Err 1
Ero
un ragazzo come tanti. Nella media, per capirci. Alto. Magro... C'è
davvero bisogno che mi descriva? Ero io, semplicemente.
Ovvero
me. Sasuke Uchiha. Moi.
Ma
ognuno a modo suo è unico, giusto?... Allora potrei giusto
appuntare che a differenza dei miei coetanei non ho aspettato la mia
pubertà con ansia quasi isterica, alla ricerca di una maturità che,
naturalmente, era solo in apparenza. Avevo visto mio fratello
maggiore commettere questo fatidico errore e dire che di conseguenza
mi ero munito di scolapasta come elmo, padella come scudo e mestolo
come arma pronto all'attacco, è un eufemismo. Fatto sta che lo
sviluppo arrivò, ne uscii vivo e vegeto, pronto alle nuove avventure
che speravo prospettarmi.
La
verità fu che non c'erano tutte queste cosiddette "avventure"
ad aspettarmi proprio dietro l'angolo, decisamente no. Invece, quasi
a farmi dispetto, la vera avventura della mia vita sbucava da sola da
dietro quello, di certo non mi aspettava lei. Come avrebbe potuto se
non era mai puntuale?
Ogni
mattino, Naruto cominciava a sbracciarsi sin dall'inizio della via,
cercando di farmi capire che stava arrivando, in ritardo, ma che
comunque arrivava. Ma di certo non finiva là. Come avrebbe potuto
essere così semplice? Evidentemente pensava che fossi scemo quanto
lui e che quindi non mi accorgessi della sua presenza così
"facilmente".
Indi
per cui iniziava a starnazzare il mio nome per tutta la via, e stai
pur certo che sarebbe stato udito anche in quelle circostanti, se non
per tutto il quartiere. Confermando così che ero io il povero pazzo
del suo “amico”.
Erano
ormai anni che avevo smesso di nascondere il viso dietro una mano,
nel vano tentativo di risultare anonimo e non essere riconosciuto.
Altrettanti erano gli anni in cui avevo cercato di spiegargli che non
era necessaria quell'umiliazione pubblica...Ah-ehm, scusate,
quell'allegro modo di salutarsi ogni santa mattina.
È
necessario che io specifichi che il tutto sia stato disperatamente
vano?
Trovo
invece necessario specificare che nonostante tutte le volte che,
arrabbiato, mettevo il broncio, lo sgridavo o provavo inutilmente a
farlo ragionare, avrei continuato ad aspettarlo lì. In fondo alla
via, mandando occhiate continue al punto da cui lui sarebbe sbucato.
Non potevo sottrarmi a quella specie di rito. O meglio, non volevo.
Iniziavano
tutte così le giornate. Regolarmente, se non rigorosamente, insieme.
Andavamo
a scuola, seguivamo le lezioni, o meglio io le seguivo. Ogni tanto
andavamo al parco con gli amici, o al cinema, o in centro. Insomma,
sapevo cosa aspettarmi dal domani.
Mi
piaceva. Non la routine e tutta quella roba ripetitiva.
Semplicemente, mi piaceva la mia vita. Non avrei mai chiesto né di
meglio, né tanto meno di peggio.
Tornavo
a casa, con la soddisfazione palpabile nell'aria che mi circondava.
Mia madre mi dava sempre il bentornato a casa con uno di quei sorrisi
che solo la mamma può dare e mio fratello maggiore... beh, faceva il
fratello maggiore. Itachi mi scherniva, mi prendeva in giro, mi
punzecchiava, mi metteva in imbarazzo e mi voleva bene.
Quando
mio padre ritornava a casa, mischiando in strani borbottii saluti e
lamentele sul lavoro, non andavo a dargli il bentornato. Lui non
veniva ad accarezzarmi la testa e a tessere lodi di amore per me.
