Voce di Bambola

di KuromiAkira
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Questa è la storia di una bambola.
Una bella bambola fabbricata a mano, con lunghi capelli rossi e grandi occhi azzurri, dal viso gentile e coperto di lentiggini.
Mentre veniva creata sentiva la voce della sua creatrice, la sua mamma, che sussurrava promesse di una vita magnifica.
- Donerai il sorriso alle bambine, semplicemente stando con loro - , diceva, - sarai loro amica e confidente, le sosterrai quando saranno tristi e, mi auguro, ti terranno in buone condizioni per tanto, tanto tempo. -
La piccola bambola, curiosa e impaziente, ascoltava quelle parole giurando di fare il suo dovere e di rendere felice la bambina a cui sarebbe stata donata.
Il momento della partenza fu affrontato con timore. La bambola venne chiusa in una scatola e lei aveva paura del buio. Lì dentro tremava e chiedeva aiuto, veniva sballottata di qua e di là senza capire dove stava andando.
Con gli occhi coperti dalle manine, la piccola bambola ricordava le parole della mamma e, certa che prima o sarebbe stata recuperata, si faceva coraggio e attendeva il giorno in cui sarebbe stata tirata fuori dal contenitore e sarebbe stata di nuovo a contatto con l'aria e la luce.
Quando finalmente la scatola venne aperta, la prima cosa che vide fu il viso di una bambina. Il suo nome era Marina, era una dolce bimba di sei anni che viveva da sola con la madre e la nonna. I capelli biondo cenere erano raccolti in due graziose codine e gli occhi chiari la rendevano simile, a sua volta, a una bambolina.
Dapprima con la bocca aperta dallo stupore, poi con un sorriso, la giovane prese in mano la bambola, le carezzò i capelli e il vestito come se non avesse mai visto qualcosa di simile in vita sua.
- Ti piace, tesoro? Vai a ringraziare nonna Augusta per il bel regalo - disse la mamma della bambina, abbassandosi appena verso la figlia.
Tenendo stretta la bambola al petto, Marina corse ad abbracciare la nonna per quel primo regalo che aveva ricevuto da lei. La nonna le ripeteva sempre di non avere molti soldi e non riusciva più a muoversi come prima quindi non poteva prenderle nuovi giochi, eppure quel giorno le aveva lasciato un pacchettino vicino al lettino, attendendo che tornasse da scuola. Il dono era quindi molto gradito.
- Grazie, nonna! - sussurrò la bambina, - È bellissima! La terrò per sempre con me! -
La piccola bambola arrossì per quel complimento. Grazie, bambina., pigolò, Qual'è il tuo nome?
Ma Marina non le rispose, continuava a guardare alla nonna, godendosi le coccole e continuando a stringere la bambola, come se non l'avesse sentita.
L'anziana donna sorrise, osservando anche lei il giocattolo. - Le devi dare un nome - consigliò la nonna. - Scegli quello che più ti piace. Un nome come quello delle principesse che ti piacciono tanto. -
Ma a Marina piacevano tante principesse, e tanti nomi. Decise quindi di chiamare la bambola con un nome diverso ogni giorno. Fu così che la bambola ebbe un giorno il nome, Sissi, l'altro Isabella, l'altro ancora Esmeralda e persino lo stesso nome della bambina, Marina. Fino a che, mentre la piccola ancora decideva che nome avrebbe dato alla sua compagna di giochi quel giorno, la madre entrò nella sua cameretta, con gli occhi lucidi e tentò di spiegare alla figlia che la nonna non c'era più e ora la stava guardando dal cielo.
La bambina capì che non avrebbe più rivisto la sua cara nonna e pianse tutto il pomeriggio. La povera bambola tentava di consolarla, la abbracciava e le sussurrava che non poteva essere vero, avrebbe certo incontrato ancora la sua nonna, ma la sua amica non la sentiva e la bambola divenne triste come la sua padroncina.
Quando, verso sera, Marina si fu calmata, carezzò la bambola e, tirando su col naso, le sussurrò queste parole: - Ho deciso il tuo nome. Ti chiamerai Augusta, come la mia nonna, e sarà il tuo nome per sempre. -
La bambola annuì e le promise che non avrebbe mai avuto altri nomi.
Col suo nuovo nome, che la rendeva orgogliosissima, Augusta passava giornate felici insieme alla sua amica, ascoltandola quando tornava da scuola, scoprendo quanto erano noiose alcune materie, quanto era dolce la sua compagna di banco Antonella e che monello era Mattia, che le faceva cadere sempre i pennarelli quando passava vicino al suo banco. E la bambola sorrideva e cercava di darle consigli, sperando che Marina la sentisse.
E la sua serenità non venne intaccata per molti altri anni ancora, nemmeno quando Marina, appena finita la merenda, invece di parlare con lei doveva fare i compiti e nemmeno quando cominciò a uscire al parco con gli amichetti accompagnata dalla mamma, e nemmeno quando, alla fine, fu riposta in una mensola e spazzolata solo ogni tanto.
Augusta attendeva fiduciosa, sapeva che la sua amica ora era impegnata ma era certa che appena ne avesse avuto il tempo avrebbero giocato ancora insieme, avrebbero fatto merenda in cucina, magari sporcandosi i vestiti e chiedendo alla mamma di lavarli.
Illusa, le diceva l'orsacchiotto vicino a lei, non vedi che ormai è cresciuta? Non gioca più con noi, ora esce con gli amici.
Rimarremo qui, a prendere polvere, si lamentava un'altra bambola, la Barbie, prima mi cambiava i vestiti ogni giorno, mi pettinava e mi faceva parlare con le mie sorelle, ora sono qui, seduta scomposta, con solo una scarpa e lei non mi guarda nemmeno più. Ma la piccola Augusta non voleva credere alle loro parole, trovava l'orsacchiotto molto antipatico e la bambola vicino a lei molto snob e continuava ad aspettare, guardando Marina crescere, entrare nella stanza in lacrime perché la madre non la faceva uscire col ragazzo, cambiare il suo bel colore di capelli, e tagliarseli nei modi più strani. Si rattristò per lei quando ci fu il dramma degli occhiali, che secondo Marina la facevano brutta, che ad Augusta non pareva proprio ma le dispiaceva ugualmente.
Allora si rassegnò, all'idea di rimanere in quella mensola, ma era comunque felice di poter vedere tutti i giorni la sua amica, anche se lei continuava a non sentire le sue parole di conforto.

