Quando hai ventiquattro anni il mondo si aspetta tante cose da te. A
volte molto di più di quello che sei disposto a considerare.
Quando hai ventiquattro anni sei legalmente un adulto, una persona che,
in qualche misura deve assumersi le responsabilità di quello che
pensa e fa. A ventiquattro anni devi sapere chi sei: se ancora non
l’hai capito, sei fregato.
Sono un’adulta, sì, ma questa adulta ha dimenticato cosa
dovrebbe essere e allora evita: evita i giorni, evita gli sguardi,
evita le domande e aspetta le risposte.
E a vivere da soli, si fa presto ad evitare tutto e tutti.
Nel mio minuscolo appartamentino io posso essere una ragazzetta
insicura fino a quando mi pare: ma oggi mi trovo costretta ad uscire e
a ricordare che ho ventiquattro anni e che sono grande.
Mentre sospiro consapevole di quello che mi aspetta, sento la porta
d’entrata sbattere con un suono sordo, seguito da passi rapidi:
poi il rumore degli armadietti della cucina che cigolano confermano che
ho visite.
Sorrido ed esco dal bagno raccogliendo la felpa che ho lanciato ieri
sera sul servo-muto: i miei piedi nudi lasciano degli aloni di
umidità sul pavimento della camera e dai miei capelli cascano
piccole gocce d’acqua, ma la cosa non mi preoccupa: ho smesso di
essere una maniaca dell’ordine e della pulizia dopo i primi 15
giorni in cui vivevo qui. Ora vivo felice nel mio calcolato disordine.
Dal salotto mi ci vogliono circa sette secondi per scorgere una bionda
chioma sfrecciare da una parte all’altra del mio minuscolo
appartamento.
“ Ma tu bussi mai prima di entrare in casa altrui e trasformare
la loro cucina nel tuo regno?” ridacchio io mentre mi strofino i
capelli bagnati con un asciugamano. E, indossando un paio di jeans e la
mia felpa con lo stemma Universidad de Salamanca, raggiungo la mia amica nella mia mini cucina.
“ Allontanati all’istante dai miei fornelli, Bet!
L’ultima volta che hai provato a fare il caffè, ti sei
dimenticata di mettere l’acqua. E quella macchia nera sul mio
muro ne è l’inconfutabile prova!” proseguo
divertita, osservandola mentre cerca di nascondere la polvere marrone
di caffè tostato che ha sparso per metà del mio
pavimento.
“ Oh Med, eccoti finalmente!” ridacchia lei distratta,
cercando inutilmente di porre rimedio al pasticcio che giace sul mio
pavimento “ Mi chiedevo che fine avessi fatto.”
“ Beh B., questa è casa mia. E considerato che ho avuto
all’incirca otto minuti per uscire dal letto e lavarmi, dove
pensavi che fossi? A giocare a pulce con le volpi del deserto?”
le domando sarcastica.
Giusto per la cronaca, sarcasmo
è il mio secondo nome. Imparerete ad amarmi in ogni caso. O
forse no, dato che la sopracitata caratteristica non rende
particolarmente amabili. Ma che sono una stronza l’ho già
anticipato, quindi, in fondo, suppongo non vi stupirete troppo.
Strizzo gli occhi, mentre la guardo dimenarsi scoordinata in un
movimento che ricorda una puzzola che vuole ballare la Macarena.
“ Bet, stai per caso cercando di distrarmi mentre infili con il
piede destro il caffè che hai rovesciato sotto il mio
tappeto?” le domando sorridendo e l’espressione colpevole
che si dipinge sul suo volto è qualcosa di impagabile.
“Assolutamente no! Cosa te lo fa pensare?! Non farei mai una cosa
simile!” mi risponde lei indignata, raccogliendosi con
naturalezza la cascata dorata che le incornicia il viso; poi, con un
rapido movimento del polso, acconcia una perfettamente disordinata coda
di cavallo.
Ho sempre adorato i capelli di Bet. Avete presente quelle ragazze con
folte chiome naturali e spettinate, eppure sempre perfette? Di quelle
che non vedono mai fon o spazzola, eppure, nel loro disordine, sono
sempre impeccabili e seducenti? Ecco, Bet è esattamente
così.
“Allora vuoi spiegarmi, di grazia, perché ti muovi come la
bambina dell’esorcista?” ribatto lasciando cadere
l’asciugamano su una sedia e appoggiandomi all’intelaiatura
della porta.