Semplicemente abbracciava tutti con lo sguardo, e se tu eri un Uchiha
stai pur certo che ti saresti sentito il figlio più amato del mondo
per aver ricevuto quella non apparentemente dolce occhiata. E avresti
risposto altrettanto eloquentemente.
Studiavo,
sempre alla stessa ora. Inizio e fine dello studio li avevo
sincronizzati in modo di avere tempo libero e ottimi voti a scuola.
In
alcuni giorni subito dopo lo studio capitava che Naruto mi chiamasse
a casa.
«Pronto?»
«Ciao,
Sasuke! Sei a casa?»
«Idiota,
mi hai appena chiamato lì.»
«Oh,
giusto, giusto. Come stai?»
«Bene.»
«Che
fai?»
«Niente.»
«Senti
non è che...»
E
lì la frase poteva cambiare da giorno a giorno. Se il giorno dopo
avessimo avuto compito in classe avrebbe chiesto disperatamente il
mio aiuto. Se il giorno dopo fosse stato uno normale mi avrebbe
chiesto se mi andava di passare il pomeriggio tra amici, al parco, di
provare qualche videogioco o altre cose così. Se infine il giorno
dopo fosse cominciato il week-end o qualche tipo di vacanza (il
termine vacanza rappresentava ogni periodo più lungo di due giorni
con la scuola chiusa, cit.: Naruto Uzumaki) mi avrebbe chiesto di
uscire la sera, per andare in qualche locale, o anche fare una
semplice passeggiata. Altri non era che un modo per dimostrare che
potevamo permetterci di non andare a letto presto perché non
dovevamo andare a scuola.
La
sera prima di andare a dormire non disdegnavo un bel film, anche se
finiva tardi. A eccezione delle sere sopracitate in cui uscivamo, lì
potevo essere certo di fare nei casi più rosei le tre del mattino.
In ogni caso Naruto capiva che per me era l'ora di dormire quando
cominciavo ad avere la schiuma alla bocca dalla stanchezza. Non
riuscivo ad afferrare come faceva quel ragazzo a essere costantemente
pimpante anche nelle ore meno consone.
Usavo
la bicicletta, per andare quasi dappertutto quando ero da solo. Avevo
provato ad introdurre l'argomento “motorino” in casa, ma
l'occhiata gelida di mia madre lo aveva rispedito dritto in strada
spiaccicato sotto un tir. Tanto per essere sicuri che non ritorni, e
queste sono parole sue.
Avevo
una vita semplice, normale. Magari non invidiabile, ma di sicuro non
l'avrei scambiata per nulla al mondo.
Inoltre
non credo di essere stato “cattivo” o simili nella mia piccola
esistenza. Più o meno seguivo la religione, qualche sgarro lo fa
chiunque, ma comunque non credo di essere stato tanto disgraziato da
incorrere nelle ire di un dio.
Ma
allora perché...
Conosco
Naruto da che ho memoria. Grazie ad anni di frequentazione da parte
dei nostri genitori.
Non
ho mai visto grandi cambiamenti da parte sua, a parte la fatidica
pubertà e la morte di Kushina, sua madre.
Nella
pubertà aveva innanzitutto cambiato il timbro vocale, per la gioia
di nessuno. Ora invece di un acuto chiacchiericcio c'era un cupo
ronzio a farmi sanguinare le orecchie.
Ed
era leggermente cambiato il nostro modo di apportarci, perse le
dolcezze dell'infanzia avevamo cominciato a stuzzicarci a vicenda con
frecciatine e insulti, nei quali entrambi non vedevamo altro che
strani gesti d'affetto.
Dopo
la morte della madre non era propriamente cambiato.
Era
sprofondato nella depressione per tutto il primo mese e la metà del
secondo conseguente il decesso. Non mangiava, non sorrideva e non
parlava. Non piangeva.
Non
viveva.
