NDA:
Ci
credete? Ho il batticuore.
E sento il bisogno di postare adesso, anche se è tardissimo
e nessuno leggerà a
quest’ora.
Allora.
Comincio col dire che questa one-shot è basata sulla
raccolta “Dieci volte
tanto” di N e m e e sulla
sua
doujinshi “Different or not?” [se vi interessa,
date un’occhiata al suo account
che contiene tutti i link utili]. E la ringrazio davvero tanto per
avermi
permesso di usare l’idea, che brevemente, tratta di una
collaborazione tra Esorcisti
e Shinigami, che si trovano ospitati nell’Ordine Oscuro e
messi a lavorare in
coppia con appunto, un Esorcista.
Secondo
poi, questa è in assoluto la prima IchiLina nel mondo
conosciuto e non [credo],
e quindi penso la mia emozione sia giustificata. Certo, chi di voi
segue The
Black Order of the Soul Society, The BOSS, la mia long AU crossover su
Bleach e
D.Gray-man saprà bene che già un capitolo
è stato dedicato a questa coppia che
io amo tanto tanto.
Ma
vedete, questa one-shot è tutta loro [balla,
perché ci ho infilato pure il
Grimmjow e LaviRuki, ma vabbè], insomma, si
meritavano un po’ di spazio
oltre che nel mio cuoricino.
Perché
questi
due sono di un fluff incredibile, e io, che non sono di sfegatata di
coppie di
questo genere, mi sono trovata coinvoltissima prima di rendermene
conto. Sono nati
per puro caso, così come il LaviRuki, N
e
m e e Angy_Valentine
possono
confermarlo.
Poi, col tempo, sono cominciate a venire fuori somiglianze tra di loro
che
hanno cominciato a farli funzionare nella mia testa più del
previsto. Già, io
credo nel “chi si assomiglia si piglia”.
Prima
di
tutto, c’è il forte desiderio di proteggere i loro
nakama che li accomuna, e
anche un'infanzia che li ha visti costretti a crescere in fretta e a
nascondere
le loro debolezze. Poi la timidezza, e la passione di entrambi per il
cioccolato [non è una cosa che mi sono inventata, informarsi
per credere]. Tutte
cose che ho cercato di sottolineare in questa one-shot come meglio ho
potuto.
Aaah,
mi
sa che qui ci scapperà anche il disegnino... [sì,
disegno pure, ma a voi che
vi frega?]
Comunque,
prima o dopo aver letto questa fic, vi consiglio di ributtare uno
sguardo al
volume 16 di D.Gray-man, su cui mi sono basata per costruire molti dei
pensieri
di Linalee. Linalee che devo ammettere mi è sempre piaciuta
come personaggio,
anche se non è mai stata tra i miei preferiti, ma
sarà l’IchiLina, sarà il
contesto di quel volume e di questa storia e della long,
sarà che sto
preparando il suo cosplay [sì, faccio pure cosplay,
ma ancora, a voi che vi frega?],
saranno tante cose... però sto sul serio arrivando ad
adorarla. ;W;
E
vabbè,
Ichigo è Ichigo e non si discute, lui l’ho sempre
amato.
Ma
questi
due, questi due insieme...!
Basta, direi che è il caso che vi lasci alla one-shot.
–v–
17
GIUGNO: la fine... l’inizio.
Dalle
ombre irreali della
notte torna a noi la vita reale che conosciamo.
Dobbiamo
riprenderla da
dove l'avevamo lasciata, e in noi si insinua il senso terribile di
un'energia
che deve continuare nello stesso monotono circolo di abitudini
stereotipate; o
magari il desiderio violento che una mattina i nostri occhi possano
aprirsi su
un mondo che nell'oscurità è stato rimodellato
per il nostro piacere, in cui le
cose si diano nuove forme e colori, siano diverse o abbiano altri
segreti, un
mondo in cui il passato abbia poca o nessuna importanza, o comunque
sopravviva
in forme ignare di obblighi o rimpianti, avendo il ricordo della gioia
la sua
amarezza, e quello del piacere la sua pena.
[Oscar Wilde ~ Il
ritratto di Dorian Gray]
L’ennesimo
tuono rimbombò al di là del sottile vetro
della finestra sbarrata, che quasi gli sembrò tremare,
sferzato da una raffica
di vento e dalla pioggia che continuava a cadere da ore, incessante.
La
notte, là fuori, sembrava piangere.
Era una sorta di
punizione...?,
si chiese, nel buio di quella stanza che ancora, nonostante ci avesse
già
trascorso diverse settimane, gli era tutto tranne che familiare.
Ichigo
Kurosaki non era esattamente quel tipo di persona
nostalgica che si lega materialmente agli oggetti, però
c’erano cose da cui
faceva fatica a separarsi. Banalmente, camera sua. Casa
sua. La sensazione di quel pavimento e di quei mobili un
po’
consumati e vissuti negli anni dalla sua famiglia. In qualche modo,
l’asse scricchiolante
del terz’ultimo gradino delle scale e il sapere esattamente
come muoversi nel
bagno senza dover accendere la luce, erano per lui una sicurezza.
Un
posto dove poter tornare, entrando dalla finestra per
non svegliare le sue sorelle che in realtà sapeva
sveglissime e con le orecchie
tese ad aspettare il suo ritorno, un posto familiare, capace di calmare
il
battito accelerato del suo cuore e il fremito delle sue mani che fino a
un
secondo prima avevano impugnato una spada e ucciso chissà
quanti Hollow.
Qualcos’altro
a cui, nonostante fosse diventato quasi un
gesto meccanico, non si poteva dire si fosse abituato.
Così
come quella stanza, quell’intero edificio dall’aria
cupa
e antica, che sembrava aver visto chissà quanti secoli e
vite passare, e che lo
metteva inconsciamente a disagio.
Non
che questo disagio gli impedisse di crollare sfinito
sul materasso che odorava leggermente di muffa e addormentarsi nel giro
di
qualche secondo, dopo una... “missione”.
È così che le definivano, all’Ordine Oscuro, mentre per lui rimaneva
sempre il solito uccidere e purificare quanti più Hollow
possibili. Anche Rukia
Kuchiki più di una volta, con una punta di orgoglio da
Shinigami e da membro di
una famiglia nobile, l’aveva chiamata
“missione”, ancora prima di stringere
quell’alleanza coi cosiddetti Esorcisti.
Ichigo, al contrario, non aveva mai voluto etichettare così
freddamente quello
che faceva.
L’aveva
capito quando aveva salvato Orihime Inoue da quello
che una volta era stato suo fratello, che non si sarebbe mai trattata
di una
semplice “missione”. Che quello che alla fine
l’aveva spinto ad accettare il
suo ruolo da Dio della Morte, non era e non sarebbe mai stato senso del
dovere,
e l’orgoglio dello stare dalla parte dei
“buoni”.
Voleva
solo aiutare quante più persone possibili, molte
più di quelle che riusciva a stringere tra le braccia.
Persone,
Plus, Hollow.
Per
lui, in fondo, non faceva granché differenza.
Grimmjow Jaegerjaques che si era ritrovato inaspettatamente come
alleato e ora,
compagno di stanza, e che russava sommessamente con un braccio che
pendeva dal
letto a castello sopra il suo – l’aveva
letteralmente preteso, da bravo felino
amante dell’altezza qual’era – non aveva
mai fatto differenza.
Pensieri confusi dalla stanchezza come quelli, continuavano a ronzargli
nella
testa da ore, impedendogli di prendere sonno. Ma la realtà
era che si stava
involontariamente sforzando di pensare a qualunque cosa tranne che a
quello che
in un angolo della sua testa occupava più spazio di tutto il
resto.
Dopotutto,
era il 17 giugno.
E
lui non sarebbe mai stato in grado di addormentarsi
tranquillamente, come sempre del resto, da quando aveva nove anni.
Sopra
di lui, sentì cigolare la rete metallica che
sosteneva il materasso su cui Grimmjow si stava stiracchiando nel
sonno,
facendo un casino infernale.
Chiedendosi
per quale diavolo di motivo quel gatto troppo
cresciuto non avesse paura dei temporali e sembrasse ancora
più rilassato del
solito, Ichigo provò l’impulso di tirare un calcio
al materasso, ma si
trattenne. Non era il caso di sfogare la sua frustrazione contro
qualcuno che
si sarebbe vendicato nel giro di un nanosecondo, e pure con gli
interessi. La “piccola”
zuffa che ne sarebbe derivata, avrebbe portato l’intero
Ordine al suo stesso
stato di insonnia.
Sta
di fatto, che oltre a non essere in grado di prendere
sonno, non riusciva nemmeno a starsene fermo a studiare
l’intreccio della rete
metallica a qualche centimetro dal suo naso. Sentiva il bisogno di
camminare.
Andare in bagno, magari, o in cucina a bere un bicchiere
d’acqua giusto per
ingannare il tempo, e senza provare l’impulso di accendere la
luce. Ma ancora,
quella non era casa sua. E in quella notte piena di pioggia e ricordi,
quel
senso di estraneità era ancora più insopportabile.
Facendo
cigolare a sua volta la rete che sosteneva il suo
materasso, si sedette e appoggiò i piedi nudi alle fredde
piastrelle del
pavimento, provando un leggero brivido, nonostante ormai soltanto
qualche
giorno separasse quella notte all’inizio effettivo
dell’estate.
E
rimase ad osservare il buio illuminato dagli sporadici
lampi in lontananza per qualche secondo, per poi portarsi le mani al
viso e
strofinarsi gli occhi con un sospiro malcelato. Si rendeva conto da
solo che le
ore sarebbero passate e il mattino sarebbe arrivato ugualmente, anche
se lui
fosse rimasto ad aspettare pazientemente nel letto, ma quel posto gli
dava la
sgradevole sensazione che il tempo si fosse come fermato, tra le crepe
dei muri
di pietra e le volte dei soffitti fin troppo alti. Quasi come se
Ichigo,
insospettabile amante dei classici, si trovasse in un'opera
ottocentesca di
Wilde, intrappolato nel rimorso e nel rimpianto del passato
così come l’anima
del famoso signor Gray nel suo quadro.
