Tutti i bambini, salvo uno, crescono.
È questo ciò
che narra J.M. Barrie nella sua favola di Peter Pan.
Ma io so che non è
vero.
Io conosco un bambino che non crescerà mai. Perché quel bambino è
leggenda.
Lui è il bambino che è
sopravvissuto.
Il mio nome è Tom
Riddle.
Già, un nome che inquieta.
Ma non sono chi credete, tantomeno
sono ciò che tutti si aspettano da me.
Infatti, nel mio nome, quello che
mi marchia come un reietto, c’è anche una sostanziale differenza.
Si,
perché io sono un Riddle, ho gli occhi blu di mio padre e il suo stesso
cognome. Ma è nel mio secondo nome, Maximilian, che giace la mia vera
essenza.
Questo nome appartiene a un grande uomo, un capo degli
Auror.
E’ il nome del padre della donna che mi ha cambiato la vita. La
mia salvatrice e mia madre.
Un sorriso mi sale alle labbra, mentre penso
a lei.
Tutti dicono che sono…una persona atipica, per così dire.
Il
mio migliore amico tempo fa, quando eravamo piccoli, mi ha detto che
somiglio a un finto barattolo di marmellata. Sopra c’è scritto marmellata di
mirtilli e marmellata di mirtilli dovrei essere, invece dentro
sono…miele.
Metafora strana che però centra in pieno il mio essere.
In
realtà sono un comune mago quasi diciassettenne.
E stanotte mi trovo ad
Amsterdam, la capitale delle follie, del mistero, dei turpi desideri impuri
degli uomini, dell’oblio delle droghe, con i miei migliori amici e se sono
qui, è grazie a un destino che mi ha salvato da un’esistenza che mi avrebbe
visto rinchiuso per sempre, fino alla mia morte.
Sono lontano da casa mia
che è Londra e mi trovo qui per il mio primo e probabilmente ultimo viaggio
con i miei amici. Le tre persone che come fratelli e guardiani mi hanno
accompagnato nei miei sei anni a Hogwarts.
Siamo soli, niente Auror a
proteggerci, niente Mangiamorte a cercare di riportarmi sulla "retta
via".
Ce ne stiamo qua, sdraiati su un ponticello. L’acqua che scorre
sotto di noi, come gli eventi di questi sei anni trascorsi, le stelle che
brulicano nel cielo notturno e nelle musiche fortissime che escono da ogni
pub e club di questa bella città.
Sono tante come le persone che ho
incontrato nella mia giovane vita.
E’ strano dirlo, ma per uno come me
che ha sempre pensato di dover vivere e morire solo, ritrovarsi qui è
qualcosa di indescrivibile.
Io, il figlio di Lord Voldemort…io, il figlio
del nemico.
Tutto cominciò alla mia nascita, avvenuta ad Azkaban quasi
diciassette anni fa.
La mia madre biologica, Bellatrix Lestrange, era
incinta quando fu condotta ad Azkaban.
Io nacqui in quel luogo. Fra i
sospiri gelidi dei Dissennatori, fra le grida di coloro che erano impazziti,
sotto gli occhi sbarrati di coloro a cui era stata barbaramente strappata
l’anima.
Ero circondato da assassini. La mia stessa madre lo era.
Si,
Bellatrix Lestrange non provò mai amore in vita sua. Solo brama. È questo
che forse l’ha spinta ad unirsi al suo Signore, è questo che mi ha dato la
vita. Né amore, né passione.
Io sono il figlio della brama, di un
intossicante desiderio di distruzione.
Lì nacqui, fra quelle mura di
gelida pietra scura.
E lì sarei dovuto venire giustiziato.
Ma nulla di
questo accadde.
Perché arrivò lei. E mi salvò.
Lei, Lucilla F.A.L.
del casato dei Lancaster.
La Lady che cambiò il mio destino.
Io non
morii quella notte perché lei decise di farmi vivere, strappandomi dalle
braccia dei Dissennatori e portandomi via per sempre da quel luogo e
soprattutto da quella gente.
Se fossi rimasto forse sarei morto. Forse
sarei vissuto. Ma se fossi vissuto, ora non sarei qua.
Ora non sarei
così. Forse sarei un Mangiamorte.
E avrei le mani sporche di sangue, con
una coscienza acquietata solo dalla mia mente ottenebrata.
Invece
Lucilla, colei che considero mia madre, mi condusse lontano.
Ero a un
bivio, appena venuto al mondo.
Non si può certo dire che la mia sia stata
una vita facile neanche in fasce.
Ma come spesso si dice dalle mie parti,
in un bambino risiede la salvezza.
Certo, io non sono il bambino della
leggenda ma grazie a mia madre, a Lucilla, ho potuto conoscerlo.
Harry
Potter, il bambino che è sopravvissuto.
Lui…
Un altro sorriso mi sale
dal cuore, pensando al suo viso.
Mi manca un po’. Non lo vedo da qualche
settimana e mi chiedo cosa stia facendo.
Chissà se mi pensa ogni
tanto.
Come vi ho detto, è solo grazie a Lucilla se ho potuto conoscerlo.
Lei, mia madre.
Lei che per sua stessa natura non dovrebbe provare
amore, gioia, sentimenti. Lei invece che è quanto di più splendente i maghi
abbiano mai visto. Già, mia madre ora è un demone e nonostante questo, il
suo amore e il suo affetto per me sono quanto di più appagante
conosca.
Aveva appena sedici anni quando sposò Lord Voldemort per
vendetta.
Mio padre aveva ucciso i suoi genitori, fatto a pezzi la sua
vita. E lei, sola, per combatterlo si unì a lui.
Quando io nacqui, lei
aveva diciassette anni, come me adesso che mi ancora sento tanto
bambino, e conscia della guerra che stava per essere scatenata, conscia
che Harry Potter stava per raggiungere Hogwarts, mi affidò agli unici
parenti che mi erano rimasti in vita.