Naturalmente
mi preoccupai molto ed interpretai i suoi sintomi come segni
dell'apocalisse. Mi chiamò addirittura suo padre, Minato, in cerca
di un aiuto che non potevo dargli. Passavamo tempo insieme come al
solito, ma c'era una parete invisibile a dividerci. Lo sentivo così
lontano nella sua tristezza, era come se dentro quel corpo fosse
morta l'anima, e per i primi tempi temetti che fosse successo
veramente quello.
Poi
ci fu una specie di “ritorno alla normalità”.
Successe
di sera. Mi sarebbe piaciuto dire che pioveva, renderebbe il tutto
molto più drammatico. Ma non fu così.
Lo
pongo a metà del secondo mese perché non ricordo il giorno preciso.
Ero
ubriaco e tanto stanco.
Eravamo
soli io e lui al parco. Con sei bottiglie di birra vuote tra i piedi,
doppio malto.
Io
di solito ne reggevo tre a stento.
Lui
non aveva, ovviamente, toccato niente.
Mi
ricordo solo che glielo feci notare, con sarcasmo mal celato. Con la
bocca impastata dall'amarezza e dall'alcol.
Lui,
semplicemente, aveva spostato lo sguardo su di me, non una parola.
Sempre chiuso nel suo mutismo, sempre chiuso nella sua fottuta
malinconia. Questo gli avevo detto. Ripensandoci ora, penso di essere
stato veramente stronzo quella sera, continuando a infierire. Forse
avrei dovuto dargli più tempo. Probabilmente aveva ragione da
vendere quando aveva cominciato a urlare che non capivo un cazzo. Che
io avevo la mia fottutissima famigliola felice. Che non avrei mai
capito il dolore che lo continuava a trafiggere ogni giorno.
Fatto
sta, che ne presi tante quella sera e, naturalmente, anche lui non fu
risparmiato.
Naruto,
infine, pianse tanto, aggrappato alla mia felpa, tentando di
assestare qualche debole pugno. Urlò e piansi anch'io per il dolore
che fu capace di trasmettermi.
Ora,
non so se, tornato a casa, avesse continuato a parlarne col padre. Ma
il giorno dopo, quando andammo a scuola insieme, capii che mi avevano
restituito il mio migliore amico, che non andavo più in giro con uno
zombie come ombra.
Ci
volle ancora un po', ma Naruto lentamente tornò del tutto e in
cambio andò via l'ombra che aveva attraversato le nostre vite.
Ogni
tanto mi sembra ancora di scorgere quella nuvola scura sul suo volto
o che un sorriso troppo stentato o amaro mi insospettisca, ma
suppongo sia normale che gli siano rimaste alcune cicatrici.
Eppure,
ancora mi stupisco ogni volta che mostra un lato della sua persona
che non conosco. Perché nonostante gli anni di conoscenza riesce
comunque a sorprendermi ogni tanto. Che sia arrivare puntuale. Che
sia saper ballare. Che sia non saper cantare. Riesce sempre a
stupirmi e a dimostrarmi che quando affermo di conoscere
perfettamente Naruto Uzumaki sbaglio. Perché conoscere profondamente
Naruto Uzumaki è dato solo a Naruto Uzumaki, a quanto pare.
Forse
ho spinto troppo nel voler conoscere questo ragazzo. Probabilmente è
colpa della mia assurda convinzione di poter saper tutto su tutto e
tutti.
Forse
è per questo, ma...
Già,
c'è sempre un ma. Una piccola monosillabica parola, pronta a far
ritorcere su se stesso un intero discorso. Pronta a mettersi nella
mia vita e a capovolgerla.
A
Sasuke piaceva la sua vita, ma...
Ma
quel giorno eravamo solo io e Naruto. Ma stavamo giocando a pallone.
Ma ci eravamo divertiti. Ma eravamo sudati, stanchi e ridenti del
divertimento appena subito. Ma non avevo una bottiglietta d'acqua. Ma
avevo molta sete. Ma avevo provato a prendere quella di Naruto. Ma mi
ero avvicinato troppo a lui.