Scosse
la testa, sconcertato. Sì, aveva davvero bisogno
di distrarsi e camminare un po’, i pensieri nella sua testa
pesante di
stanchezza stavano cominciando a prendere una piega fin troppo
malinconica e
assurda, arrivando a fare similitudini che non stavano né in
cielo né in terra.
Quindi,
cercando di fare meno rumore possibile per non
svegliare il suo coinquilino, si alzò e afferrò
una felpa per proteggersi
dall’umidità che sembrava entrargli fin dentro le
ossa, e si diresse
silenziosamente verso la porta di legno, abbassandone la maniglia.
« Ohi.
»
Ichigo
si bloccò al suono di quella voce roca che ben conosceva,
e si voltò, mentre incontrava gli occhi di un Grimmjow
palesemente assonnato e
coi capelli completamente spettinati, ancora più del solito.
Anche se si
trovava dentro un gigai, il suo
sguardo sottile sembrava brillare ugualmente nel buio, come se fosse
nella sua
forma felina di Adjuchas. Sguardo che lo studiò per qualche
secondo, intuendo
le sue intenzioni, anche se forse non le ragioni. A prima vista,
Grimmjow
poteva sembrare il classico tipo egocentrico che se ne frega degli
altri e non
vede al di là del suo naso, ma con Ichigo aveva imparato a
comportarsi in modo
diverso. E forse, per la sorta di rispetto reciproco che si era creato
tra di
loro, aveva anche imparato a conoscerlo un po’, pian piano,
visto che quello
stupido umano dalla zazzera arancione non era esattamente il tipo da
aprirsi a
chiunque con facilità. Non che l’obiettivo di
Grimmjow fosse quello di
instaurare un idilliaco e duraturo rapporto di amicizia. Solo, da
quando era
stato... palesemente sconfitto, come ancora gli costava ammettere, non
dalla
sua forza fisica ma da quella di volontà, aveva cominciato a
riconsiderare il
modo di valutare gli umani con qualche aggettivo in più
oltre che a “feccia”.
E
Ichigo era umano. Incredibilmente umano, con uno
sguardo un po’ perso nel vuoto e malinconico, quando non
diventava inflessibile
come durante un combattimento. Ovviamente, Grimmjow non poteva sapere,
e non si
era mai azzardato a chiedere troppo, anche se nel suo sguardo spaesato
aveva
intravvisto più di una volta un passato a cui non aveva mai
dato voce. Grimmjow
poteva sembrare sì il classico tipo egocentrico e per di
più con un tatto da
elefante, ma c’è da ricordare che la sua natura
era quella del felide, non del
pachiderma.
« Non
fartela
sotto se incontri qualche fantasma. », buttò
lì, non proprio a caso. Ichigo
tradusse la sua frase come un “non farti schiacciare troppo
dal peso dei
ricordi”. O meglio, “non piangere come una
femminuccia per il dolore”. Sì, era
decisamente più nel suo stile.
Accennò
a un sorriso che forse lui non vide, mentre
tornava a voltarsi verso la porta, aprendola.
« Con
te non me
la sono mai fatta sotto, mi sembra. »
«
Già, chissà
perché... », mormorò Grimmjow
contrariato, sprofondando nuovamente con la
faccia nel cuscino e facendogli un cenno con la mano, come a dirgli di
sbrigarsi ad andarsene e a lasciare dormire lui in pace. O meglio, di
nuovo, di
sbrigarsi ad andarsene e calmare un po’ sé stesso.
Ichigo
ancora una volta scosse la testa, mentre si
richiudeva la porta alle spalle.
Persone, Plus,
Hollow.
Grimmjow non aveva davvero mai fatto differenza.
I
soffitti a volta di quella sorta di... castello?,
chiesa?, sede dell’Ordine Oscuro, erano davvero infinitamente
alti. Ad ogni
nuova stanza in cui Ichigo entrava, si ritrovava a camminare con il
naso per
aria a fissare le intricate decorazioni gotiche scolpite nella pietra e
nelle
colonne di sostegno. Più di una volta aveva rischiato di
incappare in un
gradino o una piastrella sollevata a tradimento, riuscendo a ritrovare
l’equilibrio solo all’ultimo secondo. Non si poteva
dire lo stesso del suo
senso dell’orientamento, però, perché
ben presto si rese conto di essersi
completamente perso.
Non
che gli importasse. Non aveva la minima intenzione di
tornare nella sua stanza in quel momento, quella passeggiata notturna
stava sortendo
l’effetto desiderato, o almeno, in parte. E poi, quando il
sole fosse sorto,
avrebbe sicuramente incontrato qualcuno in grado di dargli indicazioni
per
tornare nell’area adibita agli alloggi. Quindi, per il
momento, gli andava bene
così.
Anche se il silenzio si faceva più opprimente ad ogni suo
passo, che rimbombava
con uno strano eco contro il pavimento di pietra. Ichigo Kurosaki non
era un
tipo che si lasciava impressionare facilmente, anche perché
di fantasmi ne
vedeva tutti i giorni, ma doveva ammettere che vagare da solo e in
piena notte
per i corridoi di quello che sembrava a tutti gli effetti un edificio
infestato,
non era il massimo per la sua fantasia galoppante che cercava in tutti
i modi
di rifuggire a pensieri dolorosi. Per questo prese a frugare nelle
tasche della
sua felpa e ne estrasse un iPod un po’ malandato ma ancora
funzionante,
infilandosi le cuffiette nelle orecchie dopo qualche secondo passato a
cercare
di districare il complicato intreccio di nodi e fili. Quindi
selezionò la
discografia dei Social Distortion, il suo gruppo preferito, e
inserì la
riproduzione casuale, per poi riprendere a camminare assorto nella sua
musica e
non più nel silenzio, tamburellando appena con le dita che
seguivano il ritmo
delle canzoni che conosceva a memoria.
Eppure
non riuscì a non bloccarsi per un secondo quando
sentì diffondersi nelle orecchie l’introduzione di
A Place In My Heart. Soppesando il
dispositivo in una mano e
aggrottando le sopracciglia, decise che era meglio andare avanti.
Avanti, sì.
La canzone che seguiva era Another State
Of Mind.
Era
forse una congiura...?,
pensò, guardando con aria corrucciata il suo iPod che
sembrava essersi
alleato con la pioggia e messosi contro di lui.
Sicuramente,
però, la melodia incalzante di quelle
canzoni che faceva a pugni con un testo fin troppo evocativo per lui in
quel
momento, era una specie di toccasana in grado di alleggerire
l’atmosfera
pesante che si respirava passeggiando tra quei corridoi bui e piuttosto
suggestivi. In un modo del tutto particolare, quelle canzoni sembravano
fuori
posto, quasi sbagliate, troppo
ritmate per un’ambientazione da libro ottocentesco. Certo,
anche lui stesso
sembrava fuori posto, lì, in tuta e con una t-shirt viola
con scritto “nice
vibe”. Quindi lasciò correre, riinfilando le mani
in tasca, e facendo un mezzo
sorriso anch’esso sbagliato, mentre schiudeva appena le
labbra per sillabare qualche
frase del testo.
E
gli venne quasi un colpo quando, proprio mentre stava
dicendo “she’s the only
one for me”
con lo sguardo ancora fisso al soffitto, per poco non finì
contro una figura di
cui si accorse solo quando fu a pochi centimetri dal prenderla dentro,
rischiando
di farle cadere il vassoio con diverse tazze che reggeva in mano. Ci
mise
qualche secondo per metterla a fuoco, nel buio illuminato appena da
delle
lampade a olio appese al muro. Lei invece fu più veloce.
«
Kurosaki-san!
Buona... buona sera. », gli sorrise dopo un attimo di
sorpresa.
«
L-… Lee. », la
salutò a sua volta con una punta di stupore, mentre si
toglieva le cuffiette
dalle orecchie e metteva in pausa la musica, seguito in ogni movimento
dagli
occhi dalla sfumatura violacea di una Linalee Lee che forse per la
prima volta
si trovava di fronte a un iPod. Ichigo non si sbagliava a dire che
l’Ordine
Oscuro fosse un posto un po’ fuori dal tempo. «
Credevo... di non trovare
nessuno in giro, a quest’ora. », aggiunse,
catturando nuovamente la sua
attenzione.
«
Stessa cosa per me. »,
Linalee
si limitò a sorridere ancora e a spostare
sull’altra
mano il vassoio pieno di tazze colorate che però
raffiguravano sempre la stessa
faccia di un coniglio che mostrava la lingua.
Era
ormai da tempo che, prima di ritirarsi nella sua
stanza e dedicare un po’ di meritato tempo a sé
stessa, Linalee Lee aveva preso
l’abitudine di fare un giro di pulizie nel disordinatissimo
studio di suo
fratello maggiore, Komui Lee, almeno per recuperare le svariate tazze
di caffè sparse
ovunque e ormai vuote, e cercare di raccogliere da terra fogli volanti
che
immancabilmente si rivelavano documenti ufficiali. Sapeva bene che
quello non
faceva parte del suo lavoro, aveva perso il suo posto di assistente da
un
pezzo, venendo rimpiazzata da Brigitte Fey, ma in tutti quegli anni,
non era
ancora riuscita a ripagare il debito di gratitudine che sentiva verso
quell’unico
familiare, quasi un padre, che le era rimasto.
Sta
di fatto che questa volta aveva finito per
appisolarsi sul divano mentre scorreva le carte che aveva raccolto per
capire
cosa potesse buttare o meno, e si era svegliata solo qualche minuto
prima, come
testimoniava una ciocca che sfuggiva al resto del liscio caschetto di
capelli
scuri e tendenti al violaceo. Ichigo osservò quel buffo
ciuffo ribelle senza
trovare la forza di dirle niente o men che meno allungare una mano per
sistemarglielo – e un gesto del genere era in generale al di
là delle sue
alquanto timide possibilità. Per quel poco che aveva
imparato a conoscerla in
quelle settimane, andando in “missione” con lei,
aveva come l’impressione che
se le avesse fatto notare di avere qualcosa fuori posto, si sarebbe
imbarazzata
da morire, sentendosi mortificata.
