Dov’eravamo
rimasti, ovvero riassunto
veloce per tutti coloro che in quest’anno hanno dimenticato
cos’era successo:
Cloud
e Cissnei, entrambi in fuga da Midgar, si scontrano nella foresta e
sono
sorpresi da Reno, inviato a recuperare entrambi per conto della ShinRa
e in
particolare della nuova direttrice del reparto Turk, Scarlet. Dopo una
colluttazione in cui Reno ha la meglio su entrambi, essendo venuto a
conoscenza
delle nuove direttive della ShinRa (freddare entrambi nella foresta
eliminando
ogni traccia di cattiva condotta), decide di inscenare la fuga dei due
ricercati e di ferirsi utilizzando lo Shuriken di Cissnei.
Contemporaneamente,
Scarlet e Michael concorrono per il potere in una Midgar sempre
più martoriata
dalla tempesta. Entrambi sanno che l’unico modo per
spodestare il presidente
ShinRa e mettere a tacere l’avversario è
recuperare l’antica, ma solo Scarlet
ha il potere di ordinare ai Turks di farlo, mentre Michael deve trovare
un
altro modo. E’ per questo che, nel momento in cui la donna
ordina a Tseng di
recuperare Aerith, Michael decide di entrare in azione alleandosi con
Tseng e
promettendogli un posto sicuro dove nascondere la ragazza, nonostante
egli
agisca in realtà per conto di Hojo e del reparto scientifico
della ShinRa, a
cui aveva promesso l’antica in cambio dell’appoggio
nella sua imminente presa
di potere ai danni del presidente.
Durante
la notte si svolgono, parallele, le storie di Tseng e di Michael: il
primo va a
recuperare Aerith, che si sente minacciata dalle sue parole e, dopo uno
scontro
con il Turk, viene ferita gravemente da un colpo di pistola; il
secondo,
inquieto, passa le ore notturne ripercorrendo con la mente il suo
piano,
cercando di convincersi che nulla può andare storto. Dopo
una visita silenziosa
in una casa di cura, Michael, attraversando la tempesta di Midgar,
torna alla
ShinRa: ma è qui che lo coglie la consapevolezza che tutto
è andato storto, e
mentre Scarlet attua il suo piano per la conquista del potere, egli
viene
colpito e messo fuori gioco, perdendo definitivamente la lotta per il
potere.
Capitolo
6
Era
sottile, la linea chiara che timorosamente lambiva
l’orizzonte. Accarezzava
quasi negligentemente le valli, con noncuranza, incapace di sbiadire il
cielo
cupo che si estendeva sopra le fronde nodose delle querce della
foresta: e
l’oscurità della nottata trascorsa si insinuava a
forza tra le radici degli
arbusti, accarezzando gli angoli più sinuosi del sottobosco
che si snodava
attraverso la vegetazione agitata da una brezza sottile.
Presto
sarebbe stata l’alba. Il sole non si vedeva ancora, ma il
cielo assumeva già
una leggera venatura perlacea che entro pochi minuti sarebbe stata
screziata di
cremisi, e gli uccelli rintanati sulle alte querce avevano
già cominciato a
cantare. Deboli gocce di rugiada lambivano le punte dei fili
d’erba e gli steli
sottili dei fiori selvatici che si estendevano per le radure, mentre il
vento –
carezzevole, ma al tempo stesso anche
florido – li curvava dolcemente sotto il suo
soffio tenue.
La
sua mano cercò sostegno sulla corteccia nodosa di un albero
nei paraggi, spostandosi
all’improvviso fino a tastare la superficie irregolare
dell’arbusto. Si muoveva
lentamente, in maniera irregolare, faticando terribilmente anche nel
compiere i
più piccoli e semplici gesti: annaspò, il respiro
spezzato, muovendo un ulteriore
passo verso la radura e oltrepassando una radice che si estendeva,
articolata,
lungo il selciato roccioso e quasi impercorribile. Respirò a
fondo per diversi
secondi, gli occhi chiusi, cercando di ritrovare l’equilibrio
e la
concentrazione adatta per muoversi in quell’intricato
labirinto di sterpi che
si estendeva davanti a lui: ascoltando il rumore
dei passi della ragazza che lo precedeva,
cercava di coglierne i movimenti, la direzione,
l’intensità dell’andatura.
Cissnei andava veloce ed era svelta, si muoveva con innata naturalezza
tra gli
sterpi e li evitava con appena un delicato movimento: il suo shuriken
brillava
alla luce della luna, ancora macchiato del sangue del Turk dai capelli
rossi
incontrato qualche ora prima. L’avevano recuperato accanto al
suo corpo esanime
e, indecisi sul da farsi, avevano semplicemente deciso di fuggire,
nella
speranza che, nel momento in cui si fosse svegliato, egli non avrebbe
avuto
l’ostinazione di inseguirli nuovamente e di attaccarli
ancora. D’altro canto,
Cissnei sembrava conoscere bene il Turk ed era rimasta turbata
dall’esito del
loro scontro: ma aveva preferito – come lo stesso Cloud, del
resto – chiudersi
in un silenzio inquieto piuttosto che esternare ad alta voce i propri
timori.
Dopotutto, in quel momento era necessario allontanarsi il
più possibile dal
ragazzo svenuto: ben presto avrebbe ripreso conoscenza e avrebbe
indubbiamente
provato a seguirli di nuovo.