A
Sasuke piaceva la sua vita, ma... il suo migliore amico si era sporto
e lo aveva baciato sulle labbra.
----------------------------------------------Invece.----------------------------------------------
A
Naruto piaceva vivere, ma... aveva la netta sensazione che di lì a
poco il suo migliore amico lo avrebbe ucciso.
Per
un attimo, mi chiesi se avrei visto la mia vita scorrere davanti ai
miei occhi come un piccolo cortometraggio. Ma non avevo tempo per
pensare. Non ne avevo neanche per respirare.
Quasi
sentivo le imprecazioni urlate con disprezzo nella sua testa "Naruto!
Cosa cazzo fai?!". Ah, no. Quella era la mia di testa che mi
urlava contro.
Il
presagio di morte fioriva insieme all'eccitazione dal punto in cui le
nostre labbra si erano scontrate e dove ora giacevano unite e
silenziose. Era una scossa elettrica che lasciava calore e bruciore
sul punto in cui eravamo uniti, ma che poi si propagava attraverso il
cervello come una stilettata e che infine scendeva giù, gelida sulla
spina dorsale, nauseante nello stomaco e vibrante giù al ventre.
Non
che sapessi poi tanto di baci. Lo avevo semplicemente sentito così
maledettamente vicino. Avevo sentito il suo respiro sulla guancia e
avevo visto il suo braccio sfilare oltre il mio torace.
Non
avevo pensato. Come al solito avevo fatto e basta. Agire.
Più
semplicemente vivere, senza soffermarmi troppo sulla mia vita stessa.
Mi godevo i miei attimi, senza guardare a tutti quelli che sommati
componevano la mia esistenza.
Mi
piaceva. Respirare e sentire l'aria che mi abbandonava per poi
riabbracciarmi. Per me non aveva senso definire come "mia"
la vita. Perché era intrecciata a milioni di altre e trovavo inutile
distinguerla da quelle, poiché senza l'avrei trovata vuota. Oppure
era semplicemente la paura di non riuscire ad amarla a fermarmi dal
farlo. Forse avevo il terrore di essere insoddisfatto e amareggiato
se mi fossi fermato a riflettere.
Anche
se probabilmente riflettere sarebbe stato meglio quel pomeriggio.
Non
era stato come nei film. Non lo era stato affatto.
Avevamo
entrambi gli occhi sgranati dalla sorpresa, cercando di fissarci l'un
l'altro senza riuscirci, colpevole la vicinanza. Le labbra erano
semplicemente accostate, quasi avessimo semplicemente un'espressione
seria e ci fossimo poggiati l'uno all'altro. Ero a malapena
consapevole del braccio che Sasuke aveva sporto verso la mia
bottiglietta d'acqua -le pigliasse un accidente!- mentre realizzavo
la cazzata che stavo facendo. Mi staccai da lui dello spazio
necessario per poterlo guardare negli occhi sgranati. Inspirai
rumorosamente e mi strozzai con la stessa aria che stavo respirando.
L'attacco di tosse che mi prese sembrò sciogliere il ghiaccio che lo
aveva colto. Sbatté le palpebre forse per la prima volta e mi fissò
a sua volta.
Assunse
un'aria confusa e fece per dire qualcosa. Correte ai ripari!
Intonò il panico nel mio cervello, ma fortunatamente l'istinto
lo surclassò facendomi parlare prima che Sasuke potesse farlo.
«N-non...
Io devo... No, scusami non era... ehm, dimenticalo... ciao.» Forse
non troppo brillantemente, ma proprio non volevo ascoltare cosa aveva
da dire.
Scattai
in piedi come un soldatino e uscii dal campetto da calcio a grandi
falcate, rallentai solo quando sentii il fiato bruciare nei polmoni.
Continuai camminando verso casa.
Cosa.
Cosa “cosa”? Cosa diavolo avevo in mente, cosa?
Mi
fermai studiando la locandina di un film romantico accanto a me.
