Inutile
nota dell'autrice che però fa figo e professionale: Era
da un
bel po' che volevo scrivere una seconda one-shot su Neville
Longbottom e Hannah Abbott ed è piuttosto frustrante che
l'ispirazione arrivi sempre quando sono in ferie. Bel problema. O
sono in ferie io, senza computer, o è in ferie lei, con il
computer.
Il moderno complesso di Edipo, insomma.
Ho
note di una qualche utilità da dire? Non lo so, adesso ci
guardo.
Sì, le ho.
Ho
scelto per la prima volta di adottare il cognome originale di
Neville, Longbottom. Questo
perché è giusto così ed è
più figo, ma essendo io un'italiana
media con mediocri capacità anglofone tutti gli altri nomi
sono
tristemente rimasti invariati rispetto alla traduzione della Salani.
Eh, che gioia.
Ora
che ci penso, non avevo nessuna nota utile.
Chiedo
scusa per la perdita di tempo.
Altre note forse un pelo
meno inutili: Prima classificata al contest
A
voi la scelta!
indetto da ferao
e giudicato da A g
n e. ♥ Sì, stavolta ci sta un cuoricino
idiota.
*
Dedicata
a tutte le ragazze grassocce,
perché
il magro non è la parte più buona del prosciutto.
Dedicata
a chi non ha avuto la prima volta perfetta,
ma
ha imparato in fretta con tutte le altre.
Dedicata
a chi sogna di incontrare il ragazzo perfetto,
ma
che vorrà sposare quello normale.
Fili
d'erba
Era
rimasto a Hogwarts fino a tarda ora per terminare la correzione di
una ventina di temi sulla corretta concimazione del terriccio per le
Mandragole, ma la giornata era stata stancante e priva di pause e lui
si era addormentato sulla scrivania ben prima delle dieci di sera.
Incuriosita
dal suo ritardo, Hannah aveva cercato invano di chiamarlo attraverso
il camino dell'ufficio. Rassegnata, aveva infine afferrato una grossa
manciata di Polvere Volante ed era comparsa al centro della stanza,
con le mani sui fianchi rotondi e un po' di fuliggine sul naso. Stava
per domandargli per quale diavolo di motivo non avesse risposto a
nessuno dei suoi richiami, quando si era accorta che Neville si era
addormentato con la piuma ancora stretta in una mano e la faccia
sorretta dall'altro braccio.
Aveva
trattenuto a stento una risata divertita ed era rimasta a guardarlo
così per qualche istante. Un ciuffo di capelli chiari gli
era sceso
davanti agli occhi chiusi e ad ogni suo respiro si sollevava un poco.
Augusta aveva ragione: erano davvero troppo lunghi, ma Hannah sapeva
perfettamente per quale motivo il marito si ostinasse a sfoggiare
quella chioma disordinata attorno alla faccia. Se lei gli avesse
proposto di tagliarsi i capelli, Neville lo avrebbe fatto. Era
proprio questo che le impediva di chiederglielo.
Si
avvicinò alla sua scrivania, tentando di fare meno rumore
possibile,
si chinò appena su di lui e gli spostò il ciuffo
dal viso. Neville
storse il naso nel sonno e Hannah sorrise di nuovo.
«Neville...»
gli sussurrò delicata all'orecchio. «Neville,
svegliati...».
Lui
brontolò qualche incomprensibile parola, lasciò
cadere la piuma e
si appoggiò alla scrivania. Dormiva molto più
profondamente di
quanto Hannah non avesse pensato.
«Neville?»
chiese lei con impeto, scuotendogli le spalle. «Santa pace,
Neville,
sono le dieci passate...».
*
«Hannah,
sono le dieci passate. Che ci
fai sveglia? È tardissimo».
Hannah
sobbalzò e si voltò di scatto, allarmata. La luce
della propria
bacchetta illuminò il ragazzo accanto a lei. Neville era
seduto su
un pouf, con i capelli chiari scompigliati attorno alla fronte e una
vecchia T-shirt sformata. Aveva l'aria di essersi appena svegliato,
ma Hannah sapeva che anche lui non dormiva molto in quei tempi.
«Susan
parla nel sonno. Tu?».
Neville
la scrutò intensamente e lei ebbe la sgradevole impressione
che
sapesse perfettamente che stava mentendo.
«Seamus
russa quanto un Troll» sospirò infine,
massaggiandosi debolmente le
palpebre.
La
sua voce era così sconsolata e deprimente che Hannah rimase
immobile
qualche istante, incerta sul da farsi, prima di avvicinarsi a lui e
sedersi al suo fianco. Lui sollevò il capo e la
fissò attraverso le
mani, tentando con tutte le forze di sorriderle.
Solo
quando gli fu accanto, Hannah riuscì a scorgere la malconcia
fasciatura che si allargava lungo la sua mandibola sinistra. Un
improvvisa sensazione di vergogna la fece avvampare. Allungò
le dita
come per sfiorargli il viso, ma le ritrasse velocemente e
chinò
imbarazzata lo sguardo.
«Mi
dispiace...» mormorò.
«Non
è colpa tua».
«Sì,
lo è» ribatté con veemenza lei,
mordendosi le labbra. «Se io
fossi stata più forte, tu non saresti stato costretto a
prendere il
mio posto».
«Meglio
così» la interruppe brutalmente lui, afferrandole
con decisione un
polso. «Hannah, ti prego. Preferisco essere colpito da Tiger
e Goyle
cento volte, piuttosto che vedere te colpire
qualcuno una
volta soltanto».
Hannah
guardò le sue mani rovinate e scosse la testa.
«Quella
ferita è vecchia di settimane, ormai, e non accenna a voler
guarire».
«È
Magia Oscura. Non guarirà».
«Santa
pace! No di certo, se non te la lasci medicare»
ribatté lei con
piglio improvvisamente autorevole.
Neville
rimase a fissarla mentre s'affrettava ad attraversare la Stanza delle
Necessità e ritornava con una scatola da scarpe e un piccolo
lume
ben teso davanti a sé. Appoggiò entrambi ai piedi
del pouf, aprì
la scatola e iniziò ad estrarne bende di garza pulite e un
paio di
piccole ampolle piene di un liquido marroncino. Poi si mise sulle
ginocchia e gli fece cenno di abbassarsi. Neville sedette a gambe
incrociate sul pavimento davanti a lei.
«Hannah,
è inutile. Ci ho già provato».