I Riddle erano caduti in rovina, le
loro proprietà confiscate, seppelliti nella vergogna ma questi resistevano,
anche dopo gli assassini che avevano giustiziato i membri più giovani della
famiglia. Restavano zii e lontano cugini e fu da loro che Lucilla mi lasciò.
Restai con quella gente per quattro anni e ho pochissimi ricordi di quel
tempo. Rivedo stanze buie e grigie, visi avvizziti e inaspriti dagli orrori
portati dal Lord Oscuro. Non ero il benvenuto lì ma non ne sapevo il
motivo.
Non conoscevo sorrisi, carezze, affetto.
Quando finii in un
orfanotrofio per maghi abbandonati, quasi non mi accorsi dello stacco.
Lì
però cominciai a sentire l’odio delle gente, a vedere gli occhi di chi mi
circondava pieni di disprezzo.
Non capivo, non sapevo e stavo
male.
Gli altri bambini mi tenevano lontano, sentivo risate alle mie
spalle, occhi pieni di astio.
Furono anni bui, quasi indelebili per
me.
I maltrattamenti erano continui ma già allora scoprivo dentro di me
la magia.
Una magia che però terrorizzava gli altri.
Poi riapparve
lei.
Non sapevo chi fosse, non avevo mai ricevuto visite e non ero mai
neanche stato adottato da tutti i maghi che venivano a scegliere i loro
bambini ma in un giorno di pioggia, precisamente il giorno in cui compii sei
anni, la rividi.
Ricordo che stavo seduto su una finestra, osservando
desolato la pioggia che cadeva sui vetri della scuola…quando qualcuno
s’inginocchiò accanto a me.
Mi volsi e…la prima cosa che notai furono i
suoi occhi.
Non avevo mai visto un azzurro simile.
Tantomeno una pelle
così bianca. Aveva i capelli lunghissimi, lucidi che catturavano il sole e i
suoi raggi, pieni di boccoli. Ricordo che mi sembrò una delle bambole di
Annie, una strega che si divertiva a perseguitarmi, andandosene sempre in
giro con la sua bambola di pezza logora sotto al braccio.
Tutti mi
evitavano, i genitori non mi guardavano in faccia ma lei invece rimase a
osservarmi.
Aveva un’espressione impenetrabile e non so perché ma sentii
quasi le lacrime agli occhi.
Dopo un attimo però lei mi sorrise. E quel
sorriso non lo dimenticherò mai.
- Ciao Tom.- mi sussurrò.
La voce di
Lucilla…di rado l’ho sentita cantare ma saprebbe ipnotizzare
chiunque.
Rammento che la guardai stupito, senza capire cosa volesse da
me. Cosa trovasse in me, quando tutti mi fuggivano.
La studiai, nella mia
ingenuità di bambino, e notai il tatuaggio che portava sul petto. Un giglio
bianco.
Lo trovai magnifico. Però era rovinato. Frammentato da una strana
cicatrice a forma di saetta.
Allora non sapevo cosa significasse, né
sapevo che Lucilla aveva sposato mio padre.
- Chi sei?-
Lei sorrise.
Mi disse il suo nome e poi semplicemente le parole che cambiarono per la
seconda volta la mia vita.
Mi sussurrò di essere la moglie di mio
padre.
Allora le chiesi se era la mia mamma…ma lei scosse il capo,
dicendomi che la mia vera madre in quel momento non poteva stare con
me.
Lucilla non mi raccontò mai bugie. Sapeva che quelle spiegazioni non
mi sarebbero bastate ma mi chiese se volessi andarmene via con lei in un
posto lontano da quel luogo.
Non so cosa mi prese ma dopo un attimo di
gelo totale, di vuoto nel cuore e nella testa, le gettai le braccia al
collo.
Scoppiai a piangere.
Via. Andarmene via.
Mi sembrò un
angelo.
Solo dopo mi accorsi del suo ventre rigonfio.
Era incinta ma
non ebbi il coraggio di farle domande mentre, senza smettere mai di tenermi
per mano, parlava con la direttrice. Più la guardavo e più la
trovavo…divina, diversa dalle altre donne adulte che avevo attorno.
A
quell’epoca Lucilla aveva ventiquattro anni appena compiuti e a causa della
sua permanenza nella dimensione senza tempo in cui mio padre l’aveva
cacciata, ne dimostrava molti di meno.
Ricordo che lei parlava
sommessamente, la direttrice invece agitava le mani con aria
tesa.
Dovette essere felice di sbarazzarsi di me perché tempo un’ora ed
eravamo sotto al temporale. Ma la pioggia non mi colpiva perché Lucilla mi
proteggeva, con un semplice gesto della mano.
Non sapevo che fosse un
demone di stirpe, a dire la verità del mondo dei maghi sapevo ben
poco.
Sparimmo insieme sotto quel plumbeo cielo e quando riaprii gli
occhi ero in piedi in campo di margherite nere e blu.
Il cielo era
sereno, l’aria limpida e tiepida.
Il mio mondo si era sempre limitato
all’orfanotrofio e alle sue mura. Non ero mai stato nel mondo esterno, non
avevo mai visto niente di tutto ciò che mi apparve di fronte.
C’era un
castello lì davanti a noi. Un castello grande, imponente.
I pennacchi e i
capitelli avevano soggetti leggermente inquietanti ma io, ancora così
piccolo, non li notai.
Perché Lucilla era con me.
Le chiesi se era la
sua casa e lei scosse il capo.
S’inginocchiò al mio fianco, fra le
margherite, e continuò a stringermi le mani.
- Tom. Io devo tornare in un
posto stanotte.- mi disse – Aspetto un bambino ma nascerà fra due mesi.
Credi di poter stare senza di me per tutto questo tempo? Lo so che è molto
ma poi verrò da te. E staremo sempre insieme.-
- Da solo…in quel
castello? E tu dove vai?-
Ricordo che Lucilla divenne triste. Si passò
una mano sulla pancia, scuotendo appena il viso.