“ Ho un attacco di colite...” prova a fingere lei con
un’espressione contorta sul viso: se quello sia il suo tentativo
di simulare sofferenza o il risultato dell’incapacità di
trattenere una risata, non mi è chiaro. So solo che è
comica. E pure brutta.
“ Che cosa?” scoppio a ridere “Tesoro, credimi, se tu
avessi la colite, considerata la tua soglia di sopportazione del
dolore, avrei già ricevuto lamentele da tutti gli inquilini del
palazzo. Comunque, deponi quel cucchiaio, che tra parentesi in mano tua
è un’arma estremamente pericolosa, e fai due passi
indietro. Devo ancora pagare l’affitto, e vorrei evitare di dover
sborsare anche per i danni causati da un incendio.”
“ Quanto sei nevrotica! Guarda che il caffè a casa mia lo
faccio anche io!” borbotta la mia migliore amica offesa.
“ Si, quello solubile però! Forza, siediti e tira fuori il
mio cornetto. E lascia la cucina a chi ci sa stare.” Mi faccio
strada verso i fornelli e, raggiungendo la mia amica bionda, le afferro
le guance con una mano, stringendo e facendo sporgere le sue labbra e
rido al suo mugolo di protesta.
“I cornetti sono nel tostapane” borbotta a fatica prima di
spintonarmi per liberarsi dalla mia presa e trotterellare lontano da me.
All’insorgere di uno sguardo di puro orrore sul mio viso lei
sorride tranquilla, mentre stacca un acino d’uva dal grappolo
deposto nel portafrutta al centro del mio tavolo e se lo lancia in
bocca.
“ Scusa?! Bet, dimmi che non hai davvero messo i cornetti nel tostapane?”
“ Ma si erano raffreddati!”
La mia amica è una deficiente.
“ Bet, sei proprio domesticamente handicappata. Ma ti voglio bene
lo stesso” le sorrido, estraendo le due brioches - che ormai
hanno l’aspetto di schiacciatine debordanti confettura arancione
- dal povero elettrodomestico e inizio a preparare la moka.
“ Come sei caritatevole! In ogni caso, si può sapere che
fine hai fatto ieri sera? Ti prego, dimmi che non eri a concedere di
nuovo le tue grazie a quella sottospecie di decerebrato babbuino che,
per rispetto, chiameremo L?”
“ L? In che senso?”
“ L come loser. Che in italiano vuol dire perdente.”
“ Non puoi chiamarlo con il suo nome?” ridacchio
immaginandomi una enorme L stampata sulla fronte di David, il mio
attuale Friend with benefits: visto il rapporto che abbiamo, ci sta giusto la definizione perché non siamo un gran che friends e i benefits ci sono solo quando gli gira a lui. E non sono neppure benefici di grande qualità, se dobbiamo proprio dirla tutta.
“ No, è uno sfigato. Non merita tanto rispetto da essere
chiamato per nome. È un perdente, uno stupido e un viscido. Puoi
ricordarmi perché ci scopi?” Non riesco a trattenere la
risata e, in fondo, so che lei ha ragione.
“Boh, sarà una cosa di chimica.” rispondo io
pigramente mentre recupero il latte dal frigorifero e cerco di
addentare quella sorta di schiacciatina molliccia eruttante marmellata
che la mia amica ha il coraggio di definire brioche.
Tento è la parola
chiave perché mentre spiego che l’ignoranza e la mancanza
di sinapsi di L non sono invalidanti per l’unica reale
attività che svolgiamo assieme, un rivolo di confettura di
albicocca - credo - si fa strada dall’angolo della mia bocca fino
a metà del mio collo.
“ Med, quel ragazzo è brutto. È così brutto
che il suo epiteto fisso - e qui ti cito testualmente - é gabinetto a pedali!”
continua lei facendo il segno delle virgolette con le dita. “E
poi è stupido, molto stupido. Dimmi quante conversazioni degne
di nota hai avuto con lui in tre anni?”
“ Nessuna” rispondo io senza esitazione, togliendo il
caffè dal gas e versandolo in due grosse tazze
all’americana.
Io adoro le tazzone di caffè. A essere sincera io adoro tutto
quello che è americano. Mi piace la filosofia del tutto big.
Forse perchè anche io sono in formato oversize; o magari perché in America sembra tutto più confortevole e più luccicante.
Voi normal size non capirete mai fino in fondo l’orda di goduria
e il senso di appagamento che deriva dallo shopping in USA per una che
qui è un po’ troppo.
Perché là, pure la sottoscritta, quando entra in un
negozio, si sente normale: il mio giunonico corpo trova la taglia per
tutti gli indumenti e, improvvisamente il mondo si tinge di rosa. O di
verde, visto che cerco di spendere più dollari possibili.