Camminavano
sulle rocce per evitare di lasciare impronte, ma le ferite al petto e
alla
gamba lo impacciavano parecchio e spesso si ritrovava semplicemente
senza fiato
per il dolore, all’oscurità ancora pressante del
giorno che si era appena
dischiuso. L’orizzonte si infuocava al nascere
dell’aurora, ma all’interno
della foresta erano pochi i raggi luminosi di sole che bagnavano il
sottobosco:
procedeva quasi a tentoni nella penombra delle fronde degli alberi,
ancora in
difficoltà, quasi inseguendo l’ombra sfuggevole di
Cissnei che – spaventata,
forse – si muoveva agilmente tra le frasche esangui degli
arbusti più bassi.
Avanzò
ancora di qualche passo, ma una fitta all’altezza dello
sterno lo stremò e fu
costretto a lasciarsi cadere sulle ginocchia, il volto schiuso in una
smorfia
di dolore.
“E’
tutto a posto?” chiese la ragazza, fermandosi e voltandosi a
fissarlo con una
nota di apprensione nella voce.
“Sì…”
biascicò lui in risposta, smorzando con le parole il senso
di nausea che gli
impediva di risollevarsi in posizione eretta.
“Avremmo
dovuto medicare con più attenzione quelle ferite. Sembrano
gravi” osservò la
ragazza, tornando sui suoi passi e fissandolo con attenzione.
“Hanno
solo bisogno di tempo. Ne abbiamo bisogno entrambi, direi”
fece l’altro in
risposta, dando un’occhiata alla gamba ferita di Cissnei e
alla pelle del
polpaccio macchiata di denso sangue vermiglio.
“Abbiamo
bisogno di allontanarci da qui, innanzitutto.”
“Sapevo
che l’avresti detto.”
“Se
Reno o qualcuno degli altri dovesse trovarci in queste condizioni,
finiremmo
direttamente nelle mani di Scarlet, ed è l’ultima
cosa che desidero in questo
momento” rispose Cissnei, contrariata.
“Quindi
credi che il rosso stia dicendo la verità?”
“Conosco
Reno da abbastanza tempo per sapere quando mente o quando è
davvero preoccupato
per qualcosa. Se ha nominato Scarlet, allora vuol dire che a Midgar sta
accadendo davvero qualcosa.”
“Non
ho molti ricordi di lei, in realtà.”
Cissnei
incurvò leggermente gli angoli della bocca in un sorriso
aspro. “Sfido,
non è che fosse particolarmente
legata a SOLDIER, né del resto ai Turks.”
“E
adesso perché li comanda, allora?”
“E’
quello che vorrei capire anch’io, ma non sono certa che la
notizia sia
esattamente delle migliori. Sta tramando qualcosa.”
Il
cielo si era ormai del tutto rischiarato, e i raggi di sole screziavano
di luce
la superficie irregolare del sottobosco. Procedevano più
velocemente, adesso,
ed anche se l’inquietudine di Cissnei, al ricordo delle
parole di Reno, si
destava e riprendeva vigore, un’ulteriore sensazione, forse
di sollievo, si
faceva strada all’interno di lei con la stessa
intensità del chiarore che si
insinuava tra le fronde degli alberi. Era finalmente giorno, aveva
trovato un
alleato, e persino le radure circondate da secolari arbusti che
l’avevano tanto
spaventata la notte prima adesso apparivano più serene e
luminose, prive di
quell’aria inquietante e tormentata che le
contraddistingueva.
“Comunque,
volevo solo dirti… grazie.”
Cloud
alzò lo sguardo verso di lei, sorpreso.
“Uh?”
“Beh,
lo sai, per aver cercato di proteggermi di fronte a Reno.
L’ho apprezzato
tanto.”
Il
ragazzo continuò ad avanzare, senza trovare le parole adatte
per rispondere.
Per la verità, avvertiva una strana sensazione, quasi si
sentisse imbarazzato a
causa sua. Alla fine decise di borbottare a bassa voce un
“Non è che sia
servito poi a molto”, evitando accuratamente di rivolgere lo
sguardo verso di
lei.
“Ho
capito che posso fidarmi di te, non è poco”
rispose lei. “Ed è stato davvero un
bellissimo gesto.”
“Abbiamo
lavorato insieme.”
“Beh,
allora siamo un’ottima squadra.”
Le
sue labbra si schiusero in un sorriso. Era da parecchio che non le
succedeva, in
effetti. Non ci avrebbe giurato, ma le parve che persino il volto di
Cloud si
fosse fatto meno duro, quasi come se gli angoli della sua bocca si
fossero
leggermente increspati sotto la spinta di quelle parole. Ed ora che il
suo viso
appariva così rilassato, era facile scorgere in lui quelle
espressioni e quei
gesti che lo rendevano simile a Zack, e un nuovo velo di tristezza le
oscurò il
volto improvvisamente.
In
breve, gli alberi si erano già fatti più radi.
Interi fazzoletti di terra
venivano adesso irradiati dalle luce del sole che, ormai sorto del
tutto,
rischiarava le radure e le valli circostanti. Si erano ormai lasciati
alle
spalle le gelide ombre della foresta oscura, ed entrambi, leggermente
rincuorati, decisero presto di sostare all’ombra di un nodoso
faggio che
svettava tra l’erba alta.
“Fa’
vedere le ferite”
Cloud
mugugnò riluttante, borbottando che stava bene e di farsi
gli affari propri.