«Hai
provato con il Dittamo?» domandò professionalmente
lei, mentre si
avvicinava al suo viso e iniziava lentamente a staccare la garza.
«Sì».
La
tenacia di Hannah parve vacillare e per qualche secondo rimase a
fissarlo con sguardo triste e colpevole. Poi gli rivolse un mezzo
sorriso e scosse la testa.
«Allora
ci riproviamo».
Neville
non ebbe il cuore di contraddirla e le permise di tentare invano di
medicare quella grossa ferita. Non si sarebbe rimarginata prima di
parecchi anni.
*
«Neville,
svegliati».
L'uomo
emise un grugnito di disappunto e alzò appena il capo dalle
braccia.
Dischiuse una palpebra e fissò l'ombra della moglie con
sguardo
addormentato. Tolse gli occhiali, si stropicciò la faccia
come un
ragazzino e si lasciò scivolare contro la poltrona.
«Hannah...
devo essermi addormentato».
«Ma
non mi dire!» ridacchiò lei bonariamente,
scompigliandogli i
capelli. «Sono quasi le dieci e mezza».
«Le
dieci e...? Oh, Godric, scusami».
Nonostante
avesse arrotolato le maniche della camicia fino ai gomiti, Hannah
aveva già contato almeno una mezza dozzina di nuove macchie
di
terriccio. Represse uno sbuffo rassegnato e iniziò a
massaggiare con
un gesto automatico le spalle del marito.
«Hai
i nervi tesi, Neville» commentò d'un tratto.
«Che ti è
successo?».
Neville
fece un respiro profondo, chiuse gli occhi e fece un sorriso
distante.
«Oliver
ha di nuovo cercato di insegnarmi a volare» spiegò
tetro, alzando
un palmo per mostrarle un paio di graffi recenti. «Non
sarò mai
pronto per la prossima Coppa del Mondo di Quidditch».
Hannah
rise di cuore e si chinò per lasciargli un bacio affettuoso
sulla
guancia. La sua leggera barbetta incolta gli solleticava la pelle.
«Ti
sei fatto male?».
«Solo
all'onore, tesoro».
Lei
scoppiò a ridere con fragore, si sporse verso di lui e lo
strinse
fra le braccia. L'odore leggero del suo profumo gli fece desiderare
di poter restare attaccata a lui per sempre.
Non
era raro che passeggiando per Diagon Alley Neville venisse
accerchiato da qualche strega. La fama del ragazzo che aveva estratto
dal Cappello Parlante la spada di Grifondoro e aveva ucciso il
terrificante serpente di Lord Voldemort lo precedeva ben più
rapidamente di quanto lui non potesse raggiungerla. Neville
sottolineava spesso il fatto che se non avesse fatto ciò che
aveva
fatto, nessuna di quelle donne avrebbe mai nutrito alcun desiderio di
fermarlo per la strada. Hannah dubitava di ogni sua singola parola e
continuava a pensare che il marito continuasse largamente a
sottovalutarsi. Non negava di essere di parte, ma il ragazzino
grassottello e imbranato che Neville era stato era piuttosto lontano
nel tempo... ora era il professore di Erbologia di Hogwarts, uno
degli esperti del settore più acclamati degli ultimi anni e
avrebbe
giurato che da quanto si era lasciato crescere i capelli e aveva
smetto di radersi quotidianamente molte più streghe si
voltassero a
guardarlo. Aveva il fascino del mago trasandato e perso nella propria
passione, la gentilezza naturale di un fanciullo unita alla fierezza
con la quale rappresentava la casa di Grifondoro.
«Hannah?
A che stai pensando?».
«Pensavo
che sei bello».
Lui
aggrottò un sopracciglio, confuso ma divertito.
«Come?».
Hannah
gli spostò i capelli indietro. I profondi segni impressi dal
fuoco
che era divampato dal Cappello Parlante si allungavano in grottesche
linee rosse dalla tempia fino allo zigomo. I Guaritori avevano
tentato ogni cosa fosse in loro conoscenza per guarire l'ustione
provocata da Lord Voldemort, ma si erano purtroppo ritrovati davanti
ad una magia troppo potente ed oscura. Così come i segni
della
vecchia cicatrice inflittagli al settimo anno dalle maledizioni di
Tiger e Goyle, nemmeno quella era mai stata del tutto cancellata. La
vista nell'occhio sinistro non era più stata la stessa e in
molti al
San Mungo lo avevano già avvertito circa la
possibilità di perdere
del tutto la capacità di usarlo. A Neville sembrava
importare quel
tanto che bastava per ripulirsi di tanto in tento la lente del
monocolo che era costretto ad utilizzare.
«Sei
bello».
«Io?»
esclamò lui con un sorriso, alzandosi in piedi e voltandosi
verso di
lei. Le passò una mano attorno alla vita e la
attirò a sé. Poi
ridacchiò e le passò l'indice sulla punta del
naso, cercando di
toglierle la fuliggine di dosso.
Hannah
si appoggiò con le mani al suo petto e iniziò a
sistemargli il
colletto della camicia.
«Già.
Sono stata molto fortunata».
*
«Sei
stata molto fortunata».
La
voce di Neville risuonò ovattata come se le stesse parlando
da
decine di metri di distanza. Hannah si portò una mano alla
tempia,
incapace di capire a cosa fosse dovuta la strana sensazione di caldo
che gli stava scivolando fra le dita. Cercò di riorganizzare
i
propri pensieri, ma continuava a provare un forte senso di nausea.
Voleva vomitare, desiderava ardentemente vomitare...
«Hannah,
mi senti?».
Fu
troppo. Si gettò a lato e diede di stomaco. Neville fu lesto
a
sorreggerla e a scostargli i capelli dal viso, ma lei era troppo
impegnata a tossire e sputare quello sgradevole sapore amaro dalla
bocca per accorgersene. Lo sentì parlare di nuovo, ma
continuava a
non capire da dove la sua voce stesse provenendo.
«Bevi
un po' d'acqua».
Si
ritrovò con una coppa fredda fra le mani e se la
avvicinò tremante
al viso. Prese una prima lunga sorsata e dovette soffocare l'impulso
a vomitare di nuovo. Poco a poco la discesa dell'acqua fresca lungo
il suo esofago si fece più sopportabile e le pulsazioni che
stavano
torturando la sua testa parvero diminuire. Si sentì cacciare
un
fazzoletto fra le dita e si ripulì lentamente il viso.