Non giudicatemi, solo lì posso trovare tutto ciò che mi serve.
“Il nostro rapporto è puramente fisico. Non ha abbastanza
cervello per sostenere una conversazione. Ma cosa vuoi che ti
dica? Mi fa sesso!”
“ Med, cazzo, ma come fa una cosa del genere a farti sesso? Ha il
QI di una cimice ubriaca, ha la fisicità di un Mocho Vileda, si veste come un tronista, e in
tutto questo si sente pure figo. Dai, è uno sfigato
fotonico!”
Mi fa morire.
Bet se ti deve dire una cosa, te la dice. Punto. Non si cura della
forma o delle parole. Si limita a esporti i fatti. Con un tocco di
delicatezza che, forse, solo io, lei e Jules, la terza parte di me,
possiamo apprezzare.
Se io fossi Brenda Walsh di Beverly Hills 90210,
Jules e Bet sarebbero le mie Kelly e Donna. Non certo per
personalità. Ma noi siamo un trio. Loro sono le mie migliori
amiche da più di dieci anni. Sono le due parti perfette per
completarmi. Talmente diverse tra loro, sotto ogni forma, da incastrasi
a pennello con la mia anima.
“ Non lo so, Bet. Io ci provo a farla finita con lui! Ogni volta
mi riprometto che sarà l’ultima. Ma quando poi lui viene
all’attacco, la mia capacità di resistenza va sotto
zero.”
“ Allora deve essere una specie di Priapo!”
“ Ma quale Priapo! A letto non è certo un gran che!”
“ Che schifo! Ma vedi che è un perdente! E poi Med, dai,
non hai neanche l’esclusiva! Lo sai che appena può
intingere il biscottino lo fa!”
“ Lo so! C’ho messo tre anni ad ammetterlo, ma lo so che si
fa tutte quelle che può” dico io, imbarazzata, tenendo lo
sguardo basso verso la mia tazza.
Livello di autostima di Med : -340.
Ogni tanto penso che se potessi sdoppiarmi, la me n°2 prenderebbe a
calci sui denti la me n°1 per mancanza di dignità e rispetto
per se stessa. E, che resti tra noi, a volte sono sicura del fatto che
concedo a L le mie grazie solo perché sospetto che il numero di
probabilità che altri mi si facciano, diminuisca di pari passi
con l’aumento della mia ciccia e dei miei anni.
La scelta è quello o un pisello posticcio: sì, forse il vibratore sarebbe più affettuoso.
Grazie per il suggerimento. Valuterò la cosa.
“ Lo vedi perché sei nervosa, tesoro? Sei sessualmente
frustrata, non ti piace quello che studi e stai sempre a dieta! Dai,
che vita di merda!” mi risponde lei dolce, accarezzandomi la mano
per darmi conforto.
“ E allora cosa dovrei fare?” sussurro io, lasciando cadere le spalle in segno di sconfitta.
“ Cambiare la tua vita!” squittisce Bet tutta allegra,
manco avesse trovato la formula per la fusione fredda e io la guardo
con aria stupita.
Bionda e scema: è tipico.
“ Hai ragione!” strillo io fingendo euforia e
sorpresa, picchiettandomi l’indice della mano sinistra sul mento.
“Che sciocchina che sono! In fondo è facile come
obliterare un biglietto del treno!” e un sorriso finto mi si
appiccica sul viso.
“ Ti odio quando fai così! Io sto cercando di darti una
mano! Sei infelice, e non cercare di negarlo! E se sei infelice, devi
cambiare le cose. Punto. A piccoli passi, Med. Non sarà facile,
ma io ci sarò, ok?” mi dice lei seria. Nei suoi occhi
leggo la determinazione che la rende tanto speciale e che mi ha fatto
impazzire per lei sin dal primo giorno.
Io resto zitta, con la testa china, a osservare le nostre mani
intrecciate. Lei mi legge dentro. L’ha sempre fatto. Però
non mi dice mai niente. Aspetta che sia io ad andare a cercarla. Mi fa
pressione solo quando capisce che sto troppo male per chiedere aiuto di
mia iniziativa. Quando la vergogna mi frena, quando sono troppo in
basso per farmi sentire, lei mi afferra, mi sorride e, con due parole,
mi tocca il cuore.
Questa è Bet.