“Pff,
certo che sei cocciuto.”
“Ho
detto che sto bene.”
“Non
sembrerebbe, dato il tuo aspetto. Hai qualche materia curativa con
te?”
Il
ragazzo fece no con la testa.
“Mmmh.”
“Che
c’è?”
“Dovremmo
trovare un altro modo per curare quelle ferite, allora.”
“Guariranno
da sole” rispose Cloud stizzito.
“Non
abbastanza in fretta, però.”
“Va
bene, va bene, fa’ come ti pare, allora!”
Trascorsero
alcuni istanti di silenzio in cui ognuno evitò lo sguardo
dell’altro.
“Beh,
dovremmo essere molto vicini a Kalm Town, da qui”
decretò Cissnei alla fine,
scrutando l’orizzonte verso ovest aldilà delle
montagne.
Cloud
la guardò un po’ confuso. “E
allora?”
“Allora
hai bisogno di cure e Kalm Town è il posto più
vicino per procurarcele. Da lì
possiamo decidere come muoverci per attuare la nostra prossima
mossa” rispose
la ragazza risoluta.
“Kalm
Town” le fece eco Cloud, mentre un sorriso sardonico gli
macchiava il viso.
“Quindi hai deciso di tornare a Midgar, non è
così?”
Mideel,
alcuni anni prima.
C’è
qualcosa di insolito e particolare nella disarmante impazienza con cui
la notte
avvolge Mideel. Il cielo si tinge di vermiglio quasi inaspettatamente,
cogliendo di sorpresa lo spettatore più svagato e
disattento: e mentre questi,
riscossosi appena dai suoi pensieri, osserva ammirato il profilo del
sole oltre
la rigogliosa vegetazione, l’aria si è
già fatta più frizzante, e le stelle,
luminose come nelle notti d’estate, si espandono per la
grande volta celeste.
Le torce e i falò crepitano serenamente, mentre le ombre
– delle case, degli
alberi, della gente del luogo – si allungano
sull’arido selciato, fino al
limitare del bosco. Il sentiero che conduce alla selva è in
terra battuta,
breve, definito da un esile steccato di legno rugoso.
Mentre
ritorna al villaggio, la sua mano lambisce quasi di sfuggita la
superficie
coriacea della staccionata. Il legno è mal lavorato e
risulta ruvido e
discontinuo al tatto, ma ritira la mano solamente quando una scheggia
gli si
conficca nel dito, facendolo imprecare sonoramente nella tranquilla
serenità
della notte ormai matura. Il suo cuore accelera i battiti, colto di
sorpresa
dalla fitta improvvisa: ma poi, con un respiro profondo, i suoi sensi
si
quietano, rabboniti dalla brezza che fa ondeggiare pacificamente
l’erba che
separa il villaggio dal bosco.
D’un
tratto, alle sue spalle, le risate sature d’allegria di Zack
Fair e di Reno
riempiono la notte, costringendolo ad assumere nuovamente una sottile
espressione contrariata. Accelera il passo, lievemente stizzito dalle
inutili
chiacchiere dei due uomini alle spalle, e si concentra sul tiepido
canto delle
cicale estive, cercando di allontanare dalla mente la mole di
scempiaggini che
gli altri – chissà, magari anche consapevolmente
– non smettono di elucubrare;
ma è tutto inutile, e le loro frivole parole –
così inadatte ad un incarico
oneroso come quello – s’insinuano nella sua mente,
vanificando ogni suo sforzo
di mantenere inalterata la concentrazione.
“Da’
retta a me, quella roba è palesemente truccata!”
osserva con noncuranza Reno,
mentre muove distrattamente il taser fendendo l’aria.
“D’altronde si sa che il
Gold Saucer è una gigantesca trappola per turisti
idioti.”
Zack,
accanto a lui, incrocia le braccia con un’espressione
corrucciata sul volto. “Non
dev’essere molto semplice pilotare le corse dei chocobo,
però. C’è sempre un
possibile margine d’errore che non può essere
calcolato in anticipo…”
“Che
c’è, stai pensando a come fare soldi
imbrogliando?” lo stuzzica beffardamente
Reno, dandogli una leggera gomitata sul fianco. “Il tuo
misero stipendio da
Soldier di prima classe non è abbastanza?”
“Via,
non è questo il punto.” La voce di Zack si fa
più seria, mentre lui e i due
Turk mettono piede nel centro abitato quasi deserto. “E
comunque,” aggiunge subito
dopo, mentre un sorriso gli si dipinge sul volto, “non
credere che io abbocchi
ad ogni tua storiella idiota.”
“Peggio
per te, questa qui è una storia vera” afferma
l’altro con noncuranza, mentre
indirizza lo sguardo verso un vicolo avvolto
nell’oscurità. “Me ne ha parlato
lo Zio Al l’ultima volta che sono andato a
trovarlo.”
“Quello
che spala le cacche dalle piste del Gold Saucer?”
“Esatto,
proprio lui” afferma Reno, distogliendo lo sguardo dal vicolo
e procedendo alle
spalle di Tseng. “Un giorno è andato ad appartarsi
con la sua nuova compagna
Polly – che, tra parentesi, è davvero una gran
bella…”
“Reno!”
“Scusa
tanto, capo, ma per come la vedo io un complimento a una bella donna
è sempre
dovuto.”