- Le tieni ancora in camera, i vecchi giochi? - chiese Giorgia, la migliore amica di Marina, mentre l'aiutava a sistemare la sua camera per il trasloco.
La ragazza ormai diciannovenne, tornata al colore naturale dei capelli e sostituendo gli occhiali con le lenti a contatto, andò verso la mensola, guardando i suoi vecchi compagni di mille avventure. - Mi spiace buttarli. Guarda questa bambola -, disse, prendendo la piccola Augusta e sistemandole i capelli come faceva tanti anni prima, - me la regalò mia nonna poco prima di morire. Praticamente il primo e ultimo regalo che ho ricevuto da lei! Se avrò una figlia femmina, le regalerò questa bambola - affermò, sorridendo all'amica.
Giorgia rise. - Non morire dopo, però - ironizzò.
Ma Augusta, che avrebbe certamente risposto a tono alla ragazza, non aveva sentito le sue scherzose parole. Lei era onorata di poter essere la bambola della figlia di Marina, un giorno, e di nient'altro le importava se non della promessa che avrebbe donato il sorriso anche a lei.
La piccola bambola dovette rivivere l'incubo della scatola stretta e buia, durante il trasloco. Venne però sostenuta dai suoi amici, persino l'orsacchiotto antipatico le fece una carezza sulla testa per confortarla. E lì, stretti stretti nella scatola, rimasero per molto tempo, così tanto che Augusta temette di restarci per sempre.

Quando finalmente venne presa nuovamente in mano da qualcuno, questo qualcuno era una bambina dai capelli neri ricci e gli occhi scuri, tanto diversa dalla sua Marina, ma dalla stessa espressione sorpresa che ricordava sul viso dell'amica tanti anni prima.
- Eccola, Sara! Brava! Quella è proprio la bambola che mi ha dato mia nonna - esclamò una donna, fermandosi appena in tempo per evitare di inciampare su uno scatolone della loro soffitta.
Benché cresciuta, Augusta non poté non riconoscerla. Era lei, finalmente Marina era tornata!
Sei tornata a prendermi! esclamò la bambolina, a cui non importava quanti anni erano passati dall'ultima volta che l'aveva vista. Ero certa che l'avresti fatto!
Ma Marina ancora non l'aveva sentita, raccolse alcuni oggetti sparsi per il pavimento, riponendoli dove non sarebbero stati pericolosi per l'incolumità sua o della bambina.
- Posso tenerla io, mamma? - chiese Sara, guardando la donna.
- Ma certo. Sai, l'avevo chiamata Augusta. - rispose lei, ridacchiando.
La bambina storse il naso. - Ma è un nome da vecchia. Io la chiamo Stella, come la Winx! -
E a nulla servirono le lamentele della piccola bambola, invano cercava di spiegare a Sara che il suo nome era e sarebbe sempre stato Augusta, l'aveva promesso! Nemmeno la piccola, come Marina, riusciva a sentire la sua voce.
A parte la questione del nome, la bambola si divertì molto con la figlia di Marina. Sara portava Augusta sempre con sé, anche se gli amichetti di scuola la prendevano in giro. Aveva qualche dubbio sulle sue nuove amiche, le altre bambole della bambina, che lei trovava ancora più snob di Barbie: non si accontentavano di avere tanti vestiti, avevano anche la casa, la roulotte i capelli colorati... a lei bastava il vestitino bianco e celeste, semplice e comodo e amava i suoi capelli rossi.
Sara diceva che erano belli e che avrebbe voluto anche lei quel colore, ma la sua mamma diceva che era già bellissima così.
Anche Augusta le assicurava che quel nero brillante era stupendo ed era lei che, quasi quasi, invidiava quei bei riccioli corvini ma il broncio di Sara rimaneva e la bambolina sospirava sconsolata, rassegnandosi al fatto che nessuno poteva sentirla.