«N-N-Neville...?».
«Sono
qui. Madama Chips e tutti i Guaritori sono troppo indaffarati con i
feriti più gravi per darti un'occhiata. Beh, immagino sia
un'ottima
cosa... cioè, non il fatto che tu abbia bisogno di
un'occhiata,
naturalmente... e neanche per il fatto che ci siano feriti
più gravi
di te... oh, certo, non che io pensi che non stai male anche tu,
cioè, ecco, quello che volevo dire è
che...».
«Vuoi
dire che sto bene» borbottò Hannah, cercando di
alzarsi in
posizione eretta. In una differente occasione avrebbe perfino riso.
«Grazie. Cos'è successo?».
«A
occhio e croce, abbiamo vinto la guerra».
Lei
scosse appena la testa riccioluta.
«No...
volevo sapere cos'è successo alla
tua faccia».
«Oh,
questo... niente di grave. Madama Chips non mi sta inseguendo con un
letto d'ospedale appresso, quindi direi che non sto per
morire». La
guardò passarsi le mani sul volto, distrutta, e aggiunse in
fretta:
«Aspetta, appoggia questo sulla testa. Fermerà il
sangue».
Gli
permise di voltargli la testa e premergli uno straccio umido sopra
l'orecchio sinistro.
«Sono...
sono svenuta?».
«Credo
di sì... non so, ti ho trovato sulla riva del Lago
e...» si bloccò
improvvisamente e Hannah vide un lampo confuso attraversargli gli
occhi. «Ecco, credevo... ma grazie al cielo eri solo
svenuta».
«Ero
con Susan» ricordò d'un tratto. Neville continuava
a tamponarle la
ferita. «Scappavamo da Dolohov. Lui... era troppo forte per
entrambe
e... il professor Lupin!» esclamò, voltandosi
verso di lui e
stringendogli un polso. «È arrivato il professor
Lupin! Ci ha
aiutate a scappare! Ci ha salvate!».
Un'ombra
scura attraversò il viso di Neville. Per un attimo infinito,
Hannah
ebbe la sensazione di parlare con un vecchio spettro. Pochi istanti
dopo, stava già trattenendo il fiato e sebbene non avesse
ancora
intuito completamente cosa significasse il silenzio del ragazzo,
qualcosa in lei aveva già capito ben più di
quanto non credeva di
sopportare.
«No...»
sussurrò debolmente. «No, non può
essere, lui era in gamba,
non--».
«Sì,
era in gamba» tagliò corto Neville, annuendo
brevemente. «Dovresti
riposare, Hannah. Sei molto stanca».
«Quanti
altri, Neville?».
«Hannah...».
«Quanti?».
«Una
cinquantina».
Vide
le lacrime riempire i suoi occhi chiari e intrappolarsi fra le
ciglia. La vide chinare la testa e appoggiarla al suo petto, le sue
dita si strinsero attorno alla stoffa sporca e logora della sua
camicia, e per quanto le costole gli facessero un male cane, Neville
non la fermò. Le passò le braccia attorno alle
spalle e la strinse
timidamente, mentre i suoi corti riccioli biondi gli solleticavano
appena la zona sotto il naso. Non si accorse nemmeno di aver iniziato
a sua volta a piangere.
*
L'appartamento
sopra il Paiolo Magico era molto più grande e confortevole
di quanto
la maggior parte della comunità magica pensasse. Occupava
l'intero
piano superiore dell'edificio e l'unica sua grande scomodità
era il
grosso trave di legno che la attraversava per l'intera lunghezza
contro il quale Neville sbatteva sovente la fronte. Si sarebbero
potuti aggiungere un altro paio di sgradevoli disturbi notturni da
parte degli ospiti del Paiolo Magico che avevano le camere al piano
di sotto, se solo Hannah non fosse stata tanto abile a far rispettare
la propria autorità.
Neville
si scrollò un po' di fuliggine dalle spalle e
lanciò il mantello su
una sedia con un grande sbadiglio. Poi si diresse verso il bagno,
iniziando a slacciarsi distrattamente i bottoni della camicia.
Hannah
si avvicinò al piccola cucina di legno con l'intenzione di
bere un
bicchiere d'acqua fresca, quando la sua attenzione venne risvegliata
dal numero del Settimanale delle Streghe
abbandonato sul
tavolo del salotto. Il gufo lo aveva consegnato già da due
giorni,
ma era stata troppo impegnata al Paiolo per ricordarsene. Era
un'abbonata, ma non particolarmente fanatica di pettegolezzi:
ciò
che le interessano davvero di quel periodico erano le ricette
culinarie.
Si
appoggiò al tavolo e iniziò distrattamente a
sfogliare la rivista.
Si ritrovò improvvisamente davanti agli occhi la faccia
intimorita
di Harry Potter, 24 anni, Auror e marito
modello e fece
una smorfia divertita. Harry detestava comparire sui giornali e
l'espressione con la quale veniva immortalato sembrava sempre quella
di un ragazzino di undici anni messo in punizione. Talvolta cercava
di immaginare cosa potessero pensare tutti coloro che non avevano
avuto la fortuna di conoscerlo. Cosa avrebbero pensato della faccia
pulita e timida con cui si mostrava alla stampa? Si era ritrovata a
riderne a crepapelle con Ginny innumerevoli volte.
«Voi-Sapete-Chi
deve essere stato davvero un incapace per essersi fatto mettere i
piedi in testa da uno con questa faccia!» aveva esclamato
Ginny
qualche tempo prima, riferendosi ad una foto particolarmente tremenda
di Harry.
«Tu
dici? Pensa che questa mattina Neville si è quasi reciso la
gola
mentre si faceva la barba» aveva aggiunto con le lacrime agli
occhi
Hannah, sporgendosi dall'altra parte del bancone del Paiolo.
«Santa
pace, il ragazzo che ha ammazzo il gigantesco serpente di Tu-Sai-Chi
con una spada non riesce a radersi
senza rischiare di
dissanguarsi sul pavimento del bagno!».
Era
divertente minimizzare l'eroismo dei rispettivi mariti. Ed entrambe
sapevano che non c'era né malizia né cattiveria
nelle loro battute;
c'era solo la consapevolezza di contare molto più di tutta
quelle
gente che li applaudiva e stringeva loro la mano con aria invasata.