“Non
è questo il punto.” Tseng accelera il passo
all’improvviso, lasciandosi alle
spalle i due straniti dal suo brusco e inatteso comportamento. Si porta
una
mano alla tempia pulsante, maledicendo i toni squillanti e
sfacciatamente
allegri dei suoi compagni di missione: poi fa un respiro profondo,
cercando di
non perdere la calma. “Abbiamo un compito da portare a
termine.”
“A
me sembra una notte piuttosto tranquilla, in
realtà” s’intromette Zack, alzando
le spalle in direzione della quieta foresta. “Non credo che
si nasconda davvero
qualcuno in questo luog…”
“Sssh!”
gli fa Reno sottovoce mollandogli una gomitata sugli stinchi.
“Mai contraddire
il capo quando siamo in missione.”
“Ma
tu l’hai fatto giusto qualche minuto fa!”
Sul
volto del Turk si dipinge un lieve ghigno canzonatorio; poi, senza
rispondere,
l’uomo accelera il passo fino a raggiungere Tseng, che si
è già infiltrato in
una delle vie secondarie del villaggio.
“A
quanto pare qui è tutto regolare” decreta
quest’ultimo alcuni minuti dopo,
quando, poco dopo aver ispezionato l’ultimo vicolo della
città, i tre uomini si
incontrano nuovamente al centro di Mideel. “Credo sia meglio
rientrare, per
stanotte. Farò rapporto al Quartier Generale e vi
comunicherò le direttive per
domani.”
Reno
ha sul viso un sorriso un po’ storto, malizioso come quello
di un bambino che
in segreto affonda le mani in un barattolo di marmellata: si allontana
senza
dire una parola, mentre la coda vermiglia, alle sue spalle, ondeggia
leggermente nella brezza della sera. Zack, d’altro canto,
incrocia le braccia,
incerto sul da farsi, mentre lancia uno sguardo distratto al limpido
cielo
notturno; poi, quasi senza che se ne accorga, le sua mani scorrono
sulla
tastiera del cellulare.
“Non
credo sia sveglia a quest’ora” osserva Tseng con
noncuranza, poggiando le
lunghe dita sul mento. “Va sempre a dormire presto, la
sera.”
Zack
ricambia il suo sguardo, stupito. “Pagano i Turk per spiare
le ragazzine,
adesso?”
“A
mio parere è un po’ da pedofili!”
aggiunge Reno dall’oscurità, facendoli
trasalire. “Strani ordini, quelli del
capo…”
“Reno!”
lo ammonisce Tseng, con voce ferma.
“Sto
solo scherzando!” risponde l’altro con un tono
giovale, allontanandosi nella
notte.
Infine,
sono tornati presso la locanda nella quale alloggiano. La loro camera
è al
piano superiore, illuminata da alcune torce alle pareti che gettano
lunghe
ombre sul resto della stanza. Reno si getta sul letto, sollevato, con
le mani
incrociate dietro la nuca; sul volto di Tseng, d’altro canto,
traspare una
sottile inquietudine, un leggero fastidio che non riesce a dissimulare
e che
s’insinua tra le pieghe del suo viso. Ha le braccia
incrociate, la schiena ben
dritta, il passo svelto: il rumore degli stivali neri, sulle assi di
legno del
pavimento, è rapido e scandito. Il suo sguardo
s’insinua oltre la finestra
annebbiata, fino a perdersi nella fitta e varia vegetazione di Mideel:
la luce
della luna illumina tutta la campagna circostante.
Interrompe
il ritmo cadenzato dei suoi passi e posa, immerso nei suoi pensieri, le
lunghe
dita sul vetro annebbiato. E’ rientrato da pochi minuti, ma
probabilmente ha
già nostalgia della fresca brezza delle notti estive di
Mideel, e sa già che i
suoi sensi – ancora in allerta, nonostante la fine della
missione – forse
potrebbero trovare un po’ di pace, nel ritiro solitario della
foresta che circonda
il villaggio.
Sta
uscendo nuovamente, a pochi minuti dal rientro, ma Reno non gli fa
alcuna
domanda, mentre sente la porta scivolare cigolando sui cardini: rimane
con gli
occhi chiusi, disteso sul letto, tra le candide lenzuola di lino su cui
il suo
corpo ha disegnato una sottile e quasi invisibile ragnatela di pieghe.
L’aria
è ancora più dolce di come la ricorda, nonostante
abbia trascorso appena
qualche minuto all’interno della locanda: muovendosi per le
vie fiocamente
illuminate dalla luce della luna, da solo, ha l’impressione
che la brezza si
sia fatta più fresca e sottile, e che la luce della luna
– già così intensa, in
quella tiepida notte priva di nuvole – si sia fatta
più viva, e pulsante, e
argentea, sulle chiome vibranti degli alberi e sugli steli
d’erba che si
piegano sotto il vento leggero.
Probabilmente
anche Zack sta vagando per le vie fiocamente illuminate di Mideel, da
solo,
immerso nei suoi pensieri, lontano da casa e da Aerith. Non che abbia
particolarmente voglia di incontrarlo, comunque. Sospira lievemente,
mentre
lascia il sentiero principale e si adagia leggermente
sull’erba, ad un paio di
metri dallo steccato che delimita i confini del villaggio.