Riesco solo a sussurrare un timido ok. Sono troppo orgogliosa, cinica e
fiera. E quando mi sento esposta e vulnerabile mi chiudo a riccio. Ma
chi mi conosce lo sa. Sa che le parole mi si frenano in gola. E un
monosillabo è già una conquista. Restiamo in silenzio per
qualche minuto. Bet mi sorride, mi stringe un’ultima volta la
mano, quasi fosse un tentativo di trasferire in me un po’ della
sua forza, poi la lascia.
Io so che ha ragione, ma ammettere che la tua vita ha preso il binario
sbagliato fa paura. Ammettere che negli ultimi quattro anni ogni tua
scelta non era quella giusta, fa male. E accettare che il castello ha
iniziato a crollare quando uno, che merita solo di essere chiamato L
dalla tua migliore amica, ha bussato alla tua porta, ti fa sentire
ancora più uno schifo. Ma, a volte, è la vita che fa schifo. E, o lo accetti e la combatti, o ti schiaccerà col suo peso.
I miei pensieri sono improvvisamente interrotti da un sonoro “ Merda!”
che echeggia nel silenzio delle mie pareti. Alzo lo sguardo e di fronte
a me si presenta un’immagine magnifica di Bet con il viso
imbronciato, una mano nei capelli, l’altra che stringe la tazza e
una serie di grossolane macchie che adornano la sua maglia bianca,
fresca di lavatrice.
“ Ma che...? Bet, che hai fatto?” le domando lentamente, con le labbra separate per la confusione.
“ Porca paletta! Ho puciato troppo il pezzo di cornetto e mi
è ricascato nella tazza per il peso!” risponde lei
altrettanto stupita, ripiegando la testa verso la tazza, con gli occhi
larghi e alla ricerca del pezzetto di dolce perduto.
“ E come c’è finito tutto il caffè sulla tua
maglia?” domando guardando nella sua stessa direzione.
“ Eh, prova tu a essere un pezzo di cornetto e a lanciarti dalla mia bocca....ha fatto lo tzunami!
Maledetto dispensatore di adipe!” afferma lei a denti stretti.
Sembra quasi che la brioche abbia minacciato di ucciderle la famiglia
mentre, con spiccata cocciutaggine intinge il dito nel caffè e
lo fa girare, sollevandolo a intervalli regolari, sperando di ripescare
il pezzo di brioche perduto.
Scoppio in una fragorosa risata “ Sai che c’è? Che
ne dici se ti allontani dal tuo nemico, prendi una maglia dal mio
cassetto, e ce ne andiamo a fare questo benedetto shopping?”
ridacchio io, afferrandola per un gomito e spingendola in camera mia.
“Secondo me è casa tua che emana energia negativa! E se la sottoponessimo a un po’ di feng shui?” ridacchia lei frugando tra le mie cose.
“Tieni giù le tue zampe dal mio appartamento. Io e la mia
energia negativa stiamo bene così. E se non ci lasci in pace,
veniamo a prendere a calci il tuo terzo chakra!”
“ Cazzo, come sei aggressiva. Probabilmente in te aleggia solo magia nera.”
Gira sui tacchi ed esce. Io, scuotendo la testa, la seguo e rido.
Forza e coraggio.
Tre ore dopo non mi sento più i piedi, sono accaldata, spettinata e irritata.
In due abbiamo comprato solo un tristissimo maglione grigio, perfetto
per casa -come l’ha definito Bet - e una sciarpa, perché
era in liquidazione.
Insomma fallimento su tutta la linea.
“Però il mio maglioncino è morbido!” bisbiglia Bet alla mia destra.
“ E la mia sciarpa era economica!” le rispondo senza fermarmi.
“Bet, siamo veramente due principianti dello shopping. Deve
esserci qualcosa di mutato nel nostro DNA.” ipotizzo prendendo
atto della sconfitta ottenuta durante la nostra uscita. “Mia
madre dice che non è naturale per una donna non avere
l’istinto per lo shopping.”
“Nel tuo caso, amica mia, c’è un corto circuito ogni
volta che entriamo in una boutique.” riflette Bet appallottolando
il suo acquisto con poca cura e gettandolo nella busta di carta che ha
appesa al braccio.
“A che ti riferisci di preciso?” domando sospettosa.
“Nello specifico al fatto che entri in un negozio, sostieni che
ti piaccia praticamente tutto, provi mezzo reparto, poi esci dal
camerino dicendo che ci devi pensare e alla fine compri il capo
più brutto che si trova nel cesto accanto al bancone” mi
spiega con un ghigno malefico sul viso.
“Beh, perché faccio attenzione alle mie finanze. Lo faccio per risparmiare.”
“Non potresti risparmiare comprando cose che non siano fondi di magazzino?”