In
quelle settimane, ciò che aveva appreso di lei era
anche che, nonostante il suo aspetto così femminile e
curato, non era proprio
il caso di sottovalutarla. E se ne era reso conto a sue spese, quando,
in uno
dei suoi naturalissimi slanci cavallereschi, aveva tentato di
proteggerla da
quello che aveva imparato a definire Akuma,
e che era apparso senza preavviso. Era andata a finire che era stata
lei a
proteggere lui, alzandosi praticamente in volo e annientandolo con un
singolo
calcio... e regalandogli inoltre una visione esclusiva della sua
biancheria intima,
coperta solo dalla corta gonna della sua divisa da esorcista,
ricordò,
ringraziando il buio che con tutta probabilità gli
nascondeva le guance tintesi
di rosso a quel pensiero.
A
sua volta, Linalee Lee approfittò di quell’attimo
di
silenzio per studiare la sua espressione, che gli era parsa ancora
più
pensierosa del solito. Lei, di Ichigo Kurosaki, aveva imparato che
era... beh,
un vero gentiluomo. Anche se forse non era qualcosa che saltava
immediatamente
all’occhio. Lei stessa inizialmente era stata fuorviata dalla
sua aria
perennemente imbronciata, tanto che di primo acchito le aveva ricordato
un po’
la misantropia fatta a persona, ovvero Yu Kanda. Ma presto, provando a
rivolgergli la parola e sentendosi inaspettatamente rispondere
sì brevemente,
ma con molta educazione, si era resa conto che non era affatto
così. Quel
ragazzo riservato dai capelli arancioni che attirava involontariamente
forse
più attenzione di quella che desiderava, stava spesso da
solo o in silenzio, ma
non perché non volesse comunicare con gli altri,
bensì perché era talmente
tanto assorto nei propri pensieri da estraniarsi. E anche
perché, anche di
questo si era resa conto pian piano, era un po’ timido con le
persone che non
conosceva. Mentre con quelle che conosceva, se coinvolto, si lasciava
andare
volentieri. Con un lieve sorriso, l’aveva osservato
più di una volta
“scherzare” con due suoi compagni che altrettanto
si distinguevano per la
chioma rispettivamente azzurra e rossa. Che quegli scherzi fossero poi
degenerati in una rissa verbale a suon di insulti, era un dettaglio che
Linalee
aveva trascurato amabilmente, come quando le capitava di assistere ai
battibecchi tra Yu Kanda e Allen Walker, che ormai si era rassegnata a
cercare
di fermare.
Probabilmente
non lo faceva apposta, a nascondere quella
sua caratteristica gentilezza, ma Linalee si era accorta che molti non
la
notavano allo stesso suo modo o non la notavano affatto, forse
perché erano
stati meno a contatto diretto con lui. Con un disappunto che non aveva
tardato
a mostrare lanciandogli un’occhiata offesa, aveva sentito
più di una volta
qualche finder sentenziare alle sue
spalle un “non abbiamo bisogno di un altro Kanda,
qui”. E in tutta risposta,
come a volergli provare che Ichigo era una persona con cui si poteva
comunicare
tranquillamente, si era avvicinata a lui, finendo per stupirsi ognuna
di quelle
volte di quanto, oltre che a tranquillamente, fosse anche piuttosto
piacevole
parlare con lui. Finendo ben preso per dimenticarsi dei commenti dei finder.
Per
questo non si sentì per niente a disagio,
incontrandolo così nel bel mezzo della notte, e anzi, quasi
la trovò una fortuna.
I momenti in cui avevano potuto scambiare quattro chiacchiere erano
sempre
stati meno di quelli che lei avrebbe voluto.
« Come
mai sveglio così tardi? »,
gli chiese quindi, rompendo il silenzio. Ichigo si passò una
mano alla base del
collo, riscuotendosi a sua volta dall’imbarazzo provocatogli
da quell’episodio
di cui si era ricordato appena qualche secondo prima.
« Non
riuscivo a dormire. »
«
Spero che non sia perché il
letto è scomodo! »
« Eh?
No, no, è comodissimo. Avevo
solo... un po’ di pensieri per la testa e non riuscivo a
prendere sonno, tutto
qui. »
La
ragazza soppesò per un attimo la sua affermazione,
inclinando la testa
di lato e guardandolo con aria critica. Ichigo si sentì
studiato, e quasi
temette che stesse per chiedergli delucidazioni sulla natura di quei
pensieri
che l’avevano tenuto sveglio, ma la preoccupazione
scemò via nello stesso
istante in cui la vide regalargli l’ennesimo sorriso.
«
Allora, visto che ormai il sonno
ti è passato... ti andrebbe una tazza di caffè?
Mh, credo che sia avanzata
anche qualche fetta di torta al cioccolato... »
«
Magari. », Ichigo alzò le spalle
cercando di mostrare indifferenza, mentre in realtà Linalee
aveva detto proprio
la parola magica per lui, insospettabile amante del cioccolato oltre
che dei
classici della letteratura.
Per
di più aveva cenato poco e niente, lo stomaco gli si era
chiuso
facendogli passare tutta la fame. Ma qualcosa sotto i denti, adesso che
era
riuscito un po’ a distrarsi, lo avrebbe messo volentieri.
Soprattutto se si
fosse trattato di una fetta di torta al cioccolato.
«
Dammi, ti
aiuto. », si offrì quindi, allungando le mani per
prendere il vassoio che
Linalee sorreggeva.
«
Tranquillo,
non ser-... grazie. », si arrese subito lei con un sospiro,
perché ormai Ichigo
le aveva già sottratto gentilmente il tutto. Ecco, si era
rivelato ancora una
volta inaspettatamente cortese, pensò, mentre lo osservava
prendere in mano una
tazza e scrutare da vicino uno dei conigli. Sarebbe stato meglio tenere
quelle
tazze alla larga da Rukia, rifletté a sua volta Ichigo,
mentre sovrappensiero
si incamminava lungo il corridoio, salvo poi fermarsi a metà
strada e voltarsi
indietro, rendendosi conto che Linalee non lo stava seguendo.
«
Lee...? »
Linalee
si morse con forza il labbro inferiore, facendo
un cenno con una mano a indicare il lato opposto del corridoio.
«
Veramente...
la cucina è da questa parte, Kurosaki-san. »,
spiegò, mettendocela davvero
tutta per non scoppiare a ridere ed essere scortese nei suoi confronti,
il che lo
fece letteralmente avvampare, ancora fortuitamente nascosto dalla
penombra
creata dalla fioca luce proiettata dalle lampade. Ichigo chiuse gli
occhi,
corrugando la fronte e cercando di darsi un contegno, mentre si
incamminava
verso la direzione mostrata da Linalee.
«
Credo di
essermi... perso, in un certo senso. Questo posto è immenso.
», ammise,
distogliendo lo sguardo, ancora imbarazzato, mentre la ragazza si
accostava al
suo fianco, intrecciando le mani dietro la schiena e lasciandosi andare
alla lieve
risata che aveva trattenuto fino a quel momento.
«
Anche a me capitava
sempre, agli inizi. Comunque...
», pensò fosse meglio cambiare discorso per non
fargli pesare
troppo la figuraccia. « ... è da un po’
che te lo volevo dire. Chiamami pure
Linalee, non mi da fastidio. »
Quell’improvviso
cambio di argomento, inizialmente spiazzò Ichigo, che
rimase in silenzio, sul punto di rifiutare. Poi si chiese, perché no, in fondo? Lei aveva
detto che andava bene, ed Ichigo non
era mai stato il tipo che si preoccupava troppo di chiamare per cognome
o
aggiungere suffissi onorifici per dimostrare rispetto. Era convinto che
il
rispetto lo si dimostrasse in ben altri modi, non con parole che
potevano
benissimo rivelarsi false.
Linalee...,
ripeté nella
sua testa.
«
Allora tu chiamami Ichigo. »
«
Ichigo... », ripeté lei a sua
volta, anche se ad alta voce. E a lui quasi sembrò strano,
sentirlo pronunciato
da lei. Strano in senso buono. « Con che kanji
è scritto, se posso chiedertelo? Mi ha sempre incuriosita il
tuo nome. »
Senso
buono che non sarebbe durato per molto, però, visto che ora
erano
arrivati al tasto dolente. Per lo meno non si era subito espressa su
quanto
appetitoso sembrasse il suo nome.
«
“Uno” e…
“guardiano”. »,
sospirò, preparandosi al solito “Davvero? Non con
il kanji di fragola?”
sorpreso e pieno di scherno. Ne aveva sentite
fin troppe, di uscite del genere, per aspettarsi qualcosa di diverso. E
in
effetti per un attimo Linalee lo fissò con una punta di
sorpresa, per poi
addolcire lo sguardo accorgendosi della sua espressione sconsolata, e
spostarlo
nuovamente alla strada di fronte a sé, accennando a un
sorriso che però non
sapeva affatto di presa in giro.
«
Davvero? », iniziò come tutti. «
Beh, ti si addice. », continuò come nessuno prima
di lei.
A
quel punto, fu il turno di Ichigo di guardarla stupito per una manciata
di secondi, rafforzando la presa sul vassoio che teneva in mano.
« ...
Grazie. », si trovò a
risponderle con un po’ di esitazione, senza saper bene che
altro dire. Per una
volta, un commento fatto al suo nome non gli era parsa una presa in
giro bella
e buona.
« Sai,
quando ho sentito dei
passi, ero convinta che fosse Allen-kun. Ogni tanto di notte si infila
in
cucina e ripulisce la dispensa. », disse Linalee, con la
testa praticamente
infilata nel mobile dal quale stava estraendo due piatti su cui posare
la
torta.
