pieno, e lui deve accorgersene,
perché subito aggiunge: – Vero o falso? –
Molto divertente, sì, vero o falso. Cosa me lo chiedi a fare
se sai già la risposta? Non so perché ma mi
arrabbio con Peeta. Devo arrabbiarmi con qualcuno, se non altro per non
lasciare spazio ai pensieri del tipo “Cosa faccio se Gale non
sopravvive?”.
– Vero. – dico semplicemente alla fine.
Ho cercato di avere una voce fredda, ma ho ottenuto
l’opposto. Sto per scoppiare a piangere. Inizio a balbettare,
devo spiegare a Peeta. Non voglio che pensi che gli ho sparato
così a sangue freddo.
Mi perdo qua e là, perché i ricordi sono confusi.
So di avere sparato perché l’avevano preso i
Pacificatori, che me l’ha chiesto lui. So di aver sbagliato
mira, di avergli dato un’agonia al posto della
libertà. Non proseguo sul salvataggio condotto da Ranuncolo
ma continuo a singhiozzare farfugliando in continuazione che Gale
respirava appena ed ero terrorizzata, insieme ad un mucchio di altri
sentimenti e descrizioni che a Peeta devono importare ben poco.
– Anche io avrei fatto la stessa cosa, al posto tuo.
–
Non è di grande conforto. Il fatto che anche lui avrebbe
potuto sparare e sbagliare non mi aiuta, perché alla fine
sono stata io. Come non importa quante persone avrebbero potuto
salvarlo, perché alla fine è stata Prim. Sempre
che sia davvero salvo. Poi, Peeta sembra leggermi nella mente.
– Se sopravvive, credo che il dolore del colpo
sarà ben ripagato. –
Già un passo avanti, se escludo dalla frase il
“se” iniziale. Una volta ci sapevi fare di
più con le parole, penso.
Poi tocca a lui raccontare, ed io ascolto, per quanto abbia il
desiderio di irrompere in sala operatoria per vedere come sta Gale.
Sembra che l’esplosione che ho subito di striscio abbia
ucciso la maggior parte dei medici, tranne quelli che ho distratto io.
Non ho voglia di chiedere perché i medici fossero
lì, ma non importa. A quanto pare, Snow è stato
catturato, ma non capisco bene da chi. Da Plutarch, probabilmente. Poi
penso che, se non fosse stato per Ranuncolo, che, tra parentesi,
è appena scivolato nella mia stanza, Prim non sarebbe stata
lì, con loro, non avrebbe salvato Gale e sarebbe morta con
gli altri medici.
– Sapevi che Gale stava male? –
Probabilmente Peeta mi prende per pazza, poi capisce che parlo col
gatto. Cosa che, comunque, non è del tutto normale. Ma se
quelli del distretto 13 lo considerano intelligente ci sarà
un motivo.
Ranuncolo fa le fusa e muove la testa come per annuire. Incredibile.
Sia Prim che, forse, Gale sono stati salvati da un gatto. Ora
sì che la scenetta di qualche ora prima sembrava divertente.
Salvati da un gatto. La cosa più divertente è che
io sono l’unica che non ha salvato. Ah, ah. Faccio una
risatina, anche Peeta si unisce anche se non ne comprende bene la
ragione.
– Ti prometto che d’ora in poi avrai tutti
gli avanzi che vuoi. Anche il piatto intero! –
Non credo di averlo mai sentito fare le fusa, non a me, comunque,
prima. Comunque sia, non ho più tempo.
– Dove vai? – mi urla Peeta.
Non rispondo perché lo sa. Devo trovare Gale. Non so cosa mi
spinge a cercarlo, tanto non mi lasceranno entrare in sala operatoria.
Basta pensare a come mi ha cacciato mia madre quando è stato
frustato…
Ecco. Proprio lei arriva, intercettandomi. Inizia a chiedermi come sto,
ma non ho voglia di rispondere. So solo di dover trovare Gale. Ad ogni
costo. Mi sembra che il cuore mi stia per morire in petto. Gli ho
sparato, devo sapere come sta. Devo essere sicura che non sia
arrabbiato con me, che non pensi che l’abbia fatto
apposta… che fine ha fatto la ragazza che lo conosceva alla
perfezione, che intuiva come avrebbe reagito prima del tempo? Non lo
so, ma non mi importa. L’importante è trovarlo.
Fisso mia madre, che cerca di strapparmi una parola ad ogni costo.
Pronuncio interrogativa il nome di Gale e lei capisce. Nuovamente, non
ho altre parole. Mi indica la direzione e corre via, poiché
è richiesta altrove.
In condizioni normali non mi farebbero girare così per la
zona delle sale operatorie, ma per fortuna dopo la ribellione sono
troppo indaffarati per notarmi, e chi mi nota non mi dice nulla.
All’improvviso da una porta escono dei medici con una
barella. Tutti si fanno da parte per lasciarli passare e io li imito.
Mentre passano, intravedo il ragazzo sulla barella.
Gale.
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*** Post-it di
Sherry***
*Sbircia nel fandom di Hunger games*
Allora! Sono Sherry, ho finito settimana scorsa "Il canto della
rivolta" e tre ore dopo ho iniziato a scrivere questa fic. Chi
è arrivato fin qui ha già capito che sono una
tifosa di Gale, probabilmente, e quelli di Peeta mi sa che hanno
già chiuso la pagina... xD
Io ci sono rimasta troppo male per il finale. Beh, me l'aspettavo, dato
che se mi piace una coppia, di sicuro quella non si mette insieme... xD
tifo sempre le coppie più sfortunate.
Comunque, tornando alla storia, vorrei dire che se non si spezza bene e
la lunghezza dei capitoli non è uniforme non è
del tutto colpa mia, perchè all'inizio non pensavo di
pubblicarla e l'ho scritta come capitolo unico ^^ però se
posto trenta pagine di word dubito che qualcuno arrivi in fondo, quindi
ho diviso.
Vi ringrazio già ora se leggete queste righe, e ancora di
più se mi lasciate una recensioncina!
^.* Sherry J. Myers
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