Amore
Siamo io e lui.
Io e lui soltanto in questa
stanza, da diverse ore oramai.
Io soffocato tra le pareti, lui
soffocato tra le mie braccia.
E’ passato molto tempo da quando
tutto questo è iniziato.
Troppo, troppo poco, non
saprei.
Quando
nacque Afrodite, gli dèi tennero banchetto, e fra gli altri c’era Poros
(l’Espediente), figlio di Metis (la Perspicacia).
Dopo che ebbero festeggiato venne Penia
(la Povertà) a
mendicare, e se ne stava vicino alla porta.
Successe che Poros, ubriaco di nettare,
entrato nel giardino di Zeus, appesantito com’era, fu colto dal sonno. Pienia
allora, per la mancanza in cui si trovava di tutto ciò che ha Poros, escogitando
di avere un figlio da questi, giacque con lui e concepì Eros.
Ci siamo conosciuti milioni di
volte a dire il vero.
Incontrati, scontrati, centinaia
di volte.
Ma una sola tra queste ha fatto
nascere qualcosa in noi.
O perlomeno ha nutrito quel
piccolo germoglio che ci spaccava in due il cuore.
Una festa.
L’occasione più stupidamente
banale per conoscere qualcuno… o per farlo conoscere al nostro letto.
Eravamo ubriachi, fradici da capo
a piedi, dentro e fuori.
Una dannata e osannata festa
serpeverde. Tra le più divertitenti, ma anche le più pericolose.
Si festeggiava l’arrivo di una
nuova studentessa ad Hogwarts… non me ne ricordo più nemmeno il nome: era
semplicemente una patetica scusa per far sì che gli insegnanti approvassero una
festa nel cuore della notte e sospendessero le lezioni il giorno dopo, almeno di
qualche ora.
Fatto sta che alle 3 del mattino
la sala grande era ancora gremita di persone e la musica continuava a strillare
vagando per i meandri di quel soffitto sconfinato.
La nuova ragazza poveretta
barcollava di braccia in braccia che se la ritrovavano addosso, l’equilibrio
diluito dall’alcool. Ognuno la abbandonava a qualcun altro, finchè quella
all’improvviso non finiva sul pavimento, si rialzava e ricominciava la danza più
bizzarra della nottata.
Potevi chiedere davvero a
chiunque, ma nessuno e dico nessuno si ricordava il suo nome.
Ad ogni modo, glissando… eravamo
ubriachi fradici.
Il motivo?
E chi se lo ricorda.
Di problemi da bere via ne
avevamo tutti e due a sufficienza.
Lui comunque immagino avesse
appena litigato col padre… me lo ricordo ancora il livido che aveva sulla
spalla. Penso che lui per giustificarlo mi avesse detto qualcosa tipo che era
caduto dalle scale, aveva battuto contro uno spigolo, un elfo domestico lo aveva
bruciato con un ferro da stiro… sì insomma qualcosa del genere.
Ma Harry Potter quella sera si
sentiva un idiota, non uno stupido.
Sapete, quando si beve, si beve
tanto, ti prende tutta una smania di parlare di tutto con tutti.
Arpioni la prima persona che ti
capita a tiro e zack, quella è eletta dalla Regina Madre il tuo psicologo
personale della serata.
Destino sfacciato, io e Draco ci
eravamo arpionati a vicenda.
E parla, riparla e straparla…
finchè Potter non è diventato Harry.
Malfoy è diventato Draco.
Gli insulti sono diventati
scuse.
Le scuse sono diventate
verità.
Curiosa eh l’ebbrezza?
Vabbé, bando alle ciance.
Ci siamo addormentati.
Prima io, prima lui, che ne
so.
So solo che prima di trovare
quella stanza dove siamo crollati dobbiamo aver percorso qualcosa come mezzo
castello spalla contro spalla (giusto per reggerci a vicenda), e quando ci siamo
svegliati… è semplicemente successo.
A chi cazzo frega se l’abbiamo
fatto dolcemente, selvaggiamente, stupidamente o vattelapesca?
E’ successo.
Punto.
Bom.
Amen.
E credo che sia stato anche
fottutamente bello, sebbene sapete… non è che possa esserne poi così sicuro.
Da quel momento però abbiamo
avuto un segreto da condividere.
Che non era certo il luogo dove
si trova la cartina per trovare il tesoro di Alì Babà, ok, ma era pur sempre un
segreto.
Qualcosa che ci univa.
E altroché se ci ha uniti.
In tutti i sensi.
Dunque,
in quanto Eros è il figlio di Poros e Penia, gli è toccato un destino di questo
tipo.
Prima di tutto è povero sempre, ed è
tutt’altro che bello e delicato, come ritengono i più.
Inoltre è duro, ed ispido, scalzo e senza
casa, si sdraia sempre per terra senza coperte, e dorme all’aperto davanti alle
porte o in mezzo alla strada, e, perché ha la natura della madre, sempre
accompagnato con povertà.
Ci vedevamo di notte, di giorno,
in quelle ore imprecisate dove non sai dire se quella palla in cielo sia la luna
o il sole.