- Io devo tornare dalle
persone mi vogliono bene. Ma non potrò stare con loro. Farò nascere il mio
bambino e poi verrò qua con te.-
- I tuoi parenti non ti vogliono?-
Mi
sembrava impossibile che anche a lei fosse successo come a me. Non credevo
che qualcuno potesse non volerla vicino. Lei mi carezzò il viso ed era la
prima volta per me.
Sentii un gran caldo e un profondo slancio per
lei.
Mi aveva salvato e avrei fatto come mi chiedeva.
Avrei aspettato
e poi sarei vissuto con lei. Non m’importava altro.
Entrammo in quel
castello, Cameron Manor e…fu lì che incontrai Caesar.
Lucilla mi lasciò
in un’immensa camera, dicendo di aspettarla e di non preoccuparmi.
Nessuno mi avrebbe fatto nulla di male.
Le credetti, non so perché ma
in lei tutto m’ispirava fiducia.
Ricordo che mi misi a gironzolare.
C’erano così tanti libri e oggetti che volavano in giro…
Ero estasiato.
Tutt’oggi in una grande biblioteca magica io perdo completamente il
cervello.
Stavo ancora perso nella mia ammirazione totale in quello
sfoggio di cultura quando, facendo il giro di un divano, quasi mi spaventai.
Mi feci indietro ma ero pur sempre un bambino curioso e tornai sui miei
passi.
Mi avvicinai al soffice divano e vidi Caesar per la prima
volta.
Sembrava dormire, era sdraiato sui cuscini, i capelli
incredibilmente bianchi rovesciati sul damasco.
Al suo fianco aveva una
spada quasi più grossa di me ma furono proprio i suoi capelli ad
incuriosirmi.
Era così giovane…e io non avevo visto che persone anziane
coi capelli bianchi.
All’improvviso però lui aprì gli occhi di botto,
senza sbattere le ciglia e mi spaventai di nuovo.
Corsi vigliaccamente a
nascondermi dietro alla spalliera del divano e rimasi accucciato lì
sotto.
Sentii qualche fruscio, poi una voce altera…e regale, sopra la mia
testa.
- Tu devi essere Tom.-
Lo vidi appoggiato al bordo dello
schienale, rivolto verso di me.
La testa inclinata di lato, le braccia
sotto al mento, un anello ovale con una pietra iridescente all’indice
destro, l’espressione vagamente interessata.
E i suoi occhi…erano
totalmente bianchi!
Ammetto che ebbi paura di lui ma poi tutto cambiò.
Quella notte Lucilla ci fece fare conoscenza e nonostante avessi intuito che
quel ragazzo non era un essere umano normale, cominciai vagamente a sentirmi
a mio agio.
Lucilla se andò e i giorni passarono.
Cominciavo a
sentirmi sempre meglio, più sereno. Le visite di Lucilla, che cominciai a
chiamare mamma, erano frequenti e Caesar m’insegnò a scrivere e a leggere.
Conobbi anche Demetrius e con lui combinai le mie prime marachelle di
bambino. Insieme animavamo statue, combattevamo con le spade di legno,
facevamo sbuffare Caesar che non sopportava il chiasso in casa sua e
volavamo su statue alate per i corridoi del castello.
Quello era il mio
mondo.
Un mondo ristretto certo ma…il mio paradiso incantato, dove nulla
poteva farmi stare male.
Ben presto la mamma venne a vivere con noi. Ero
al settimo cielo ma per qualche tempo non fu in grado di alzarsi dal letto.
Volevo chiederle del suo bambino ma Demetrius mi pregò di non
farlo.
Allora capii che Lucilla non avrebbe più potuto rivederlo, il suo
bambino.
Stette chiusa in camera per circa un mese e quasi non potevo
avvicinarla. Emanava un’energia quasi intossicante e io dovetti starle
lontano…fino al giorno in cui non venne lei da me.
I suoi begli occhi
azzurri non c’erano più. Ora erano bianchi come quelli di Caesar e
Demetrius.
E lei, sebbene non sorridesse più, non era cambiata.
Tornai
a sentirmi completo e a studiare.
Adoravo divorare i libri di magia e ben
presto imparai a Smaterializzarmi sotto gli occhi stupiti dei miei tre
"genitori".
Poi, quando compii otto anni, da noi giunse il mio
sole.
Ancora oggi la chiamo così ma non potrei trovare un altro
appellativo per Hermione Granger.
Era un’amica della mamma e come capii
dopo, lei era un essere umano, proprio come me.
Da due anni stavo coi
demoni e vedendo lei, intesi subito la differenza fra le nostre
razze.
Hermione era dolce, gentile e orgogliosa come una regina. Era
intelligente, geniale lo è tuttora, sapeva moltissimi incantesimi e anche se
da principio con me era stata un po’ diffidente, quasi fredda, anche se non
ne conoscevo bene il motivo, cominciò a prendermi in simpatia.
Ben presto
imparai ad adorarla.
Mi raccontava storie e leggende, mi aiutava nei miei
esercizi e quando aveva tempo, visto che era diventata allieva di Caesar, mi
portava a giocare attorno al castello.
Fu per puro caso, in un giorno
qualunque di un mese qualunque, che io scoprii le prime briciole di pane che
mi condussero alle mie origini. Ero andato al palazzo di Demetrius, poco
lontano da Cameron Manor, e nella biblioteca del padrone di casa trovai un
libro dei più grandi maghi del nostro secolo.
Lo presi quasi per sbaglio,
raccogliendolo insieme ad altri due tomi.
Lo lessi poche settimane più
tardi. E lì trovai il mio nome e cognome.
Lì lessi di mio padre. Lì lessi
dei Mangiamorte. Lì conobbi le mie radici.
E sempre fra quelle pagine,
c’era un altro nome.
Harry Potter.
La sera stessa
chiesi a mia madre e a Hermione, anche lei citata in quelle pagine, di dirmi
la verità.
E me la spiegarono con parole che un bambino di otto anni
potesse capire.