Accadde una sera che Sara, allontanandosi dal papà mentre tornavano a casa, volle specchiarsi sul fiume insieme alla sua bambola preferita e ci cadde dentro.
L'uomo, accortosi subito del fatto, afferrò la bambina e la tirò velocemente fuori dall'acqua.
Tenendola poi stretta a sé, ma sgridandola per l'imprudenza, corse verso casa.
La piccola bambola però rimase lì, in acqua, trascinata dalla corrente.
Non lasciatemi qui! gridava disperata, tenendo lo sguardo fisso sulle sagome che ormai si stavano allontanando. Devo rimanere per sempre con Sara, l'ho promesso! Non abbandonatemi!
Venne presto portata lontano e, sola al buio e al freddo, Augusta pregò che le due sue amiche la ritrovassero e pianse tante, tante lacrime per giorni che le sembravano anni, ancor più lunghi di quelli trascorsi nella scatola, dove era almeno con gli altri amici giocattoli, rendendosi conto che nessuno l'avrebbe sentita e che sarebbe stata abbandonata lì, nonostante gli anni di divertimento con quelle due dolci bambine che non potevano, come tutti, che dimenticarsi prima o poi persino del loro giochi prediletti benché cercasse di illudersi del contrario.
Esausta e disperata, Augusta smise di chiedere aiuto rimanendo semplicemente lì, incastrata tra due pietre del fiume, ormai immune al freddo dell'acqua, disinteressata delle voci della gente che passava nelle vicinanze, non curandosi del vestito ormai sporco e del capelli rovinati ma continuando a guardare il cielo con gli stesso occhi azzurri di sempre mentre ripensava a Marina e a Sara, chiedendosi se sentivano la sua mancanza come lei sentiva la loro.
A malapena si accorse di essere stata tolta da quella scomoda postazione e di essere tenuta stretta dalle piccole mani tremanti dal gelo dell'acqua di una bambina, tanto diversa dalle sue due amiche che la piccola bambola ne fu solo indifferente.
- Nonna, nonna! Ho trovato una bambola! -
- Non avvicinarti al fiume, Eleonora. Rischi di cadere. Vieni qui - rispose la nonna.
La bambina corse verso l'anziana donna e le porse il giocattolo, tutto sporco e rovinato.
- Oh! - esclamò la donna.
Oh! fu la stessa reazione della bambola! Augusta conosceva quella donna, benché avesse qualche ruga in più nel viso e i capelli più corti. Sei la mia mamma! esclamò, Sei Bianca!
- Nonna, hai fatto tu anche questa bambola? - chiese la nipotina, incuriosita.
Bianca sorrise. - Si, cara. Ne sono certa. -
- Perché era nel fiume? - domandò allora la bambina.
La nonna scosse la testa e prese in mano la bambolina. - Portiamola a casa con noi. La laviamo. le faccio un bel vestito nuovo e la metterai insieme alle altre bambole. -
Eleonora annuì, felice di ampliare la sua collezione di bambole fatte a mano, già ben fornita grazie alla sua nonnina.
- Le voglio dare un nome! Cosa mi consigli? -
Ma io ce l'ho già un nome. Il mio nome è Augusta... avevo promesso... avevo promesso che avrei avuto sempre questo nome... bisbigliò la bambola, tristemente.
Bianca sorrise, fissando la bambola.
- Va bene -, bisbigliò prima di voltarsi verso la nipotina e sorridere anche a lei. - Augusta, bambina mia. Questa bambola si chiama Augusta. -
La bambola guardò la donna, stupefatta ma subito sentì tornare la serenità, finalmente consapevole che solo la sua mamma, la donna che l’aveva costruita, poteva sentire la sua voce.






Eh. Ha un che di fiabesco, sembra una storia per bambini sopratutto dalle parole usate ma ci stava bene XD
E boh XD L'ispirazione mi è venuta sentendo una canzone giapponese e immaginandomi un 'video' in cui c'erano delle bambole abbandonate, così mi son detta 'chissà se riesco a farci una fiction....
Inizialmente le bambole dovevano essere due, e la storia era molto più cruda, le bambole era più animate anche se gli umani non se ne accorgevano e finivano al rogo XD. Poi ne ho tolta una e la bambola doveva finire bruciata da un incendio e a sentire la sua voce doveva essere Marina, proprio mentre Sara si lamentava che le era caduta la bambola. Ma non mi sembrava realistico che scoppiasse un incendio tanto grave da bruciare la bambola che aveva poco prima la bambina, perché voleva dire che c'era anche quando la bambina era in casa.
Così ho pensato al fiume e al far ricomprire Bianca.
Ci ho ficcato tutti i nomi femminili che più mi piacciono! XD Comunque una storia del genere forse esiste già, magari era un film? °° Comunque nulla di ché, ecco... mi sono divertita e basta. XD




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