“Oggi
voglio fare qualcosa di diverso.”
Fiducioso, Islanda l'ha seguito per le
vie affollate del quartiere Jordaan, mancando a più riprese di
farsi travolgere dai turisti, sebbene non sia poi così
piccolo. Il quartiere è decisamente caratteristico, con le
case tutte attaccate l'una all'altra, colorate, gli artisti che si
fanno pubblicità. Se solo guardasse quello, di certo lo
apprezzerebbe.
Ma non vede più di tanto,
sballottato qui e lì e per poco non si perde.
“Jan!” lo chiama, dopo
quasi un'ora di cammino, sollevando un braccio per farsi vedere. Di
lui nota solo la punta dei capelli, insieme ad un aroma di tabacco
che si perde negli odori della folla. Ripete il suo nome, vedendo che
si allontana sempre di più, un po' nel panico, nonostante
sappia di saper uscire da quel quartiere per tornare in albergo.
La punta dei capelli si ferma e lui
riesce a raggiungerlo, aggrappandosi alla sua manica e standogli il
più vicino possibile.
“Non ti piace?” chiede
l'olandese, lasciandolo a pensare, per quasi un minuto, cosa possa
rispondere ad una domanda così diretta. No, il quartiere
sarebbe bello, ma senza tutte queste persone.
“Quando piove è molto più
bello.” aggiunge, senza mostrare segno di essersi offeso.
L'islandese tira un sospiro di sollievo, presto interrotto da una
spallata che lo separa di nuovo da Jan. Ma l'altro è rapido ad
afferrarlo per un polso e guidarlo verso una delle case, aprendo una
porticina e conducendolo all'interno.
Spalanca gli occhi, immaginando già
il proprietario furioso che li caccia via di casa, ma si ritrova,
inaspettatamente, in un cortile, con tanto strada ciottolata, fiori e
statue. Un cortile come non ne vede da moltissimi anni.
“Hofjes.” lo anticipa
Olanda, mostrando lo spazio intorno con una mano, come se dovesse
presentare un'opera d'arte. “Questo è un quartiere
popolare, ma i nobili avevano l'abitudine di creare questi giardini
interni per beneficenza.” gli spiega, portandolo fino alla
panchina e sedendoglisi accanto, prima di accendere la pipa.
Eirik lo osserva, perché quello
sembra in tutto e per tutto un rituale a cui non ha mai assistito.
Segue le sue mani che posano il tabacco, la giusta quantità,
con un movimento particolare, per poi cercare un fiammifero ed
accenderlo. A quel punto l'olandese deve sentirsi osservato, perché
si volta con un'espressione un po' sorpresa.
“Non ti piace la folla, eh? Ci
avrei scommesso.”
Sembra davvero così solitario?
Oppure addirittura sembra il tipo di persona che desidera soltanto
isolarsi? Lo guarda fumare, in silenzio, pensando ancora a cosa
rispondergli. Perché ci avrebbe scommesso?
“Non ti piacciono i turisti.”
aggiunge l'olandese, tirando lungamente e guardando la facciata della
casa di fronte a loro. L'altro si gira ad osservare due passerotti
che saltellano sull'erba, fermo a pensare.
“Non mi piacciono i turisti
irrispettosi, ecco tutto. E mi piacciono i luoghi tranquilli come
questo.” riesce finalmente a rispondere, intrecciando le dita
ed appoggiandosi con i gomiti alle gambe. “I tuoi turisti sono
rumorosi e non guardano dove vanno, ma quella strada mi piaceva.”
A fatica, una parola alla volta, forse
comincia a riuscire a spiegarsi. Non è mai stato molto
semplice, per lui, ha sempre avuto la tendenza ad aggrapparsi alle
sottane letterali del fratello.
“Uhm... hai rovinato il mio bel
programma.” risponde Jan, facendolo trasalire. Quel tono di
voce non gli piace per niente, sembra minaccioso!