Accidenti.«Stupido!»
La
colpii con pugno, ma me ne pentii subito. Come diavolo faceva la
gente a essere tanto arrabbiata da non sentire dolore quando lo
faceva?
Ripresi
a camminare massaggiandomi le nocche, con lacrime agli occhi.
Dovevo
smetterla di leggere fumetti, vedere film e quant'altro. Sì! Perché
era tutta colpa loro se avevo... avevo... Cazzo, avevo baciato
Sasuke! Dio, no! Ma perché?!
Mi
misi le mani tra i capelli per la disperazione. Mi sembrava una mezza
specie di strana soap-opera, una di quelle sudamericane con il
doppiaggio scadente, non chiedetemi perché. Magari ora sarebbe
arrivato un regista a... a dire che cambiava...
Ok,
è ufficiale, sto uscendo fuori di testa.
Alzai
stancamente lo sguardo sulla porta di casa. Ero già arrivato, eppure
non ricordavo la strada che avevo fatto... Bah, dettagli.
Non
mi andava di tirare fuori le chiavi dalla tasca, così suonai il
campanello sperando che mio padre non fosse uscito a perdere tempo
come suo solito.
Aspettai
un minuto buono, ma mi arresi infine di fronte l'evidenza.
Pescai
il mazzo di chiavi tra tutte le altre cianfrusaglie che avevo in
tasca e le infilai nella toppa. Una volta dentro le buttai nel
cestino di vimini insieme alle altre e poi mi andai a rifugiare in
camera mia, con la testa sotto il piumone. Giusto per simulare lo
sprofondare negli inferi.
Ero
in piena crisi. Avevo male alla pancia, la nausea, il mal di testa e
avevo i nervi talmente a fior di pelle che sobbalzavo a ogni rumore
che sentivo. Che mi stesse arrivando la sindrome premestruale? Beh, i
sintomi c'erano, poi aggiungici che avevo baciato un ragazzo... Ah!
Ma che andavo a pensare!
Mi
infilai ancor di più sotto le coperte, borbottando frasi sconnesse o
biascicando cose come: «Voglio sparire...»
Già,
in quel momento mi sembrava la cosa più adatta e più semplice da
fare. Infondo lo stare sotto tutte quelle coperte senza nemmeno uno
spiffero d'aria, mi stava inevitabilmente e piacevolmente (non
troppo, in realtà) soffocando. Presi un respiro più profondo per
testare se l'ossigeno si fosse realmente rarefatto, ma non capii se
avessi difficoltà a respirare per quello o per l'agitazione.
Di
colpo presi a immaginare veramente se fossi morto così. Mi apparve
un flash di mio padre piangente al telegiornale. “Era un bravo
ragazzo. Certo, un po' dormiglione, come tutti i ragazzi di oggi
d'altronde, ma chi poteva immaginare che... che per quello... che per
dormire in quel modo sarebbe... andato via!”
Sbuffai
una risata. Che fine ridicola: il riposino andato male. Forse
avrebbero messo quello come titolo sui giornali. Anche se più
probabilmente non avrebbe fatto tutto questo scalpore la mia
dipartita. Magari avrebbero fatto un bel festino, a casa di Sasuke,
s'intende.
Scossi
la testa, strusciando il naso sul materasso, per allontanare Sasuke e
quelle che avrei potuto chiamare “allegre riflessioni” dalla mia
mente.
Ricominciai
a prendere seriamente in considerazione il fatto che l'aria sotto
quel piumone non passava. Ma qualunque progetto lontanamente suicida
avessi in mente crollò, quando sentii papà rientrare. «Sono
tornato!»
Probabilmente
aveva capito che ero in casa perché la porta non era chiusa a
chiave. Purtroppo per lui, non avevo alcuna intenzione di salutarlo,
parlarci o altre cose inutili. In quel momento l'unica cosa di cui
non avevo bisogno era il contatto umano.
