Tre
anni dopo
L'orecchino
era una testa di lupo d'argento che mordeva forte il lobo del suo
proprietario.
I
capelli blu scuro di Teddy Lupin riflettevano la luce pallida della
luna che, alta nel cielo, gli teneva compagnia durante quella sua
ultima notte trascorsa nella sede della resistenza londinese.
Gli
capitava spesso di soffermarsi a guardare la luna, soprattutto da
quel giorno infame che per la seconda volta gli aveva rubato la sua
famiglia.
La
guardava perché gli ricordava suo padre e la vita solitaria che
anche lui aveva dovuto condurre fin quasi alla fine dei suoi giorni.
Lo
consolava sapere che, in un certo senso, quel destino di solitudine
non era soltanto suo.
“Sei
pronto?”
La
donna che si sedette al suo fianco, con la sua mole immensa, era
forse la creatura più strana che Teddy avesse mai conosciuto.
La
giovane mezzagigantessa italiana era partita quattro anni prima dal
suo paese, un paese in pace, per andare a donare il suo supporto ai
popoli in guerra. Era stata lei a trovare il giovane, seduto a terra
davanti al rudere fumante di quella che una volta era stata la Tana,
il corpo gelido della sua bambina ancora stretto al petto.
Era una
donna forte e intelligente che aveva donato tutta se stessa alla
causa dei maghi e lui non avrebbe potuto chiedere compagna migliore
per la missione che si accingeva a compiere.
“E
tu?”
Lei si
strinse nelle spalle, sedendogli accanto.
“Non
ho mai veramente smesso di esserlo. Non vedo l'ora di partire, a
dirla tutta. Sono stufa del clima inglese.”
Teddy
ridacchiò.
“Siamo
in guerra e a te dà fastidio il clima?”
“Hey,
io sono nata in un posto dove la gente sa come è fatto il sole.”
Sospirando,
la gigantessa si sdraiò, appoggiando la grossa testa sulle gambe di
lui.
“Ti
mancherà?”
Teddy
scosse il capo.
“Per
nulla. L'Inghilterra ha saputo darmi solo morte. Mi ha portato via
due famiglie e la terza, quella con cui sono cresciuto, è sparita
senza lasciare traccia. Probabilmente sono morti anche loro, o lo
saranno presto. Magari l'America sarà in grado di darmi qualcosa di
più.” “Tipo la vendetta?”
“Tipo
la libertà della mia gente, Silvia. Della vendetta mi importa poco:
non mi ridarà la mia bambina.”
Il
silenzio che calò tra loro era riempito soltanto dal suono
onnipresente del Tamigi che scorreva poco lontano da lì.
Fu
Silvia a riprendersi per prima.
“Fammi
vedere il travestimento.” Disse, tornando a sedersi.
“Di
nuovo?”
“Voglio
solo essere sicura che tu lo faccia sempre uguale.”
Teddy
scosse appena il capo, non sicuro se essere divertito o scocciato e
poi, lentamente, i suoi capelli iniziarono a scurirsi, fino a
diventare di un bel nero corvino.
Il blu
che aveva abbandonato le sue ciocche, dal canto suo, pareva essersi
trasferito negli occhi che dimenticarono il loro naturale castano
scuro per tingersi di un bell'azzurro ghiaccio.
Giocosa
come sempre, Silvia si lasciò sfuggire un fischio di ammirazione.
“Perché
non prendi in considerazione di rimanere sempre così?” “Perché
è faticoso, Silvia. Piuttosto, avete localizzato la persona con cui
dobbiamo parlare?”
La
donna annuì.
“Il
professor Aaron Lindbergh si trova attualmente a Miami, in Florida.
E' un posto bellissimo e, soprattutto, caldo.”
“Silvia
taglia.”
“Lindbergh
è un veterano della Guerra Magica ed è emigrato in America prima
che Voldemort venisse distrutto. Studia il conflitto con i babbani da
quando ha avuto inizio e qualche mese fa ha scritto al Generale
Müffel.”
Müffel,
il capo della Resistenza, era uno gnomo temprato dagli anni che aveva
già prestato servizio durante la Guerra Magica.
“Giura
di avere la chiave per porre fine alle lotte, Teddy, ma prima di
rivelarlo, voleva essere sicuro di potersi fidare di noi. Non può
viaggiare, perché in Gran Bretagna è ricercato dalla polizia
babbana, ma ha intrattenuto fino al mese scorso un'intensa
corrispondenza con il Generale.”
“E
poi?”
Silvia
scosse la testa, agitando i lunghi capelli castani.
“E
poi si è interrotta, di colpo. Müffel è sicuro che gli sia
successo qualcosa, che sia stato arrestato o simili. Sai che anche in
America la situazione non è delle migliori...”
