Powerless
Powerless
And you held it all but you were careless to let it fall
You held it all and I was by your side, powerless
You’ll never know what I became because of you
Ten thousand promises, ten thousand ways to lose
Quello fu uno dei giorni più tormentati della mia vita.
Certo, i funerali non sono mai
belli. L’unico a cui avessi mai assistito fu quello di mio zio
– che era stato per me come il padre che non avevo mai avuto
– ma ero troppo piccolo perché potessi comprendere la
situazione. Ricordo mia madre che piangeva per il fratello, il suo viso
nascosto dal cappello nero a tesa larga, e che ogni tanto tirava fuori
dalla manica un fazzoletto di lino bianco per asciugarsi le lacrime.
Ricordo la sua mano giovane che stringeva la mia, mentre io mi perdevo
ad osservare la luce che il sole proiettava sulla sua fede
all’anulare e la faceva brillare.
Ogni tanto le chiedevo dov’era zio George.
Non avevo capito che non sarebbe più tornato.
La mia unica esperienza in fatto di
funerali non poteva quindi fungere da paragone con il momento che stavo
vivendo. Nonostante ciò, riuscii a capire che il funerale del
capitano Montgomery era straziante.
Non era come nei film, dove i
momenti tristi sono accompagnati da un cielo plumbeo e da una pioggia
scrosciante. Quella giornata era soleggiata, malgrado tutto. Sembrava
che l’universo si stesse facendo beffe dei nostri cuori spezzati.
Una distesa di lapidi bianche e
quadrate circondava il capannello di persone vestite di nero chiuso
attorno alla profonda buca rettangolare. Aspettavamo tutti che il
momento arrivasse.
In lontananza scorgemmo degli
agenti in moto che avanzavano verso di noi. Dietro di loro, il carro
funebre nero seguiva con un’andatura lenta. La processione si
fermò lungo il sentiero di ghiaia a qualche decina di metri di
distanza.
La solennità
dell’avvenimento non fece altro che aumentare la mia angoscia. La
morte è brutta, certo, ma quando scompare un poliziotto è
ancora peggio. Le bandiere a stelle e strisce disseminate per il
cimitero continuavano a ricordarmi com’era ingiusto il destino,
che portava via le persone oneste ai propri cari.
Un basso rullare di tamburi
accompagnava il momento come un triste lamento. Esposito lanciò
un’occhiata nella mia direzione. Strinsi la mano ad Alexis, che
mi lanciò un’occhiata triste, e avanzai verso di lui. Ci
avvicinammo alla vettura, seguiti da Ryan e altri poliziotti in divisa
ufficiale.
C’eri anche tu lì in
mezzo. Allungai la mano verso il tuo braccio, eri così vicina a
me. Potevo percepire il tuo dolore come se fosse tangibile. Feci per
posare la mano sulla tua spalla per confortarti, ma la ritrassi, senza
sapere il perché. “Kate”, provai a chiamarti, ma la
parola mi rimase incastrata in gola.
Il portellone del carro funebre si
aprì, mostrando la bara coperta dalla bandiera americana, che
venne sollevata e trascinata fuori. Afferrai saldamente la maniglia di
ottone freddo e, quando tutti fummo pronti, iniziammo la nostra
processione.
Passammo accanto ad altri agenti in
divisa, che rendevano omaggio al capitano stando allineati e
sull’attenti. Mi sentivo un po’ fuori luogo, in quel
momento: in mezzo a tutti quei poliziotti in uniforme sembravo un
estraneo.
Lanciai un’occhiata verso di te: il frontino del cappello ti copriva gli occhi, mentre guardavi fisso di fronte a te. Non potevo in alcun modo scorgere il tuo sguardo.
I singhiozzi della moglie di
Montgomery, accompagnati dal rullare sordo dei tamburi, erano gli unici
rumori che squarciavano il silenzio del cimitero.
La nostra processione si
fermò quando raggiungemmo la buca rettangolare. La bara venne
posata li accanto. Lanciai un ultimo sguardo alla bandiera che la
avvolgeva, poi tornai accanto ad Alexis.
Tu eri già salita sulla
pedana del leggio con un foglietto in mano, che apristi e posasti sul
supporto. La tua voce riuscì a sovrastare il pianto della
famiglia di Montgomery.