Mi sembrava tutto così lontano. Il padre e la madre che
non avevo mai visto…
Quasi non credevo di essere il figlio di un mago
così conosciuto e malvagio.
Poi seppi la verità di Lucilla. Lei aveva
sposato mio padre per vendicarsi.
Mi risparmiarono i particolari ma
dovetti andarmene.
Passai giorni chiuso nella mia stanza, a rimuginare, a
pensare.
Cercavo di comprendere ma non ci riuscivo.
Mio padre aveva
fatto del male a tanta gente, anche a Lucilla e a Hermione…
Perché?, mi
chiesi.
Perché?
Perché mio padre aveva provocato tanto dolore?
Ora
però capivo. Ecco perché tutti mi avevano abbandonato e rifiutato.
Perché
io sono il figlio del nemico.
Poi tornai a quel libro.
Harry Potter.
Ancora quel nome.
Harry Potter aveva sconfitto mio padre. O almeno
quello che io chiamavo padre ma che da quel momento in avanti avrei solo
considerato come un nemico. Il Lord Oscuro.
Harry Potter.
Mio padre
aveva cercato di ucciderlo da bambino.
E lui, così piccolo, era
sopravvissuto.
Il giorno dopo chiesi ad Hermione di parlarmi di
lui.
Lei non tralasciò nulla.
Quando finì di narrarmi quelle storie,
ebbi la certezza che ero su quella terra per un motivo.
Vendetta.
Dovevo concedere a quel bambino la sua vendetta.
Non c’era paradiso
per me, per il figlio di un assassino.
Passò altro tempo e ben presto le
forze magiche del mondo si accorsero della mia esistenza.
Quello stesso
anno, a pochi mesi dalla rivelazione della mia nascita, fui catturato dagli
Zaratrox, i Bilancieri del bene e male. Ero un pericolo. Me lo dissero prima
di condurmi in Italia, nel loro covo…e chiudermi negli angoli reconditi
della terra.
Ricordo una scalinata che conduceva all’inferno, tante
gabbie appese al soffitto di roccia, tante sbarre, tante grotte.
Anche
oggi che sono cresciuto, la gabbia rappresenta la mia più grande
paura.
Sono stato al buio per un anno intero, rannicchiato in
quell’angolo a sentire urlare i rinnegati che si attaccavano a quelle
sbarre, consumandosi gola, mani e unghie nel tentativo d’impietosire i
nostri carcerieri.
Folli.
Tremo. Tremo al pensiero delle
sbarre.
Perché vedi la libertà ma non la puoi afferrare.
Sei
condannato a stare a un passo da ciò che desideri di più…e a morire, a pochi
centimetri da questo desiderio.
Sei condannato all’inumanità, a stare
immobile nell’ombra, a non sentire più niente.
Un anno dopo la mia
cattura, quando avevo ormai accettato di morire, il mio sole venne a
salvarmi.
Illuminò quelle celle, mi tese la mano e mi condusse
via.
Hermione era venuta a prendermi.
Era diventata una Zaratrox,
aveva prestato un falso giuramento attirandosi addosso la maledizione dei
Bilancieri e sfidando la sorte che mi vedeva come un pericolo per le forze
magiche del bene, mi ricondusse a casa.
Caesar e Lucilla erano ad
aspettarmi.
Un incubo.
Un sogno.
Tutto finì.
Tornai in paradiso
ma ormai sapevo cosa c’era là fuori, ad attendermi.
Sapevo di essere un
pericolo, sapevo di essere il figlio di un assassino. E sapevo che là fuori,
da qualche parte, colui che aveva combattuto mio padre aspettava la resa dei
conti.
- L’Orsa Maggiore si vede veramente bene da qua.- bofonchia una voce
maschile accanto a me.
- Ha parlato il genio di Astronomia. Non sai
riconoscere neanche la stella Polare.-
- Sai duchessa…ogni anno che passa
sei sempre più simpatica.-
- Ha parlato il nostro visionario di cadaveri.
Ma sta zitto Howthorne!-
- Finitela voi due sanguecaldo, o vi
mordo.-
Ridacchio leggermente e mi metto seduto.
Ah. Chi l’avrebbe mai
detto che uno come me, che dalla vita credeva di poter solo avere l’ombra in
cui nascondersi, avrebbe mai potuto ritrovarsi accanto a tre amici?
Ma
non sono gli unici.
Già. Credevo che avrei potuto vivere fino alla
mia morte con Caesar, riparato dagli occhi del mondo, invece un giorno la
guerra scoppiò di nuovo. E più cruenta di prima.
Avevo dieci anni, quasi
undici e ormai il tempo trascorso in Italia stava scemando nella mia
mente, anche se non nel mio cuore, quando un giorno, leggendo il giornale
dei maghi che era il mio unico contatto esterno, lessi dell’omicidio di una
ragazza babbana.
Non ci volle molto perché tutti capissero che i
Mangiamorte, dopo quattro anni, erano tornati.
Hermione era partita da
mesi e non sapevo dove fosse. Caesar non si era mai interessato al mondo
degli umani e non volevo risvegliare brutti ricordi in Lucilla, così
cominciai a studiare avidamente ogni articolo su cui misi le mani.
Fino a
capire l’inevitabile.
La guerra era ricominciata.
Il mio pensiero vagò
a quel bambino della leggenda.
Senza perdere tempo e disubbidendo
all’unica regola impostami dalla mamma, osservai nella coppa dell’Acqua
della Vita di Caesar, una coppa che mostra a chi è in dubbio un particolare
che può aiutare a scegliere la via, e lì vidi Vanessa e Rafeus
Lestrange.
Due fratellastri.
Già. Avevo due fratelli maggiori, da
parte di madre.
Se in un primo momento ne fui felice, quando capii le
loro intenzioni provai una rabbia sorda.
Anche loro.
Tutta la mia
famiglia era costruita sul sangue.
Anche io ero come loro?, mi chiedevo.
Avevo il loro stesso sangue.
Possibile che fossi diverso?
