Capitolo 1 - La caduta di un dio
Loki si sente perduto.
Anche
se la sua mente è accecata dal dolore, rapita dalla rabbia
e, forse,
anche intorpidita dalla follia, non è di certo la morte che
brama.
Non
era così che doveva andare.
Il
Bifröst, ormai distrutto, è crollato sotto i suoi
piedi,
frantumandosi in migliaia di piccoli frammenti iridescenti, e il
boato stridulo dell'esplosione continua a rimbombargli
nelle orecchie, assordandolo, mentre l'onda d'urto lo spinge
prepotentemente nel vuoto insieme a Thor.
Ma
non appena quell'intensa vibrazione smette di rimbalzargli tra le
tempie, capisce che è appena accaduto qualcosa di totalmente
inaspettato.
Si
guarda intorno, girando nervosamente la testa, smarrito, realizzando
improvvisamente di essere ancora sospeso a mezz'aria, aggrappato alla
lancia del Padre degli dei. L'altra estremità dell'arma
è
saldamente stretta nella mano del Thor, il quale è a sua
volta
sorretto per una gamba da Odino stesso.
Loki
sgrana gli occhi, sconvolto dalla sorpresa.
Il
Padre degli dei si è risvegliato ed è accorso in
loro aiuto,
appena in tempo.
Per
un istante si sente invadere da una speranza genuina, quasi gioiosa,
e fissa il Padre con gli occhi spalancati, intensamente.
"Ci
sarei riuscito, Padre!"
Stenta
quasi a riconoscere la sua stessa voce, che gli sfugge dalle labbra
con un tono inaspettatamente acuto, quasi infantile. Odino lo guarda,
immobile, senza replicare, ma il suo viso è segnato da
un'espressione sofferente, che Loki non riesce a comprendere.
"Ci
sarei riuscito!" ripete il dio, più forte, mentre una strana
disperazione gli incrina la voce. "Per te!"
Vorrebbe
urlare a pieni polmoni, liberarsi del peso che porta dentro al cuore
e svelare le sue intenzioni, spiegare perché.
Perché ha
agito in quel modo, perché è arrivato a tanto. In
fondo l'ha fatto
per dimostrarsi degno di essere chiamato figlio di Odino, l'ha fatto
per il bene di Asgard, l'ha fatto per...
"Per
tutti noi..."
Vorrebbe
davvero gridare ancora, ma non ci riesce. Quelle poche parole, le
ultime che riesce a pronunciare, hanno la consistenza di un sussurro
e si smorzano nel silenzio, sovrastate dal rumore forte del vento.
Ormai
ha capito cosa c'è che non va nello sguardo di Odino. Non
è
orgoglioso di lui, non è soddisfatto delle sue
azioni.
Non lo
perdonerà.
Forse
vorrebbe farlo, ma nel suo occhio, sbarrato e lucido, legge la
dolorosa delusione di un padre che, seppur a malincuore, non
può esimersi dal disciplinare
chi ha commesso un enorme sbaglio. Anche se si tratta di colui
che
continua a chiamare 'figlio'. Lo vede esitare solo un momento,
cercare le parole più giuste per non ferirlo, forse, ma
entrambi
sanno che quelle parole non esistono. Il giudizio del Padre degli dei
non può essere annacquato da sentimentalismi, né
indebolito
dall'affetto.
Socchiude
gli occhi e, anche se ormai si aspetta quel colpo, quando arriva gli
fa molto più male del previsto. Penetrano in
profondità, le uniche
due parole pronunciate da Odino, e riducono in brandelli ogni sua
difesa.
"No,
Loki."
Il
dio dell'Inganno ha l'impressione di essere tornato il bambino
spaurito e ingenuo che ha tentato in tutti modi di nascondere
sotto inganni e sotterfugi, ma è solo l'illusione di un
momento.
La
sua identità è ormai persa, sepolta da una
verità troppo dura da
accettare, e le sue certezze crollano sotto le spoglie vellutate di
bugie meschine, ormai svelate.
