Magie d'Acqua e Fiori di Ciliegio
Ancora qualche piccolo accorgimento e la sua esibizione sarebbe stata perfetta.
Ayame sperava che funzionasse, non aveva mai tentato nulla di
così ambizioso e nemmeno di così complesso: combinare
insieme i fiori di ciliegio e le fontane d’acqua, le sue due
specialità d’esibizione, avrebbe potuto dare al suo
spettacolo quella carica di innovazione che cercava da tanto tempo.
D’altra parte, viaggiando di continuo da una terra
all’altra, ogni tanto il repertorio andava aggiornato,
soprattutto quando si tornava per la decima volta nello stesso posto.
Il nonno della fanciulla, fedelissimo allo spettacolo originale, non
aveva subito accolto molto bene la proposta, ma per fortuna suo
fratello Kikuno l’aveva appoggiata, aiutandola infine a spuntarla.
La ragazza terminò la piroetta e richiuse i due ventagli che
stava muovendo con grazia, arrestando i getti dell’acqua. Nel
frattempo, gli ultimi petali di fiori di ciliegio stavano planando
dolcemente in terra. Aprì la mano e lasciò che qualcuno
si posasse sul suo palmo aperto.
Avrebbe voluto che chiunque avesse avuto occasione di vedere il suo
nuovo spettacolo non se ne pentisse; si era così impegnata per
la piena riuscita del tutto...
Lanciò in aria quei pochi petali rosati che aveva preso e rimase
a guardarli, incantata, mentre riprendevano la loro discesa verso il
pavimento.
Anche a lui piaceva molto il numero con i fiori di ciliegio.
Anzi, ad essere onesti, c’erano solo due momenti del suo
spettacolo, nei quali Ayame era certa che un certo giovane aviatore la
guardasse con decisa ammirazione: quando suonava sotto quella cascata
floreale e quando si esibiva con le sue fontane d’acqua danzante.
Erano quelli gli attimi in cui si sentiva bella, si dimenticava di
avere solo sedici anni - a dirla tutta quasi diciassette - e faceva finta
di non essere solamente la più piccola di una compagnia di
artisti girovaghi, seppur abili ninja. La sua presenza la intimidiva e
imbarazzava, ma nello stesso momento la spronava a dare il massimo.
La fanciulla cominciò a rimettere a posto l’attrezzatura
di scena superflua, riordinandola per lo spettacolo dell’indomani.
Ormai, era trascorso quasi un anno da quando le sette Power Stone erano
state riunite e di nuovo liberate, la Light Stone aveva sconfitto
Valgas e la pace era tornata in tutte le terre del mondo. Quella
bizzarra ma entusiasmante avventura aveva concesso ad Ayame
l’occasione di conoscere tante persone, di stringere tante
amicizie e, soprattutto, di conoscere la persona che era diventata,
poco a poco, la sua croce e la sua delizia: Edward Falcon.
Oh... Oh, no! L’aveva nominato! Le guance della fanciulla si
imporporarono all’istante, come accadeva puntualmente quando
rompeva il tabù di non nominare Falcon, poiché sapeva
molto bene quanto la sola idea di lui riuscisse a monopolizzarle la
mente per ore e ore. Chissà dove si trovava in quel momento...
Ma perché non poteva far a meno di pensarlo diverse volte al giorno e di chiedersi dove fosse o cosa stesse facendo?
Ayame sapeva per certo che il giovane aveva intrapreso un nuovo
viaggio, con lo scopo di migliorare nella lotta - sport nel quale per
altro eccelleva -, di conoscere cose nuove, di affrontare avventure ogni
giorno diverse.
Talvolta, capitava che i due giovani si rincontrassero, nel corso dei
rispettivi vagabondaggi in lungo e in largo e, in quelle occasioni,
Falcon non aveva mai rifiutato un invito di lei ad uno degli spettacoli
che metteva in scena, viceversa, la ragazza si era prestata volentieri
ad andarlo ad assistere ai suoi incontri di pugilato.