Ichigo,
che sedeva pazientemente a un tavolo della cucina, fissò
risoluto
lo sguardo dall’altra parte della stanza e
ringraziò un dio a caso che in quel
momento Linalee indossasse un semplice completo di fattura cinese, con
un paio
di pantaloni aderenti tagliati sotto il ginocchio al posto di una
gonna, che
altrimenti, vista la sua posizione china, gli avrebbe offerto
un’altra bella
panoramica delle sue grazie più intime. Anche se in ogni
caso la visuale su cui
cercava in tutti i modi di non concentrarsi, era ugualmente suggestiva.
La
delicata suscettibilità di Ichigo si rendeva perfettamente
conto di quanto,
soprattutto quando avevano turni di pattuglia insieme e capitava che
dovessero
combattere, proprio come era successo la prima volta, non fosse
decisamente
facile stare a così stretto contatto con lei che esibiva
sempre con nonchalance
le sue lunghe gambe più scoperte che coperte dai vestiti che
indossava. Soprattutto
perché non si rendeva minimamente conto
dell’effetto che provocava mostrandosi
così, non lo faceva affatto apposta, come Yoruichi Shihōin o
Rangiku Matsumoto
che più di una volta si erano divertite a stuzzicarlo.
Improvvisamente si trovò
a rimpiangere la compostezza di Rukia almeno in quel frangente e il suo
lungo shihakusho, con lei era
decisamente più
facile combattere, senza avere la preoccupazione di dove gli potesse
cadere – involontariamente
– lo sguardo. Ma possibile che la divisa da esorcista di
Lee-... no, Linalee, non potesse
essere un filo più
coprente, accidenti?
« Non
faccio fatica a crederlo...
», replicò, cercando di distrarsi e concentrare i
suoi pensieri sul ben poco
sensuale modo di abbuffarsi di Allen Walker di cui era stato sfortunato
testimone più di una volta.
«
Però è un bravo ragazzo! », Linalee
asserì improvvisamente con estrema convinzione, mentre si
girava verso Ichigo
coi piatti in mano, avendo sentito il suo tono di voce un po’
distante, e non
potendo minimamente immaginare il perché. Facendo un passo
verso di lui, che si
tirò di poco indietro sulla sedia, inclinò la
testa di lato per entrare nel suo
campo visivo e incontrare il suo sguardo. E Ichigo si trovò
a fissarla
sconcertato prima ancora di rendersene conto e di trovare qualcosa da
dire per
risponderle.
«
Non... faccio fatica a crederlo.
», ripeté ancora, lasciandosi poi andare a un
mezzo sorriso che stupì lui
stesso, divertito a causa del suo atteggiamento così
palesemente protettivo nei
confronti dei suoi compagni.
Anche
Linalee si sorprese non poco a vedere quel lieve sorriso
così
inaspettato dipingersi sul suo viso, che per un attimo
sembrò rilassarsi dalla
solita espressone corrucciata. L’aveva visto talmente poche
volte sorridere, e
ancora meno per “merito” suo, in un certo senso,
che non riuscì a trattenersi
dall’arrossire un po’ di piacere, mentre si voltava
e iniziava a dedicarsi alla
preparazione del caffè.
In
realtà la cucina di notte veniva chiusa, ma Linalee sapeva
bene dove
Jerry, il cuoco dell’Ordine, teneva il mazzo di chiavi di
riserva. Non che avesse
mai sentito il bisogno di approfittarsene, ma quella era
un’occasione
particolare, per non dire speciale, quindi un piccolo strappo alla
regola
avrebbe potuto farlo. Dopo avrebbe risistemato tutto, Jerry non si
sarebbe
accorto di niente, e... ad essere sinceri, era piuttosto curiosa di far
assaggiare a Kurosaki-san, no... Ichigo,
la torta al cioccolato che proprio Jerry le aveva insegnato a fare.
Anche se
non gli avrebbe mai detto che l’aveva preparata lei. O
almeno, non prima di
capire se l’avesse apprezzata o meno. Suo fratello, Komui
Lee, era
letteralmente andato in un brodo di giuggiole quando gliene aveva
offerta una
fetta, ma questo succedeva per qualsiasi cosa lei facesse con le sue
mani per lui,
e il risultato era stato che l’aveva solo messa in imbarazzo.
Yu Kanda non le
aveva mai dato la soddisfazione di assaggiarla a causa del suo odio per
i dolci,
Lavi Bookman le aveva risposto con uno scherzoso “Wow,
Linalee, ma è
buonissima! Diventerai una mogliettina perfetta!” che
l’aveva fatta più
offendere che altro, Allen Walker... Allen Walker era un caso a parte,
lui
mangiava di tutto, bastava che fosse commestibile. Certo, si era
complimentato
con lei, ma del suo palato c’era ben poco da fidarsi. E
Miranda Lotto non aveva
neanche osato toccarla, scusandosi dal profondo del cuore, ma le era
parsa
troppo bella anche solo per rovinarla prendendone una fetta. Per non
parlare di
Aleister Crowley, che solo dopo un boccone era scoppiato in lacrime
ricordando
quanto quella della sua amata Eliade fosse disgustosa a confronto.
Insomma,
quella torta era diventato un tasto dolente per l’orgoglio
culinario di Linalee. Lei, altra appassionata amante del cioccolato, la
trovava
piuttosto buona, ma non si sarebbe mai permessa di giudicarsi da sola.
Per
questo arricciò le labbra, un po’ preoccupata,
mentre posava davanti ad Ichigo
una tazza di caffè fumante e un piatto con una fetta
piuttosto abbondante,
scostando una sedia e sedendosi rigidamente composta, anche troppo, di
fronte a
lui.
«
Prego. E attento che il caffè è
caldo. »
«
Grazie. », Ichigo si avvicinò il
piatto senza tanti complimenti, cercando di non far notare quanto gli
avesse
messo l’acquolina in bocca. Quella torta aveva un aspetto e
un profumo fin
troppo invitanti, ebbe solo un attimo di esitazione prima di prendere
in mano
la fetta e azzardare un morso. Ma proprio mentre stava per farlo, il
suo
sguardo cadde su una Linalee che lo fissava con un’aria fin
troppo attenta,
seguendo ogni sua mossa, in attesa, stringendo forte tra i pugni la
stoffa
leggera dei suoi pantaloncini.
«
Tu... non mangi? »
«
E-Eh? », si scosse
all’improvviso. « Ah, sì, certo!
», aggiunse, mentre a sua volta si tagliava
una fetta di torta più sottile, e se la avvicinava alla
bocca per addentarla.
Ma ancora una volta, si lasciò distrarre
dall’espressione di Ichigo, che aveva
finalmente dato il tanto agognato morso.
Ichigo
che tentò di fare finta di niente, anche se sentiva il suo
sguardo
su di sé, così come l’imbarazzo
arrossargli le guance per l’essere scrutato
così intensamente.
«
Com’è...? », Linalee non
riuscì
a trattenersi dal chiedere dopo qualche secondo. Ichigo si strinse
nelle
spalle.
«
Buona. »
«
Davvero? »
« Mi
ricorda un po’ quella di Yuzu...
», mormorò tra sé e sé,
dando un altro morso.
«
Yu-... zu-san? »
Ichigo
scosse la testa. « Lascia stare. Comunque, è
davvero buona. »
« Dici
sul serio? »
«
Mh-mh. »
« Non
è troppo dolce? »
« No.
»
«
Troppo asciutta? »
« No,
va bene. »
« E
non c’è troppo cioccolato? »
Per
Ichigo sinceramente non sussistevano limiti massimi di cioccolato, per
cui scosse nuovamente la testa.
E
finalmente Linalee si rilassò un po’ sulla sedia,
facendo un breve
sospiro di sollievo misto a un sorriso soddisfatto. Quindi
iniziò a dedicarsi a
sua volta alla torta, mangiandola con gusto. E a quel punto fu Ichigo
ad
osservarla con la coda dell’occhio, arrivando a una
conclusione ovvia dopo
essere stato sottoposto a quell’esame ravvicinato e tutte
quelle domande.
« ...
L’hai fatta tu, vero? »
Linalee
si bloccò con la bocca aperta mentre era intenta ad
addentare
nuovamente la sua fetta, che a quel punto riposò nel piatto,
mordendosi il
labbro inferiore, sconsolata per essere stata scoperta così
presto.
« Non
hai detto che è buona solo
per questo, vero...? »
« Non
sono il tipo. Se non fosse
stata buona, te l’avrei detto. »,
replicò Ichigo, appoggiando la testa a una
mano e raccogliendo con un dito lo zucchero a velo caduto sul piatto.
« Beh,
allora... grazie. Ne vuoi
ancora un po’? »
In
tutta risposta, Ichigo la guardò è
allungò il piatto verso di lei,
facendola sorridere ancora.
« Lo
prendo come un sì. »
« Lo
è. », e il sorriso di Linalee
si allargò, spingendo Ichigo a risponderle a sua volta, di
nuovo. Era
incredibilmente facile lasciarsi andare davanti ai suoi sorrisi gentili
e a una
torta al cioccolato. Lasciarsi andare... e non pensare a niente.
Esattamente
quello di cui aveva bisogno. Forse era lui quello che avrebbe dovuto
ringraziarla per averlo distratto così dai
“fantasmi” – come li aveva definiti
Grimmjow – del suo passato.
« Ah,
aspetta. »
Ichigo
si riscosse dai suoi pensieri non appena si accorse che Linalee si
era tesa sul tavolo verso di lui, allungando una mano a sfiorargli una
guancia,
appena a lato della bocca, come ad accarezzarlo. Gesto che mise un
po’ ad
assimilare, accorgendosi solo dopo che era stato causato dal fatto che
evidentemente doveva aver avuto qualche briciola sul viso. Ma questo,
comunque,
non lo aiutò affatto.
E
purtroppo Linalee capì troppo tardi, solo a conti fatti,
quanto quel
gesto innocente avesse fatto avvampare Ichigo, che non se lo era
aspettato
minimamente.