“Mi spiace.” si affretta a
ribattere, imbarazzato ed un po' a disagio, raddrizzando la schiena e
guardandolo. Di sicuro non si aspetta quel sorriso furbo che vede
sulle sue labbra.
“Ehy, sono così
inquietante?” chiede, ridacchiando e muovendo tra le dita la
pipa spenta. Ha già finito? Non ha la più pallida idea
di come funzioni una pipa, a dire il vero... si possono spegnere e
riaccendere?
“Ah! No! Non lo sei!”
mente, imbarazzato, gesticolando con le mani davanti al volto. “Ma
sei la mia guida e sei gentile e...!” si blocca, abbassando lo
sguardo alle dita che sta tormentando e sentendosi un po' stupido.
“Non volevo...”
Il suo interlocutore resta in silenzio,
ad osservarlo, poi sorride. Un sorriso diverso da quello di prima,
luminoso. Un sorriso che lo rilassa senza che sappia come diavolo
faccia.
“Non avevo voglia di andare nel
caos, oggi, quindi è come se tu mi avessi letto nel pensiero.
E ora che abbiamo appurato che non ti va' di stare qui, direi che
possiamo andare dove avrei voluto stamattina. Abbiamo ancora
moltissimo tempo prima di stasera.” annuncia, alzandosi e
facendo sparire la pipa nella giacca.
Stasera? Lo guarda, con la testa
leggermente voltata di lato, senza capire. Solitamente di sera torna
in albergo, no? Che vuole fare?
“Cosa c'è stasera?”
cede finalmente alla curiosità, seguendolo verso la folla.
“Questa è una sorpresa.”
Seppur conoscendolo da pochi giorni,
l'idea che si è fatto di Jan è abbastanza chiara. Con
quell'atteggiamento da teppista, gli sembra uno di quei ragazzi degli
anni ottanta, con quei capelli assurdi e l'aria strafottente, con la
pipa sempre in bocca.
E poi, Islanda lo sa, l'Olandese è
ricco. Quindi è esattamente come quei finti ribelli anni
ottanta in sella ad una motocicletta.
Per questo, quando gli dice che
dovranno prendere la macchina, Ice si immagina subito una sportiva
anni sessanta, tirata a lucido, una di quelle macchine che sembrano
fatte apposta per rimorchiare.
Quindi è possibile immaginare
quale sia la sua reazione nel ritrovarsi di fronte ad una macchinina
squadrata nella quale teme dovrà fare un buco nel tettuccio
per entrare. Rossa, per carità, quindi almeno in qualcosa
somiglia a quella delle sue aspettative... ma è pur sempre una
scatoletta.
“Non è come l'immaginavo.”
commenta, osservando l'olandese incastrarsi dentro l'auto. Ecco cosa
sembra, la macchinina dei Lego!
“Vero? È bellissima! La
mia bambina!” esclama Jan, entusiasta, mentre Eirik si infila a
fatica attraverso la portiera, sussultando quando si rende conto che
il sedile è veramente basso.
“Adorabile.” ribadisce, con
una smorfia.
L'olandese sembra non capire il
sarcasmo o, forse, è troppo preso dall'auto per rendersene
conto. Poco male, ricorda le discussioni sulle auto scoppiate con
Dan, quindi è molto più sano evitare.
“È molto lontano?”
chiede, genuinamente incuriosito.
Il paesaggio è diventato subito
diverso, una volta usciti da Amsterdam. Le case diventano tipiche,
anche se le vede da lontano, visto che prendono l'autostrada.
“Non molto, ci vuole un'ora e
mezza per andare fino a lì, ma ne vale decisamente la pena.”
risponde l'olandese, guardando la strada, per poi sorprenderlo quando
indica qualcosa dalla propria parte, fuori dal finestrino.