Volevo
esserlo però. Lo desideravo tanto.
Pur di non essere come loro, presi
l’unica decisione possibile.
- Voglio aiutare Harry.-
E’ semplicemente
questo ciò che disse alla mamma il giorno in cui le espressi il mio
desiderio di andare da lui.
Non mi chiese perché, non mi fece
domande.
Lei sapeva. Non ha mai parlato volentieri del tempo trascorso
con mio padre ma quando invece si parla di Harry…bhè, tutto cambia. In
quegli anni ero venuto anche a sapere che Lucilla aveva avuto una bella
bambina, che il suo nome era Degona e che il padre della bambina e unico
amore di mia madre si chiamava Tristan Mckay, un Auror.
Anche Harry lo
era diventato e questo forse un po’ mi faceva sperare.
A pochi giorni
dalla mia partenza mentre Caesar cercava disperatamente Hermione per tutta
la Gran Bretagna, Lucilla mi disse gli ultimi particolari sulla vita
spericolata del famoso eroe dei maghi, della vita privata di Harry, del suo
gruppo e di ciò che avrei trovato fuori dal palazzo dei Cameron.
Mi disse
che la famiglia della mia madre biologica, i Black, avrebbero cercato di
riportarmi da loro per onorare quella serpe di Bellatrix ma che, sempre in
quella famiglia, avrei avuto due zie pronte ad aiutarmi.
Mi disse anche
che avevo un cugino diverso da tutti le altre aspidi del vivaio.
Il
suo nome era Draco Lucius Malfoy.
Ed era l'ultima stella dei Black.
Rimasi allibito sentendo quel nome visto che a quanto avevo letto.
Quello era il figlio del braccio destro di mio padre.
Seppi poi che si
alleato da ragazzo con gli Auror e che ora stava con Harry Potter.
Bene.
Se non altro qualcuno aveva alzato la cresta.
Così partii. E giunsi a
Londra, Lane Street n° 4.
Fu lì che incontrai Draco la prima volta.
Si
era fatto buio, in quella bella palazzina non c’era nessuno e mi ero
addormentato sulla mia valigia ma fu proprio lui a svegliarmi. Andava di
fretta e sembrava particolarmente nervoso, tanto che (non so bene per che
motivo) cercò di mandarmi via adducendo a uno degli scherzi di Harry.
Lo
inquadrai quasi subito. Aveva la tipica aria da snob, i lineamenti belli e
fini ma anche qualcosa di vagamente altero e inquietante, in quei suoi occhi
argentei, che mettevano chiunque in posizione d’inferiorità.
Però quando
lesse la lettera che gli aveva mandato Caesar divenne talmente pallido e
cadaverico che credetti sarebbe svenuto. Nei minuti seguenti ne vidi di
tutti i colori in quella casa.
Fra Gigì e Pinky mi chiesi che razza di
altri soggetti frequentassero quel posto ma lo studio di mio cugino divenne
il mio interesse principale.
Lo ammetto, Draco ha la lingua più sferzante
di un cobra ma di certo sa anche incassare.
E bene anche.
Perché non
cercò di uccidermi, dopo che lesse di chi ero figlio.
Si limitò a
sospirare, mugugnando qualcosa sul fatto che lo "Sfregiato" ci avrebbe
uccisi tutti e due.
E poi…bhè, poi vidi Harry. Arrivò a casa, buttò il
mantello continuando a parlare a mitraglia insieme a Ron ma quando si volse
verso di me…mi ha riconosciuto subito.
Solo allora ho capito quanto
somiglio a mio padre.
I suoi occhi, la sua bocca, il colore della pelle e
il modo di aggrottare le sopracciglia.
Harry invece aveva le iridi più
verdi che avessi mai visto. Come…un bosco in primavera, come le foglie dei
fiori di campo. E poi…aveva la cicatrice a forma di fulmine, sulla
fronte.
Proprio come avevo tanto letto.
Quel nostro primo incontro non
fu…né tranquillo né dato da una certa lucidità.
Come scoprimmo quel
giorno insieme, io e lui siamo collegati dallo stesso legame magico che
univa lui e mio padre.
Lui sente la mia paura, io sento la sua
rabbia.
Ancora oggi però, quando io sono felice…forse è perché lo è anche
lui.
Passarono i giorni, i mesi…e mentre la guerra avanzava, io imparai a
conoscerlo.
A conoscere quell’eroe a cui mio padre aveva rovinato la
vita.
Sentivo la sua rabbia, il suo odio. Come avrebbe potuto provare
altro per me?
In quei giorni più che mai, capii quanto fosse necessaria
la vendetta che lo animava.
Senza quella, forse non sarebbe
sopravvissuto.
Per tanto tempo, al suo fianco, ho pensato di essere
l’ultima spiaggia per questo suo desiderio.
Sembrava quasi che io fossi
un’emanazione diretta di Dio che, portandomi da lui, gli dava il suo
consenso, il suo benestare. Io ero lì, con lui, solo per morire.
Così lui
un giorno mi avrebbe ucciso, per portare a termine la sua vendetta.
Ma
questo non è mai accaduto.
- Cos’è quella faccia scura?-
Qualcuno
mi abbraccia per il collo e un tenue profumo di fiori m’inebria.
La mia
Beatrix.
I suoi occhi gialli come ambra sono come la luna dorata di
stanotte.
È bella la mia Trix. È diventata bellissima.
La piccola
vampira che conobbi al Ministero e che si sedette per prima insieme a me,
sul treno per Hogwarts, mi abbraccia forte e mi bacia la guancia.
Ha la
pelle fredda. Si.
Beve sangue e va a caccia. È vero.
È solo mezza
umana. Anche questo è vero.
Lei è immortale.
Ma lei è lei. E non c’è
un’altra Beatrix per me.
- Attento Tom, guarda che ti morde. Fa sempre
così…prima fa le fusa e poi…-
- E già. E tu lo sai bene vero?-
Damon
sorride, scuotendo il capo mentre anche Claire mi viene vicino e mi stringe
la mano.