Ci spogliavamo lentamente,
velocemente, voracemente, dolcemente, rabbiosamente, malinconicamente.
Ci baciavamo con foga, con
voglia, con disprezzo, con amore.
E lo facevamo anche davanti a
tutti se era necessario.
Non ce ne fregava un emerito
cazzo.
Di noi, di loro.
Sono volgare? Vogliate
perdonarmi, ma la rabbia è rabbia.
Litigavamo, altroché se
litigavamo.
Sul Quiddich.
Sulla scuola.
Sulla famiglia.
Sui professori.
Sulla morte.
Sul sesso.
Sull’amore.
Arrivavamo a strapparci i vestiti
di dosso per la disperazione a volte.
Passavamo ore ed ore ad urlarci
contro tutto ciò che la vita ci aveva tolto e rifletteva nella persona che ci
stava di fronte.
Ci sentivamo poveri.
Poveri di affetto, di gioia, di
tranquillità, poveri persino l’uno dell’altro.
Lui si sentiva troppo pallido, io
troppo scuro.
Lui si sentiva troppo fragile, io
troppo forte.
Lui si sentiva ossessionato, io
ignorato.
Ma era amore.
Di quelli crudi, nudi, carne da
cuocere e mettere nel frizer subito dopo.
Di quelli come cavalli impazziti
in una campagna sterminata dopo essere stati rinchiusi tutta la vita in un
recinto minuscolo.
Ci urlavamo sul viso, sul petto,
sulle mani, sul pube, sulle piante dei piedi.
Come è successo un mese fa… solo
che stavolta ci siamo urlati sul cuore.
Non è mai facile tra noi, non lo
è nemmeno guardarci durante una lezione, figuriamoci sfiorarci, toccarci l’un
l’altro non solo con le mani, ma con le parole.
Eppure siamo sempre riusciti a
scaldarci a vicenda quando ne avevamo bisogno.
A trovare il nostro cantuccio
tiepido vicino o lontano al fuoco che scoppietta.
Stavolta però è stato
diverso.
Stavolta ci siamo piantati un
pugnale nel cuore.
Uno stiletto lungo e affilato,
macchiato della nostra insoddisfazione, del nostro senso di debito col
mondo.
L’amore non è affatto dolce e
delicato come tutti lo annunciano.
***
- Draco, ti prego -
Non credevo di essere ancora in
grado di dire qualcosa.
Dopo un mese intero che non
parlavo con lui (che a dire il vero non parlavo nemmeno con nessun altro),
pensavo di aver sbriciolato la mia voce come un biscotto al latte nel tè.
- Per favore -
Non è semplice parlare ad una
porta.
Dopo la prima parola la vedi già
animarsi e sghignazzare della tua pateticità.
La battuta “Apri o sfondo la
porta” non è una minaccia alla persona che sta dentro alla stanza, ma una
vendetta personale nei confronti della porta.
Ancora più difficile è parlare al
silenzio.
Quello è peggio perché per
provocarti non fa proprio nulla… e tu non hai alternative che prendertela con te
stesso.
- Draco… voglio parlare, solo
parlare! -
Poi all’improvviso la porta si
era aperta. Alleluia.
Lui era lì, una mano che tremava
su un fianco, l’altra che tremava sulla maniglia.
- Solo parlare? E io che credevo
volessi divertirti col mio letto! -
Brivido.
Aveva citato le mie stesse
parole: “mi diverto più col tuo letto che
con te!”
Ok è vero, ero stato un idiota,
ma ero furioso.
Stavo già per iniziare ad
implorare perdono “gattino abbandonato mode on”, quando ho guardato i suoi
occhi.
Gonfi.
Rossi.
Lucidi.
Rabbiosi, ma tremendamente,
dolorosamente, convulsamente malinconici.
Allora non sono riuscito a fare
altro.
Con la gola infiammata di limone
l’ho abbracciato.
Con tanta, tanta, tanta
forza.
Senza lasciarlo andare nemmeno
quando ha cominciato a dimenarsi, nemmeno quando ha cominciato a insultarmi,
nemmeno quando ha iniziato a piangere.
Ed ora siamo qui, io e lui, in
questa stanza, con tra le mani lo stiletto che ognuno ha estratto dal cuore
dell’altro.
Abbracciati in silenzio,
abbandonati sul pavimento, avvinghiati nel calore come se ne andasse della
nostra stessa vita.
Nel nostro angolo di tepore:
vicini, vicinissimi al fuoco.
Per ciò
che riceve dal padre invece, egli è insidiatore dei belli e dei buoni, egli è coraggioso, audace, impetuoso,
straordinario cacciatore, intento sempre a tramare intrighi, appassionato di
saggezza, pieno di risorse, ricercatore di sapienza per tutta la vita,
straordinario incantatore, preparatore di filtri, sofista.
E per sua natura non è né mortale né
immortale, ma, in uno stesso giorno, talora fiorisce e vive, quando riesce nei
suoi espedienti, talora, invece, muore.
Ma poi, ritorna in vita.
End.
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