“Di là c'è il
Markermeer, è un lago artificiale, non il vero mare. Ha preso
il nome da una penisola, Marken... è molto tipica, per lo più
ci sono pescatori...” gli spiega, prima di chiudere il
finestrino, visto che non fa caldissimo.
L'auto fa un rumore infernale, come se
dovesse abbandonarli da un momento all'altro. Sgrana gli occhi,
aggrappandosi al sedile. Del mare nessuna traccia... tanto che
comincia a pensare che Jan lo stia prendendo in giro.
“Come mai sei qui?” domanda
Jan, dopo qualche minuto di silenzio.
L'altro lo osserva, non capendo proprio
benissimo. Non ha deciso lui di portarlo in un posto misterioso,
senza dirgli nulla?
“Voglio dire... Dan mi ha detto
che avevi bisogno di...” aggiunge, forse nel tentativo di far
conversazione, più che voler sapere i fatti suoi.
Scuote la testa, nonostante questo,
sospirando. Non sono cose di cui gli va' di parlare. Proprio perché
ormai non lo fanno soffrire come prima, vuole evitare di pensarci.
Sta bene, così, guarda fuori dal finestrino e se lo ripete,
mentre il paesaggio scorre.
Qualcosa gli dice che tutto non vada
troppo bene, invece.
Un'ora e mezza di macchina dopo, quello
che lo aspetta non ha nulla di particolare o culturale e questo lo
sorprende abbastanza.
Qualcosa di diverso, ha detto, però...
quella sembra una struttura moderna e sono a qualche chilometro da
Amsterdam. Che cosa sarà?
“Ti piacerà, sono sicuro.”
mormora l'olandese, guidandolo verso l'entrata. Islanda sta con le
mani intrecciate, a tormentarsele, come ogni volta che si ritrova in
un posto nuovo.
Lo segue, sentendo la temperatura
abbassarsi a mano a mano che si addentrano nel corridoio. Prende nota
dell'olandese che paga, chiedendosi perché non gli dica nulla,
visto che vuole pagare anche lui e solo quando vede lo stand dei
pattini a noleggio si illumina.
Quella -dev'essere gigantesca, viste le
dimensioni all'esterno- è una pista di pattinaggio.
Come gli sia venuto in mente di
portarlo lì, quando per pattinare potrebbe benissimo andare
sotto casa, è un mistero, ma lo trova un bel gesto, in fondo.
“Non è proprio una meta
turistica...” sussurra, ma è già felicemente
diretto verso il noleggio pattini, come se si trovasse di nuovo nel
proprio habitat naturale. Sente lo sguardo di Jan seguirlo, ma non ne
è imbarazzato per nulla, tutta la propria attenzione è
rivolta al ghiaccio ed alle espressioni delle persone intorno.
Se deve essere sincero, non pattina da
quasi un anno, quindi si immagina fare cadute tremende, così
poco allenato com'è. Ma non importa. Andare a divertirsi sul
ghiaccio fa parte di tutte quelle cose che faceva con lei e non
avrebbe mai ripreso a fare, se non messo di fronte alla cosa in
questione.
“In realtà è
un'arena molto importante, parecchi grandi artisti ci hanno cantato e
si fanno qui le selezioni nazionali di Miss Universo.” lo
informa l'olandese, facendogli fare un sorriso di traverso.
“Oh, capisco, Miss Universo...”
ripete, con un tono insinuante, ma con quel sorriso furbo sulle
labbra. Come biasimarlo? Sono uomini entrambi, no?
Ned non risponde ed Islanda si ferma a
guardare un volantino appoggiato accanto alla cassa, sgranando
leggermente gli occhi.
Thialf. Quel luogo si chiama Thialf.
Il sorriso si allarga e ripiega il
volantino per infilarselo in tasca, con l'intenzione di fargli
raggiungere i suoi compagni stipati in valigia. Ha quell'abitudine da
moltissimo tempo, ormai, probabilmente dalla prima volta in cui Dan
l'ha portato in Francia per una riunione, facendolo assistere per poi
premiare la sua pazienza con un giro nei musei. Gli piace
collezionare cose. Ricordi. Con le foto è molto più
cauto, ma i souvenir occupano spesso gran parte della sua valigia.