Tramite
rattoppate e disoneste associazioni di idee, i suoi pensieri si
soffermano nuovamente
sulla ragazza. Non ricorda precisamente quand’è
andato a farle visita per
l’ultima volta: negli ultimi tempi è stato sempre
impegnato con ogni genere di
incarico differente. Forse è passato addirittura un mese,
dal loro ultimo
incontro, nella chiesa abbandonata dei bassifondi di Midgar, tra
un’occhiata
distratta e l’altra in un pomeriggio tranquillo trascorso in
città.
“Ti
credevo già addormentata da un pezzo” afferma
Tseng d’un tratto, il microfono
del cellulare accostato all’orecchio, mentre una leggera
smorfia si disegna sul
suo volto.
“E
allora per quale motivo hai chiamato?” chiede Aerith in
risposta, non riuscendo
a reprimere una leggera risatina di scherno.
Tseng
è infastidito dal tono canzonatorio della ragazza: a volte,
quando parla con
lei, ha l’impressione di essere preso bonariamente in giro.
Non risponde alla
domanda, preferendo sbuffare sull’erba carica di rugiada.
“Eddai,
dovresti sostenere la conversazione, dopotutto hai chiamato
tu!” esclama Aerith
dopo un po’, reprimendo a fatica l’irritazione
dalla voce.
“Non
ho niente da dire.”
“Okay,
ma non è molto educato.”
“Sei
in camera tua?”
La
domanda di Tseng la coglie di sorpresa, ma quando risponde il suo tono
è
tranquillo e carico dell’ironia che la contraddistingue.
“Sono
nella chiesa a fare da babysitter alla mia guardia del corpo”
afferma,
trattenendo a stento una risata, mentre dal cellulare si avvertono
delle
lamentele in lontananza. “E sta’ un po’
zitto!” esclama di nuovo lei, alzando
la voce. “A quest’ora i marmocchi dovrebbero
dormire, anche se sono Turks della
ShinRa.”
Un
breve sospiro di Tseng si perde nella rarefatta aria notturna di
Mideel. Ha
imparato a conoscere quella ragazza e sa bene quanto possa essere
cocciuta, a
volte. La ascolta redarguire il giovane Turk incaricato di
sorvegliarla, in
silenzio, cercando di immaginarne il viso che si infervora, animato da
un
guizzo a metà tra il divertito e l’irritato.
Sì, riesce quasi a vederla, nella
penombra della chiesa fiocamente illuminata dalla pallida luce della
luna: e i
suoi pensieri si fanno sempre più vivi e complessi, mentre
una mite fantasia –
giostrata dal suo sguardo – s’insinua sempre
più a fondo tra le pieghe nascoste
della sua mente.
“Non
hai ancora risposto alla mia domanda” afferma lei
all’improvviso, con
semplicità, nuovamente rivolta a lui.
“Come?”
“Ti
avevo chiesto perché mi hai chiamata.”
Tseng
esita per qualche istante, prima di rispondere. “Agisco in
difesa degli
interessi della ShinRa, lo sai. La tua incolumità
è qualcosa che la compagnia
deve costantemente tenere sotto controllo.”
“Ah-ah”
annuisce Aerith, con un tono a metà tra il sorpreso e il
divertito. “Ma c’è già
qualcuno, con me.”
“Volevo
accertarmi che andasse tutto bene.”
La
ragazza sorride. “Capisco. Un po’ come ha fatto
Zack poco fa.”
Tseng
impiega qualche secondo per rispondere. “Io e Zack siamo
molto diversi” afferma
poi, quasi sovrappensiero, più a se stesso che alla ragazza.
“Mmmh.
Forse” esita Aerith, anche lei pensierosa. “Ma in
un modo o nell’altro, tenete
entrambi a me. E’ una bella cosa.”
Sul
volto di Tseng si dipinge un tiepido abbozzo di sorriso.
E’
stata una lunga telefonata, ma quando infine ripone il cellulare,
sospirando,
si accorge di sentirsi ancor più inaridito di prima. Rimane
ancora un po’ ad
assaporare la brezza che si espande per la radura, poggiando una mano
sull’erba
dietro di sé: tiene gli occhi sul cielo limpido, immerso nei
suoi pensieri,
mentre qualcosa – in quel luogo, o magari soltanto nella sua
testa – gli fa
desiderare di andar via, mettersi in viaggio, lasciare tutto alle
proprie
spalle e ricominciare, lontano, una nuova vita.
S’alza
in piedi, infine, con un vago senso di disgusto sul volto grave che
fatica
persino a nascondere. I suoi passi sono l’unico suono
artificiale che disturba
la quiete della foresta, mentre ascolta il canto dei grilli levarsi dai
campi
intorno al villaggio. Riprende il percorso principale, in silenzio,
senza
pensare a nulla in particolare – d’altronde, gli
è sempre piaciuto lasciar
vagare la mente, senza essere obbligato a focalizzarsi su qualcosa di
definito.
E lasciandosi trainare dal flusso incostante dei suoi pensieri, ma non
riuscendo a coglierne nemmeno uno, si accorge di come la nottata
trascorra con
la rapidità di un sospiro, e, prima ancora che se ne renda
conto, è già
iniziato un altro giorno, tra le coperte bianche come la neve di un
letto che
non è il suo, e tra le braccia di una donna che non
è lei.