Era andata a vederlo tante volte: soffriva ogni qualvolta gli tirassero
un gancio ben assestato e gioiva quando riusciva a mettere a tappeto
l’avversario. E dopo averlo aspettato sul retro, gli saltava in
braccio per congratularsi, come una bambina piccola. Poiché era
questo che si sentiva, nel momento in cui Falcon ricambiava il suo
abbraccio: il peso di quei cinque anni che li dividevano, che facevano
di lui un uomo e di lei una ragazzina, precipitava sulla povera artista
come una pioggia di enormi e pesanti macigni.
Si fermò, lasciando che le braccia con le quali stava
sorreggendo le clavette le ricadessero lungo i fianchi. Quegli sciocchi
che dicevano che a sedici anni non si potesse soffrire per amore,
evidentemente, non dovevano mai stati innamorati in vita loro. La ragazza,
all’inizio della vicenda, aveva creduto di essersi presa una
semplice cotta adolescenziale per quell’aitante e prestante
giovane, tuttavia, con il tempo, si era resa conto che il sentimento
che provava per lui non solo si era evoluto ma addirittura rafforzato.
E di questo Falcon non si era mai accorto, come aveva dato sempre
per scontato il fatto che anche Ayame avesse ottenuto e governato con
maestria una Power Stone, nonostante la giovane età. Già,
troppo impegnato a lasciare che tra i suoi pensieri veleggiasse la
bella, affascinante e potente indovina, mentre a lei sarebbe toccato
per sempre il ruolo dell’insignificante e puerile mocciosa.
Eppure, nonostante tutto, la fanciulla non riusciva assolutamente ad
avercela con Rouge. Da una parte, perché sapeva che ella non
ricambiava l’interesse di Falcon nemmeno in scala uno a
cinquemila, dall’altra, perché la sentiva affine, in
quanto l’indovina era perdutamente innamorata del samurai Ryoma,
benché per loro non sembrasse esserci un futuro.
E dire che la leggenda raccontava che chiunque avesse avuto per
sé una Power Stone avrebbe visto i suoi desideri divenire
realtà! Ah, ora che aveva vissuto l’esperienza di persona,
poteva affermare con certezza di non aver mai sentito sciocchezza
più grande di quella!
Ayame scosse la testa e scacciò dalla mente i cattivi pensieri.
Pensare agli amori non corrisposti, suo e altrui, non avrebbe di certo
giovato alla buona riuscita del suo spettacolo.
Lavorò di buona lena per un’altra mezz’ora, cercando
disperatamente di tenere il biondo aviatore lontano dai suoi pensieri
- cosa molto difficile, dato che il suo cervello aveva deciso di remarle
contro, riproponendole fotogramma per fotogramma i ricordi del suo
salvataggio nella Terra delle Aquile Maestose da parte di un vigoroso
Falcon - e impegnandosi affinché il palco potesse essere
più sgombro possibile. Ora che ci pensava non aveva ancora avuto
modo di discutere con suo padre e con Kikuno della nuova scenografia.
Oh, be’, l’avrebbe fatto durante la cena, in fondo davanti
ad una buon piatto di zuppa di pesce, nemmeno suo nonno avrebbe potuto
dirle di no. Nessuno avrebbe resistito a lungo davanti ad un piatto
succulento: il potere del cibo - altro che Power Stone! - le si era
svelato dopo aver visto gli effetti che sortivano i manicaretti di
Wang Tang. E chissà che non dovesse ricorrere proprio ad una
bella leccornia del bravissimo cuoco, per aiutarsi a conquistare il
cuore di...
«Salve, Ayame, hai bisogno di aiuto?»
La fanciulla si voltò di scatto, lasciando cadere malamente la
scatola con le coccarde che stava trasportando dietro le quinte, e
avrebbe certamente gridato, se non avesse avuto la prontezza di
tapparsi la bocca con le mani.
«F-Falcon?» balbettò sorpresa, togliendosi subito le dita dalle labbra e cercando di ridarsi un contegno.
«In carne ed ossa» rispose il ragazzo avanzando dal fondo
del tendone in direzione del palco. «Passavo di qui e sono venuto
a curiosare. Quanti pacchi... Siete in partenza?»