Indica il numero di entrate con le
dita, cercando di capire cosa dica la ragazza della cassa -e cosa,
soprattutto, abbia da ridacchiare-, ma riuscendo a pagare e capire il
minimo indispensabile. Certo, olandese ed islandese hanno una radice
comune, ma è comunque abbastanza complicato esprimersi.
“Sei praticamente olandese.”
commenta, ammirato, Ned, mentre si dirigono verso i pattini.
Lui lo fissa, perplesso, poi torna
all'argomento precedente, senza commentare questo. Era un
complimento?
“Thialf. Vorrei sapere cos'è
saltato in testa a chi ha dato il nome a questo posto...”
ribatte semplicemente, scuotendo la testa, ma decisamente di buon
umore. Può sentirsi più a casa di così?
“Uhm, se non sbaglio è il
nome di una divinità della corsa?”
Scuote ancora la testa e restando a
guardarlo mentre litiga con i pattini. A tratti gli ricorda Dan,
anche se è molto meno scemo.
“Þjálfi è uno
dei servitori di Þórr. E sì, effettivamente
nell'Edda deve correre. Útgarða-Loki gli fa sfidare il
pensiero stesso. Ovviamente perde la corsa, ma solo per pochissimo.”
riassume, con l'espressione di ammirazione che assume ogni volta che
gli capita di parlare del proprio poema nazionale, il proprio
orgoglio.
L'olandese lo fissa dall'alto,
leggermente perplesso, essendo riuscito a trovare un certo equilibrio
sui pattini e lo segue, chiedendosi se non abbia per caso esagerato.
Quando parla dell'Edda tende a farsi trasportare dall'entusiasmo.
“Credevo che l'islandese fosse
più violento, visti tutti quei segni e i nomi dei vulcani.”
commenta infine Jan, facendolo ridacchiare.
“Tutti lo credono.”
“Invece è bello.”
Arrossisce per il complimento
inaspettato -nemmeno parlasse di lui!- e si lancia sulla pista per
non farsi vedere, salvo sentire un tonfo alle proprie spalle e
ritrovarsi a fissare l'olandese a gambe all'aria.
“Tutto ok?” chiede,
vedendolo abbastanza dolorante e tendendogli una mano per farlo
rialzare. Salvo poi assistere a cinque minuti buoni di cadute nella
medesima posizione prima di riuscire finalmente a rimettersi in
piedi.
Islanda cerca, cerca davvero, di non
ridere, ma l'espressione dell'altro è troppo buffa,
imbronciata e stizzita com'è.
“Non ridere.” borbotta lui,
appoggiandosi alla ringhiera a bordo pista e strisciando i piedi con
le gambe rigide, fissandole con una faccia perplessa.
“Non sai pattinare?”
domanda Eirik, stupito, guardando quel movimento tanto buffo. Stupito
perché è stato lui a portarlo lì e di certo non
si aspettava che non sapesse stare in piedi sul ghiaccio.
“Credevo fosse meno difficile.”
biascica Olanda, distogliendo lo sguardo verso gli altri pattinatori,
imbarazzato. Che un adulto grande e grosso come lui possa
imbarazzarsi in quel modo gli sembra impossibile, ma tant'è.
Ridacchia a sue spese, porgendogli la
mano e pattinando all'indietro, trascinandolo e facendolo scivolare
lentamente. Con la sua postura rigida sembra un grosso orso sulla
banchisa.
Gli stringe la mano come se quella
potesse veramente impedirgli di cadere. Ma da un dirupo, non sul
ghiaccio.
Lo trova quasi tenero.