«
I-Io... scusa. », ritrasse
immediatamente la mano, chiedendosi poi perché si fosse
presa così tanta confidenza
da toccarlo così all’improvviso. Non aveva mai
fatto una cosa del genere
neanche con Kanda, che conosceva fin da bambina, o con Allen, che
considerava
come una sorta di fratello minore. Ma cosa le era preso? Quel breve
scambio di
sorrisi l’aveva scombussolata più di quanto si
fosse inizialmente resa conto.
« Non
ti scusare. », buttò lì
Ichigo distogliendo lo sguardo e grattandosi imbarazzato il collo. In
realtà
quello che più lo aveva fatto vergognare era stata proprio
la sua reazione. Dovuta
non tanto al contatto improvviso, ma a quanto quel gesto gli fosse
sembrato
quasi... materno. E quindi gli avesse fatto in un certo senso piacere.
Proprio
quel giorno, poi.
Tornando
a lei, ancora sbirciandola di sottecchi, si rese conto di non
essere l’unico ad essere arrossito inverosimilmente. Anzi,
Linalee, se
possibile, era ancora più in imbarazzo di lui, e per di
più mortificata, mentre
era tornata a stringere forte i pugni sulle gambe, col viso chino.
«
Linalee. », si trovò a chiamarla
ancor prima di aver deciso cosa fosse meglio dire o fare. Lei
alzò
immediatamente lo sguardo su di lui, sentendolo pronunciare il proprio
nome per
quella che era effettivamente la prima volta, per poi pentirsene
subito. Le sue
guance si accesero ancor più di rosso, così come
le sopracciglia di Ichigo si
aggrottarono per quel frustrante imbarazzo.
E
questa volta fu il suo turno di allungare la mano, facendole cenno di
avvicinarsi, e cogliendola totalmente alla sprovvista. Ma Linalee
ubbidì, e un
po’ titubante, si tese ancora sul tavolo verso di lui, che
esitò solo un
secondo prima di sfiorarle brevemente i capelli, proprio
all’altezza di quel
ciuffo ribelle che non era ancora andato a posto.
«
Così... siamo pari. »
La
reazione che si susseguì sul viso di Linalee per un momento
gli fece
credere di aver fatto la cosa sbagliata. Prima, ovviamente, sul suo
viso si
dipinse lo stupore, poi, come aveva immaginato, la vergogna, mentre si
lasciava
cadere all’indietro sulla sedia e prendeva a pettinarsi i
capelli con le dita,
appiattendoseli contro la testa per evitare altre sorprese sgradite e
imbarazzanti, per lei che ci teneva parecchio ad essere sempre in
ordine,
soprattutto se si trattava dei propri capelli, per cui il suo delicato
orgoglio
femminile raggiungeva il picco massimo. Ma dopo qualche secondo passato
a
sistemarsi febbrilmente, si rese conto di quanto dovesse sembrare...
ridicola
ai suoi occhi. E, quasi senza rendersene conto, piuttosto che
vergognarsi
ancora di più, come solitamente avrebbe fatto, si
ritrovò... a ridere, di sé
stessa, della gentilezza del gesto di Ichigo – che per lui
doveva aver
richiesto parecchio coraggio –, gesto atto solamente a
calmarla, e
dell’imbarazzo assurdo di quella situazione, che lentamente
scemò via.
«
Dovevo essere inguardabile! »
« Non
ci ho fatto caso. », anche
Ichigo si rilassò, tornando ad appoggiare il viso a una
mano, mentre si
avvicinava alla bocca la tazza col caffè che ora non era
più così caldo, per
nascondere il sorriso che gli era venuto spontaneo fare a vederla
ridere così.
Forse non aveva sbagliato del tutto, anche se per un attimo aveva
rischiato di
implodere, accarezzandole i capelli. « Meglio...?
», le chiese per sicurezza.
Linalee
si portò ancora una mano ai capelli, tirandoseli dietro a un
orecchio.
«
Sì... grazie. E scusa ancora.
Sono stata sfacciata. »
« Non
ci pensare. Te l’ho detto,
adesso siamo pari. »
« E...
tu? Va... un po’ meglio? »
Ichigo
si fermò con la tazza a mezz’aria, incontrando il
suo sguardo che
all’improvviso si era fatto come più...
comprensivo. Dolce. E fu il suo turno
di sentirsi un po’ ridicolo, per non essersi reso conto di
quanto il gentile
invito di Linalee a fare quello “spuntino notturno”
non fosse stato fatto a
caso, ma perché lei aveva capito che c’era
qualcosa di diverso in lui, che non
andava.
Linalee non aveva voluto lasciarlo solo. E il suo sorriso che gli
rivolse in
quel momento... fu davvero dolce.
« ...
Sì. Camminare è servito. E
pure... e pure la torta. »
« Mi
fa piacere. », mormorò
Linalee mentre abbassava lo sguardo verso la propria tazza ancora
intatta,
stringendola tra le mani e sfiorandone il bordo con le dita.
« Sai, ogni tanto
anche a me, quando ho un po’ di pensieri per la testa e non
riesco ad
addormentarmi, piace passeggiare per l’Ordine, di notte.
Sembra quasi... un
altro posto. Ah, non badare alle sciocchezze che sto dicendo.
»
Ichigo
la scrutò per qualche secondo mentre alzava le mani in segno
di
diniego.
« Tu
sei cresciuta qui, vero? »
«
Mh-mh. Mi ci hanno portata
quando avevo sei anni. », rispose lei, cercando di mantenere
un tono fermo.
Stessa cosa non si può dire del suo sguardo, che si
fissò in un punto
indefinito perché altrimenti, se avesse continuato a
ricambiare quello di lui
che a un tratto si era fatto più penetrante, dubitava che
sarebbe riuscita a
non mostrare quanto per lei fosse ancora profonda quella ferita.
Eppure, la sua
apparente fermezza non ingannò minimamente Ichigo, che di
lei aveva imparato
anche quanto odiasse mostrarsi debole e far preoccupare gli altri.
Un
po’ come lui.
« “Portata”? »
«
Beh... non ero proprio
entusiasta di venire qui, diciamo. »
«
Insomma ti hanno costretta. »
Linalee
sorrise per l’ennesima volta come a voler scusare davanti a
lui un
passato che in realtà lei stessa non era ancora riuscita a
perdonare.
« Ero
compatibile. »
Compatibile.
Vagamente,
ad Ichigo era stato spiegato cosa quel termine volesse dire. E
anche cosa fosse l’Innocence,
cosa
rappresentasse per tutta quell’organizzazione simil religiosa
che era l’Ordine
Oscuro. La rigidità delle sue regole gli era sembrata fin
troppo paragonabile a
quella della Soul Society.
Il
suo sguardo diventò inflessibile.
« Eri
una bambina. »
Per
l’ennesima volta, Linalee si trovò a guardarlo
prima di rendersene
conto, anche se non avrebbe voluto. E colpita dalle sue parole, non
riuscì a
mantenere quel sorriso falso che si spense lentamente, mentre lei
rafforzava la
presa sulla tazza che teneva tra le dita.
« ...
Già. »
Il
silenzio calò ancora tra di loro, ma ora non per
l’imbarazzo. Quasi
sarebbe stato meglio, pensò Linalee, che la sua infanzia era
l’ultima cosa che
voleva ricordare. Molte volte si era chiesta quanto la sua vita sarebbe
stata
diversa se Dio non l’avesse scelta, donandole a
forza l’Innocence. Molte volte si era chiesta
perché era dovuto
capitare proprio a lei, perché aveva dovuto lasciare la sua
casa, la sua terra,
essere costretta a diventare niente di più di un soldato,
perché era questo ciò
che era, nonostante l’aura di sacralità che
avvolgeva tutto l’Ordine. Un
soldato che doveva dare tutto sé stesso per una guerra che
inizialmente non
aveva nemmeno capito. Era stata una responsabilità troppo
grande per una...
bambina, niente di più, che si era trovata a crescere troppo
in fretta,
costretta dalle circostanze e da quel Dio, che molte, molte
volte si era chiesta se fosse davvero così misericordioso
come dicevano.
Eppure
per una cosa doveva ringraziarlo, quel Dio. E lo faceva sempre,
quando non riusciva a dormire e sentiva il bisogno di camminare un
po’, finendo
immancabilmente nella cappella dell’Ordine. Non si
inginocchiava, non pregava.
Semplicemente, si fermava a guardare la luce della luna che filtrava
dai vetri
delle finestre sfaccettate, la cosa che le sembrava più
divina tra tutte quelle
statue raffiguranti angeli e Madonne, e quei decori che riempivano
tutta la
chiesa e ben poco avevano di umile. Guardava quella debole luce, debole
come
lei in quei momenti, e mormorava un grazie. Per i suoi nakama.
Per la sua famiglia.
E
ora, ringraziava anche per avere un compagno che sembrava capirla
più di
chiunque altro avesse mai conosciuto.
Non
voleva sprecare un minuto di più lasciandosi offuscare la
mente da
ricordi tristi. Non in sua presenza, non quando lui rimaneva in
silenzio, senza
uscirsene con frasi di circostanza come un freddo “mi
dispiace”, solo
aspettando pazientemente che si lei liberasse dalle ombre del proprio
passato e
tornasse alla luce di quegli occhi castani così caldi e
profondi. Quando posò
nuovamente il suo sguardo su Ichigo, Linalee sentì il nodo
che le si era formato
alla gola, scendere lentamente e stringerle il cuore.
« E
tu, invece? Quando sei
diventato uno... Shinigami?
»,
abbozzò con un sorriso, tentando di cambiare argomento e
allo stesso tempo di
scoprire qualcosa di più sul suo conto. Anche Ichigo le
sorrise, sollevato che
la sua espressione fosse tornata ad illuminarsi dopo quel breve momento
di
malinconia. E dentro di sé, sentì il desiderio di
farla ridere ancora.
« Lo
dici come se fossi una
creatura del folklore giapponese. »
Linalee
si coprì la bocca col dorso della mano, per nascondere la
leggera
risata che effettivamente le scappò.