La mia regina mi strizza l’occhio e so che non dovrei, ma per
fortuna è notte e non mi vede arrossire.
Il mio migliore amico ride di
nuovo, infilandosi una sigaretta in bocca.
Maledetto lui.
- Sveglia
Riddle.- mi cinguetta all’orecchio, sarcastico – Guarda che ci aspetta
l’ultimo anno.-
- Come se non lo sapessi.-
- Di che parlate voi due?-
c’interrompe Trix – Sentite, io ho fame. Vado a farmi due passi.-
- Vedi
di non uccidere nessuno.-
- Tranquillo Howthorne, quest’onore sarà sempre
e solo tuo.-
Una fiammella leggera spunta dal mio dito, mentre accendo la
sigaretta a questo tizio.
Se ci penso…ah, Veggenti.
Che razza strana
la loro. Vedono e sfruttano a loro vantaggio.
O almeno così ha fatto
Damon Howthorne, sei anni fa, quando lo conobbi. Accadde al Ministero.
Lui sapeva chi ero e come mi raccontò dopo, sapeva vagamente cosa
saremmo diventati, le avventure che avremmo diviso, il nostro patto di
sangue.
Damon è…bhè, come si descrive il proprio migliore amico?
Come
si parla di un ragazzino che a undici anni ti si presenta e ben sapendo che
ero il figlio di Lord Voldemort, non fa una piega davanti al suo futuro e
decide di starti vicino?
Pazzo?
Si, forse. Anzi, molto probabilmente.
A volte penso che non abbia tutte le rotelle a posto ma Claire dice che da
uno che vede cadaveri la notte non ci si possa aspettare molto in quanto a
sanità mentale.
Io continuo a ritenere le doti di Legimors di Damon una
cosa geniale e checché ne dicano gli altri, per me è assolutamente
fantastico. Certo, forse non per lui che si sogna morti insieme alle
pecorelle però…però, si, per me lui è eccezionale!
Per Claire invece
tutt’altra cosa.
Lei e Damon sono amici fin da bambini e considera le sue
fisse oniriche come un qualcosa che compensa le sue mancanze di rettilofono.
In compenso anche da lei non è che si possa stare tanto tranquilli.
Se le
hai fatto uno sgarbo e cerchi di nasconderti è tutto inutile.
La mia cara
Sensistrega, come mi dice sempre, saprebbe ritrovarmi anche in capo al
mondo.
E questo mi conforta.
Mi stringe ancora la mano, una folata di
vento le scompiglia la criniera bionda.
A questo punto credo che almeno a
voi sia palese no?
Lo è per Trix e Damon…lei invece proprio non ci
arriva. Meno male in fondo.
Mi limito a osservarla da sei anni, in fondo
non saprei neanche come cambiare le cose.
Non so se voglio cambiarle…e
come sarebbero se cambiassero.
Rivedo ancora le facce di Harry e Draco,
ogni volta che mi pescano a guardarla come un pesce lesso.
Quei due,
visto che sono i miei padrini, dovrebbero sforzarsi di essere un po’
comprensivi con me, o sbaglio?
Che so, darmi consigli…le cose che fanno i
padrini.
Peccato che passino la giornata a maledirsi.
Da qualche tempo
però, anche per loro, è accaduto un piacevole imprevisto.
Due fiocchi
colorati.
Uno blu e uno rosa.
Lo stesso giorno, quasi la stessa
ora.
E anche io sono diventato un padrino a tutti gli effetti.
Ancora
non so però se quei due saranno in grado di combinare qualcosa di decente
visto che devono stare incollati la maggior parte della loro giornata. Mi
chiedo come sistemeranno la cosa…
Dovrei chiedere loro
notizie.
L’ultima volta che mi hanno scritto era una lettera a fuoco
incrociato fra le loro voci, con strilli di bambini in sottofondo e Hermione
che stava per estrarre la bacchetta.
Non ci ho capito molto ma almeno
stavano bene e non avevano fatto esplodere la casa.
Mi mancano.
Mi
mancano tanto, davvero.
Dal mio primo anno a Hogwarts, con tutto ciò che
è accaduto nella stanza del Velo e dello Specchio delle Brame, io vivo con
Lucilla e Tristan, a Cedar House, e con Degona che è tutti gli effetti mia
sorella.
Sono stato adottato dai Mckay visto che Lucilla è legalmente mia
madre e da quel giorno, la mia vita è tornata a scorrere su binari
tranquilli.
A scuola sono una specie di piccolo genio ma non me ne faccio
più un cruccio. Ho tanti amici che se ne infischiano abbastanza delle mie
radici, al quinto anno sono diventato prefetto, Damon è molto ricercato
perché prevede i risultati delle partite di quidditch e Claire, che è
diventata il più apprezzato allibratore della nostra torre e di tutta
Hogwarts, lo sfrutta per guadagnarci in ogni situazione.
Trix invece non
è sostanzialmente cambiata. È una delle ragazze più belle della scuola ma
non si fila nessuno di striscio che non sia io o Damon, non ha domato la sua
paura per le altezze ma in compenso ha imparato a trasformarsi in un
pipistrello a comando.
Anche gli altri non sono cambiati, sebbene siano
cresciuti.
Fabian Alderton è la nostra piaga continua, io e Sedwigh
Stanford siamo riusciti a diventare grandi amici dopo qualche scontro
teorico su questioni di sangue e fiducia in generale, viste le mie origini,
a Serpeverde sono sempre ben accetto e continuo a inciampare, ad essere
maldestro e a distruggere tutto quello su cui metto mano.
Piton che
stranamente mi ha abbastanza in simpatia ogni anno scommette con me, con
speranza mal celata, sul numero di provette e pozioni che riuscirò a
distruggere. I risultati sono stati desolanti fino ad ora, a causa della mia
sbadataggine.
Secondo Harry la mia distrazione è data dalla mia testa
sempre persa in un altro mondo.