“Rilassati, piega le gambe e fai
come se camminassi.” gli consiglia, prendendogli anche l'altra
mano per non sbilanciarlo troppo da un solo lato. Ci manca solo che
cadano entrambi. In quel caso sembrerebbero orsi ubriachi, altro che!
“Non credo di poter veramente
fare tutte quelle cose insieme.” borbotta Ned, quasi
imbronciato.
Lo fa ridere un'altra volta, perché
il suo imbarazzo, legato alla sua apparenza burbera da teppista, lo
diverte decisamente troppo e finiscono per battibeccare come bambini
per un'ipotetica offesa alla virilità olandese.
Ci vuole circa un'ora per far capire
all'uomo il concetto di 'sollevare i piedi per non sembrare un
vecchio orso polare pigro' e alla fine riesce a mettere in fila
qualche passo, tra i continui tonfi, rendendolo felice come un
bambino, mentre scivola sul ghiaccio, goffamente, accanto ad un
islandese fiero di sé.
“A cosa pensi?”
La domanda di Jan lo fa sobbalzare,
tanto è preso dal corso dei ricordi. Fissa prima lui e poi la
tazza di cioccolata ormai tiepida, la panna quasi intoccata
tristemente afflosciata su se stessa.
Si affretta a darle il colpo di grazia,
mangiandola in due rapide cucchiaiate, sorseggiando poi la bevanda.
“Pensavo...” mormora,
quando posa la tazza. A cosa, di preciso? Ha cominciato a ricordare
l'ultima -ed unica- volta in cui ha insegnato a qualcuno a pattinare,
per poi perdersi in dettagli insignificanti, come la lunghezza ed il
colore dei capelli di lei ed il modo in cui essi avevano l'abitudine
di arruffarsi e soffocarlo durante la notte, quando dormivano
insieme.
Ricordi insignificanti, quelli, che gli
lasciano un retrogusto amaro, ma non il solito soffocato dolore.
Essere lontano dai luoghi che hanno generato quelle immagini è
davvero un bene, allora.
“L'unica persona a cui abbia mai
insegnato a pattinare era la mia ragazza. Quindi è un po'
strano ripensarci, dopo tutto questo tempo.” mormora, giocando
con il cucchiaino. “È passato un bel po' da quando mi
ha lasciato, ma ogni tanto qualcosa me la fa ricordare.”
Solleva leggermente lo sguardo verso
l'olandese, quasi vergognandosi per quella confidenza, ma è
sollevato quando non vede né scherno né pietà.
“È normale. Cioè,
io... Non mi è mai successo, ecco, però a volte mi
capita di sentire la mancanza di qualcuno, semplicemente guardando
qualcosa o tornando in un posto. Mi viene subito voglia di chiamare e
dire di raggiungermi.” ribatte quello, annuendo.
Non è proprio la stessa cosa, ma
apprezza l'appoggio morale, nonostante lo veda un po' abbattuto.
Soffre forse di solitudine?
“Quando trascorri cento anni con
una persona finisci per riempirti di ricordi, per qualunque cosa,
anche minima.” aggiunge Eirik, mordicchiando il cucchiaino.
“Per qualche motivo non ti vedo
impegnarti per tutto quel tempo.” ammette l'altro, irritandolo
un po'. Deve accorgersene, perché si affretta a precisare:
“Sembri troppo giovane.”
E la cosa gli fa scattare il
sopracciglio.
"Guarda che ho il doppio dei tuoi
anni."
Jan sembra stupito e boccheggia un
momento, prima di assumere nuovamente la solita espressione da
teppista.
“Ma sembri più giovane,
quindi è legittimo pensarlo.” borbotta, nervoso.
“Ah! Non te l'aspettavi, eh?!”
chiede l'islandese, sembrando un ragazzino esaltato e provando così
l'affermazione di Ned, che lo fissa da sopra il proprio bicchiere
vuoto di birra, indecifrabile. “Lo ammetto. Ma è molto
interessante.”