C'era la meravigliosa certezza di essere di più,
di
conoscerli di più. Hannah non si era mai
innamorata della
versione che i giornali avevano dipinto di Neville: il ragazzo che
aveva estratto la spada di Grifondoro, l'indomabile leader
dell'Esercito di Silente, il temerario discendente di una delle
più
eroiche famiglie Purosangue... quel mago non esisteva. Lei aveva
sposato Neville, non Sir Lancillotto Longbottom.
Una
grossa scritta dorata troneggiava sopra la fotografia di Harry: I
dieci mariti perfetti del nuovo Millennio.
Rise
di gusto nel trovare Arthur Weasley al decimo posto. E Kingsley
Shackebolt all'ottavo, il radiocronista di Radio Strega Network e un
paio di altri maghi famosi che Hannah conosceva solo per sentito
dire... Ron Weasley era al quarto posto e al pensiero delle obiezioni
che avrebbe sicuramente avanzato Hermione scoppiò in una
seconda
calda risata. Neville era al secondo posto, subito dopo il Ragazzo
Che È Sopravvissuto.
Neville
Longbottom, 24
anni,
recitava l'articolo, è stato
più volte additato come uno
dei più emergenti maghi del nuovo secolo. È
diventato famoso per
aver estratto la rarissima spada di Godric Grifondoro dal Cappello
Parlante durante la temibile Battaglia di Hogwarts (e ricordiamo,
cari lettori, che solo un vero
Grifondoro avrebbe potuto farlo, quindi davvero tanto
di cappello a questo straordinario eroe!).
Figlio di due
fra i più famosi Auror del loro tempo, Neville è
sempre stato un
esempio di virtuosismo e coraggio. Di lui hanno parlato molte ragazze
con i quali ha frequentato Hogwarts, prima di prenderne le redini
come unico, grande capo dell'Esercito di Silente. Orla Quirke,
ex-studentessa di Corvonero di due anni più giovane del
nostro
ambito partito, ha ammesso che già da adolescente Neville
riscuoteva
parecchio successo fra i gentili cuori delle streghette di Hogwarts.
Gli
occhi di Hannah rischiarono di scapparle dalle orbite. Nella sua
mente si affacciò l'immagine di un bambinetto grassoccio e
imbranato
che faceva esplodere calderoni, cadeva dalle scope e finiva sempre
per subire qualche imbarazzante scherzo da parte degli altri
compagni. Quando si trovava davanti a una ragazza, Neville balbettava
a tal punto che diventava quasi difficile capire cosa stesse dicendo.
Si
era appena coperta la bocca con la mano per soffocare un'altra risata
quando udì un fragoroso scoppio provenire dal bagno. Si
voltò
allarmata e si avvicinò di corsa alla porta chiusa.
«Santa
pace! Neville!?».
Riconobbe
lo scroscio dell'acqua, ma le parve troppo forte. Avvertì
un'improvvisa ondata di freddo ai piedi e abbassò lo
sguardo. Dalla
fessura fra il pavimento e la porta si stava allargando una grossa
pozza cristallina. Poi Neville uscì trafelato dal bagno e se
la
richiuse alle spalle. Indossava solo le mutande e la camicia del
pigiama era abbottonata solo a metà e gli scivolava sulle
spalle,
lasciando scoperto il petto e la pancia. Era fradicio e sembrava
vagamente spaventato.
«Neville!»
esclamò Hannah. «Che diavolo--?».
«Il
rubinetto ha cercato di mangiarmi» spiegò
rapidamente Neville,
fissandola con l'espressione intimorita di un bambino beccato con le
mani sporche di marmellata. «Ho cercato di fermarlo, ma
quello ha
davvero cercato di mangiarmi. Non credo di poter
affrontare
una creatura tanto famelica...».
Hannah
lo fissò in religioso silenzio per qualche secondo, poi
iniziò a
ridere. Rise fino alle lacrime, e si ritrovò quasi piegata
in due
sul pavimento bagnato, con le braccia strette al ventre e del tutto
incapace di fermare quel degenerante scoppio di ilarità.
«Hannah,
il nostro bagno sta cercando di affogarci» le
ripeté Neville con
veemenza. «Non c'è niente da ridere».
«Oh,
santa pace...» soffiò lei, asciugandosi una
lacrima e rialzandosi.
Estrasse la bacchetta da una tasca del vestito e gli fece cenno di
lasciarla entrare.
Lui
si spostò lentamente e le rivolse un'occhiata preoccupata.
«Stai
attenta».
Hannah
iniziò a ridere ancora una volta.
«Per
tutte le raganelle di Tosca Tassorosso! Come possono non averti messo
al primo posto?».
«Al
primo posto di cosa?».
L'unica
risposta che ottenne fu un lesto occhiolino della moglie, prima che
questa si infilasse nel bagno con la bacchetta sguainata. Neville la
sentì fare una discreta imitazione di una voce virile e
baritonale:
«In
guardia, fellone di un rubinetto! Come osi spaventare il mio marito
ingiustamente da secondo posto?».
«Va
bene, Hannah, non ti chiederò se ti senti bene...»
la informò lui
con tono allarmato.
*
«Non
ti chiederò se ti senti bene».
Hannah
trasalì. Credeva che a quell'ora tarda non avrebbe avuto
alcuna
possibilità di incontrare qualcuno in giro per i corridoi di
Hogwarts. Aveva anche creduto di aver scelto il posto adatto,
perché
il corridoio che conduceva alle serre era sempre piuttosto illuminato
e di norma i Prefetti che facevano la ronda pensavano che nessun
studente intenzionato a combinare qualche pasticcio potesse passare
di lì. Si era sbagliata. Neville Longbottom era di fronte a
lei e
teneva la testa bassa. Sarebbe comunque stato impossibile per lui
celare il rossore sulle guance rotonde.
Lei
chinò a sua volta il viso e si asciugò in fretta
le lacrime con la
manica della divisa. Venne assalita dal desiderio di gridargli di
sparire, di andarsene da un'altra parte, di cercarsi un altro
corridoio solitario in cui soffocare i suoi problemi, perché
i suoi
erano problemi grossi, dannatamente grossi, e non aveva bisogno che
la gente continuasse a fingere di capirla.
«Cosa
fai fuori dal tuo dormitorio?» chiese invece, tradendo una
punta di
insofferenza nella voce.
Lui
se ne accorse e si grattò la nuca, evidentemente a disagio.
«E-ecco...
io... ho perso il mio rospo. T-tutto qui».