«
Perché, non lo sei? Quando Nii-san,
ehm... il direttore Komui ci ha detto che avremmo stretto questa
alleanza con
gli Shinigami, mi è quasi preso un colpo. In Cina li
chiamiamo “Somujo”
o “Koshinin”. Non
avevo idea... che gli “dei della morte” esistessero
davvero. »
«
Neanche io, fino a un paio di
anni fa. Poi ho incontrato Rukia, e mi ha sconvolto
l’esistenza. », sospirò
Ichigo, lasciandosi andare contro lo schienale della sedia, mentre
Linalee si
rigirò la tazza tra le mani.
«
È una persona... molto
importante per te, vero? Rukia-san, dico. Ho notato che la tieni sempre
d’occhio. »
« Le
devo... tutto. E non solo a
lei, anche agli altri. “Tenerli...
d’occhio”, cercare di proteggerli... è
il
minimo che possa fare. »
«
“Guardiano”, eh...? », mormorò
Linalee tra sé e sé facendolo avvampare ancora.
Era questo che aveva voluto
dire con quel “ti si addice”?
«
A-Anche tu tieni molto ai tuoi
compagni, però. Lo vedo... che ti fai sempre in quattro per
tutti. », replicò
quindi lui, rendendosi conto solo dopo aver parlato che quella frase
poteva
essere tradotta anche con un altro significato. Ovvero, quello che
aveva
cominciato a “tenere d’occhio” anche lei,
tanto da accorgersi dei suoi
comportamenti e modo di fare. Ma Linalee non sembrò darci
troppo peso, o
almeno, non lo diede a vedere. Perché lei stessa
“aveva notato” tante altre
cose di lui, oltre alle persone che teneva d’occhio. Le aveva
notate, forse
osservandolo più e più spesso di quanto fosse
necessario, senza sapere bene
perché.
« Sono
la mia famiglia. È... “il
minimo che possa fare”. », ripeté le sue
stesse parole, appoggiando il mento
sul palmo delle mani. « Tu hai una famiglia, Ichigo?
»
« Un
padre e due sorelle più
piccole. Due gemelle, che però non potrebbero essere
più diverse l’una dall’altra.
E mio padre... mio padre è un idiota. », con uno
sbuffo esasperato distolse lo
sguardo, infilando le mani nelle tasche della felpa. Mani che Linalee
non poté
vedere si strinsero in un pugno.
Continuò
a fissarlo, in attesa, come ad aspettare che parlasse anche di un
quarto
membro della sua famiglia, ma Ichigo aveva sigillato le labbra e
sembrava non
aver più niente da dire. La ragazza ci mise qualche secondo
a rendersi conto che
probabilmente non avrebbe davvero più aggiunto altro, e ne
fu sicura quando lui
tornò a cercare il suo sguardo, con un'espressione
indecifrabile ma allo stesso
tempo da cui si poteva capire tutto.
Linalee
sentì un brivido e la stretta all’altezza del
cuore farsi più
opprimente, mentre il silenzio creato dal vuoto di quella persona di
cui Ichigo
non aveva parlato, si riempì coi loro sguardi. Non disse
né gli chiese niente,
come lui prima, semplicemente si limitò a fissare gli occhi
nei suoi e ad
attendere, finché non li vide abbassarsi e socchiudersi. Per
un momento, provò
il desiderio di sfiorare ancora con una carezza quel viso su cui non
c’era più
nessuna briciola. E neanche lacrime, eppure Linalee poté
distinguerle bene,
anche se non erano tangibili.
Era
quella l’espressione che aveva fatto lei stessa, stanca ormai
di
piangere per un passato che non poteva cambiare ma per cui non riusciva
a
smettere di soffrire?
Nonostante
tutto quello che ora aveva, nonostante la gratitudine appena
sussurrata ma sentita dal profondo del cuore. Eppure non ne parlava mai
con
nessuno, non con i suoi nakama, non
con suo fratello a cui aveva già rovinato irrimediabilmente
la vita
costringendolo a seguirla in modo da starle vicino. Quella era una
parte di sé e
della sua vita che celava a tutti, persino a sé stessa,
cercando di
dimenticare.
Così
come Ichigo che ancora si ostinava a dipingersi sul viso un sorriso di
circostanza ogni volta che si arrivava a parlare
dell’argomento... “madre”. Per
non far preoccupare gli altri, tenendosi tutto dentro. Per qualche
motivo,
però, questa volta non riuscì a sorridere. Non
quella notte, non a quegli occhi
che oltre ad esprimere comprensione e dolcezza, sembravano anche
volerlo e
poterlo capire in qualche modo. Senza chiedere niente, senza essere
invadenti.
Forse
avrebbe dovuto davvero ringraziarla, si trovò a pensare,
mentre
lentamente lasciava che i pugni si sciogliessero nelle tasche. E non
solo per
qualche fetta di torta al cioccolato.
« Io
non li ho mai... conosciuti,
i miei genitori. », Linalee iniziò a dire, per poi
concedersi a un sorriso che
distese l’espressione corrucciata formatasi sul viso di
Ichigo a quelle parole.
« Però ho sempre potuto contare su mio fratello.
Anche se... a volte sembra
anche lui un po’ un... un idiota. », fece un breve
sospiro, titubando e
sentendosi un po’ in colpa per aver espresso così
a parole quello che però
pensava da anni. Ichigo non si sentì di assentire, anche se
per quel poco che
aveva avuto a che fare con Komui Lee, soprattutto vedendo come si
comportava
proprio con Linalee, non poté che darle mentalmente ragione.
Quindi
si limitò ad abbassare ancora lo sguardo per una breve
frazione di
secondo, quella che gli bastò per prendere
impercettibilmente fiato. E andare
avanti.
«
Ho sentito parlare di un certo affare
chiamato Komurin. »
« Oh
povera me... », gemette Linalee
mentre si copriva il viso con le mani su cui ancora appoggiava il
mento. «
Fortunatamente non ne costruisce più, o almeno, se lo fa li
tiene chiusi in
laboratorio, altrimenti Kanda glieli farebbe a pezzi in meno di un
secondo. »
«
Kanda, eh...? Non credo di
averci mai parlato, anche se vagamente so chi è.
È in coppia con Inoue per la
pattuglia, vero? »
Linalee trattenne ancora un gemito sconsolato.
«
Orihime-san è così gentile... mi
fa quasi tenerezza pensarla in squadra con Kanda. Anche se pure lui
è un bravo
ragazzo, davvero. Però è un po’...
difficile prenderlo per il verso giusto,
insomma... E Orihime-san sembra una ragazza così gentile...
troppo gentile... Devo
proprio parlare con lui e convincerlo a comportarsi bene. »
«
Convincerlo...? », tossicchiò
Ichigo visto che il caffè gli era andato di traverso ad
immaginarsi una Linalee
Lee comportarsi alla stregua di Retsu Unohana, con cui gli era bastato
avere a
che fare una volta per decidere che sarebbe stata la prima e
l’ultima. Un altro
brivido in quella notte di quasi estate gli percorse la schiena.
«
Sì, vedi, io sono una delle
poche persone a cui Kanda da più o meno retta.
Sarà che ci conosciamo fin da
bambini. E beh... da piccola ero un po’ prepotente con lui, a
volte, quando non
mi ascoltava. Penso che se lo ricordi ancora, forse è per
questo che con me non
fa tante storie... Aah, che vergogna... », distolse lo
sguardo coprendosi la
bocca con aria innocente, mentre Ichigo deglutiva mandando
giù un altro sorso
di caffè, e cominciava a pensare sul serio che non fosse il
caso di
sottovalutarla. E dire che non sapeva niente della sua famosa
“frusta
dell’amore”.
Cercando
di non soffermarsi troppo su quei pensieri, nel frattempo si
ripromise a sua volta di insistere con Orihime Inoue riguardo a come si
trovasse in coppia con questo Yu Kanda, fino a ottenere in risposta
qualcosa di
più che un “bene” campato per aria e
seguito da una serie di discorsi strampalati
atti a fuorviarlo.
«
Riguardo all’essere fin troppo
gentili, comunque... io potrei dire la stessa cosa di... Miranda-san,
giusto? »,
replicò quindi, ricordando la profusione di scuse da cui si
era sentito
ricoprire una volta che per sbaglio si erano scontrati. E dire che era
stata
pure colpa sua.
« Lei
è con il capitano Zaraki, se
non sbaglio. Che tipo è? »
Ichigo si prese un po’ di tempo per soppesare la risposta.
« ...
Un po’ come Sokaro, diciamo.
»
Fin
troppo simile, constatò mentalmente.
« Oh
no... », mormorò Linalee,
sentendosi improvvisamente parecchio in ansia per la delicata
fragilità emotiva
di Miranda Lotto, mentre Ichigo tentò di distrarla.
«
Miranda-san ha un potere simile
a quello di Inoue, ho sentito. »
«
Sì, riesce a modificare il tempo
e lo spazio, e in questo modo può anche guarire le ferite.
Anche se solo
temporaneamente, a differenza di Orihime-san. »
«
Mh... »
«
È... un problema? », chiese
Linalee, accorgendosi della sua espressione fattasi dubbiosa.
«
Più che altro penso che le sue
abilità siano un po’ sprecate con uno come Zaraki.
E’ quasi impossibile
ferirlo. »
«
È così forte? »
«
Già. E la sua reiatsu
è praticamente impenetrabile. »
«
Re-... Reiatsu. Sai, ad essere
sincera, non credo di aver capito bene cosa
sia. »
«
È la forza spirituale. La forza
della propria anima, se la vogliamo mettere così. Noi la
percepiamo come una
specie di aura, o una cosa del genere. », Ichigo
cercò di spiegare in parole
povere.
« E
così potete capire quanto è
forte il vostro avversario? »
«
Più o meno. »
« Deve
essere davvero utile, avere
questa “reiatsu”... »
« In
realtà anche tu ce l’hai.
Tutte le persone ce l’hanno. »
«
Davvero? », si sorprese Linalee,
che non aveva mai sentito parlare di una cosa del genere.
«
Sì, solo che in noi Shinigami è
più forte e la... “manifestiamo” con la
nostra Zanpakutō. Hai presente
Zangetsu, no? La mia spada. »
La
ragazza annuì, per poi assumere un'aria esitante che si
sciolse in un
sorriso.
