Qualcuno mi dica come si fa
Qualcuno mi dica come si fa.
A superare un addio. A superare
un amore amaro, di quelli che sin dall’inizio sapevi sarebbe affondato, o forse
mai salpato.
La nostra nave non ha mai
lasciato il porto, in effetti, anche si ci siamo saliti sopra, l’abbiamo
esplorata, ci abbiamo vissuto.
Un amore incompiuto, fortissimo
da una parte, debole e malato dall’altra. Un amore di quelli che avrebbero
potuto prendere mille strade e invece non ne ha presa neanche una, ed è rimasto
lì, in mezzo all’incrocio, ad estinguersi.
Abbiamo sentito soltanto una scia
di profumo di quello che avremmo potuto essere. Per poco, lo so. Per davvero
poco tempo. Le nostre vite dovevano prendere strade diverse, ci saremmo
lasciati e mai ripresi, ma per quel piccolo frammento di vita, cosa saremmo
potuti essere?
Tu hai paura, sei un vigliacco.
Fuggi prima, lo hai sempre fatto. Sei stato bruciato dalla vita, dalle donne,
dagli amici. Bruciato dentro, maltrattato, rigirato, stravolto, e ora non lasci
più che niente e nessuno ti sfiori. Non ti lasci toccare.
E invece, Dio!, se hai bisogno, che
qualcuno lo faccia. Che ti afferri le viscere e ti strattoni e ti dica: “Ehi!
Il mondo è là fuori, ed è bello, e fa malissimo, ma tu sei vivo. Vivi!”. Che
sia un’amante, un amico, un parente, non importa. Deve arrivare la persona
giusta, quella che ti farà riacquistare la fiducia nel mondo e nelle persone.
Non perché la meritino, ma perché così è la vita, crudele e meschina, potente e
sconvolgente, e non ha senso viverla se non lasci che ti prenda a sassate come
vuole lei.
Saresti pronto a morire, pur di
poter dire di aver provato qualcosa di forte, che ti ribaltasse i sentimenti.
Ma non è la sensazione di aver sfiorato la fine, la soluzione.
E invece no. Tu non permetti che
siano le persone a farti sentire vivo. Perché sai che quella nave prima o poi
affonderà, e scappi prima ancora che venga dato l’allarme.
Tu. Un ramingo. Fai una vita da
folle, alla tua età. Che cosa cerchi, in questo peregrinare continuo? In questo
essere un animale nomade, senza sicurezze, punti fermi, equilibrio. Cosa speri
di trovare? Hai visto il mondo e incontrato migliaia di persone. Cosa ti
rimane, ora?
Fermarsi, lasciare che i luoghi e
le persone facciano in tempo a entrarti dentro non è una questione di
accontentarsi. È lasciare che qualcosa rimanga, e faccia parte di te, e ti
arricchisca.
Perché mandare a fare in culo
tutto solo perché hai il sentore che forse di qua o di là potrebbe esserci
qualcosa di più grande, qualcosa di meglio, un’esperienza diversa? Perché non
vivere quello che incontri nella convinzione che se anche non è la perfezione, almeno
per quel po’ che vale, valga davvero?
Hai provato una volta ad
affondare con la nave, e sì, la nave è affondata, e con lei il tuo amore, e tu
lo sapevi. Ma non è abbastanza! Una volta non è sufficiente! La vita ti
prenderà a pesci in faccia sempre e comunque. Perché il bambino si è scottato
con la candelina sulla torta, non significa che smetterà di festeggiare il suo
compleanno!
Chissà, in questo tuo mondo di
apatia, solitudine, cuore infranto, sole che picchia, uffici di notte, ferrovie
fino all’alba, arpeggi alla chitarra, notti insonni, divani su cui dormire e
skyline mozzafiato, io cos’ho rappresentato. Probabilmente un’altra anima che
ha riflesso in te, che non esisti e sei sfuggente, i suoi desideri, i suoi
sogni, i suoi bisogni. Per te sono una sciocca ragazzina dall’insicurezza che
uccide, poca spina dorsale, ma che ha sprazzi di incredibile lucidità e
maturità. O forse no? Sono una ragazzina che sembra una donna, una donna figlia
della sua terra, proprio con quell’aspetto lì, un po’ ammiccante, forse
maliziosa, che sicuramente non disprezzavi abbracciare. Ti ho attratto,
probabilmente, ma non è stato abbastanza. Tu hai bisogno di molto di più. Non
ho le caratteristiche della donna dalla quale vorresti un figlio, né posso
darti la vita che vuoi continuare a fare. Vorrei che tu fossi parte della mia
vita, vorrei essere parte della tua vita, ma non posso, né tu vuoi.
