_Πroject Δelta
Capitolo *********
“Mi stai dicendo che
qui dentro Sean ha radunato tutti gli evasori fiscali, gli ubriaconi, i
drogati, gli assassini e gli stupratori in cerca di
redenzione?”
“Esattamente.”
“E
tu che colpa hai?”
“Va’
a dormire, ragazzo.”
A.H. e M.F.
Entriamo in una di quelle stanze con al centro il lettino metallico,
che Alex mi indica poco dopo. “Quello è
l’Animus,” dice avvicinandosi ad alcuni schermi
sulla parete. Continua a parlare dandomi le spalle e compilando un
modulo. “Fu inventato dal dottor Warren Vidic, che ora
gestisce il settore più avanzato del dipartimento, il C18.
Spesso viene a farci visita, uno di questi giorni probabile che avrai
l’onore di conoscerlo. Con lui la nostra sezione ha fatto il
balzo nella storia che a Sean piace tanto celebrare. Le masse qui sono
arrivati a chiamarla macchina
del tempo, ma in realtà funziona in una maniera
ben più affascinante.” Portato a termine quel
lavoretto manuale, Alex posa il modulo da parte e si avvicina al
lettino. La stanza non è molto grande: escludendo i
macchinari che formano un anello attorno al lettino metallico, il
terreno calpestabile basta a sufficienza per ospitare quattro persone.
“È semplice,” riprende Alex.
“In una zona poco nota della corteccia celebrale, ma per noi
dell’Abstergo diventata accessibile, stagnano informazioni
che si tramandano attraverso il DNA. Sono i ricordi genetici,
veri e propri files
archiviati scrupolosamente nella mente umana. L’Animus
è in grado di leggere questi ricordi, metterli in ordine
cronologico e ripercorrere così le vite degli antenati di un
individuo.”
Mi muovo con incertezza accanto alla macchina. Al suo interno sembra
pulsare una grande energia, fasciata in lucide lastre metalliche. Pur
nascondendo un grande potenziale, non produce alcun suono. Tutta la
strumentazione è così avanzata da lasciare nella
stanza un religioso silenzio.
Alex mi lancia un’occhiata. “Ora, non fraintendere,
ma lo sbudellamento
di questa mattina non ha niente a che vedere con i tuoi
antenati,” si sbriga ad aggiungere.
Digita un codice su una tastierina incorporata nel lettino e
all’istante l’Animus risponde con un mugolio
elettronico. Dopodiché una voce femminile computerizzata ci
avverte che i parametri sono impostati; i bagliori della macchina
cambiano tonalità, da azzurrognolo a verde acqua.
“Saremmo pronti per cominciare,” dice il ragazzo,
“ma senza supervisore tecnico non ho il permesso di metterti
nell’Animus. E viceversa se Samantha fosse qui e io no.
È lei l’esperta…”
Restiamo a lungo a fissarci senza dire nulla.
“Quindi io a cosa servo?” domando per rompere il
silenzio, pur conoscendo la risposta.
Il ragazzo si allunga a scegliere una cartella tra le tante ammassate
sull’unico ripiano lasciato libero da schermi e computer. Con
una mano tiene il fascicolo aperto, con l’altra, come
ricordandosene solo ora, apre e si mette gli occhiali sul naso.
“Arder Hayes, giusto?”
Annuisco distratto. Fuori dalle vetrate della stanza
c’è un intenso, insolito e dinamico via vai. Vedo
passare di corsa due medici. Un addetto alla sicurezza si sofferma a
controllare la nostra cella e poi va oltre.
Alex è troppo concentrato a studiare il contenuto della
cartella per accorgersene. Ad un tratto esulta, facendomi sobbalzare:
“Ah, eccoti qui! Hanno scritto male il tuo nome,”
ridacchia apprestandosi a correggerlo con una penna a scatto che estrae
dal taschino del camice.
“Non me ne va una dritta,” borbotto continuando a
guardare fuori. Mi siedo distrattamente sull’Animus con una
coscia e, nonostante l’apparenza gelida del materiale,
avverto un cospicuo calore.
“Praticamente funziona così:” comincia
Alex aggirando la macchina per mettersi di fronte a me.
“Questi Animii
in particolare, dal settore C01 al C10, sono stati settati su
l’unica sequenza genetica di un determinato individuo pescato
nel Rinascimento italiano. In realtà nessuno, a parte Warren
e forse Sean, sanno precisamente come funziona il processo di
sincronizzazione, nel nostro caso. Io come medico devo solo assicurarmi
che i requisiti minimi combacino. Il supervisore, o coordinatore
tecnico, conosce la formula del miracolo che ti fa entrare nel tuo
antenato. Spero di essere stato abbastanza
chiaro…” accortosi che il mio sguardo vaga oltre
le sue spalle, si è voltato a dare un’occhiata.
Sospira e, precedendo le mie preoccupazioni, dice:
“Tranquillo, non è sempre
così.”