«Qui
non l'ho visto».
«Già.
Beh... buona notte».
«Sì,
'notte».
Si
avviò di qualche passo lungo il corridoio e Hannah
iniziò a
scacciarsi via dal petto il fastidio che l'intromissione di Neville
le aveva recato, quando lui si fermò di colpo e si
voltò per
fissarla. Nei suoi occhi c'era di nuovo quella luce seria e profonda
e la timidezza che lo aveva colto pochi secondi prima sembrò
abbandonarlo per qualche istante.
«La
gente non sa cosa dirti perché non sa cosa vuol
dire».
Hannah
alzò di colpo la testa e aggrottò le
sopracciglia.
«Come?».
Lui
sembrò sforzarsi di trovare le parole. Quando
parlò, la sua voce
risuonò titubante. Non timida, solo titubante, e nonostante
tutto
Hannah si domandò di cosa avesse timore.
«So
cosa vuol dire non avere i genitori» sputò con un
sorriso mesto e
un gesto rassegnato delle mani. «Loro... loro erano Auror.
Erano in
gamba. Mia nonna dice che lo erano».
Parlava
come se nella sua gola fosse incastrato un grosso groppo. Hannah non
avrebbe saputo spiegare cosa la stessa spingendo a indicargli
l'angolo nel quale si era accucciata. Non era ciò che aveva
detto,
né il fatto che l'avesse detto... era nella sua voce. C'era
qualcosa
nelle sua voce che la sua testa voleva continuare a sentire. Solo
anni dopo si era resa conto che l'unica cosa di cui aveva bisogno in
quei giorni era l'unica cosa che Neville poteva offrirle:
comprensione.
Lui
accolse il suo semplice invito e le si sedette accanto nella luce
traballante delle torce. Incrociò le dita fra loro e rimase
a
guardare un punto indistinto nel muro davanti a loro.
«Cosa
volevi dire? Prima, intendo. Quando hai detto quella frase sulla
gente» parlò infine Hannah.
Neville
le rivolse un sorriso triste.
«Non
devi prendertela con nessuno di loro. Loro non... non possono dirti
nulla di quello che avresti bisogno di sentirti dire».
«E
di che cos'è che ho bisogno?».
«Non
ne ho idea» rispose con incredibile franchezza Neville.
«È per
questo che nessuno può dirti niente».
Hannah
soppesò vagamente le sue parole.
«Come
sono morti i tuoi genitori?».
«Morti?
Oh, no, non sono morti...» le disse con voce tetra.
«Sono rinchiusi
al San Mungo da... sempre».
«Ma
sono vivi».
«Loro
non sanno chi sono. Non mi riconoscono».
Lei
aprì appena le labbra e cercò di immaginarsi cosa
potesse
significare vivere con due genitori insani di mente e incapaci di
riconoscere il proprio figlio. Fece riaffiorare il ricordo di sua
madre dalla propria memoria – non che fosse difficile
– e quello
ben più annebbiato del padre e tentò di figurarsi
sola in una
stanza bianca del San Mungo, davanti a due persone stese su un letto
che avrebbero dovuto essere i suoi genitori, suo padre e suo
madre. Cercò di immaginare cosa potesse aver
provato Neville, ma
non aveva la più pallida idea di non potersi avvicinare
nemmeno
lontanamente alla realtà.
«Con
chi hai vissuto?».
«Con
mia nonna» esalò lui con rassegnazione.
«È una donna in gamba,
ma... non è facile».
«Vivere
con lei?».
Lui
scosse la testa.
«Vivere
con lo spettro di ciò che è stato mio padre.
Sentirsi ripetere in
continuazione quale grande mago è stato o quali epiche
imprese ha
compiuto... era un gran mago, mio padre. Anche mia madre lo era.
Erano in gamba. Lo sono sempre stati tutti, nella mia
famiglia...».
Hannah
si chiese come potesse trovare tanto semplice parlare con un ragazzo
di cui conosceva solo il nome quando non era stata in grado di
parlare con i suoi compagni di casa. Aveva evitato Susan
dacché era
tornata a Hogwarts, aveva a malapena risposto alle sue lettere... ed
ora era lì, seduta in un angolo di un corridoio in compagnia
di uno
sconosciuto a cui stava lentamente aprendo il cuore. Che malocchio
era mai quello?
«Mio
padre è morto quando ero molto piccola. Era uno
Spezzaincantesimi...
era il mio eroe» si lasciò andare ad un sorriso
nostalgico. «Mi
portava sempre un sacco di regali dai posti in cui era stato. Isola
di Pasqua, Norvegia, Indonesia... viaggiava molto e spesso stava
lontano da casa per molto tempo, ma ogni volta tornava con qualcosa
per me e mia madre e mi raccontava un sacco di storie incredibili sui
posti che aveva visto».
«Com'è
morto?».
«Vaiolo
di drago» commentò schietta Hannah, fissandolo le
palme delle mani.
«Un pessimo nemico per qualcuno che viaggia così
tanto. E ora...
ora mia madre... mia madre...».
Le
lacrime le offuscarono la vista e il pianto iniziò a
risalirle
inesorabilmente la gola. Le labbra le tremavano per il feroce
tentativo di stroncare sul nascere quei rinnovati singhiozzi, ma la
disperazione e il soffocamento furono presto più forti di
lei. Gettò
il volto fra le mani e riprese a piangere con forza.
Il
braccio di Neville esitò solo qualche secondo prima di
passarle
attorno alle spalle. Lei si strinse le gambe al petto e l'orlo della
gonna le scese fino a scoprire il bordo bianco delle mutandine.
Neville non aveva mai visto biancheria intima femminile, ma era
così
impegnato ad asciugarle le lacrime che non se ne accorse nemmeno.
*
Quando
Hannah entrò in camera da letto era trascorsa già
un'oretta
abbondante e Neville si era già addormentato. Suppose che
avesse
cercato di aspettarla sveglio, perché la luce era accesa e
un grosso
tomo di Tilden Toots sulle piante primitive giaceva aperto sul suo
petto. Hannah sfilò lo scialle dalle spalle, lo
ripiegò con cura e
si coricò al suo fianco. Lo sentì mormorare nel
sonno.
«Mmh...
bagno?».
«Era
solo un tubo un po' birichino» gli disse lei, voltandosi su
un
fianco e allungando un dito per accarezzargli il profilo del suo
viso. «Non ti darà più
fastidio».