Per qualche motivo, il suo sorriso gli
provoca un brivido.
Ma non è affatto una brutta
sensazione.
Quattro tazze di caffè dopo, che
corrisponde all'incirca ad un'ora e mezza di tempo umano, la
discussione si è spostata sulla musica. Ovviamente non
concordano. Trascorrono il tempo a non concordare e questo su
qualsiasi cosa.
Eirik ama la musica classica. Non si
direbbe, vista l'aria scombinata che ha assunto a causa del caffè,
si direbbe più un tipo da jazz, a questo punto, esattamente
come Jan. Il fiocco dell'islandese, con cui Eirik ha giocato
quarantacinque minuti buoni, rischiando di fermarsi la circolazione
nelle mani, è ora legato intorno al polso dell'altro, dopo che
gli è stato da lui confiscato dopo uno strano sguardo alle
mani incastrate.
Ora esibisce un bel fiocco al polso,
che Islanda stesso ha fatto, sostenendo che, se proprio voleva quel
nastro, allora doveva anche legarlo, altrimenti non ci sarebbe stato
gusto.
“Sei un tipo poco
raccomandabile.” commenta, la voce resa leggermente altalenante
nel tono a causa dell'agitazione da caffeina. “Il jazz è
adatto, è il genere che ascolta l'uomo a cui non presenteresti
mai tua figlia.” cita, non ricordandosi da dove, rimaneggiando
il tutto.
L'olandese sembra offeso, smettendo di
giocare con il fiocco. “Non mi presenteresti a tua figlia? Mi
sento una guida incompresa e sottopagata.”
Per un attimo si chiede se, per caso,
Dan non lo paghi per davvero per seguirlo ed assicurarsi che si
diverta, poi scuote la testa, trovandolo assurdo.
“Le mie figlie ti mangerebbero
vivo, temo.” commenta, con un'alzata di spalle.
“Chi è che è poco
raccomandabile?” ribatte Jan, leggermente inquieto.
“Ma è nella loro natura,
sono vulcani. Tu invece hai quell'aria da teppista, con i capelli
stupidi e quelle sopracciglia che... Che disgrazia farti sposare...”
sospira, con aria disperata. Come se dovesse veramente trovargli
moglie.
“Vuol dire che tu non mi
sposeresti?” chiede l'olandese, apparentemente offeso. Le sue
reazioni, nonostante, sì, effettivamente tentare di ragionare
sotto caffeina non è l'idea più brillante del mondo, lo
confondono parecchio, ma è abbastanza poco lucido da seguitare
nella discussione.
“Jan, non so come dirtelo, ma non
hai abbastanza seno.” vaneggia quello, intossicato dal caffè,
con aria mortalmente seria.
Ned scoppia a ridere. Sembra si sia
trattenuto fino a quel momento.
“Eirik, Eirik, devi bere caffè
più spesso, sei divertente!” esclama, prima di
controllare l'ora. “Riesci ad alzarti? Se non partiamo ora non
saremo mai ad Amsterdam in orario...”
La sorpresa! Lo segue il più
rapidamente possibile verso il parcheggio, divertendolo,
probabilmente. Dice ancora qualcosa a proposito del caffè, ma,
nell'esatto momento in cui si siede in quella macchina per nani, si
addormenta.
Sì, il caffè ha uno
strano effetto sul suo organismo, decisamente.
“Ehy, non vorrai mica farti
prendere in braccio...”
Apre gli occhi, sentendo male ovunque,
chiedendosi dove sia, cosa ci faccia in quelle scatola da scarpe -ah,
no, è un'auto, ha anche i finestrini- e perché sia
finito proprio lì, prima di ricordarsi che si è
addormentato di colpo e vergognarsi come un cane.
“Ah! No!” scatta e fa per
alzarsi, ma prende un colpo in testa, rannicchiandosi immediatamente
per soffrire in silenzio. Sente una mano estranea farsi largo tra i
capelli e stupidamente si sente meglio. Deve aver battuto la testa
molto forte.