Nel tuo discorso affermasti che
Montgomery ti aveva insegnato ad essere un poliziotto e solo allora mi
resi davvero conto di quanto quell’uomo avesse significato per
te. Dicesti che noi tutti siamo vincolati dalle nostre scelte e che
valiamo più dei nostri errori, che non esistono vittorie, ma
solo battaglie, e che alla fine il massimo che si può sperare
è di trovare un posto in cui prendere posizione e di trovare una
persona disposta a starti accanto.
A quelle parole il tuo sguardo si voltò verso di me
e il mio cuore vuoto si riempì. Era troppo sperare che stessi
parlando di me? Continuai a fissarti finché i tuoi occhi non
tornarono sul leggio.
Una luce attirò il mio
sguardo verso un punto lontano. Proveniva da dietro una delle centinaia
di lapidi bianche e all’inizio pensai che fosse solo una mia
impressione, ma poi il bagliore ricomparve: era come se la luce del
sole riflettesse contro qualcosa, come uno specchio...
Capii troppo tardi di cosa si trattava.
Un colpo sordo sovrastò ogni altro rumore.
“Kate!”, gridai, lanciandomi verso di te.
Quando il proiettile ti
colpì al petto, ti piegasti in avanti, senza produrre alcun
suono. Attorno a noi il caos imperversava, ma non mi importava.
Ero concentrato su di te.
Mi lanciai addosso a te, anche se
era troppo tardi. Cademmo entrambi sull’erba; il tuo corpo era
inerme: fu come buttarsi contro una bambola di pezza. Mi sollevai sulle
braccia e ti guardai: lo sguardo era perso nel nulla, il corpo
immobile. I tuoi guanti bianchi erano macchiati di sangue. Uno squarcio
rosso cremisi brillava nel centro del tuo petto.
Oddio, Kate... Ti avevano sparato, e adesso? Quanto sangue stavi perdendo? Saresti riuscita a sopravvivere?
Dicono che quando muori ti passa la
vita davanti, ma in quel momento successe a me. Rividi tutti i momenti
passati con te, da quando ci eravamo conosciuti e tu portavi quel
taglio corto che non riuscivo a sopportare, a quando ti avevo sorpresa
in bagno a leggere il mio libro, a tutte quelle volte che ci eravamo
punzecchiati a vicenda.
Avremmo avuto altri momenti come quelli?
“No, no, no, Kate...”.
Quante volte mi ero promesso che
prima o poi avrei affrontato la verità e ammesso i miei
sentimenti davanti a te? Diecimila volte o più?
Adesso stavo perdendo l’opportunità diecimila volte.
“Kate, ti prego”.
Cosa sarebbe successo se te ne
fossi andata? Sarei stato male ogni ora di ogni giorno per mesi e mesi?
Mia madre ed Alexis mi avrebbero riempito di parole vuote, tipo
“lei è morta, devi fartene una ragione”?
Non avrei mai potuto colmare la voragine nel mio cuore.
“Rimani qui con me, Kate”.
La cosa peggiore era che, se fossi
morta, non avrei potuto spiegarti quanto importante fossi per me,
quanto tu avessi cambiato la mia vita. Io, ero cambiato, e tutto grazie
a te.
“Non lasciarmi, ti prego. Rimani con me, ok?”.
Cosa potevo fare in quel momento? Eri stesa sull’erba, immobile, e io mi sentivo inutile.
“Kate...”.
Quella era la mia ultima possibilità.
“Ti amo”, sussurrai, così piano che credetti non mi avessi sentito.
“Ti amo, Kate”, ripetei, più forte.
La tua mano strinse la mia per un secondo e i tuoi occhi sembravano dirmi che avevi compreso le mie parole.
Poi mollasti la presa, chiudesti gli occhi e lasciasti cadere la testa senza cura sull’erba.
E io ero lì, al tuo fianco.
Impotente.
Nota dell'autrice
Questa è la prima storia che scrivo sul fandom di Castle, quindi devo ammettere di essere soddisfatta del risultato.
Per scrivere la shot mi sono ispirata alla canzone Powerless
dei Linkin Park. Per "ispirata" intendo che più o meno ho
seguito il testo della canzone nella parte finale della storia, ma non
ho scritto una songfic perché non credo di esserne capace! Ci ho
provato, davvero, ma senza risultato.
Essendo questo il mio primo esperimento in questo fandom, sarei davvero felice se mi lasciaste una recensione, anche piccina :)
Ringrazio tutti quelli che hanno letto la mia storia.
Chiara
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