« Mi
sono sempre chiesta perché la
tua sia così... beh, enorme in confronto alle altre.
»
«
Perché le altre sono nella loro
forma normale, la mia è sempre in shikai,
il primo stadio del rilascio. », replicò Ichigo,
grattandosi una guancia un po’
impacciato.
« E
come mai? », chiese Linalee,
confusa da tutti quei nomi nuovi per lei, facendo sospirare Ichigo.
«
È solo perché io non sono così
bravo a controllare la mia reiatsu, e quindi contenere le dimensioni di
Zangetsu. »
«
Uhm... Forse la tua reiatsu
talmente grande che non si può. »
«
È una specie di modo di
consolarmi? », le sorrise accondiscendente, facendola ridere
di nuovo.
« Solo
una constatazione.
Insomma... è palese che tu sia molto forte. »,
sfiorò ancora il bordo della
tazza con un dito, abbassando lo sguardo. « E io... mi
ritengo davvero
fortunata ad essere capitata in squadra con te. Come dire... mi sento
veramente
protetta. Sento di poter contare su di te. »
Ichigo
sentì come se avesse perso la capacità di parlare
e dire qualcosa di
sensato, quando gli occhi di lei cercarono nuovamente i suoi,
pronunciando
quelle parole che ebbero il potere di scuoterlo più di
quello che avrebbe
immaginato. Pensò molte cose che non riuscì a
dire, quella notte del 17 giugno.
Che quella era una fiducia immeritata, verso qualcuno che non era
neanche
riuscito ad aiutare la propria madre, che non avrebbe dovuto contare
così su
qualcuno che più di una volta aveva dimostrato di non essere
davvero in grado
di controllare la propria reiatsu, arrivando a un soffio dal fare del
male alle
persone a cui teneva, oltre che ai suoi nemici. Familiari, compagni che
più di
una volta non era riuscito affatto a proteggere, lasciando che gli
venissero
portati via, che fossero feriti, familiari, compagni senza il cui
sostegno non
era niente. Niente.
E
lentamente, si fece strada dentro di lui la fantasia di che tipo di
persona sarebbe potuto essere, diventare, se avesse davvero permesso a
quegli
occhi che cercavano di capirlo, a quel sorriso capace di non fargli
pensare a
niente, e a quelle mani che sembravano allo stesso tempo
così delicate e decise,
di sostenerlo di diventare parte della sua forza. Perché il
suo sostegno, era
una cosa su cui anche lui, inconsciamente, aveva sempre sentito di
poter
contare.
«
È... lo stesso per me. », riuscì
solo a dire, senza poter minimamente distogliere lo sguardo da lei
quando vide
i suoi occhi diventar più lucidi, quasi come se fosse
commossa e forse,
sopraffatta anche lei dai ricordi di una vita passata a combattere per
qualcosa
di più grande di entrambi. Qualcosa che più di
una volta aveva reso pure lei impotente
e incapace di proteggere chi amava più di sé
stessa.
« Mi
fa veramente piacere
sentirlo. », e gli regalò l’ennesimo
sorriso, il più bello di tutti forse,
imbarazzato, appena accennato, mentre abbassava lo sguardo e col palmo
della
mano si asciugava un occhio, prima che una lacrima potesse rigarle una
guancia.
Linalee
Lee era davvero stanca di piangere.
Anche
se, per una volta, le sue sarebbero state lacrime di gioia. E
gratitudine, anche se stavolta non verso un Dio poco misericordioso e
irraggiungibile.
A
sua volta Ichigo spostò subito lo sguardo verso le proprie
mani, che
aveva tolto dalle tasche e appoggiato sul legno del tavolo, non appena
lei ebbe
liberato, in un certo senso, dai suoi occhi viola. La sua gratitudine,
invece,
fu rivolta a quell’attimo di imbarazzo dovuto alla commozione
improvvisa, che a
Linalee aveva fatto distogliere lo sguardo. Perché se non
l’avesse fatto,
Ichigo era sicuro che avrebbe finito per continuare a fissarla per
tutta la notte
senza riuscire a dire nient’altro.
Per
una frazione di secondo, strinse ancora un pugno, osservando i propri
tendini tendersi e solcare la superficie della sua pelle.
«
Posso... farti io una domanda? »
«
Certo che puoi. Dopo tutte
quelle che ti ho fatto io... »
« Beh,
allora... di cosa sono
fatti quegli stivali che usi per combattere? »
«
Mh... », Linalee esitò per un istante,
non troppo sicura di quanto la risposta avrebbe turbato Ichigo.
« Del mio...
sangue? »
Ichigo
che infatti tornò a fissarla con tanto d’occhi,
dimenticandosi
all’istante di quanto poco prima avesse trovato disorientante
guardarla.
« Ah,
inizialmente non era così. Erano
dei semplici stivali che dovevo indossare praticamente... sempre, per
essere
pronta ad ogni evenienza. Poi, per una serie di circostanze... ho
bevuto la mia
Innocence e-... »
«
Aspetta, bevuto? Non è pericoloso? »
« Ho dovuto, per
assorbirla prima.
Era un momento un po’... critico, diciamo. Ma è
andato tutto bene. »
« E se
non fosse andata così? »,
Ichigo corrugò la fronte.
«
Sarebbe stato un bel problema. »,
sorrise lei un po’ tesa, beccandosi in risposta
un’occhiataccia che attribuì a
un attimo di preoccupazione provata nei suoi confronti. Cosa che invece
di
farla sentire colpevole, le fece solo piacere, per cui si strinse nelle
spalle.
« In un certo senso... sapevo che sarebbe andata bene. Per
questo l’ho fatto. »
« E
come lo sapevi? », replicò lui
ancora poco convinto.
«
Perché per la prima volta in
vita mia, ho creduto nella mia Innocence. L’ho... desiderata,
le ho chiesto di
aiutarmi a proteggere tutti. E lei mi ha ascoltato. »
Ed
ecco ancora quella sensazione, che fece ammutolire Ichigo rendendolo
incapace di fare altro oltre che fissarla. Perché poteva
capire benissimo le
sue parole. Quello che doveva aver provato in quel momento. Ovvero la
stessa
cosa che aveva provato lui, che lo aveva spinto a prendere tra le mani
una
katana e ad infilzarsi il cuore. A far
morire una parte di sé pur di salvare la sua
famiglia che in quel momento
era stata in pericolo. A rischiare ancora una volta di perdere
sé stesso per
riottenere le vesti da Shinigami e poter salvare Rukia Kuchiki dal
patibolo. A
trovare la forza di combattere contro sé stesso per riuscire
a controllare quel
potere che gli aveva fatto paura tanto da paralizzarlo, per poter
portare
nuovamente a casa Orihime Inoue.
Per
questo, non riuscì a fare nient’altro che fissarla
negli occhi, senza
rimproverarle niente. Perché per un attimo, gli
sembrò di poter guardare sé
stesso. E la vista, non fu così patetica come prima di
incontrare Linalee Lee
era invece convinto sarebbe stata.
Linalee
che per quell’attimo in cui sentì gli occhi di
Ichigo su di sé,
perse il filo del discorso, trovandosi anche lei senza niente da dire.
Forse
perché, semplicemente, non c’era niente da dire.
C’era veramente bisogno di
parlare, quando il suo sguardo sembrava ancora una volta capire anche
tutto
quello che non aveva mai trovato il coraggio di esternare,
trasformandolo in
parole?
Il
suo sguardo, e il suo ogni volta più inaspettato sorriso,
come quello
che le rivolse in questo momento. Inaspettato, e sincero. Un
po’ divertito
anche, dai pensieri che evidentemente gli stavano passando per la testa.
A
cosa stava pensando...?
Chissà perché, Linalee sentiva come che, se
avesse fatto uno sforzo, non
sarebbe stato poi tanto difficile indovinare cosa, o chi, fosse la
causa di
quel sorriso.
Lui stesso...? O
forse proprio lei.
O forse, non c’era
bisogno di fare distinzioni.
«
Quindi l’hai... bevuta. »
« ...
Già. Dopo che l’ho bevuta,
si sono formati questi braccialetti di cristallo rosso che ho sulle
caviglie
che sono fatti di... sì, sangue. Infatti mio fratello ha
chiamato questo nuovo
tipo di Innocence Crystal Type. »
«
Queste cose non le sapevo. »
« In
realtà credo che non avrei
dovuto dirtelo. È una scoperta piuttosto recente,
l’Ordine stesso sta ancora
cercando di capire perché la mia Innocence e anche quella di
Kanda si siano
trasformate così. Però... di te mi posso fidare,
vero? »
Poteva fidarsi
di sé stessa?
Ichigo
esitò un solo attimo prima di rispondere.
Poteva fidarsi
di sé stesso?
« ...
Sì. »
« ...
Sì. », Linalee gli sorrise. «
Lo immaginavo. »
Lavi
Bookman sbadigliò sonoramente mentre si stiracchiava,
allungando le braccia
sopra la propria testa folta di capelli rossi ancora spettinati dal
sonno e non
ancora domati dalla fascia che era solito indossare e che per il
momento
aspettava intorno al suo collo.
Il
sole non era ancora sorto, anche se il cielo si stava già
schiarendo. Non
erano che le quattro di mattina, ovvero notte fonda per lui che era
solito
rimanere a letto almeno finché
l’orario non cominciava a contare due cifre.
C’è anche da dire che lui,
esemplare Bookman, solitamente rimaneva sveglio fino a tardi a
lavorare,
registrando parole e inchiostro su pagine che prima di essere catturate
dal suo
occhio verde, erano bianche. Quella però, era stata una
notte diversa dalle
altre, era andato a letto relativamente presto per i suoi standard, ed
era
riuscito a dormire almeno otto ore filate. Insomma, una pacchia.