Si volta dolorosamente verso di lui e
mormora: “La sorpresa?”
All'olandese sfugge una risatina,
probabilmente perché ha un'espressione talmente assonnata da
risultare buffo. Si imbroncia leggermente, ma aspetta una risposta e
l'altro se ne accorge.
“Non sei stanco?”
Scuote la testa, anche se si farebbe
volentieri portare in braccio fino al letto. E magari farsi sistemare
anche le coperte addosso. Quello sarebbe indubbiamente comodo.
“Uhm... Facciamo così.
Cena e verso le sette e mezza mi dici...” inizia Ned, subito
interrotto.
“Sto bene, non sono stanco... Ci
vediamo per quell'ora.” mormora Islanda, scendendo dall'auto.
Sta chiudendo la portiera, quando l'olandese gli blocca un polso,
facendolo sussultare.
“Hai degli abiti eleganti?”
chiede, sorprendendolo. Non lo vorrà per caso portare a corte,
no? Annuisce ed è immediatamente liberato, prima di restare a
guardare, come inebetito, l'auto che se ne va'.
Sbaglia a pensare di averlo visto
arrossire?
E perché, poi, fa tanto caldo?
Gli abiti eleganti gli piacciono. In
famiglia hanno tutti un certo amore per le camicie e pensa di aver
ereditato quel bisogno di apparire al meglio in ogni situazione un
po' da tutti. Non è proprio narcisismo, perché ormai si
tratta di movimenti automatici, quelli con cui sceglie le camicie
migliori ed i vestiti più adatti alla circostanza, lo fa
veramente... per far capire alle persone che ci si mette d'impegno,
per incontrarle.
Questo ragionamento è davvero
poco chiaro, ma ogni volta che ci riflette, all'incirca la
conclusione è sempre la stessa.
Si guarda allo specchio, imbarazzato,
cercando ancora di capire che occasione sia, quella e se sia il caso
o meno di abbottonarsi fino in cima e mettersi un papillon. Fosse una
riunione, un ricevimento... forse sarebbe meno agitato.
Jan non ha parlato di altre persone,
vero? Sono soli?
Lancia un'occhiata all'orologio e
decide che è tempo di uscire, visto che mancano solo una
decina di minuti all'appunta... mento. Oh Thor. No, ma intendeva...
un luogo ed un'ora prefissati, come dal medico, non di certo un
appuntamento tra...
Si affretta verso la Museumsplein,
sentendosi il viso rossissimo e cercando di calmarsi.
Aiuta poco la chiamata in entrata da
parte di Dan. Maledice il cosmo intero e risponde, cercando di non
balbettare.
“Ci chiedevamo come avessi
trascorso la giornata!” esclama, tutto contento.
Quell'entusiasmo gli dice a cosa si riferisca quel 'noi' ancor prima
di porsi consciamente la domanda.
“Saluta Nor.” ribatte,
sentendo nascere un sorriso sulle labbra. Sarà anche strano,
ma non può che essere contento quando sa che sono insieme.
“Ti saluta anche lui. Con la
mano.” ribatte il danese, ironico, prima di lasciarsi andare a
svariati versi di dolore che fanno da sottofondo alla vendetta
norvegese. “Ahi! Ahi! Nor, sono al telefono con Eirik,
insomma!” protesta, ridacchiando ed il ragazzo riesce ad
immaginarsi perfettamente il fratello che si calma ed appoggia il
mento sul braccio di Dan, guardandolo dal basso.
A volte quei due lo preoccupano.
“Sono andato a pattinare... è
stato bello, ma ho dovuto insegnare a Jan...” racconta,
sforzandosi di sembrare scocciato ed accelerando il passo quando vede
che ore sono.