L’ironia di Bet ha un piccolo difetto: non c’è. Vi
assicuro che quando lei dice cose così, sostiene che le
sue siano chiaramente affermazioni ironiche, ma secondo me non ha
chiaro di che si tratti.
Bet è un po’ come Sheldon di The Big Bang Theory: lui non capisce il sarcasmo, la mia amica ignora cosa sottintenda l’ironia.
“Meglio la mia indecisione della tua mutazione genetica.”
rispondo io frugando nella mia borsa alla ricerca di un elastico con
cui legare i miei capelli depressi.
“Che sarebbe?”
“Hai un gene tronco, è ovvio.”
“E quale?”
“Quello del buon gusto.” chiudo la mia spiegazione sogghignando come una cretina alla mia stessa battuta.
“Fottiti!” mi risponde spintonandomi per poi cambiare argomento.
“Med, ti prego, un caffè! Un caffè e una panchina
mi renderebbero la ventiquattrenne più felice della
città!” si lamenta lei rallentando il passo.
Facciamo marcia indietro e ci dirigiamo verso il piccolo caffè
all’angolo alle nostre spalle. Bet si lascia cadere sulla prima
sedia che trova ed io la fisso curiosa.
“Mi prendi un caffè macchiato? Per favore? Sarò la
tua migliore amica?” mi domanda con tono zuccherato e sbattendo
le ciglia.
“ Non cercare di sedurmi, sgualdrina! Non sei il mio tipo! Vuoi
il caffè? Poi?Una fetta di culo vicino all’osso tagliata
fina fina?”
“Dai! Ti pre..” Bet si interrompe bruscamente “
Jules!” strilla così forte che faccio un passo indietro.
Mi volto e vedo la bruna chioma leonina di Jules che avanza verso di
noi a passi lunghi. Stivali neri ai piedi, jeans stretti a vita bassa e
un grosso e caldo maglione bianco che le spunta dal cappotto nero di
cachemire. Jules strizza gli occhi, cercando di metterci a fuoco.
Dimenticavo, Jules è cieca come una talpa. E per di più
terribilmente distratta quando passeggia per la città.
“Jules! Jules siamo noi!” le urlo agitando una mano. Sul suo viso si dipinge un sorriso, e inizia a zompettare verso il nostro tavolo.
“Perché saltella? Sembra una tarantola!” dico io
voltandomi verso Bet che si limita a fare spallucce e sorride alla
nostra scoordinata amica.
“Ciao, ragazze dai facili costumi! Che ci fate qui? E, ancora
più importante, perché io non sono con voi?”.
Io e Bet ci scambiamo uno sguardo confuso.
“ Jules, senti di nuovo di essere fuori dal tuo corpo?” le domando io cauta.
Jules è la più stramba delle tre e quella che, spesso,
adduce a scuse assurde per quello fa. La maggior parte delle volte
accusa Jules Crux dei suoi misfatti e afferma che non era nel pieno possesso delle sue facoltà e che Cruxie - sì, le abbiamo dato un tenero soprannome - aveva preso i comandi.
Ho provato a farle notare che, se continua così, prima o poi le
diagnosticheranno qualche forma di psicosi: ma lei, pur di non
ammettere la colpa, si ostina a dire che non è colpa sua.
“Cosa? Ma no, cretine! Intendevo, perché io non sono stata
invitata a fare shopping con voi! È un gesto molto
scorretto!” risponde lei indignata.
“ Perché tu di solito dormi fino alle due il
sabato!” risponde Bet mentre io abbasso lo sguardo verso le mani
di Jules. Avrà almeno sei shoppers diverse, quattro delle quali
di dimensioni XXL.
“ Ragion per cui, vederti sveglia a quest'ora, considerate le tue
usanze e manie, unite alla quantità di roba, - inutile e di
cattivo gusto, senza dubbio - che sembra essere contenuta nei tuoi
pacchetti, e ipotizzando che tu abbia appena speso metà della
cifra che tuo padre ti passa al mese, mi sento di insinuare che il tuo
sia stato un attacco di shopping compulsivo. Di nuovo.” esclamo
io squadrandola da cima a fondo e osservando il suo linguaggio del
corpo.
Alle ultime due parole è evidente un sussulto, seguito da un brivido.
Bingo!
“ Ora, unendo tutti i dati a mia disposizione e, essendo a
conoscenza del fatto che attacchi di tale gravità si verificano
con una percentuale più alta quando di mezzo c’è
una specifica persona, mi sentirei di azzardare che...rullo di
tamburi...hai litigato con Cucciolo.”