«Hannah
Longbottom, sei la donna più coraggiosa che abbia mai
incontrato»
scherzò, aprendo gli occhi e ruotando la testa sul cuscino.
«E
probabilmente pure la più bella».
Lei
arricciò le labbra come una ragazzina e si
avvicinò a lui.
«Scommetto
che lo dici a tutte le ragazze che incontri».
«Solo
a quelle che si rivelano più brave di me con l'impianto
idraulico».
Hannah
ridacchiò e appoggiò la testa nell'incavo della
sua spalla. La mano
che non era ripiegata sotto la pancia iniziò a scivolare
distrattamente sul suo petto, graffiandolo ogni tanto con le unghie
corte e giocherellando con la stoffa azzurra del pigiama.
«Sai,
Neville, stavo pensando a quello di cui abbiamo parlato l'altra
sera...».
Lui
parve confuso.
«Di
Ginny e della gravidanza e di quanto deve essere faticoso e folle
crescere dei ragazzini che ti scappano ogni secondo e fanno magie
fuori controllo...» lo aiutò lei.
«Oh»
si limitò a dire lui.
«Beh...
ecco, magari... non è così tanto folle.
No?».
Gli
occhi di Neville si spalancarono dal terrore. Scattò a
sedere come
una molla e guardò la moglie come se si fosse appena
trasformata in
un mostro con tre teste.
«Sei
incinta?».
«No!»
esclamò lei, sferrandogli un leggero pugno sulla coscia.
«Santa
pace, torna qui giù. Stavo solo pensando che--».
«Sì,
credo di aver capito a cosa stavi pensando...»
pigolò lui. «Credevo
avessimo deciso che nessuno dei due è pronto per avere dei
bambini.
Voglio dire... hai visto Ginny recentemente? È impazzita.
Fra non
molto ci ritroveremo Harry davanti alla porta del Paiolo con una
valigia in mano».
«Neville!».
«Dico
sul serio. Fare i genitori è una cosa seria.
Bisogna sapere
molte cose per fare i genitori. Bisogna sapere come scaldare il
latte, quali calzoncini è meglio comprare in vista
dell'inverno,
come stringere un pannolino... o qual è l'età
più adatta per
avvertirlo sui pericoli dell'alcol introdotto di nascosto a Hogwarts,
e pure perché non è una buona idea stringere
amicizie con degli
irlandesi dinamitardi... e per quale motivo deve restare lontano
dalle ragazze almeno fino ai diciassette anni... trentacinque,
se è una ragazza lei stessa... e... beh, ecco...».
Le
labbra di Hannah si aprirono in un sorriso estremamente divertito. I
suoi occhi si strinsero guardini mentre ascoltava quel fiume di
parole.
«Tu
hai paura» commentò infine. «Non sono
nemmeno incinta e tu hai già
paura».
Neville
sospirò rassegnato.
«Gran
bel direttore della casa di Grifondoro, vero?».
«Vero.
Prega Tosca Tassorosso affinché la nostra progenie assomigli
a me»
lo schernì lei con un sopracciglio inarcato. Si
alzò un po' per
riuscire a guardarlo negli occhi e appoggiò il mento alla
mano
destra.
«Lo
spero. Sei così bella, Hannah».
*
«Sei
così... bella».
Hannah
cacciò un acuto grido di sorpresa e si voltò di
scatto. La
scatolina piena di spilli appoggiata sul tavolino accanto alla
specchiera si rovesciò sul pavimento. Neville ne
osservò il
contenuto rotolare verso i suoi piedi e una vampata di calore gli
colorì le guance. Si passò una mano fra i capelli
con fare
imbarazzato.
Era
un gesto che Hannah gli vedeva fare in continuazione. Era come se lo
aiutasse a ritrovare la calma e il coraggio. Si era chiesta spesso se
Neville fosse consapevole di quanto ogni volta mettesse in mostra la
cicatrice che cercava di celare con i capelli. Si era più
volte
ripetuta che probabilmente non ne aveva né la minima idea
né la
minima intenzione.
«Mi
hai quasi fatto venire un infarto» lo ammonì con
un sorriso fugace,
mentre si affrettava a cercare il proprio soprabito fra le pile di
abiti da sposa con cui Madama McClan e Augusta Longbottom avevano
stipato il camerino di prova. «Come hai fatto a
entrare?».
«Mia
nonna era distratta nella contemplazione di un'orribile borsetta di
piume di struzzo».
«Ti
ucciderà non appena metterai il naso fuori di qui, lo
sai?».
«Per
te sono disposto a correre il rischio di essere spedito a letto senza
cena» dichiarò con tono baldanzoso. Le
strappò una risatina
leggera. «Chi ti ha convinto a infilarti...?».
«...in
questo vestito?».
«Stavo
per dire in quella bomboniera, ma se davvero sei convinta che sia un
vestito, non oserò aggiungere altro».
Hannah
si bloccò improvvisamente, portò entrambe le mani
ai fianchi e lo
guardò con aria drammaticamente minacciosa. Neville la vide
mordicchiarsi le labbra prima di scoppiare a ridere senza alcun
freno. Lui iniziò a ridere con lei, incapace di credere che
si fosse
lasciata convincere da quella pazza di sua nonna.
«Questo
non è il mio vestito» gli
disse prima di svanire ancora in
una nuvole di pizzi candidi. «Non può essere il
mio vestito. Non
posso sposarmi con questa cosa addosso».
«Perché?
L'avvoltoio di mia nonna sarebbe un accessorio delizioso».
Neville
cercò di farsi strada fra gli scatolini e gli abiti da sposa
ammucchiati per raggiungerla. Nella parte del camerino più
distante
dalla porta il tetto si abbassava notevolmente e dopo pochi istanti
fu costretto a chinare la testa. Quando la ebbe raggiunta, le
appoggiò le mani sulle spalle e si sporse per posarle un
bacio
veloce e gentile sulla guancia sinistra. Hannah parve persa in un
pensiero poco piacevole.
«Cosa
c'è che non va?» le soffiò in un
orecchio.
Lei
incrociò le braccia al petto e fece un gesto sbrigativo con
la mano.
«Scusami...
sono solo molto stanca. E stressata».
«Riprovaci»
le disse, baciandole più volte la tempia. «Sono
sicuro che
riuscirai a fregarmi, prima o poi».