«No, no, no» negò Ayame, scuotendo nervosamente la
testa ma cercando di convincersi a rimanere tranquilla. «Stiamo
mettendo su uno spettacolo nuovo».
«Ah, davvero?» si informò Falcon, incuriosito.
«Apollo ed io siamo appena giunti qui dalla Terra
dell’Oro».
«Oh... Vedo che il vostro viaggio sta proseguendo come
programmato» si riprese la ragazza, simulando una
tranquillità che non era stata mai così lontana dal
possedere. «Come sta il caro Apollo?»
«Fin troppo bene. Sta tentando in tutti i modi di rendersi utile,
nonostante l’abbia pregato più di una volta di tornare a
casa».
«Tiene molto a te e alla tua salute. Dovresti essere contento di
avere una persona come lui al tuo seguito» gli rispose Ayame
chinandosi per rimettere le coccarde nella scatola. Per fortuna, stava
riprendendo a regolarmente a respirare.
«Sì, sì... Ma a volte è troppo
opprimente!» si lamentò il giovane aviatore, alzando gli
occhi al cielo.
La ragazza rise, avvertendo che ciò aveva contribuito a
scioglierla un poco e a farle riprendere il controllo; riprese in mano
la scatola e si tirò su.
Falcon si guardò intorno, indugiando sul cumulo di casse vicino alla giovane artista.
«Sicura di non volere una mano?»
«Oh, no, non preoccuparti. Ce la faccio da sola».
«Ma una fanciulla non dovrebbe fare questi lavori»
avanzò egli, con ostentata cavalleria. «Potresti farti
male, cara la mia Ayame».
«Ah, smettila di richiamare la iella e di innervosirmi!»
replicò, stizzita, costei. Perché aveva quel
“cara” le aveva fatto perdere un battito e la
concentrazione? Perché?
«E dai! Ti ho solo offerto il mio aiuto!» protestò il giovane, alzando le spalle con aria innocente.
«Non ne ho bisogno, grazie! Trasporto pesi e sistemo la scena da
quando avevo tre anni e non mi è mai accaduto niente! E poi devo
essere certa che tutto sia al posto giusto. Domani lo spettacolo
dovrà essere strabil...»
E, invece, proprio in quel momento, Ayame incespicò in una piega
della stuoia che copriva il pavimento - guarda caso l’unica
presente in venti metri di stoffa - e cadde dal palco con ancora in mano
la ben nota scatola di coccarde, finendo dritta dritta tra le braccia
- tutt’altro che deboli o rammollite - di Falcon, il quale sembrava
che si fosse piazzato lì sotto apposta.
«Ed è così che vuoi strabiliare il tuo
pubblico?» la canzonò il ragazzo, ridendo di cuore.
«Precipitando in maniera maldestra sui poveri e ignari spettatori
della platea?»
Come diavolo aveva fatto a percorrere cinque file di poltrone in meno
di tre secondi, come se avesse ancora a disposizione la sua Power Stone
per la metamorfosi? Impossibile! L’unica spiegazione plausibile
era la seguente: quell’idiota doveva aver previsto che sarebbe
caduta e quindi aveva giocato d’anticipo per afferrarla al volo e
deriderla fino alla nausea.
«Mettimi a terra, immediatamente! Te lo ordino, Falcon!»
strillò Ayame, mentre avvertiva dentro di sé il sangue
ribollire per la rabbia e il nervosismo, oltre che per la vergogna.
«Va bene, va bene! Ti accontento, ma smettila di urlare!»
disse il giovane, posandola delicatamente in piedi sul pavimento.
«Dovresti ringraziarmi, piuttosto. Ti ho impedito di sfracellarti
al suolo».
«Se non mi avessi distratta, non sarei caduta!»
ribatté con foga la fanciulla, sperando che Falcon scambiasse il
rossore che le devastava le guance per agitazione da spavento e non da
imbarazzo.
Si soffermò a guardarlo sottecchi. Quanto era... Arrogante!