Mi chiede spesso dove vaghi con la mia
testa da mostriciattolo…
A dire il vero non so.
Anche qui, ad
Amsterdam, penso a tutto e a niente.
Penso a quando ho conosciuto Harry,
alla promessa che mi fece sul lago sei anni fa quando mi giurò che mi
avrebbe voluto bene per sempre, anche se giorno dopo giorno mi guardo allo
specchio e vedo Lord Voldemort nei miei occhi.
Penso che sarei dovuto
morire in fasce, penso che sono il figlio di assassini e vivo con il ragazzo
a cui mio padre ha ucciso i genitori.
È impensabile. Lo so.
Ma nessuno
sa cosa c’è fra me e Harry. Nessuno sa davvero che legame
abbiamo.
Dall’esterno è immorale, incomprensibile, quasi patetico e
penoso.
Ma noi…io e lui…abbiamo un legame che niente ha ancora
piegato.
- Ragazzi se fa male! Riditemi perché mi sono fatta
convincere!- dice Claire, risvegliandomi dai miei pensieri.
La vedo
massaggiarsi la nuca e sorrido. Anche io in effetti sento un male cane
dietro alla schiena, all’altezza delle reni.
Diciamo che ho perpetrato la
tradizione di Harry, Hermione e Ron.
E ci siamo fatti tatuare tutti e
quattro, e alla grande, aggiungerei.
Qua non ci hanno chiesto i
documenti e non hanno fatto storie anche se non credo che tornato a casa i
ragazzi la prenderanno bene. Il mio poi è particolarmente grosso come
disegno…
Mah, in fondo Harry e Draco continuano con le loro follie anche
ora che hanno ventisette anni, non credo che avranno da sbraitare tanto
visto e considerato tutti i guai che hanno ora.
Bhè, in questi sei anni
sono accadute molto cose ma la maggior parte sono stati avvenimenti
felici.
Ron e Pansy hanno avuto un bambino tre anni fa che hanno chiamato
Jeremy mentre Sirius e Remus, nonostante il professor Lupin si sia sposato
con mia cugina Ninfadora, continuano a fare gli eterni ragazzini e questo
con somma gioia di Harry che proprio non riesce ancora a mandare giù la
fidanzata di Sirius, Deirdre.
Tristan e Lucilla hanno deciso di non avere
altri figli e si dedicano ai particolari poteri di Degona e tutti gli Auror
bene o male hanno messo la testa a posto. Quasi…
Diciamo che Edward
continua a navigare nelle sue scommesse e credo abbia una mezza tresca con
una ragazza babbana che non sa nulla della sua magia mentre Milo persevera
nel litigare con la sua famiglia e ha mezzo disonorato i Leoninus
rifiutandosi di sposare una tizia di un altro clan.
Quindi, come potete
vedere, sono stati anni di sostanziale pace.
Ma so che non durerà a
lungo.
La profezia che Damon ci disse nella stanza del Velo è
vicina.
E questo è il mio ultimo anno a Hogwarts. Manca davvero
poco…
La profezia.
So della prima.
Del fatto che Harry e mio padre
non possono vivere se l’altro muore ma come avete potuto notare, il bambino
sopravvissuto è passato sopra ogni veggente.
Mi chiedo se la profezia di
Damon invece sia così labile. Così valicabile.
E tremo.
Tremo perché
stavolta potrei perdere Harry sul serio.
Potrei perdere me stesso, i miei
amici.
Discorsi da Grifondoro questi, direbbe Damon.
E ha
ragione.
Io infatti sono un Grifondoro a tutti gli effetti. Il cappello
parlante, quando vado a chiacchierare con Silente verso sera, mi dice sempre
che sono stato facile da collocare. E io che credevo di essere un viscido
serpente infido.
A quanto pare sono un vero e orgoglioso grifone.
Mi
rincuora.
Ma è strano…sapere che Harry invece era destinato a
Serpeverde.
Silente mi ha detto che non sono le nostre origini e le
nostre capacità a definire chi siamo. Ma le nostre scelte.
Altri dicevano
invece che anche Harry, per dare del filo da torcere a mio padre, doveva
avere qualcosa di malvagio in sé. Io non lo so e sempre più spesso evito di
pensarci.
Ogni tanto mi è capitato di guardarlo negli occhi in questi
anni…e in quel verde io vedo solo speranza.
Però c’era un angolo buio in
lui, lo sento.
Io lì non ci posso andare. A nessuno lo permette.
Ma
siamo esseri umani. In ognuno di noi c’è bene e male, luce e ombra.
Harry
non è diverso dagli altri.
E’ umano.
Ed è il suo cuore di uomo che ha
saputo amarmi per quello che sono.
In memoria di bene e male quindi, ho
deciso di mettere insieme per sempre questa luce e quest’ombra.
Sul mio
fianco sinistro ora, dietro alla schiena, troneggiano un grifone e un
serpente, attorcigliati insieme.
E insieme almeno su di me
resteranno.
Perché divisi non possono vivere.
Proprio come Harry e
Draco.
Sorrido e mi lascio andare sdraiato all’indietro.
Damon
ridacchia e si alza invece, per andare a cercare Beatrix onde evitare che
uccida davvero qualcuno.
Rimango solo con Claire e lei resta seduta,
stringendosi le ginocchia al petto e abbracciandosi le gambe con le braccia.
Fissa le stelle, sospira.
- Che c’è? Qualcosa non va?- le chiedo.
Lei
scuote il capo, volgendosi appena sopra la spalla.
- Non mi sembra vero
che siano già passati sei anni.- mi sussurra pensosa – Sapere che ci aspetta
l’ultimo anno mi mette un po’ di nostalgia per i vecchi tempi.-
- Tipo
quando al primo anno hai fatto quella piazzata in giardino urlando a tutti
di lasciarmi in pace?- rido e lei impreca, tirandomi un pizzicotto sulla
gamba piegata verso di lei – Oppure ti manca il ballo del quarto? Quando hai
fatto ubriacare mezza torre di Grifondoro e ci hai giocato la coppa delle
case? Posso andare avanti sai? Ti manca quando ti hanno beccata negli
spogliatoi con quel fesso di Corvonero?-
- Ma che avevi contro Philip
eh?-
- Niente.- faccio, con aria da angioletto. L’avrei ucciso
quello!
