Secondo capitolo! Siamo ai
tanto sperati
venti passi, che, stando alla lunghezza delle gambe del piccolo Iero,
per una persona normale dovrebbero equivalere a cinque
ù_ù
I
climbed a thousand steps without a single imprint.
Twenty Steps;
" We only See Each other at
Weddings and funerals"
Si piegò sulle ginocchia, lasciando sul palmo della mano
paffuta di un bambino qualche moneta risonante. Si perse negli occhi
verde smeraldo del bambino, che parvero ridere ancor prima della sua
bocca. Gli avrebbe chiesto il nome, gli avrebbe augurato di fare una
vita migliore, se la ressa di gente, che premeva per entrare nella
metro, non l'avesse spinto verso i tornelli dell'entrata; gli rivolse
un semplice saluto, beandosi dell'ennesimo ampio sorriso dei suoi occhi
verdi. "
Passa una buona giornata, "
gli augurò la madre del bambino, che lo teneva stretto al
petto, come a volerlo proteggere. "
Anche lei!"
le urlò, ma le parole si persero nel rumoroso riecheggiare
di voci estranee.
Percorse qualche passo, prima che la sua attenzione fosse catturata da
un'insegna abbastanza grande e colorata da non poter passare
inosservata; pubblicizzava un nuovo fumetto che, stando alla pulizia
dei tratti e alla fedeltà della riproduzione del volto
umano, doveva essere un piccolo capolavoro. Il suo sorriso, se
possibile, si allargò ancor di più: aveva
finalmente trovato il modo per espiarsi da tutte quelle piccole
mancanze come la colazione saltata, le notti in solitaria e la totale
assenza di condivisione di attimi ai quali erano soggetti da un po'. Si
appuntò mentalmente il nome del fumetto e, sperando di non
dimenticarselo strada facendo, avvicinò il pass al sensore a
lettura ottica dei tornelli; le porte si aprirono e lui le
attraversò, seguendo la ressa fin di fronte alle porte di
una metro già piena. Fece qualche passo all'indietro,
decidendo di prendere la successiva; anche solo un granello di
polvere in più avrebbe potuto rompere quel precario
equilibrio in cui si reggevano quei corpi ingarbugliati fra di loro,
anche il più piccolo oggetto avrebbe mandato in frantumi
quella realtà perfetta che si era creata nell'intreccio di
braccia, volti e gambe. Posò a terra la
ventiquattrore, osservando con un cipiglio le persone che, spintonando
e calciando, tentavano di entrare a far parte di quella matassa
disumana di pelle ed ossa; chissà perché tutti
non potevano attendere
qualche minuto in più, chissà perché
andavano così di corsa; che c'era di così
importante ad attenderli alla fine di quella maratona improbabile?
" Quanto
bisogna attendere per la prossima metro?" gli chiese un
passante. "
Tre minuti,"
gli rispose lui, guardando il timer rosso, che dava libero sfoggio di
sé di fronte a quello sfondo scuro. " Che sono tre
minuti in confronto all'eternità!"
esclamò il passante, dando una parvenza di risposta a quella
domanda taciuta. Lui annuì vigorosamente, perdendosi
nell'osservare la metro sfrecciare di fronte a sé, chiudendo
gli occhi quando le figure dei passeggeri, sospinte dalla gran
velocità, assunsero la forma di tante ombre oblunghe e nere,
che parvero essere le mani scheletriche della morte, così
vicine a quelle dei Dissennatori di quel vecchio libro. Le ombre sembrarono dirgli:
"siamo venute a prenderti", ma lui non le
ascoltò, contando mentalmente i passi che avrebbe fatto una
volta uscito dalla metro per raggiungere il chiosco dei libri; venti.
Riaprì gli occhi solo quando anche la seconda metro
fermò il suo veloce viaggio di fronte alla banchina; la
scoprì semi-vuota, e non poté fare altro che
gioirne. Si voltò cercando il volto benevolo del passante,
ma non lo trovò; forse aveva tenuto gli occhi chiusi quel
tanto che bastava per permettergli di entrare nella cabina, o forse
aveva deciso che sei minuti non fossero niente in confronto
all'eternità che tutti anelavano. Mai pensò che
quel passante fosse
stato un tiro mancino della sua mente.