Sì, era un tipo terribilmente arrogante, sempre a voler
pretendere di aver ragione! In più, ora che ci pensava, avrebbe
anche potuto definirlo uno sbruffone, considerando il tono sostenuto
con il quale le si rivolgeva, e non era nemmeno così carino, a
dirla tutta... Oh, no. Figurarsi se Falcon era carino! In effetti, era
più che altro... Bello e affascinante. Ayame si pentì
immediatamente di quel pensiero, che le costò la terza vampata
sul volto in meno di quindici minuti.
«Posso almeno aiutarti a rimettere queste coccarde nella
scatola?» domandò il giovane, raccogliendone un paio color
lavanda.
«Fa’ come vuoi!» gli rispose, dandogli le spalle,
mentre una parte della sua testa gridava rabbiosa “No! Va’
via, brutto idiota!” e l’altra -con estrema coerenza-
rispondeva svenevolmente con “Oh sì, Falcon, rimani qui
con me!”. Fantastico, ora doveva ringraziare Edward Falcon anche
per averla fatta diventare schizofrenica!
«Domani sarà ci sarà il pienone. Spero davvero di
trovare un buon posto» commentò il ragazzo, riponendo i
fiocchi al loro posto e misurando con lo sguardo la capacità
della platea.
«Vuoi dire che verrai a vederm... Ci?» soffiò la
ragazza, speranzosa, facendo tremare la scatola, mentre la stava
mettendo via.
«Be’, qualcuno deve pur assicurarsi che il pubblico sia
tutelato dagli artisti maldestri» notò egli con un ghigno
ben disegnato.
«Non fai ridere. Hai una vena comica che fa pena» fece
Ayame, acida, incrociando le braccia e facendogli la linguaccia, anche
se il suo cuoricino batteva contento: se non altro Falcon sarebbe
tornato anche l’indomani e avrebbe visto la sua esibizione
floreale preparata con tanta cura. Camelie, rose, mughetti, fiori di
ciliegio, viole...
«Ahhh!» esclamò all’improvviso la fanciulla, sobbalzando sul posto.
«Che c’è?» le domandò Falcon, leggermente allarmato.
«Mi sono dimenticata di andare a comprare le viole! Sono fondamentali per la scenografia!»
«E dov’è il problema? Possiamo andarci adesso».
«Mi accompagneresti?» fece ella, sorpresa ed incredula.
«Non te l’ho forse appena offerto?» ribadì il
biondo aviatore, con irritata fermezza. «Se dico ti propongo una
cosa è perché ne sono convinto».
Ayame non rispose subito. Falcon aveva un forte senso della giustizia e
della parola data, lo sapeva molto bene. Viaggiando con lui per tutti
quei mesi aveva imparato a conoscerlo e a capirlo. Stava per dirgli
grazie, quando si rese conto di ciò che stava per fare: uscire
con lui. Poco importava che fosse solo per andare a comprare qualche
fiorellino per lo spettacolo, sempre con Falcon sarebbe andata. Tutto
d’un tratto, l’aria si fece stranamente calda e
irrespirabile.
«Allora?»
«Oh, se proprio ci tieni... Credo che tu possa venire con
me» gli concesse, con un tono che sarebbe stato perfetto per un
pezzo di ghiaccio.
Certo, un pezzo di ghiaccio al cui interno scorrevano fiumi di lava fusa.
Per fortuna, nonostante fosse piuttosto tardi, trovarono almeno un
vivaio ancora aperto ed Ayame riuscì a comprare i vasetti di
viole che le occorrevano. Le dinamiche degli acquisti furono piuttosto
rapide, dato che il propietario del negozio aveva fretta di chiudere e
poca voglia di vendere.
Nel ritornare verso la tenda, decisero di fermarsi per qualche minuto
all’ombra di una quercia, per godere della fresca brezza
crepuscolare ed osservare il sole estivo sparire dietro ad alcune
montagne sullo sfondo.
«Ah, quanto sono stanca!» esclamò la fanciulla,
buttandosi sull’erba. «Questo spettacolo sta prosciugando
tutte le mie energie, ma deve riuscire benissimo, costi quel che
costi».
«Si vede che ci tieni particolarmente» commentò
Falcon, appoggiando i vasetti davanti a loro e prendendo posto accanto
ad Ayame.
«Questa volta è un’idea completamente mia»
gli spiegò. «Penso sia normale che ci tenga».