Ascoltava
il rumore dei suoi passi infrangersi contro le luride pozzanghere dei
bassifondi, mentre il vento, quasi all’improvviso, gli
sferzava il viso sporco
e macchiato di sangue. Metteva un piede dopo l’altro,
incerto, cambiando spesso
direzione ed osservando la sagoma sbiadita delle sue orme che si
perdeva tra
gli schizzi di fango sollevati dalla pioggia. Si voltava spesso
indietro, lo
sguardo serio e denso di preoccupazione, cercando di individuare la
figura di
un possibile inseguitore tra la pioggia battente della tempesta di
Midgar. Gli
abiti zuppi lo rallentavano e lo rendevano impacciato, confuso,
incapace di
procedere con la sua solita andatura fiera e sicura: si infilava nei
vicoli più
bui dei bassifondi allagati senza davvero sapere dove stesse andando,
con il
solo obiettivo di allontanarsi il più possibile dalla
chiesa. Era caduto in una
trappola, aveva sbagliato ogni cosa, tutto era stato rovinato
dall’imprudenza
del suo gesto, e dal livore rabbioso che l’aveva fatto suo.
L’aveva
ferita. E nel momento stesso in cui aveva premuto il grilletto, il
vibrante
frastuono del colpo s’era amplificato attraverso le volte in
pietra e le guglie
dell’edificio diroccato, così come il suo senso di
colpa. Poi, appena pochi
secondi dopo lo sparo, l’aria era vibrata ancora una volta
quando le porte di
quercia della chiesa si erano spalancate dietro la spinta di alcuni
agenti
della ShinRa, pronti a recuperare Aerith e a scortarlo davanti al nuovo
presidente della compagnia.
“Sono
cambiate molte cose” aveva detto Rude con un tono di voce
grave, ma piuttosto
che seguirlo aveva preferito colpirlo e provare a fuggire.
Probabilmente,
finire davanti a Scarlet equivaleva a firmare volontariamente la
propria
condanna a morte, e non era ancora tempo.
Mentre
da lontano, sul piatto, s’udiva il sordo boato di una grande
esplosione,
s’infilo in un vicolo giusto in tempo perché una
squadra di fanti in
ricognizione non lo notasse nella penombra delle strade dei bassifondi.
Era lui
che stavano cercando? Erano questi i nuovi piani di Scarlet?
Probabilmente era
troppo rischioso per il momento tornare all’Edificio ShinRa.
Eppure,
nello stesso momento, mentre un fulmine si abbatteva su un reattore
scatenando
il fuoco sulla città, una nuova preoccupazione
s’era insinuata nella sua mente,
non richiesta ma allo stesso tempo indelebile tra i suoi pensieri; e se
dapprima ne aveva solo un vago e al tempo stesso terribile sospetto, la
squadra
di ricognizione mandata a prelevare lui e Aerith ne era una conferma:
la
compagnia voleva rispolverare la documentazione sperimentale sugli
antichi e
per farlo voleva utilizzare il corpo della ragazza.
Della
ragazza che adesso
–
realizzò, quasi per la prima volta – era
in mano loro.
Deglutì
profondamente, sospirando forte. L’immagine pacata e
controllata che aveva di
se stesso gli era scivolata addosso, in appena una notte, quasi portata
via
dalle spire di vento che avevano circondato Midgar: la calma che
l’aveva sempre
contraddistinto aveva lasciato il posto all’ansia e alla
preoccupazione per il
destino di Aerith alla ShinRa.
Doveva
fare qualcosa. Sospirò profondamente ancora una volta,
lasciando che la mente
razionale riprendesse nuovamente il dominio sul suo corpo. Mentre la
tranquillità ritrovata dei bassifondi veniva sconquassata da
un ulteriore
fulmine che recideva di netto la fornitura elettrica di un intero
quartiere, in
un boato luminoso e fiammeggiante, capì, negli occhi il
guizzo luminoso che era
il riflesso del lampo, che cosa doveva fare. Bisognava prenderla
adesso,
quand’era ancora possibile farlo, nel letto
d’infermeria in cui sarebbe stata
medicata, e fuggire. Insieme, entrambi, lontani da Midgar e dalla
ragnatela di
morte e distruzione che gli intrighi portano sempre con sé.
Bisognava stare
lontani da Scarlet.
Era
stato il fragore inconsueto della tempesta a ridestare i suoi sensi,
quasi
all’improvviso, quasi inaspettatamente, nella penombra scura
di una stanza che
non conosceva. Il pavimento era scuro, vermiglio, soffice al tatto dei
suoi
piedi nudi, inaspettatamente caldo.
Fuori,
il rumore della pioggia era scrosciante, continuo, inaspettatamente
clamoroso e
massiccio, e diverse gocce di pioggia si infrangevano a
velocità pulsante sulle
vetrate appannate della stanza, scivolando poi leggere sulle superficie
esterna
in un rivolo incerto d’acqua gelata. Il tepore della stanza e
il sordo scroscio
della pioggia battente lo cullavano e gli conciliavano il sonno, ma
c’era
qualcosa, nella fosca penombra di quella stanza che brillava alla luce
pulsante
della tempesta, che lo aveva svegliato e che lo rendeva inquieto,
ansioso ed
incapace di placare il proprio animo turbato. D’un tratto
avvertì una fitta
all’altezza dello sterno e provò di scatto
l’impulso di piegarsi in due dal
dolore, ma con sempre crescente inquietudine si rese conto di avere
entrambe le
mani legate al di sopra della testa, tenute insieme da una spessa
catena di
ferro che gli univa i polsi e che pendeva macabramente dal soffitto.