“...e
quindi noi andiamo a scoprire che ne è stato del vecchio.”
“Noi
andiamo a fermare la guerra, Teddy Lupin.”
Nel
mondo oggi più di ieri domina l'ingiustizia
ma
di eroici cavalieri non abbiamo più notizia
proprio
per questo Sancho c'è bisogno soprattutto
di
uno slancio generoso, fosse anche un sogno matto
-F.Guccini,
Don Chisciotte-
Il
cimitero era coperto di neve.
Ignorando
gli altri maghi e streghe che, come sempre in quel periodo buio,
affollavano il camposanto, Teddy, intabarrato in un pesante cappotto
nero e con il volto coperto da un cappellaccio a tese larghe, si
diresse deciso verso la tomba della sua famiglia.
Non
poteva permettersi di andare in giro vestito normalmente.
Era
un partigiano, un membro della Resistenza; farsi riconoscere non
sarebbe stato qualcosa di molto diverso da un suicidio.
Un
Remus e una Ninfadora al massimo del loro splendore lo salutarono
dalla foto, senza smettere di abbracciarsi. Teddy sorrise e si chinò
a lucidare la ceramica con un panno morbido.
“Mi
mancherete.” Mormorò, deponendosi un bacio sulla punta delle dita
ed appoggiando, poi, i polpastrelli al piccolo ovale dallo sfondo
bianco.
Tonks
allungò una piccola mano a sfiorare le dita del figlio, per poi
nascondere il volto nel cappotto di Remus, che le accarezzò la
testa.
“Non
fate così... vedrete che tornerò.”
Dalla
fotografia accanto a quella dei suoi nonni, la piccola Cartisia vide
una lacrima scivolare sulla guancia del suo papà. Per un attimo si
rallegrò: Teddy non aveva mai pianto da quando lei e Victoire erano
morte... ma fu solo un istante.
Con
un gesto nervoso, il giovane scacciò la goccia indesiderata e si
alzò in piedi.
“Non
siete morti per nulla.” Disse, deciso, per poi voltarsi ed
allontanarsi tra i fiocchi di neve che iniziavano a cadere.
Come
ogni volta che suo padre l'andava a trovare, Cartisia scoppiò a
piangere.
Piano
piano, i suoi nonni e sua madre abbandonarono le loro cornici per
entrare nella sua, e le si strinsero intorno.
Cartisia
piangeva e piangeva e le sue lacrime dipinte sulla ceramica si
confondevano con la neve candida.
Non
riusciva a capire, la copia in miniatura della bambina.
Non
riusciva davvero a comprendere perché il suo papà non la guardasse
mai negli occhi.
Allontanandosi
tra le lapide, che in quei quasi cinque anni di guerra si erano
moltiplicate a dismisura, Teddy ebbe modo per la prima volta di
pensare a quel che stava facendo.
E
per la prima volta si chiese se la sua non fosse, per caso, una fuga
mascherata da atto eroico.
Non
gli importava di andare via, non gli importava dell'esistenza della
possibilità di morire in America, a un oceano di distanza dal luogo
in cui era nato.
Ma
fuggire, quello proprio non se lo poteva permettere. Non quando tutte
quelle persone a cui voleva bene e che gli volevano bene se ne erano
andate.
Non
aveva mentito a Silvia: la vendetta era quanto di più lontano ci
fosse dai suoi propositi.
Non
avrebbe nemmeno saputo contro chi vendicarsi, in effetti.
Tutto
ciò che Teddy voleva era che la pace per cui la sua famiglia era
scomparsa tornasse ad esistere.
Non
aveva nulla contro i babbani, e di certo non sarebbe stato un
problema vivere in pace con loro, se avessero voluto. Non avrebbe mai
conosciuto l'aspetto degli assassini di sua moglie e di sua figlia, e
di certo non aveva senso prendersela con l'intera razza.
D'altra
parte, chi meglio di lui poteva saperlo... lui che per tutta la vita
era stato trattato con diffidenza in quanto figlio di un lupo
mannaro.
No,
la pace era davvero tutto ciò che voleva e la sua, dopotutto, non
era una fuga.
Si
trattava solo di un tentativo di realizzare ciò che molti non
avevano nemmeno il coraggio di pensare.
E
forse proprio quello serviva al suo mondo: un uomo che avesse perso
tutto, privo della paura di stare male.
Privo
della paura di morire.
Un
eroe folle, insomma.
Uscendo
dal cimitero, Teddy Lupin sorrise.
Eroe
folle era una definizione di se stesso che gli piaceva.
Di
sicuro Silvia l'avrebbe apprezzata.
Continua...
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