«Che ne diresti se mi esibissi anch’io nel vostro
spettacolo?» le propose, di punto in bianco, non lasciandole
capire se fosse serio oppure no.
«Questo vuol dire che finalmente, Falcon, hai trovato il tuo
talento nascosto?» ribatté ella, scettica, inarcando un
sopracciglio.
«Non mi credi? Sta’ a guardare».
E con un abile mossa, in quattro e quattr’otto, fece spuntare nella propria mano un iris che porse alla ragazza.
«Come vedi, cara Ayame, non sei l’unica a saper fare
giochetti con i fiori» si vantò Falcon, dandosi le arie.
«Scommetto che non hai visto quando ho comprato e nascosto
quest’iris, sebbene l’abbia fatto proprio sotto il tuo
naso».
«Ammettendo che sia così, e così non è,
dunque il tuo talento nascosto è il pollice verde? Allora
dovresti abbandonare il pugilato e darti al giardinaggio».
«Tu sì che hai un particolare talento nello smontare la
gente» le rispose egli, con evidente e amaro sarcasmo.
«Almeno io ne ho uno».
L’aviatore fece una smorfia tra l’offeso e il punto sul
vivo: evidentemente non gli erano ancora andate giù le prese in
giro che gli avevano inferto i compagni dopo aver vantato il suo
talento di comico provetto, rivelandosi invece un pessimo narratore di
barzellette.
«Antipatica.»
«Scherzavo! So quanto sia importante per te il pugilato, fin da quando eri un bambino».
«Esatto. Nonostante Valgas si sia rivelato non proprio quello che credevo, non ho mai pensato di abbandonarlo».
«È stata la prima cosa che mi ha chiesto Gunrock
l’altro giorno, a proposito di te: era ansioso di sapere come te
la stai cavando nella lotta. Secondo lui sarebbe stato un peccato se
avessi rinunciato» gli disse Ayame, pensierosa.
«Lo hai visto?» domandò Falcon, mettendosi in una posizione più comoda.
«Sì, è venuto con Cassie e i loro bambini a vedere il nostro spettacolo».
«Ma davvero? E come stanno?»
«Molto bene, Cassie sembra molto contenta con la sua famiglia.
Gunrock si è dimostrato il marito ideale per lei!»
commentò la ragazza, soffermando la sua attenzione sui petali
freschi ed intensamente colorati delle viole.
«Mi fa piacere che Cassie sia felice e che si sia dimenticata di me. Era troppo appiccicosa e melensa».
«Ah, già, è vero a te piacciono solo le donne dal
fascino maturo. Come Rouge...» la fanciulla tacque immediatamente: non
voleva parlar male dell’amica. Ma la gelosia le stava facendo
dire cose che non avrebbe mai voluto: le era semplicemente scappato.
Rimase zitta, cercando di scorgere sul volto di Falcon i segni della
sua reazione. Ma costui rimase impassibile.
«Ho lasciato perdere Rouge mesi fa. Ora ha molte
responsabilità come nuova indovina della Terra del Fuoco, ma
è soddisfatta di ciò che fa, in più è
tornata a lavorare con la sua maestra Gana» dichiarò,
dopo qualche secondo.
«Sei... Sei andato a trovarle?»
«Sarebbe abbastanza impreciso. Come sai ho ripreso a viaggiare e
sono tornato anche nella Terra del Fuoco: ci siamo incontrati per puro
caso. Nella sua sfera ha letto che dovrà aspettare ancora molto
prima che Ryoma torni da lei. E ha voluto sbirciare anche nel mio
futuro: ha detto che per me ci sono in programma ancora tanti luoghi da
visitare e avversari da battere. Invece, il tempo per il vero amore
è ancora distante, tuttavia pare certo che io abbia già
conosciuto la mia futura moglie. Sentenza molto sibillina. Da vera
indovina, aggiungerei» spiegò il ragazzo, dimostrandosi
generoso nel raccontare i particolari.
«Mica tanto. Magari vuol dire semplicemente che sei innamorato di
una ragazza attualmente impegnata» insistette Ayame, fingendosi
distaccata, ma, in realtà, intimamente corrosa dalla gelosia.