- Invece di stare ad elencare i miei trascorsi vogliamo parlare
di te? Fra te e la superoca non avete mai partecipato a un ballo scolastico!
Quest’anno dovessi drogarti giuro che ti ci porto! E non voglio storie Tom!
E’ l’ultimo anno e non ti ho mai visto elegante, senza contare che non
abbiamo mai neanche ballato insieme.-
Claire a volte, così smaliziata, è
un campione d’ingenuità.
Non capisce proprio.
Forse è questa mia aria
svagata a farle pensare che non abbia istinti particolari.
Mah. In
effetti non mi è mai passato per la testa di saltarle addosso, anche se la
voglia di toccarla di recente si è fatta molto insistente.
A volte mi
capita di volerla abbracciare, così, senza pensarci.
A volte, anche
peggio, mi prende la voglia di baciarla in mezzo a tutti quando mi
sorride.
Però anche se voglio tanto, non lo farei neanche sotto
tortura.
In fondo dentro di me ho sempre pensato di dovermi tenere in un
certo modo abbastanza lontano dalla felicità.
Forse per tutto quello che
mio padre ha fatto e tornerà a fare, forse perché non credo di meritare la
felicità…per questo le sto lontano. Io sono comunque il figlio di Lord
Voldemort e lei sarebbe denigrata da tutti per questo.
Ringrazio ogni
giorno della loro amicizia, ringrazio dei sorrisi, della loro premura, delle
consolazioni, delle notti passate con Damon a fare i cretini, delle altre
passate con Trix nel buio, per insegnarle a volare, ringrazio anche delle
notti passate a guardare Claire dormire.
Ma presto tutto finirà.
Fra
un anno, ormai diciassettenne, dovrò decidere cosa fare della mia vita e io
ho già preso la mia decisione.
Mia madre tempo fa mi ha giurato di
lasciarmi decidere.
E io ho scelto.
La gente ne ha basta di
vivere nel terrore e la mia stessa esistenza è una minaccia alla vita di
tutti.
Perché io sono il simbolo vivente che mio padre, sebbene un giorno
morirà, rivivrà sempre in me.
Non c’è posto per me in questo mondo.
Lo
so e l’ho accettato.
Ora riesco a vivere abbastanza serenamente anche se
la clessidra per me ha già iniziato a sgranare la sabbia.
Manca poco. Poi
dovrò dire addio e andarmene.
Ma sono felice, nonostante tutto.
E’
triste questa gioia ma ho già avuto molto.
Dei padrini, una famiglia che
mi ha amato, degli amici.
E proprio perché li amo così tanto non voglio
che capiti loro qualcosa a causa mia.
C’è chi lotta per avermi.
Di
recente sono successi alcuni fatti strani che non sono ricollegati alla
ricerca dei Veli e a mio padre.
C’è qualcuno che vuole la mia testa,
quella di Harry e quindi anche quella di Draco su un piatto d’argento.
Ma
questo qualcuno mi vuole perché sono il figlio del Lord Oscuro.
Chiunque
sia, e so bene che i ragazzi sanno di questa presenza, non si arrenderà
senza lottare.
Qualcuno vuole la mia morte, per lo stesso motivo per cui
mio padre combatte.
Un ideale più alto, un ideale estremo.
La mia
meta, il mio unico sogno invece resta solo uno.
Proteggere
Harry.
Salvarlo.
Non so cosa accadrà, non so cosa ci aspetta
quest’anno ma so che voglio proteggere chi ha protetto me.
Damon e Trix
tornano, ci sediamo tutti insieme sul bordo del ponticello e lasciamo le
gambe penzoloni, sull’acqua.
So questa notte non tornerà.
Ho goduto di
questa vacanza come la prima e l’ultima.
Ma sono felice.
Si, me ne
andrò.
Ma sono felice comunque. Perché ho avuto quello che
volevo.
Amare ed essere riamato.
Mi sento abbracciare e resto a
guardare il cielo, stringendomi ai miei amici.
Non so cosa vuol dire la
profezia, non so cosa accadrà quando mio padre tornerà per cercarmi e non so
neanche se davvero voglio vederlo morto.
Harry mi ha sempre detto che non
è giusto e questo, nonostante tutto, mi rende triste.
Quando avevo undici
anni mi disse che lui era per me ciò che Voldemort fu per lui.
Harry ha
ucciso i miei genitori.
Dovrei odiarlo? Si dovrei.
Ma allora perché
non riesco a pensare di vederlo soffrire per colpa mia?
Perché temo che
guardandomi veda lui, Voldemort?
Perché ho così paura di farlo stare
male?
L’unica risposta è che niente è quello che sembra.
Dovremmo
odiarci, dovremmo combatterci.
Ma preferisco morire o rinchiudermi per
sempre piuttosto che arrecargli altro dolore.
Perché lui è il bambino
sopravvissuto, lui è la MIA speranza.
Perché quando lo guardo, sento di
poter sopportare ogni cosa, ogni sguardo malevolo, ogni rancore.
Se lui
mi ha trovato un posto nel suo cuore, allora nient’altro
m’importa.
Si, tornerò a casa.
Tornerò da Harry e Draco per
un’ultima volta.
Passerò quest’ultimo anno, vivrò i miei ultimi attimi di
libertà.
Li vivrò fino in fondo.
E tornerò a ringraziare, su quella
tomba dei Potter, che il destino mi abbia portato da lui.
L’assassino di
mio padre.
Perché lui mi ha amato, lui è riuscito ad accettarmi, a
trovare un posto nel suo cuore solo per
me.
Preparatevi maghi.
La leggenda presto
tornerà a farvi tremare.
E io sarò con lei.
Io, il figlio del
nemico.