Concludo con enfasi da presentatore del circo, poi indico Bet con un
palmo e lei si porta le mani alla bocca accennando finto stupore
“ Oh! Shock! Sbigottimento! Ma questo non succede mai! Non so se mi riprenderò!”.
Jules ride per nulla offesa dalla nostra sceneggiata poi ribatte:
“ Siete due stronze. Si, ho litigato con quel ciccione! E avevo bisogno di svagarmi!”
“ Quel ciccione è il tuo ragazzo, Jules. Non che la nostra
stima nei suoi confronti possa essere ritenuta superiore a quella che
abbiamo per l’alito della vicina di Bet, ma si può sapere
che ha fatto questa volta?” le domando.
“Niente di nuovo. È stato solo....” Riflette qualche
istante “se stesso, direi.” conclude soddisfatta.
Cucciolo, all’anagrafe Giorgio, è il ragazzo di Jules da
ormai cinque lunghi anni. È un bestione con i modi raffinati di
un leone marino, la voce da cavernicolo, il carattere lunatico di una
donna in menopausa e la sensibilità di un bue muschiato. Lui e
Jules si sono lasciati una quantità innumerevole di volte e, per
nostra sfortuna, anche ripresi. Hanno un rapporto assurdo: un continuo
di liti, urla, tensione, seguiti da periodi di idilliaca
felicità. Quando chiedi a Jules se è innamorata risponde
“ Non lo so. Ora ci sto bene!”
Affascinanti creature.
“Beh, ora che sapete il perché della mia presenza qui, mi
dite che ci fate voi due, di sabato mattina, in giro per negozi?”
domanda Jules sedendosi al tavolino con Bet e allungandomi il suo
portafogli, facendo cenno con il mento verso il bancone del bar.
“Med, un caffè liscio per me” conclude sorridendo.
“Vi sembra per caso che io indossi l’uniforme di questo
bar? Perché devo farvi da cameriera?” borbotto io a testa
bassa.
“Sei scesa col piede sinistro dal letto, stamattina?” mi domanda lei, ridacchiando.
“Anche, come ogni mattina. Ma soprattutto trovo voi due
estremamente irritanti” esclamo allontanandomi e dirigendomi
verso la cassa.
Dal bancone le vedo chiacchierare allegramente, probabilmente stanno
commentando il mio pessimo umore, divertite. La cosa, stranamente, fa
sorridere anche me. Mi volto verso il barista e chiedo tre
caffè. Mentre aspetto che siano pronti, sento Jules che mi
chiama. Mi giro tranquilla, fino a che non vedo che sta sventolando il
mio cellulare.
“È la padrona di casa. Dice che ha trovato la persona con
cui devi condividere l’appartamento.” mi strilla lei.
Oddio no! Un nuovo essere umano con cui imparare a comunicare no!
Dovete sapere che io ho un gravissimo problema con gli estranei.
L'interazione con un agglomerato di sconisciuti fa emergere a tutta
spiano la timidezza che mi ha sempre caratterizzato. O
forse la mia è di fatto solo misantropia. Anche se non penso,
perché, una volta che mi sciolgo, non mi stanno proprio tutti
sulle palle.
Sono sempre stata una bambina piuttosto evitante e timorosa: per
intenderci, ero la classica bimba che si nascondeva - letterlamente -
sotto la gonna della mamma, quando signori estranei le rivolgevano
parola.
Sta di fatto, però, che non sono molto brava con i primi
incontri. Non so perché ma, quando mi si piazza in un gruppo di
persone che non conosco, improvvisamente la mia capacità
oratoria viene meno e faccio cilecca su ogni fronte. Me ne resto
lì, annuendo, sorridendo ed esprimendomi a monosillabi.
Risultato? La metà delle volte mi prendono per una decerebrata,
l’altra metà per una insopportabile spocchiosa che si
sente superiore a tutti. E stronza. Il che, come abbiamo già
convenuto, è anche parzialmente vero.
Diciamo che, non evito più come facevo a sei anni però,
senza dubbio, se si tratta di prendere l'iniziativa nella
conversazione, non contate su di me. Per carità, se mi poni
delle domande, dopo anni di lotta con la mia emotività, ho
raggiunto il traguardo di riuscire a rispondere con frasi di senso
compiuto. Però, se aspettate che sia io ad intavolare una
discussione interessante o a dare il via a qualche tipo di interezione,
state freschi.