Più volte siamo stati a un
millimetro dal fare un passo in più; il passo che sancisse un livello superiore
nella nostra relazione, ma niente. Alla fine siamo rimasti all’incrocio. In
stallo. Un amore potenziale mai risolto.
Abbiamo scambiato musica, lunghe
notti piene di parole, l’alba, i sogni racchiusi dentro oggetti costosi,
battute che volevano dire e non dicevano, ronde nel caldo dei dormitori, smoothies alla fragola, profumi in abbondanza, sensualità
inespressa, abbracci, aste che scadono, capelli, tanti silenzi, sguardi
infiniti. Abbiamo vissuto lo stesso soggiorno, in cui si stava stretti ma poi non
così tanto, abbiamo comprato insieme da mangiare a una bambina, l’abbiamo
tenuta per mano, abbiamo mangiato troppa pizza e troppo gelato, bevuto birra,
parlato della vita e delle stupidaggini, siamo stati ore a decidere se comprare
o meno una stupida agenda. Siamo stati zitti quando ci hanno chiesto che fine
avessimo fatto, tutto il giorno, da soli, in giro per la città. Abbiamo
guardato danzatori di strada in mezzo alla folla, ti ho visto guardarmi e
sbottare, per tante ragioni. Mi hai toccata e poi hai rinunciato, per tante
ragioni. Abbiamo camminato sulla Highline sotto la
pioggia, dopo un addio, e ci siamo bagnati insieme, e alla fine non decidevamo
mai con cosa pranzare, anche se ormai eravamo zuppi e stanchi. Abbiamo
condiviso braccia umide di pioggia, tanti aneddoti. Mi hai chiesto tante volte
a cosa pensassi. Hai provato a insegnarmi a suonare la chitarra, mi hai
guardato divertito perché ero goffa con quello strumento in mano. Sei convinto
che mentissi . Ti sei stupito che fossi grande, e ti sei stupito che fossi
piccola. Mi hai trovato tu la scusa per rivederti.
Sei un regalo che non riuscirò
mai a darti. Sei tante promesse. Sei la scoperta di una nuova applicazione
della mia casella mail. Sei il nodo allo stomaco costante, perenne, massiccio,
doloroso. Sei le lacrime che da tanto non versavo. Sei la gelosia e l’invidia
che non credevo di poter provare. Sei la sensazione di non aver vissuto niente
e la consapevolezza di vivere molto. Sei la voglia di essere toccata da quelle
mani. Sei il brivido che reprimevo quando accadeva. Sei un computer che cade e
il senso di colpa. Sei parole affettuose e importanti. Sei la sensazione di
stare convivendo. Sei la voglia di esser bella per qualcuno. Sei una maglia
logora. Sei una montagna di bagagli. Sei un autobus che stiamo perdendo. Sei
l’ultimo smoothie ipercalorico di McDonald’s. Sei un
abbraccio e un bacio di addio. Sei la voglia di rimanere lì, a vedere l’autobus
partire anche se non vedo più te. Sei la maglia logora che riappare e mi
saluta. Sei il senso di vuoto dopo.
E io ora sprofondo in
quest’agonia che aspettavo arrivasse da due mesi, ormai. Il cui retrogusto ho
percepito subito, ancora prima di assaporarla.
Ora, di te, mi rimane un album
dei Radiohead su una vecchia chiavetta che non
riuscirò mai ad ascoltare, un libro che non avrei mai comprato, un quaderno di
pelle come scusa, un indirizzo e-mail, e il ricordo. Non è abbastanza. Non lo è
mai stato.
E mi chiedo se ti rivedrò. Forse,
se il posto in cui vivo rientrerà casualmente nei tuoi itinerari, apparirai,
inatteso, un giorno. Mi chiederai un divano e il tuo quaderno di pelle. E io te
li darò, pur sapendo che non sei qui per me, ma per loro. E allora via. Lascio
il porto e la nostra nave mai salpata. Prima o poi me ne dimenticherò.
Oneshot che raccoglie i miei pensieri su un’esperienza di vita vissuta,
davvero, con la testa, il cuore e la pancia. Potrà sembrare un po’ confusa, ma
l’intento è proprio quello di lanciare flash, non raccontare una storia.
Spero vi sia piaciuta! J
Olimpias V.