I
suoi sbadigli perciò erano dovuti non tanto alla stanchezza,
ma alla
soddisfazione di aver fatto dopo diversi giorni, una dormita degna di
quel
nome. Ma c’era poco da fare, quelle ore di sonno gli erano
spettate di diritto,
neanche il vecchio panda scorbutico con cui divideva la camera aveva
potuto
dirgli niente. Se non altro, prima di partire per una missione fuori
sede, lo
lasciava riposarsi in santa pace.
Certo
che però le quattro del mattino, rimanevano le quattro del
mattino.
Ancora non aveva capito perché avessero dovuto fissargli
così presto l’orario
della partenza, scombussolando così il suo orologio
biologico. Fortunatamente,
almeno, Jerry era stato informato di questo viaggio e quindi era stato
incaricato
di preparargli una colazione coi fiocchi da consumare prima di
imbarcarsi per
quel viaggio. Per questo Lavi si stava dirigendo proprio verso la
cucina,
pregustando già che cosa avrebbe messo nella pancia. Non che
fosse un
buongustaio ai livelli di Allen Walker, ma anche lui sapeva apprezzare
un buon
piatto quando se lo trovava davanti. E le doti culinarie di Jerry, che
sfamava
l’intero Ordine, non erano minimamente da mettere in
discussione.
Ancora
stiracchiandosi, si fermò davanti all’arco che
segnava l’ingresso
della cucina, appoggiando le mani allo stipite sopra la sua testa. E
divertito,
lanciò un’occhiata alla minuta figura che fino a
quel momento aveva camminato
silenziosamente al suo fianco, figura di una ragazza, o forse
è meglio dire
donna, che gli arrivava a malapena al petto, e che quindi avrebbe
potuto
sognarsi anche solo di sfiorare lo stipite della porta.
Rukia
Kuchiki si limito a tirargli una pacca sugli addominali che lui fece
appena in tempo a contrarre per attutire il colpo, mentre lei lo
superava, nascondendo
un sorriso e aprendo la porta che contrariamente a quello che le era
stato
detto, aveva trovato socchiusa.
Ma
non fece che pochi passi, che fu costretta a fermarsi a causa della
vista che le si parò davanti.
«
Ruki, non fermarti così all’-...
», iniziò Lavi, che per poco non le
finì addosso, per poi bloccarsi quando
anche lui si rese conto della scena di fronte a sé. «
... improvviso. »,
concluse, con un filo di voce.
Con
quell’unico occhio visibile, scrutò per qualche
secondo la sua compagna Linalee
Lee che conosceva da anni, e la abbastanza recente new
entry Ichigo Kurosaki, entrambi con la testa abbandonata sul
tavolo, completamente immersi nel mondo dei sogni. Sul piano della
cucina vicino
a loro, poté distinguere due piatti ancora sporchi di
briciole di quella che
doveva essere stata una torta al cioccolato, e due tazze ormai vuote
con un
residuo di caffè sul fondo. Registrò tutto in
meno di un secondo, soffermandosi
un po’ di più sul sorriso appena accennato che
rimaneva sulle labbra di Linalee
e sulla fronte rilassata di Ichigo, lo stesso con cui aveva scambiato
qualche
parola ogni tanto e che aveva sempre trovato fin troppo accigliato.
Ora,
entrambi sembravano due bambini addormentatisi nel bel mezzo della
consueta
favola della buona notte. O due amanti che avevano appena finito di
fare
l’amore.
La
verità
era che Ichigo Kurosaki e Linalee Lee avevano passato
l’intera notte a parlare.
Di tutto, cose poco importanti, cose che lo erano un po’ di
più, senza mai
svelarsi completamente a parole, ma continuando a comunicare con lo
sguardo,
mentre i sorrisi tra di loro si erano fatti più frequenti.
Infine,
quando Linalee si era alzata per sparecchiare, voltandosi per non
più di
qualche minuto e continuando a parlare anche dandogli le spalle, Ichigo
aveva
lasciato scivolare lentamente la testa lungo la mano che la sorreggeva,
non
riuscendo più a tenere gli occhi aperti. Linalee
l’aveva chiamato, non
sentendolo rispondere alla domanda che gli aveva posto, e vedendo che
era
rimasto ancora in silenzio, si era girata nuovamente verso di lui,
trovandolo
addormentato, col viso appoggiato contro il braccio. Quindi aveva
delicatamente
appoggiato sul ripiano in marmo i piatti che si stava accingendo a
lavare,
ripromettendosi che l’avrebbe fatto poi, ed era tornata a
sedersi di fronte a
lui. Per qualche minuto si era mordicchiata nervosamente il labbro,
tenendosi
le mani in grembo, ma poi si era decisa a rialzarsi, camminando in
punta di
piedi per non svegliarlo, e aveva estratto dalla cassapanca a muro
dall’altro
lato della stanza, una coperta non troppo pesante, che gli aveva posato
delicatamente sulle spalle, rimanendo chinata su di lui a fissare il
suo viso
per più del tempo necessario a compiere questo gesto. Il
pensiero
dell’espressione che Ichigo avrebbe fatto se si fosse
ridestato all’improvviso
e l’avesse trovata così vicina a lui,
l’aveva scossa e fatta tornare al suo
lato del tavolo, seduta sulla sua sedia. Quindi aveva incrociato le
braccia sul
tavolo e appoggiatovi sopra il mento, senza fare il minimo rumore.
Non
sapeva quanto tempo fosse rimasta a guardarlo dormire. Sapeva solo che,
controvoglia, dopo un po’ lei stessa aveva finito per cedere
al peso delle
palpebre che continuavano a chiudersi, e si era addormentata.
Ma
in fondo, le era stato bene così. L’importante era
che alla fine Ichigo
fosse riuscito a scacciare dalla propria testa le preoccupazioni
abbastanza a
lungo da permettersi di riposare. Per questo aveva chiuso
definitivamente gli
occhi col sorriso sulle labbra.
Questo
però l’occhio di Lavi non lo poté
intuire con un semplice sguardo.
Non poté vedere niente di quello che era successo quella
notte del 17 giugno in
quella cucina, il suo udito fine non poté minimamente
immaginare cosa era stato
detto e soprattutto, non detto ma comunque comunicato.
Il
Bookman che nonostante tutto viveva ancora in lui, non si accorse
minimamente di queste cose. L’uomo che invece era lentamente
nato da quando
aveva conosciuto Rukia Kuchiki, riuscì ad intuirle.
« Che
l’angelo dell’amore abbia
colpito ancora...? », mormorò abbassando il tono
di voce, mentre poggiava il
mento sulla testa di Rukia davanti a lui, che inizialmente
cercò di sottrarsi
con poca convinzione, ma che poi finì per arrendersi subito
e lasciarsi
stringere tra le sue braccia. In fondo, non c’era in giro
nessuno, a parte quei
due che sembravano dormire come sassi.
Rukia
soppesò le parole di Lavi, fissando il viso addormentato di
Ichigo,
così come l’aveva visto tante volte, rilassato e
in un certo senso... sereno
come si rese conto di non averlo visto mai. Ma subito si scosse. Per
quanto il
suo animo femminile recentemente si fosse scoperto incline a pensieri
romantici
proprio per colpa – o forse merito – di Lavi, non
poté che ritrovarsi scettica
a pensare ad Ichigo in una situazione del genere. Insomma, proprio lui.
«
Ichigo? », esternò quindi il
proprio dubbio pronunciando semplicemente il nome di quello che in due
anni era
diventato quanto di più vicino a un amico per lei.
«
Linalee...? », replicò Lavi con
lo stesso tono.
Entrambi
quindi rimasero a fissare i loro compagni addormentati l’uno
di
fronte all’altra, in una posa così simile, con i
capelli che quasi si
sfioravano, e le mani, che se fossero state di qualche centimetro
più vicine,
avrebbero potuto toccarsi.
« ...
Naah. »
« ...
Non è possibile. »
Lavi
Bookman e Rukia Kuchiki si lanciarono una breve occhiata di scettica
intesa prima di scogliere l’abbraccio che fino a quel momento
li aveva uniti e
ritirare silenziosamente la colazione che era stata preparata per loro,
e che,
viste le circostanze, avrebbero consumato da un'altra parte.
Quindi,
facendo il meno rumore possibile, si chiusero la porta alle spalle
e si allontanarono, dimenticandosi in fretta di quello che avevano
visto e
supposto, le menti troppo occupate da loro stessi e dalle loro mani che
si cercarono
e intrecciarono spontaneamente non appena furono liberi, fuori dai
cancelli
dell’Ordine Oscuro, baciati dal sole che dopo una notte di
tempesta, stava
sorgendo proprio in quel preciso momento.
Sole
che filtrò lentamente anche attraverso le leggere tende
bianche che
coprivano le finestre della cucina, senza però disturbare
minimamente il sonno
di chi, in una notte in cui si erano riportati alla memoria vecchi e
tristi
ricordi ma in cui se ne erano formati anche di nuovi e di
più dolci, non aveva
ancora recuperato le ore passate a conoscersi.
Quindi
Ichigo Kurosaki e Linalee Lee continuarono a dormire indisturbati,
forse davvero persi nel mondo di quelli che erano sicuramente sogni e
non
incubi.
Come
due bambini a cui era stata strappata l’infanzia, come due
amanti che
avevano appena cominciato ad essere finalmente sinceri con
sé stessi, l’uno con
l’altra. Come se ci fosse veramente bisogno di fare questa
distinzione.
Stessa
posa nel sonno, stessa espressione, stesso sogno, con tutta
probabilità. L’unica differenza, era la coperta
posata su uno solo di loro, che
a breve avrebbe cominciato a sentire caldo e si sarebbe svegliato.
Coperta,
che durante la notte del 17 giugno, si era spostata silenziosamente
sulle spalle di Linalee.
NDA
2:
Come al solito, pubblicità occulta per le già
sopraccitate N e m e ed Angy_Valentine, che si dedicano come me
a questi crosspairing un po’ strani ma che meritano tanto,
tanto amore. Quindi,
se siete di mente aperta e volete leggere delle fan fiction SCRITTE
BENE, no,
DIVINAMENTE, fatevi un salto nei loro profili.
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