“È stato difficile?”
chiede l'altro, ridacchiando. Probabilmente ha un'idea abbastanza
precisa di quanto sia goffo l'olandese.
“Non hai idea.” risponde,
divertito, immettendosi nella folla serale del Museumsplein. I musei
chiudono e sembra che abbiano ospitato più persone di quelle
che effettivamente potrebbero.
“Ah! Non sei in albergo?”
“No, ho un appuntamento sulla...”
inizia, senza possibilità di replicare, perché dal
ricevitore proviene un discreto urlo, mescolato ad un borbottio basso
in cui riconosce un 'bravo Eirik, bravo' che un po' lo inquieta.
Possibile che nessuno capisca il senso
della parola appuntamento?
“Ti lasciamo al tuo appuntamento,
allora, noi riprendiamo il nostro.”
“Nei tuoi sogni.”
“Sei cattivo, Nowu.”
E con questo, la telefonata termina,
probabilmente interrotta da uno dei due che ha schiacciato il tasto
sbagliato... e non vuole sapere il resto.
Resta con il telefono in mano, basito,
per qualche secondo, prima di sentirsi picchiettare sulla spalla e
voltarsi, per ritrovarsi di fronte l'olandese, con un bel sorriso sul
volto, vestito di tutto punto.
Resta a guardarlo per un po', mentre la
testa gli dice che, sì, obiettivamente è un bell'uomo,
soprattutto con i capelli che gli ricadono sugli occhi, ma che i
crampi alla pancia non sono una reazione tanto normale. Ribatte
sottolineando come sia tutta colpa sua, salvo poi rendersi conto del
monologo mentale e vergognarsene molto.
“Sei... diverso.” commenta,
indicandolo.
Lo vede sussultare e poi distogliere lo
sguardo. “Ero in ritardo e non ho sistemato i capelli.”
Si nota, ha un ciuffo perfettamente
dritto in testa. Si alza sulle punte per sistemarlo e si riabbassa
con estrema lentezza, come un ladro colto sul fatto, quando si
accorge del gesto.
Non era quello che intendeva, comunque.
“Mhm... questa sorpresa?”
chiede, scrollando la testa e guardando altrove. La folla li sta
guardando? Che imbarazzo...
“Di qua.” risponde
semplicemente, porgendogli il braccio ed aspettando che si appenda...
no, ma è serio? Non è mica la sua dama... Resta due
buoni minuti a fissare quel braccio e, vedendo che l'altro non sembra
desistere, si arrende ed afferra il suo polsino tra indice e pollice,
sperando che non chieda nulla di imbarazzante.
Le sorprese lo mettono a disagio. Non
sa perché, ma sapere che qualcuno prepara qualcosa di
nascosto, aspettandosi una reazione positiva, lo manda in crisi. Deve
sembrare felice per forza? E se la sua espressione deludesse l'altro?
No, non gli piacciono le sorprese...
Ma quando arrivano di fronte al palazzo
e legge i manifesti appesi fuori si dice che, in fondo, non sono così
male.
“Ti piace Schubert?” chiede
l'olandese, un po' nervoso.
Gli risponde con un sorriso ed
annuisce, prendendolo per il polso e trascinandolo dentro alla sala
da concerto, al settimo cielo.
Il finale perfetto per quella
giornata... come avrebbe potuto immaginarlo?
Angolino
dell'autrice
Qui
potete trovare foto e spiegazioni per il capitolo.
Mi scuso
moltissimo per il mancato aggiornamento, ma ho esami/vita/condizioni
psicofisiche che mi rallentano parecchio nella rilettura... spero che
il capitolo vi sia piaciuto, comunque <3 Da qui in poi saranno
piuttosto lunghetti, spero non vi dispiaccia, ma devono succedere
molte cose in pochissimo tempo!
Fatemi
sapere cosa ne pensate tramite una recensione o un breve commento
sulla
mia
pagina di Facebook,
grazie per la lettura!
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