Con
un sospiro spossato, Hannah si girò per fronteggiarlo, con
le
braccia ancora serratamente ferme al petto. Teneva il capo basso e si
umettava nervosa le labbra. Neville le accarezzò il viso e
la studiò
con quell'esagerato vestito bianco addosso. Non dubitava che avrebbe
preferito un modello semplice e pratico, ma temeva che l'ossessiva
influenza di sua nonna potesse indurla ad assecondare qualcuno dei
suoi capricci. Non si era sbagliato e ne era piuttosto rattristato:
quell'abito da sposa non portava nessun segno delle scelte di Hannah.
Nonostante
ciò, più la guardava più Neville si
convinceva si non aver mai
visto una strega altrettanto bella. Ma ora lei stava nuovamente
affrontando la propria immagine riflessa nello specchio, con la sola
differenza che Neville era dietro di lei, con le mani appoggiate sui
suoi fianchi e uno sguardo di amorevole adorazione piuttosto ebete
stampato in faccia.
«Mi
metterò un sacco».
Neville
sbatté un paio di volte le palpebre e scosse il capo.
«Cosa?».
«Un
sacco. Il giorno del matrimonio indosserò un sacco».
«Oh,
bene. Io cercherò una padella e la userò come
cravatta».
«Santa
pace, Neville! Guardami»
sussurrò tristemente lei, senza
distogliere l'attenzione dall'immagine riflessa.
«Guarda» ripeté,
spalancando le braccia e aggrottando le bionde sopracciglia.
«Guarda,
guarda, guarda. Quale abito potrebbe mai contenermi? Un sacco, santa
pace, ecco cosa! Un sacco!».
Hannah
non era magra. Non lo era mai stata e nessuno avrebbe mai pensato che
un giorno lo sarebbe diventata. Era di statura piuttosto minuta e il
suo girovita era da annoverare fra quelli considerati abbondanti; le
sue braccia erano rotondette, i suoi fianchi pronunciati e tanto lo
era il sedere. Lo aveva sempre saputo – come non accorgersene
quando la propria migliore amica sembra una copertina del Settimanale
delle Streghe? - ma fino a quel momento non si era mai
davvero
resa conto di quanto fosse grassa.
Neville
inclinò il collo e la squadrò per diversi secondi
di silenzio. Se
avesse dovuto rispondere d'istinto, senza la possibilità di
valutare
quanto effettivamente fosse retorica la domanda di Hannah, avrebbe
detto che non capiva la natura del suo problema. Nel suo piccolo, lui
la trovava meravigliosa.
Hannah
non era magra. Le clavicole non sporgevano per niente in avanti e
lasciavano che gli scolli degli abiti le scivolassero sulla carne in
pieghe morbide e vellutate; la linea dei suoi fianchi, delle sue
cosce e delle sue gambe formava delle curve sinuose e sensuali fino
ai piccoli piedi; le sue guance erano tonde e colorate, le sue labbra
rosee e piene come il bocciolo di un tulipano e i corti ricciolini
biondi la facevano assomigliare ad un'adorabile fatina del boschi.
«Un
fiore» annuì dopo un attimo di riflessione con
sorriso affettuoso.
«Perfino un prato intero pieno di fiori, se
preferisci».
Il
volto di Hannah si storse in un'espressione di adorabile confusione e
Neville ridacchiò fra sé, posando la fronte
nell'incavo tenero
della sua spalla e inspirando l'aroma fruttato del suo profumo.
«Un'infinita
distesa fiorita» continuò. «Una collina
verdeggiante, un campo di
grano, una fila di papaveri rossi, una nuvola bianca o una montagna
di panna montata. Indossa quello che preferisci... resteresti
comunque più bella del mondo intero».
Lei
si umettò il labbro inferiore e si girò. Per
qualche istante sembrò
concentrata nei propri pensieri. Neville la vide brillare con un
grande sorriso e sorrise con lei.
«È
una cosa bellissima da dire» sussurrò lei, alzando
una mano per
carezzargli con dolcezza la mandibola. «Romantica...
cavalleresca...
e rubata a Celestina Warbeck».
«Come?»
esclamò sconvolto Neville, spalancando la bocca. Poi
roteò gli
occhi con uno sbuffo. «Dannazione, come fai a saperlo? Tu detesti
Celestina Warbeck».
«Altrettanto
non si può dire di tua nonna» ribadì
con un sorriso genuino. «Ma
grazie comunque».
Sembrava
così radiosa da fargli dimenticare l'imbarazzo per la gaffe
commessa. Eppure c'era qualcosa che sobbalzava nel suo stomaco,
qualcosa che sembrava pronto a sprizzargli fuori dall'ombelico da un
istante all'altro. Voleva dirle qualcosa – qualsiasi cosa
– ogni
cosa purché fosse felice. Le passò le mani
attorno alla vita e
iniziò a litigare con la zip del vestito che indossava.
«Neville...?».
Le
abbassò le voluminose spalline di tulle e le
scoprì il petto.
Portava un reggiseno con un bordino di pizzo bianco appena accennato.
Neville trovava la sua semplicità dannatamente perfetta. Si
abbassò
un poco e la aiutò a liberarsi da quel groviglio di stoffa e
trine.
Ci mancò poco che scivolassero entrambi sul pavimento, ma
una volta
gettato l'abito lontano Neville rimase in ginocchio davanti a lei. La
vide spostare istintivamente un braccio per coprire il seno e una
fitta di eccitazione gli attraversò la colonna vertebrale.
«Tu
trovami un uomo su questo pianeta che non impazzirebbe ai tuoi
piedi»
pronunciò con impeto. «Tu trovamelo, Hannah, e ti
giuro che lo
accompagnerò personalmente a farsi internare al San
Mungo».
Le
gote della giovane si tinsero di un accesso rossore. Strinse le
labbra con profondo imbarazzo, incapace di celare il sorriso
innamorato che le era comparso in volto. Ridacchiò nel dorso
della
mano sinistra e allungò l'altra a scompigliare con affetto i
capelli
di Neville.
«Perché
mai dovrei cercarlo?» mormorò appena.
«Ho già trovato quello
perfetto».
Neville
le restituì un sorriso altrettanto imbarazzato e scosse il
capo.
«Io
non sono perfetto».
*
«È
stato... perfetto?».