«Non credo proprio» disse egli, pigramente, distendendosi
sul prato ad occhi chiusi. La brezza soffiò più forte e
scarmigliò i capelli di entrambi. L’artista si tolse una ciocca
molesta che le copriva il viso e, decisa a saperne di più, lo
mise alle strette: «Oh, su, non farti pregare come tuo solito.
Perché non vuoi dirmelo? Avanti, Falcon, c’è
qualcun’altra che ti piace?»
«Mmm... Forse».
Forse. Non era una risposta
precisa, avrebbe potuto significare un sì, avrebbe potuto
significare un no. Uffa, dacché si era dimostrato propenso a
parlare ora si era fatto così misterioso! Che personalità
altamente instabile!
La fanciulla abbassò lo sguardo, stringendo le dita intorno al
fiore. Quanto le sarebbe piaciuto sapere di chi si fosse innamorato
questa volta Falcon - preferibilmente senza doversi corrodere il fegato -, cercando di
strappargli altre informazioni in merito; certamente doveva essere una
donna di grande bellezza e fascino, non c’era dubbio...
E, all’improvviso, una strana sensazione di calore si
irradiò a partire dalla guancia per arrivare fino al suo
cuoricino. Ci mise un po’ per elaborare e quando si voltò
verso il ragazzo, che le stava sorridendo tra il dolce e il sornione,
non ebbe più dubbi: le aveva appena dato un bacio.
La giovane si sentì avvampare da capo a piedi: doveva essere
- accidentaccio a lui! - diventata dello stesso colore di un gambero
arrostito. E non era forse quella una dichiarazione aperta dei suoi
sentimenti per quel giovane? Le aveva estorto la verità con
un’abilissima serie di trucchetti! Chissà per cosa poi.
Anzi, Ayame lo sapeva benissimo: per farsi quattro risate alle spalle
di una ragazzina innamorata.
«Falcon, sei proprio un brutto maleducato! Non si fanno queste cose ad una signorina senza chiedere il permesso!»
«Cosa? Il permesso?» chiese egli, sbigottito. «Solo per un...»
«Sì, il permesso!» lo rimbeccò aspramente la
fanciulla, fermandolo prima che egli potesse dire la parola bacio.
«Non era mia intenzione offenderti...» le disse piano: si
vedeva molto chiaramente che si trovava parecchio in difficoltà.
Dopo questo, il biondo aviatore non parlò più,
restandosene fermo e composto, seppur a testa china. Ayame, nel
vederlo, si pentì un po’ per il suo scatto: era,
sì, riuscita a far ammutolire Edward Falcon, ma non
l’aveva fatto né con grazia, né con piena ragione.
Quindi non è che ci fosse poi molto di cui vantarsi.
«Perché mi hai dato un bacio?» trovò il
coraggio di chiedergli, augurandosi che le rispondesse e che non la
trattasse male, anche se non avrebbe potuto biasimarlo, contando il
modo poco ortodosso con il quale lo aveva apostrofato.
Eppure, quando egli alzò il capo, l’espressione dipinta
sul suo volto la tranquillizzò subito, facendole capire che non
l’avrebbe rimproverata. La guardò solamente per qualche
istante, poi sospirò.
«Per il medesimo motivo per il quale vengo a vederti durante i
tuoi spettacoli. E potrebbe essere anche lo stesso per cui tu vieni a
vedere me».
La piccola artista sussultò: Falcon sapeva, l’aveva capito. Ma, a conti
fatti, anche uno stolto se ne sarebbe accorto poiché non aveva
fatto nulla per nascondergli i sentimenti che provava per lui.
«Ma adesso è ancora presto per approfondire. Te lo
spiegherò quando sarai cresciuta un altro po’,
Ayame.»
Non l’aveva detto con intenti offensivi o di ludibrio, ma ella
provò lo stesso una piccola fitta di dolore: la considerava
ancora una mocciosa.
La ragazza gli prese delicatamente un braccio, gli sfilò il
guantone di cuoio e si portò la mano di lui, asciutta e calda,
contro la propria guancia. Il giovane la scrutò, stranito e
confuso.