Provò a
dare uno strattone alla catena ma un’ulteriore fitta lo
costrinse a desistere,
piegando la sua volontà in una patetica smorfia di dolore e
in un sussurro – un
gemito, forse – appena udibile a causa dell’immane
fragore del vento che
scuoteva ritmicamente le vetrate.
Quasi
con timidezza, gli occhi di Michael si schiusero in uno sguardo
interrogativo e
saettarono con precisione ai lati opposti della stanza, cercando di
comprendere, in uno sguardo d’insieme, dove si trovasse.
Aveva il fiatone a
causa delle fitte che gli provenivano dal torace, ma continuava a
scuotere le
catene che aveva i polsi con forza e con una rabbia greve e continua
che lo
fomentava e lo incitava ad agire nonostante il dolore.
Poi,
d’un tratto, al suono della sua voce
il sangue gli si gelò nelle vene.
“Credevo
fossi abbastanza saggio per intuire quando una guerra è
persa fin dall’inizio.”
Lentamente,
i suoi occhi riconobbero la figura di Scarlet che emergeva dalla
penombra della
stanza, il sorriso tronfio e superbo marchiato sul volto. Un risolino
sofferto
gli attraversò il volto, mentre raccoglieva le forze per
rispondere a tono
all’insolenza della donna.
“Potrei
dire lo stesso della tua battaglia contro il tempo”
sussurrò, quasi in un
soffio, mentre il corpo veniva scosso da diversi brividi e la testa si
faceva
più pesante. Aveva la febbre…? Probabile.
“Sul serio, donna, riesci a capire
quand’è il momento di piantarla con i
lifting?”
Scarlet
non sembrò sorpresa dal suo sarcasmo: dopotutto, conosceva
Michael abbastanza
da sapere che non si sarebbe fermato facilmente, pur di ostacolare i
suoi
piani. O semplicemente, pur di ostacolare lei.
“Come
pensavo” sussurrò la donna in risposta,
guardandolo dimenarsi senza risultato
tra le catene. “Sai, non ho mai capito il motivo per cui ti
diverte tanto
metterti contro di me. Sapendo poi come ogni volta tu ne esca
irrimediabilmente
sconfitto!”
“Lo
dico da sempre che non sei particolarmente sveglia, ovvio che non
capisci le
cose.”
“Ma
davvero?” fece lei in risposta, socchiudendo gli occhi e
allargando il sorriso
perfido che le sfregiava il volto. “Riesci a spiegarti allora
come hai fatto a
cadere nella più insulsa delle trappole?”
“Semplice
galanteria. Mi hanno insegnato che bisogna sempre assecondare i
capricci di una
donna, specie se la natura non l’ha benedetta con molti
doni.”
“Non
la pianti mai di scherzare, non è vero?” fece lei,
mentre il sorriso scivolava
via dal suo volto come cera. “Cosa devo fare per far
sì che tu ammetta la tua
sconfitta?”
“Levarti
di torno non sarebbe male.”
“Hai
mai provato a prendere una donna sul serio?”
Michael
sorrise sornione. “Le donne certamente, gli ammalianti
transessuali che battono
nei bassifondi un po’ meno. Ti suggerirei di tornare da dove
sei venuta e di
abbassare un po’ i prezzi, magari qualche disperato ciccione
peloso riuscirà a
trovare il modo di trapanare quelle chiappone da vacca che ti
ritrov…”
Le
sue parole vennero ingoiate da uno schiaffo poderoso della donna,
livida di
rabbia e incapace di trattenere la sua apparente
tranquillità per ancora un
secondo di più. Per tutta risposta Michael, un rivolo di
sangue che gli colava
giù dalla bocca, le sputò con disprezzo sul viso,
facendola imprecare
sonoramente e scatenando ulteriormente la sua rabbia.
“Pff”
esclamò Michael contrariato, il volto impegnato a mascherare
il dolore che gli
attraversava tutto il corpo. “Finché non ti
libererai di quest’atteggiamento
sarà tutto inutile. Prova a picchiare ogni singolo uomo
della ShinRa perché non
obbedirà ad un tuo ordine! Sei soltanto una stupida se credi
di poter mandare
avanti così l’intera Midgar. E’
impossibile, sei troppo irrimediabilmente tonta
e tronfia per avere la meglio sugli avversari. Tutto questo
finirà presto, ti
suggerisco di goderti un po’ il calore che quella poltrona
può dare al tuo
sedere grasso e cellulitico. La gente non permetterà che tu
governi su questa
città!”
Michael
riprese fiato, sospirando, un mezzo sorriso sul volto che contrastava
con
l’espressione incredula che la donna aveva sul viso. Sapeva
che le sue parole
avevano sortito l’effetto in lei, e, nonostante avesse voglia
di urlare e di
sbattere la testa contro un muro, si costrinse a mantenere
l’apparenza
tranquilla e imperturbabile che lei – da sempre,
perché era da sempre che si
conoscevano – gli ricordava addosso.
Scarlet,
al contrario, era in preda alla rabbia, incapace di trattenersi, pronta
a farla
pagare a Michael Kreuger per le sue parole sfacciate e piene di
disprezzo. Fece
scivolare tra le mani uno stiletto sottile che teneva solitamente in
vita,
facendo ondeggiare una scintilla di luce, proveniente da una saetta
improvvisa
che aveva squarciato il cielo, sulla lama affilata.