Inarco un sopracciglio. “A maggior ragione,
cos…”
Le ante di vetro si spalancano di colpo, e tutto il frastuono
dell’esterno fa capolino nella stanza assieme alla figura
trafelata di una donna che si fionda al computer, senza degnarci
entrambi di uno sguardo. È un gran bel pezzo di femmina,
penso sorprendendo me stesso: alta, rossa, e quel camice ben chiuso
chissà quanto altro materiale interessante si mangia.
“Alla buon ora!” erompe Alex. “Dove sei
stata?”
“A pararti il culo!” sbotta la donna trascrivendo
dei codici sul PC da un foglio che ha in mano. “Quindi ora
sta’ zitto e fammi fare!”
“Perché? Cos’è successo
‘sta volta?” domanda il ragazzo sbuffando.
“Ai piani alti hanno gestito male il server della Sessione
dimostrativa, hai presente, no? Il finimondo di ‘sta
mattina.”
“Hanno risolto un’ora fa, qual è il
problema?” Alex sposta il peso sull’altra gamba.
“Le nostre chiavi non combaciano, ne stanno distribuendo
altre. Perciò ringrazia che ero una delle prime, in fila per
ritirarle!”
“E il settore è nel panico per così
poco?” si stupisce lui.
La ragazza scoppia in una fragorosa risata. “Il settore,
Viego?” fa sarcasmo voltandosi a guardarlo. “Stanno
al buio da qui al settore C16. Dio solo sa cosa viene giù se
Warren scopre questo casino.”
“Quindi è colpa di Trimarchi?” domando
istintivamente.
I due si voltano a guardarmi, interdetti. La donna si è
accorta di me solo adesso che ho parlato.
Dopo un lungo istante di silenzio, Samantha aggrotta la fronte e mi
dice: “Tu non hai voce in capitolo, mezza tacca,”
con molta cortesia, e ricomincia a scrivere concentrata.
Io guardo Alex.
“Saremo in due a doverci abituare,” mi sussurra
fingendosi impegnato a controllare dei valori sul desktop. Poi, (con
coraggio e tutta la mia stima) si rivolge alla ragazza chiedendo:
“Posso avviare intanto che tu sistemi, oppure ho il tempo di
andarmi a prendere un caffè?”
“Sì, sì,” fa distrattamente
lei. “Mettilo dentro, ho quasi fatto.”
Alex annuisce e si avvicina a me. “Sdraiati,” e,
come leggendo la mia espressione, aggiunge: “tranquillo, non
sentirai dolore.”
Mi stendo lentamente e con cautela; le mani di Alex mi guidano a
poggiare la testa su un leggero rigonfiamento metallico che, freddo,
preme all’altezza della nuca. Soddisfatto, il ragazzo esce
dal mio campo visivo.
Nessuno, ma soprattutto Alex, si è accorto che sto fingendo
una certa tranquillità. Mentre fisso il soffitto, pienamente
cosciente della pazzia che io stesso sto lasciando accadere, ascolto
Samantha battere sulla tastiera e Alex trafficare al computer sulla mia
destra.
Non so se scoppiare a ridere o a piangere. È una scena da
film dell’orrore, ma di quelli scrausi in cui finisci sempre
col chiederti perché l’hai affittato. Ho come
l’impressione che da un momento all’altro
verrò lobotomizzato e che non ricorderò una ceppa
di cosa mi è successo o chi diavolo sono queste persone. Il
cervello è un organo miracoloso ma altrettanto pericoloso.
La gente qui sembra giocare col fuoco ogni volta che parla di ricordi e
memoria genetica. Di che razza di esperimento si tratta? Sean
è stato piuttosto vago, nella sua fretta di affidarmi al
dottor Viego, che non è stato certo più chiaro di
lui; ma allora cos…
“Arder, scusami, ma se continui così non possiamo
iniziare.”
Il ragazzo è ricomparso d’un tratto nel mio campo
visivo.
“Qual è il problema, Viego? Il paziente cerca di
morderti?” domanda Samantha ridendo.
Alex la fulmina con un’occhiataccia.
“C’è troppa attività
celebrale,” spiega. “Devi rilassarti,
Arder,” dice rivolto a me.
Annuisco. “Mi disp… AH!” Grido.
Un dolore lancinante mi ha aggredito improvvisamente al braccio destro,
che non riesco a contrarre per via di una stretta ferrea attorno al
polso. Alzo la testa e vedo Samantha estrarre in quel momento dalla mia
carne uno ago spesso come una matita. “MA CHE CAZZO
FAI?!” le sbotto contro, cercando di alzarmi, ma Alex mi
ostacola spingendomi per le spalle nuovamente sdraiato.
La vista mi si offusca, i suoni sono sempre più ovattati.
L’ultima cosa che vedo è il volto dispiaciuto di
Alex, e l’ultima cosa che sento sono le risate della donna
che, mentre l’oscurità si fa padrona, aggiunge:
“Meno male che uno dei due ha le palle per fare queste
porcate, vero Alex?”
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