«Che... Che significa questo?»
«Te lo spiegherò quando non giocherai più agli
indovinelli come un bambino, Falcon» gli rispose con simulata
altezzosità, lasciandolo immediatamente, seppur a malincuore.
«Ti intrattieni con Rouge con la scusa delle profezie, pensi ad
un’altra ragazza, già impegnata per giunta, e poi mi baci.
Si può sapere cosa vuoi?»
Il giovane fece per rimettersi il guanto ma poi cambiò idea: si
sporse verso di lei e le alzò il viso con due dita della mano
non coperta.
«Vuoi sapere davvero cosa voglio? Allora non te ne farò più mistero: vorrei poter sposare te.»
Ayame avvampò violentemente - arrivando a sei volte in meno di
un’ora -, mentre quelle poche ultime parole pronunciate con tanta
decisione le rimbombavano in testa. Perché Falcon doveva essersi
fatto deciso proprio in quell’occasione?
«Anche se non subito» si affrettò ad aggiungere,
alquanto in difficoltà, forse perché aveva preso
coscienza di quanto espresso a voce alta. «Ecco... È
già da un po’ che ho inteso di volerti bene, solo che non
sapevo come farlo capire a te. Non avrei voluto arrivare ad essere
così diretto, ma non mi hai lasciato altra scelta. Ayame, sei tu
la ragazza che devo aspettare.»
Fece una piccola pausa e, approfittando del fatto che la giovane non
riusciusse a spiccicar parola, completò: «E, comunque, se
vogliamo dirla tutta, in un certo senso anche tu dovrai aspettarmi: ci
sono ancora tanti viaggi e tante avventure che mi attendono. Inoltre
sono un lottatore che si sta formando: vorrei avere il modo di
fronteggiare gli avversari più forti di ogni terra».
La fanciulla rimase muta. La misteriosa ragazza amata dal suo aviatore
preferito era proprio lei. Se Rouge in persona le avesse predetto che
Falcon - quello stesso Falcon che le piaceva tanto e che non la
considerava neppure un essere di genere femminile - le avesse detto quelle
cose, non ci avrebbe mai creduto.
«Ovviamente si deve tenere conto della cosa più
importante, ovvero che anche tu mi voglia...» borbottò poi
all’improvviso il ragazzo, al mo’ di conclusione,
arrossendo discretamente.
Ayame non poté impedirsi di pensare che fosse anche giusto che toccasse a lui, per una volta, diventare scarlatto.
Si fissarono a lungo, senza proferire mezza parola, poi con una lentezza esasperante la fanciulla annuì.
«Vuoi... Vuoi dire sì?» esalò egli, incredulo.
«Se uno annuisce, Falcon, di solito è per dire
sì» fece, imbarazzata, voltandosi dall’altra parte.
«Anch’io ti voglio bene da tanto tempo, ma tu non te ne sei
mai accorto. Cos’è, dopo il rifiuto di Rouge, hai deciso
di ripiegare su di me?»
Be’, non era stata esattamente il ritratto della dolcezza.
Cos’è che fanno di solito le ragazze quando ricevono una
dichiarazione dal ragazzo dei loro sogni? Ah, sì, piangono a
dirotto e cominciano a singhiozzare stupide frasi senza senso. Magari
Falcon si era aspettato che anche lei facesse una cosa del genere... O
peggio, magari stava mentamente rimpiangendo di non aver chiesto alla
stucchevole Cassie-Amore-Tesoro di sposarlo quando ne aveva avuto
l’occasione.
«Tu non sei assolutamente un ripiego, Ayame» le rispose
dolcemente il giovane. «Io tengo seriamente a te, è solo
che ci ho messo un po’ ad accettarlo. Temo che abbia giocato a
nostro sfavore anche la differenza di età».
A quanto pareva, il biondo aviatore aveva deciso proprio di stupirla,
continuando a fare il contrario di quanto immaginato da lei. Prima che
il suo cervello potesse elaborare una frase, le sue labbra, mosse da
volontà propria, avevano già detto la loro: «E cosa
è cambiato ora tra di noi, Falcon?»