“Scommetto
che riesci a capire quale sia il problema che abbiamo sempre avuto
entrambi,
Michael.” Gli occhi di Scarlet mandavano bagliori, mentre
rigirava la lama
sottile del pugnale tra le lunghe dita. Improvvisamente, con un
movimento
secco, Scarlet gli lacerò la carne e gli abiti,
procurandogli una profonda
ferita pulsante lungo il petto insozzato di rosso.
Michael
annaspò, colto di sorpresa, lasciandosi andare
all’improvviso e cedendo sulle
ginocchia. Sentiva il calore del sangue che gli colava giù,
oltre l’ombelico,
fino a insozzargli i pantaloni che si tingevano di nero. Il sorriso sul
volto
di Scarlet si allargava sempre di più.
“P-puttana
bastarda…”
“Ecco,
era esattamente di questo che parlavo. Non sceglieresti di salvare te
stesso
neppure se ti tagliassi le palle.”
“Che
c’è, te ne serve un paio per caso?”
Per
tutta risposta, Scarlet gli conficcò il pugnale nel ventre,
con forza, ridendo
sguaiatamente. “Pff, eccolo qui, Michael Kreuger in tutto il
suo splendore! Basta qualche
ferita per metterti fuori gioco?”
“Ggh…”
“Sai
credevo fossi più resistente, ragazzo.”
Michael
la guardò con disprezzo, sollevando a fatica la testa verso
di lei. Poi,
trattenendo il fiato, le sputò di nuovo in pieno volto,
sorridendo subdolamente
all’espressione contrariata della donna.
“Brutto…!”
“Ci
riesco ancora, Scarlet. Ci riuscivo dieci anni fa, e ci riesco ancora
oggi. Tu
sai di che cosa parlo.”
Scarlet
tremava dalla rabbia. Lentamente, si rigirò il coltello tra
le mani e fece
scivolare le mani lungo il corpo dell’uomo, soffermandosi sul
cavallo dei
pantaloni. Un sorriso malvagio le permeava il volto, mentre, lasciando
scivolare la lama sui pantaloni, lacerava profondamente e
irrimediabilmente la
carne sottostante, ed una macchia di sangue – sempre
più denso – si allargava lungo
il corpo seviziato di Michael.
Partendo
dal presupposto che Michael e Scarlet a mio parere si amano follemente,
devo
ammettere che mi sono divertito un mondo a scrivere la scena finale.
Questa
parte avrebbe dovuto essere nel prossimo capitolo, ma quello che avevo
scritto
mi sembrava troppo serio e vuoto, e chi mi conosce sa bene come io VIVA
per
inserire nelle mie fan fiction momenti trash o WTF a cavolo.
Così, for the
lulz. Perdonatemi o accettatemi così come sono, ma vi prego,
evitate di
compatirmi. X°°
Sì,
lo so, sono mortalmente in ritardo perfino per i miei standard. Dovevo
aggiornare il 28 Luglio ma tra una trasferta random al Giffoni Film
Festival e
la conseguente febbrona da cavallo durata 6 giorni ho perso un mucchio
di tempo
e mi sono ritrovato al 28 con solo metà capitolo e una
discreta propensione al
suicidio. Poi mi sono reso conto che via, non cadeva di certo il mondo
per
qualche giorno di ritardo (o per 9 giorni, ma who cares!), e che avrei
potuto
finire quando ne avevo voglia o semplicemente quando ero più
in forma, e così
ho fatto. Sebbene il risultato non mi convinca pienamente. Oltretutto,
dopo lo
scorso capitolo, tutto incentrato sulle vicende di Michael e Scarlet,
ho preferito
scrivere un capitolo più corale, concentrandomi su tutti i
protagonisti della
fan fiction, anche se ho deciso di approfondire maggiormente Tseng e il
suo
rapporto con Aerith e Zack: il flashback l’avevo scritto
diverso tempo fa, così
come altri flashback in cui compare Zack e che non ho ancora
utilizzato, ed ho
pensato di inserirlo in questo capitolo, che è
prevalentemente riflessivo, per
rendere più profondi i legami che intercorrono tra i vari
personaggi e per
spiegare in maniera marcata come gli ultimi avvenimenti li abbiano resi
diversi
da com’erano un tempo.
Comunque,
6 capitoli pubblicati, 6 ancora da scrivere prima della fine della fan
fiction.
Questo era un po’ un capitolo di raccordo tra la prima parte,
terminata con la
scalata al potere di Scarlet, e la seconda, leggermente più
caotica e in cui si
cercherà di far coincidere la trama della fic con
l’inizio di Final Fantasy
VII. Se mantengo questo ritmo di scrittura, quindi, la storia
finirà nel 2018.
CAVOLI, DEVO DARMI UNA MOSSA, avevo 14-15 anni quando l’ho
cominciata e adesso
ne ho 18 e mezzo, sono TROPPO lento. Ma tanto so già che
passerà un altro anno.
Pazienza.
Vabbé,
comunque, grazie a tutti coloro che hanno letto il capitolo scorso e in
particolare a coloro che hanno recensito, ovvero shining
leviathan, Lirith, the one winged angel e
Zackneifan. Spero nessuno di voi sia
morto di vecchiaia nell’attesa di questo capitolo.
X°°D
Ci
si sente presto, spero, con il settimo capitolo. Ciao!
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