«Ma
come, Naru-chan! Non vieni a salutare il tuo papino? Sei qui?»
Alzai
gli occhi al cielo, esasperato. «Hmm...» Quell'uomo sembrava avere
una sottospecie di contorta sindrome di Peter Pan.
Sentii
i suoi passi sulla soglia della mia stanza e capii di non avere
scampo. «Eccoti!»
Prima
che potessi fare alcunché sentii il suo peso far sprofondare e
cigolare il letto. Altri due molleggiamenti e infine con tuffo, da
sadico potrei aggiungere, si buttò senza pietà sulla mia schiena.
Espirai
di botto tutta l'aria che avevo nei polmoni e strabuzzai gli occhi.
Corressi i miei pensieri precedenti. Sarei morto per omicidio
colposo.
«Papà!
Papà...! Spostati!» L'aria che necessitavo di inspirare non era
abbastanza lì sotto e per un attimo mi salì realmente il panico.
Cercai di strapparmi quella zavorra di dosso con le mani e i piedi,
ma ero a pancia in giù quindi ottenni solo una discreta contorsione.
«No!
Figliolo! Non morire! Non mi lasciare!» Lo sentii trafficare con le
coperte, riuscendo così ad avvilupparmi ancora di più in esse.
Sentii il tessuto stringere sempre di più intorno alla mia testa,
fino a che, con un forte colpo di reni, riuscii a mettermi carponi e
ad uscire di lì.
Fu
talmente piacevole la sensazione di frescura sul volto e l'aria
pulita, e non ristagnante, nei polmoni, che, per un attimo, mi
dimenticai del mio potenziale assassino. Solo per un attimo.
Appena
mi si abituarono gli occhi mi girai di scatto. «Ma che sei matto?!»
Lui
incrociò le braccia al petto e si imbronciò. «Ma tu non eri venuto
a salutarmi! Quando eri piccolo mi correvi sempre incontro gridando
“papà! papà!”. Che fine ha fatto il mio dolce bambino?!»
Sospirai
e lo abbracciai. «Bentornato a casa, papà.»
Di
solito il bentornato si dava a quelle persone che, almeno
presumibilmente, quel giorno avevano lavorato fino a tardi, ed
entrambi sapevamo che nel suo caso non era così.
Ma
avevo deciso... che quel giorno avevo rischiato abbastanza la vita.
Allora?
Cosa ne pensa il pubblico a casa? Wow, l'ho scritto un sacco di tempo
fa questo capitolo, ma lo sto postando solo ora. Lo so, lo so, sono
una fifona... una come può essere agitata e impaurita nel postare
una semplice fic? Beh, forse perché alla fine mi ci sono affezionata
a questo capitolo, sì è una cosa un po' scema, ma cosa ci volete
fare?... no io non sono scema... forse un po', ma poco ok?
Allora
potrei dire che probabilmente più avanti si trasformerà a rating
rosso, per ora metto un tenue ed apprezzato arancione perché
comunque nel mio archivio (che archivio non è) non ho ancora scritto
scene rosse per la fic... lo ammetto sarebbe la prima volta, ma 'sti
due... ispirano sesso, ergo lo faranno! Che ci volete fare? Io
niente, è un po' perverso, ma è bello così.
Un'altra
cosa è che in qualche capitolo citerò qualche verso di
qualche canzone, uno perché molte volte mi ispirano i capitoli,
due perché... cado sempre nella trappola della song-fic U_U
Poi...
vediamo... Ecco, questo capitolo ha il sigillo di approvazione
kyuukai, la quale
ha gentilmente elargito un parere sul primo capitolo, attenuando la
mia ansia cronica. Grazie, kyu!! (xkyu: ti rendi conto?! L'ho
pubblicata davvero!)
A
questo punto spero gradireste dirmi anche voi cosa ne pensate (ok, la
devo smettere di parlare così, anche perché nella mia testa suona
sarcastico ogni termine appena più ricercato...)
Baci!
Sakura*
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