Capirete, dunque, quanto nervosa mi renda l’idea di dover
imparare a vivere con una persona sconosciuta e dividerci
l’appartamento. Il vero problema è che, anche se la casa
è piccola, per le mie possibilità costa una fortuna. Non
mi posso permettere di pagare tutto l’affitto da sola. Quindi la
proprietaria, per venirmi incontro, ha accettato di cercarmi un
coinquilino.
Con le spalle chine e lo sguardo teso mi dirigo verso il tavolo delle mie amiche.
No, non sono affatto pronta. Non voglio sapere chi ha trovato. Non
voglio sentire che non potrò più girare mezza nuda per
casa, ballando Barry White in mutande, mentre pulisco - per così
dire - il pavimento. Non sono pronta a farmi vedere appena sveglia la
mattina, con i capelli che sembrano essere sopravvissuti
all’uragano Katrina, l’occhio semi aperto, gonfio e con
occhiaie che mi fanno assomigliare ad un panda, mentre indosso i miei
orrendi pigiami dell’anteguerra. Di cui, tra l’altro, in
realtà io vado molto orgogliosa ma che sembrerebbero essere
socialmente inaccettabili.
Ho l’aria di chi sta andando al patibolo quando raggiungo la mia
meta e, insicura, allungo la mano verso Jules per prendere il telefono.
Lei mi sorride cercando di incoraggiarmi e mi sussurra: “Vedrai
che non sarà così male. Almeno non soffrirai di
solitudine!”.
Certo, per loro è facile parlare. Loro non devono dividere un minuscolo spazio vitale con una persona mai vista.
Bet vive con l’amore della sua vita, Federico, che noi chiamiamo teneramente Jimmy H. per la sua passione per le chitarre,
in uno splendido appartamento in pieno centro. Jules possiede una casa
tutta sua, in comune con la sorella, che la nonna ha deciso intestarle
un anno fa, praticamente a 50 metri da Bet.
Io invece, da vera fallita, mi sono trovata un appartamento troppo caro
e troppo piccolo persino per i Puffi, lontano dal centro e senza
parcheggio. Ma loro non amano sentirmi dire queste cose.
Titubante afferro il cellulare e me lo avvicino all’orecchio,
scambiandomi un’occhiata con Bet, alla disperata ricerca di
aiuto. Lei ammicca e sorride. Sempre in silenzio mi volto nuovamente
verso Jules, sperando in un salvataggio, ma anche lei mi annuisce e fa
gesto con la mano di iniziare a parlare.
“ Pronto?” domando insicura e mi rendo conto che la mia
voce trema. Sono patetica! Sembro una ragazzina di dodici anni!
“ Med, cara ragazza! Come va? Tutto a posto?” mi domanda la
signora Riposi. La mia affittuaria è un tantino affettuosa con
qualsiasi forma di vita. Lei adora tutti. È piuttosto in
là con l’età e ha una vera venerazione per i
giovani. Dice che è perché non ha nipoti e che noi siamo
il futuro. E, non so come, ritiene tutti estremamente educati e
piacevoli.
“Buongiorno Signora Riposi. Tutto benissimo, grazie. Lei? Come
stanno i suoi cagnolini?” le chiedo sfoderando il tono più
cortese che conosca.
“Benissimo tesoro, ti ringrazio! Allora, bando alle ciance. Ho
una meravigliosa notizia per te!” mi strilla nell’orecchio.
Meravigliosa notizia, dice lei. Catastrofe e fine della mia serenità, penso io. Che seccatura!
“Ah sì, la mia amica mi ha accennato qualcosa” le
rispondo vaga, lanciando un’occhiata a Jules, che persevera nel
mantenere il suo entusiastico sorriso.
“ Sarai al settimo cielo immagino. Finalmente ti ho trovato
qualcuno con cui dividere la spesa! Sono così felice! Non mi
piaceva pensarti in quell’appartamento tutta sola.”.
Eh, capirai, manco fossimo nel Bronx! Poi penso al fatto che l’ha
chiamato appartamento: esiste un termine per definire un orifizio anale
in termini immobiliari?
Casa mia è un buco, su questo non ci piove. Però è
ben tenuta e la signora Riposi paga la metà delle spese
condominiali. Non mi è ancora chiaro il perché: lei dice
che è la cosa più giusta. In ogni caso, scusate se
è poco!
Sospiro e alzo gli occhi al cielo mentre lei continua, estasiata.
“ Comunque ora non abbiamo più motivo di preoccuparci.
Vedrai che tesoro che ti ho trovato. Sarà a casa tua tra circa
mezz’ora. Già con le sue cose, cara. Entrerà in
casa già da oggi. Mi ha pagato stamattina caparra e primo
affitto. Forza, corri a casa. Ci sentiamo presto. Ciao Med cara.”