Hannah
sollevò il bordo del lenzuolo fino a coprirsi
metà del volto. La
sua camera da letto era quasi del tutto immersa
nell'oscurità e i
profili dei loro corpi erano solo accennati dalla luce dalla luna
piena, ma aveva il timore che Neville potesse vederla nuda. Una parte
della sua testa comprendeva quanto fosse assurda quell'idea, ma la
vergogna continuava a soffocare ogni suo gesto. Sembrava essersi
infilata perfino nella sua gola, serrando ogni parola di senso
compiuto. Emise un vago mugugno senza alcun senso.
Rimasero
immobili nel letto per un'altra decina di infiniti e imbarazzanti
minuti, poi Neville fece un sospiro rassegnato, si massaggiò
spossato la tempia destra e borbottò:
«Che
Salazar mi porti. Estraggo spade leggendarie da un cappello, ammazzo
mostri giganti, ma poi non riesco a...» mosse enfaticamente
la mano
a mezz'aria. «Fare questo».
Fu
forse il pigolio con cui aveva esalato l'ultima parola, la sua ironia
inaspettata e titubante o il semplice sollievo perché
finalmente uno
dei due aveva trovato il coraggio di dire qualcosa, ma Hannah
scoppiò
d'improvviso in una risata irrefrenabile. Si voltò su un
fianco e si
acciambellò, cercando invano di placare l'euforia. Le sue
risa
sembravano ormai isteriche.
«Hannah?».
«È
stato tremendo!» esclamò con le lacrime agli occhi
e coprendo la
faccia con entrambe le mani. «Santa pace, Neville,
è stato
tremendo!».
«Eh,
ma che meraviglia!» continuò a prendersi in giro
lui, aumentando
ancora di più il divertimento di Hannah.
«È proprio quello che
ogni ragazzo sogna di sentirsi dire quando perde la
verginità».
Incapace
di trattenersi oltre, lei ululò ferocemente e
colpì con un pugno il
cuscino. Neville si grattò la nuca e iniziò a
lasciarsi trascinare
dalla sua insana vivacità. All'iniziò
ridacchiò con notevole
nervosismo, poi si aprì in una risata ancor più
fragorosa di quella
di Hannah. Risero a lungo, e ad ogni secondo sembrava che l'imbarazzo
che li aveva attanagliati nell'ultima mezz'ora si allontanasse sempre
di più. Era un'allegria profondamente liberatoria.
«Santa
pace...» riuscì a scandire lei quando si fu
calmata. «Erano secoli
che non ridevo tanto...».
«Grazie,
Hannah. La tua capacità di mettere a proprio agio le persone
è
esemplare».
«Non
è colpa mia! Tu non sei nemmeno riuscito a slacciarmi il
reggiseno!».
«Che
arnese demoniaco...» si lamentò lui con un sorriso
sfinito. «Lo
vendono insieme alle istruzioni per l'uso, immagino».
Scossa
da nuove risate, Hannah si girò di nuovo e si
appoggiò di istinto
nell'incavo della sua spalla. Neville rimase spiazzato per qualche
secondo, ma poi si ritrovò a intrecciare i suoi riccioli fra
le dita
senza nemmeno accorgersene.
«Tu
mi hai frustato la pancia con l'elastico delle mutande mentre cercavi
di sfilarmele» aggiunse poi.
«E
mi sono perfino fatta male».
«Con
l'elastico delle mie mutande?».
«Che
arnese demoniaco».
Solo
dopo parecchie altre risate Neville fu di nuovo in grado di parlare.
«Stai
bene?».
Hannah
parve ponderare a lungo la questione.
«Sì»
rispose con estrema sincerità. «Adesso sto
benissimo».
«Anch'io».
«È
stata la prima volta più terribile a cui abbia mai preso
parte.».
«Santa
pace, anch'io» ridacchiò lei. «Sono
felice sia stata anche
l'ultima. Credi sia così per tutti?».
«No»
rispose Neville con rapida schiettezza. «No, Hannah, in una
scala di
schifo da uno a dieci noi abbiamo fatto undici».
Ridendo
ancora, lei si allungò e gli baciò appena le
labbra.
«Credo
di essere innamorata di te» disse d'improvviso.
«Credi?»
tentennò Neville, irrigidendosi al suo fianco.
«Credo...»
annuì lei con un sorriso spaesato. «Pensi sia
possibile?».
«...amarmi?».
«Non
saperlo davvero. Non capirci un tubo».
La
baciò con premura e lei ebbe l'impressione che la titubanza
del loro
imbarazzante primo bacio fosse svanita con le loro risate.
«Mi
dispiace, ma ci capisco meno di te, Hannah».
«Tu
credi di amarmi?».
«Credo
di sì».
Hannah
socchiuse le palpebre e rimase ad ascoltare il ritmo veloce del suo
cuore per parecchi secondi. Non aveva la più pallida idea di
cosa si
supponeva avrebbero dovuto fare, né di cosa sarebbe dovuto
capitare,
ma l'impressione che ci fosse qualcosa di perfetto in qualunque cosa
stessero facendo aveva ormai preso dominio all'interno della sua
mente.
Avvertì
la vivida certezza che andava bene così, esattamente come
stava
andando. Probabilmente non aveva avuto una prima volta epocale
(ancora non sapeva che ne avrebbe riso con Neville per i successivi
decenni), ma si sarebbe presto rifatta con una seconda, una terza e
una quarta. Avrebbero avuto infinite giornate da trascorrere insieme,
avrebbero potuto uscire a cena in un modesto ristorantino di
provincia, fare passeggiate lungo le spiagge di Brighton, mangiare
Api Frizzole a Mielandia e avrebbero deciso insieme dove trascorrere
le vacanze. Lui l'avrebbe presentata a sua nonna e probabilmente
Hannah non le sarebbe andata a genio, ma era certa che sarebbe
riuscita a tenerle testa. Era una sensazione strana – un po'
come
rivivere la vita di un'altra persona in un battito di ciglia
– ma
le rimase addosso più di qualsiasi altra cosa reale. Per un
momento
credette di volare e si accorse in fretta che era tutto nel suo
stomaco. Avrebbe trascorso la vita con Neville e sebbene non avesse
la più pallida idea di come potesse esserne tanto certa, non
aveva
nemmeno la più pallida idea di quanto si fosse avvicinata
alla
realtà.
«Neville?».
«Cosa
c'è?».
Nell'ombra
il sorriso di Hannah si trasformò in una smorfia birbante.
«Vuoi
che ti insegni come slacciarmi il reggiseno?».
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