«Semplicemente, il mio modo di vedere le cose. Non è impossibile stare insieme, dobbiamo solo aspettare».
Calò un silenzio di tensione. Sì, doveva ammettere che
Falcon aveva piena ragione. Restava il fatto che ad Ayame, che si era
data già per sconfitta, che aveva creduto di essere
un’ennesima vittima degli amori a senso unico, sembrava troppo
bello per essere vero.
«Prima non volevo metterti in imbarazzo, scusami» le
sussurrò improvvisamente il giovane, mettendosi in piedi e
guardando il tronco della quercia. «Ma penso che sia giusto che
sappia che, ecco, sì, insomma... Tu... Tu mi piaci, Ayame.»
Una nuova vampata di calore la investì, ma ella non ci
badò: oramai aveva perso il conto e, in tutta sincerità,
allo stato attuale non è che le importasse più di tanto,
considerando che sia lei che Falcon viravano alle stesse gradazioni di
rosso. Però, nonostante il forte impaccio, doveva comunque
trovare il coraggio di dirgli qualcosa.
«E-Edward?» sussurrò la ragazza, alzandosi a sua volta: era la prima volta che lo chiamava per nome.
«Sì?» le rispose, voltandosi. Ayame gli fece un
grazioso inchino degno del più caloroso applauso di un pubblico
pienamente soddisfatto.
«Grazie per l’iris».
Un velo di stupore coprì l’espressione di Falcon, ma ben
presto si dissolse per lasciare posto ad un barlume di serenità.
«Be’, non è il significato del tuo nome? Ho pensato che fosse un dono molto appropriato».
La ragazza incurvò le labbra e si appuntò il fiore tra i capelli: «Come sto?»
«M-Molto bene» le rispose Falcon, il cui viso era ormai in
tinta con la propria tuta, cercando di nascondere l’imbarazzo
chinandosi a raccogliere i vasetti con i fiori. «Ti aiuto a
portare queste viole fino alla tenda. Posso concederti il mio aiuto o
rischio un sonoro rimprovero?»
Ayame gli fu vicino in un istante e si strinse al braccio del giovane, guardandolo intensamente.
«Sei un pugile, no? Vediamo se hai il fegato di rischiare anche questo!»
Il giovane inarcò un sopracciglio, ma la fanciulla gli rispose
con un dolce sorriso: aveva scoperto cosa provava per lei Falcon, la
ricambiava pienamente e, come se non bastasse, le aveva regalato un
iris, il quale significava anche promessa di speranza e annuncio di
buona novella. E Ayame avrebbe atteso quel giorno in un futuro che ora
sapeva non troppo lontano.
«Su, ora andiamo, altrimenti rischiamo di fare tardi!» lo
esortò con un’allegria contagiosa, trascinandolo via.
Si dice che chi possiede una Power Stone ha il potere di far sì che i desideri diventino realtà.
Ma potrebbe esserci l’eventualità che chi non ne abbia una,
oppure l’abbia perduta, da solo, riesca a fare persino di meglio.
***
I
personaggi qui presenti appartengono alla Capcom e allo Studio Pierrot.
Io li ho solo presi in prestito per giocarci un po'. L'unica cosa che appartiene a me è la grafica del titolo.
***
Salve a tutti!
In verità non avrei dovuto pubblicare niente di simile. Ma il
caso ha voluto che mi riguardassi da capo questo vecchio e dimenticato
anime/videogioco e che mi mettessi all’opera. Ed ecco
qui quello che ne è uscito.
Non sarà una grande prova ma, dopo tutti questi mesi di assenza
come autrice, ho deciso di ricominciare con qualcosa di semplice, poco
elaborato e propriamente “fluff”, sebbene abbia cercato
comunque di dare alla fiction un tono, dato che le cose stucchevoli non
rientrano propriamente nel mio stile.
Orbene, ringrazio Sumirechan e il suo blog che mi hanno dato una mano nel trovare la giusta ispirazione, chiunque leggerà
quanto scritto e ancor di
più chiunque sarà così gentile da dirmi la sua in
merito, sperando che abbiate gradito la storia almeno un poco.
Saluti,
Halley S. C.
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