Scelse il sedile più esterno, quello che di fronte a
sé non aveva il vetro trasparente, ma il muro bianco; vedere
le ombre che si formavano fuori dal vetro lo aveva spaventato da
sempre, o forse da qualche giorno o settimana; non se lo ricordava, ma
credeva che fosse un dettaglio insignificante, un po' come stabilire se
fosse nato prima l'uovo o la gallina. Che importava saperlo? Tanto
ormai quella fobia
era lì, e sapere quando fosse cominciata non l'avrebbe
certamente estinta.
La metro si mosse, cominciando la sua folle corsa verso il capolinea;
fu un passaggio graduale dal movimento impercettibile alla
velocità estrema. La sua testa vorticò come ogni volta, il suo
petto si strinse in una morsa dolorosa, ed il suo stomaco fece una
giravolta. Alzò il volume della musica, e cercò
di prestare attenzione solo alle parole urlate dal cantante, quasi che
distrarsi dalla velocità lo facesse star meglio. Quando il suo
stomaco smise di minacciarlo
di tirar fuori tutto quello che conteneva, capì di essere
arrivato a destinazione.
" Siamo
arrivati al capolinea?"
chiese, voltandosi verso il signore seduto alla sua destra. "Lui sì,
tu no. "
gli rispose quello, senza neanche alzare lo sguardo. Lui
sgranò gli occhi, credendo che la musica, ancora alta nelle
sue orecchie, avesse storpiato le parole dell'anziano signore. "Come?"
rimarcò, sfilandosi una cuffietta ed adagiandola sul ventre.
"
Sì, e se non si sbriga a scendere da qui
rischierà di rimanerci intrappolato." concluse risoluto
l'anziano, alzandosi dal suo posto e percorrendo l'esima distanza che
lo divideva dalle porte aperte della metro con passo strascicato. Lui
si affrettò ad alzarsi dal suo posto, ed uscì
dall'abitacolo poco prima che le porte si chiudessero alle sue spalle.
Salì con rapidità le scale che conducevano
all'esterno, e si beò dell'aria fresca che colpiva con
raffiche cadenzate il suo volto accaldato.
Il chiosco dei giornali era aperto per metà, segno che non
dovevano essere ancora le nove, orario dell'apertura effettiva.
L'edicolante era intento a raccogliere i giornali dal marciapiede,
posizionandoli in bella mostra nel piccolo espositore giallo;
tirò un sospiro di sollievo quando vide la copertina dalle
tinte fosche del volumetto pubblicizzato nella metro. Percorse quei
venti passi che lo dividevano dall'edicolante, e lo salutò
con un ampio sorriso. "
Frank!"
esclamò quello, sorridendogli appena. " Sono in anticipo?" chiese lui, dando
una leggera pacca dietro la sua schiena. " Sì,
non mi aspettavo di vederti così presto in effetti..." gli rispose,
togliendo un quotidiano dalla pila ancora adagiata sul marciapiede, e
porgendolo al ragazzo.
" Anche
questo vorrei,"
gli disse Frank, indicando il volumetto. L'edicolante guardò
perplesso il punto preciso che Frank, con il suo dito, stava indicando,
ma poi gli rivolse l'ennesimo sorriso. " Ne ero
più che sicuro,"
ammise. "
Te ne avevo messo persino uno da parte, sai per paura che finissero..." Frank
annuì; con tutta la pubblicità che tappezzava la
maggior parte dei mezzi pubblici era più che normale avere
una simile paura. Saldò il suo conto, e se ne
andò per la sua strada. "
A domani!"
disse. " A
domani, Frank."
gli rispose quello, continuando nel suo lento lavoro di mettere al
proprio posto tutta quella carta stampata, che aveva ancora l'odore
acro d'inchiostro e polvere.
Quando voltò l'angolo, uscendo dalla visuale
dell'edicolante, sfogliò senza attenzione il fumetto e rise
di gusto quando lesse il titolo dell'ultimo capitolo: Ci incontriamo solo ai funerali
e ai matrimoni; se non avesse già letto il nome
dell'autore avrebbe sicuramente pensato a Gerard: quella era
decisamente la loro
frase...
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