Questa donna usa la parola cara troppe volte per i miei gusti.
“Aspetti signor...” troppo tardi. Ha riattaccato. Non mi ha
lasciato neanche parlare. Era troppo eccitata all’idea di avermi
procurato una deliziosa compagnia. Che strazio!
Sospiro e richiudo il telefono, sconfitta. Perché questa
giornata continua a peggiorare? Io non voglio qualcuno con cui dividere
casa. Io voglio pagare di meno e vivere nel mio disordinato
appartamento formato Polly Pocket da sola. E in santa pace.
“ Ahahah! Dovresti vedere la tua faccia! Sembra che tua madre ti
abbia appena detto che darà fuoco alla tua collezione di
libri!” ride Bet, abbracciandosi lo stomaco e piegandosi in
avanti.
“Ridi, ridi, iena ridens! Tanto sono io che devo prendermi una
sconosciuta in casa!” mi lagno io sempre più
irritata, lasciandomi cadere nella sedia accanto a lei e praticando
l’arte del broncio.
Sono bravissima: aggrotta la fronte, sguardo insoddisfatto, mento verso
il petto - e visto che il mio è grosso, richiede uno sforzo
minimo - e boccuccia a trombetta.
Sono ventiquattro anni che mi esercito. Ormai sono una professionista. Per chi volesse offro consulenze e ripetizioni private.
“ Med, la pianti? Scusa, ma hai appena saputo che pagherai la
metà dell’affitto e che avrai una persona con cui
dividerti le pulizie di casa. E per di più che ti farà
compagnia! Non sei contenta?” mi domanda Jules, spazientita.
“No, non sono contenta! Io non voglio compagnia! Io non voglio
dovermi controllare e essere simpatica e gentile 24 ore su 24! Le
pulizie le so fare benissimo da sola e a me piace starmene da sola sul
mio divano, in tuta, guardando la tv e compatendomi, ok?”
rispondo io arrabbiata.
“ Ok, adesso basta, Med. Una coinquilina non è la fine del
mondo, anzi. Forse la smetterai di essere così scorbutica e
imparerai a controllare tutta questa rabbia!” mi risponde lei
severa.
“ Jules, non mi psicanalizzare! Io non sono una tua paziente!” la aggredisco io.
“Beh, forse invece dovresti esserlo. Ti farebbe bene un po’
di terapia. Sei diventata una pazza piena di rancore. Sei una stronza,
aggressiva e isterica. Ce l’hai con tutti e non ti va...”
“ Fatela finita! Tutte e due! Fermatevi prima di dire cose che
non pensate!” si alza in piedi Bet e ci guarda con sguardo di
rimprovero.
Io stringo i pugni e lancio a Jules un’occhiata ferita e piena di
irritazione. Lei mi guarda con aria colpevole e poi abbassa il viso.
Abbiamo esagerato tutte e due. Non avrei dovuto scaricare su di lei la
mia frustrazione.
“ Dai ragazze, basta! Fate pace e andiamo a vedere questa nuova inquilina, ok?” ci suggerisce Bet con voce materna.
Sussurriamo un contemporaneo scusa, raccogliamo le nostre borse con i nostri acquisti e ci incamminiamo verso la macchina.
A/N:
Ringrazio nuovamente chi ha dedicato un po' del proprio tempo alla
lettura di questa storia e tutti quelli che l'hanno aggiunta tra i
preferiti e quelle da seguire. Spero che, con l'evolversi dei capitoli,
le avventure/disavventure di Med possano allietarvi un po' le giornate
e, perché no, magari offrirvi una finestra di libertà.
Un doverso ringraziamento va alla mia instancabile e estremamente
dedita Beta, Leti. Credo che abbia letto questa storia più volte
di me e, nonostante ciò, ancora si prodiga al controllo e alla
revisione delle bizzarrie insite nella mia fantasia. E lo fa con
puntualità (è una macchina!!), passione e molto stile!
Med e tutti gli altri ti sono infinitamente grati! E senza di te questa
storia si chiamrebbe CaccaPupù, lo sai.
Ora, so che vi starete interrogando sul lato sentimentale della storia:
abbiate fede e presto sarete ripagati. Scusate, era una vita che
sognavo di dirlo.
Augurandomi di aver strappato un sorriso a qualcuno e di avervi aiutato
a capire qualcosa di più di quello che sono Med, Bet e ora anche
Jules, ringrazio di nuovo tutti.
Se avete voglia fatemi sapere che ne pensate!
M.o.M