Per
tutta la vita è stato inseguito da un senso di smarrimento,
di
vuoto, e l'ha sperimentato in così tante forme da pensare di
esserne
ormai immune. Si era convinto di essere più forte, di averlo
sconfitto.
Ma
ora si rende dolorosamente conto di essere in errore.
La
trama della sua vita è intessuta a doppio filo intorno al
nulla; il
fondamento stesso del suo essere, del suo passato, è
instabile ed
effimero.
Per
la prima volta capisce con spietata chiarezza che non potrà
mai
sfuggire alla solitudine; se vuole sopravvivere dovrà
imparare ad
accettarla, a ricercarla, perfino ad amarla.
Adesso
il vuoto che si estende sotto di lui diventa invitante, e lo chiama
con insistenza, promettendo di accoglierlo nel suo finto torpore.
Perché
mai dovrebbe indugiare, e restare aggrappato a quel mondo che
continua a rigettarlo, a ferirlo?
Il
rifiuto di Odino gli è rimasto attaccato da qualche parte in
fondo
al petto, e lo sta trascinando giù, senza pietà.
Deglutisce
e rivolge un ultimo sguardo a Thor, che lo fissa senza capire, come
sempre, e lascia che il rimpianto gli dipinga sul volto un sorriso
colmo d'amarezza.
Ha
fatto tutto per niente. I suoi progetti, le sue idee, le sue
azioni...tutto inutile.
Inutile.
Tutti
i suoi pensieri si condensano in un'unica domanda:
'Sono
io ad essere inutile?'
Avverte
chiaramente il rumore di qualcosa che si incrina e che si rompe, non
sa bene se intorno a lui o dentro di lui. E mentre la sua vista si
appanna per le lacrime odiose che non riesce a scacciare, lentamente,
allenta la presa sulla lancia di Odino.
"Loki,
no..." mormora il fratello, attonito, ma la sua voce gli giunge
ovattata, lontana e irreale, come un brusio irritante.
La
sua vista è sempre più sfocata, la gola secca, e
il ritmo del suo
cuore si inceppa, accavallando battiti e pause senza più
alcuna
armonia.
Ormai
riesce a sentire solo due cose: un ronzio nelle orecchie, incessante
e impietoso, che sovrasta ogni altro rumore, e il calore fastidioso
che emana il metallo della lancia dorata che stringe tra le dita,
sempre meno strettamente.
E
non sopporta più nessuna delle due cose.
Apre
la mano di scatto, continuando a rivolgere il viso verso Odino e
Thor, senza però riuscire a vederli veramente.
E
scivola.
Precipita.
Cade.
Inesorabilmente.
Quando
si rende conto di cosa ha appena fatto è troppo tardi.
Continua
a cadere sempre più giù, e quel vuoto, che
dapprima gli appariva
accogliente come un rifugio e desiderabile come una salvifica via di
fuga, ora è dannatamente freddo, e gli penetra nelle ossa,
inghiottendolo.
L'urlo
di Thor scuote un'ultima volta i suoi sensi, inducendolo a spalancare
di nuovo gli occhi, prima di venire avvolto dalle tenebre
più fitte
e dal silenzio.
Non
vede più niente.
Non
c'è luce, in quella porzione vuota di universo.
Asgard
è sparita, la sua immagine ha lasciato il posto ad un cielo
nero
come la pece, infinito, immerso nell'assordante silenzio dell'oblio.
Per
un attimo spera di morire, con tutto se stesso, ma poi si rende conto
con orrore che non succederà.
Non
morirà, non così presto, non così
facilmente.
Vorrebbe
gridare, ma non riesce nemmeno a muoversi. Non può neanche
chiudere
gli occhi, e annega in quel mare freddo di oscurità perenne,
trascinato da forze immutabili e inarrestabili, contro le quali non
ha alcuna difesa.
L'unica
parte di lui che resta attiva e vigile, sfortunatamente, è
la sua
mente; e lo tortura ulteriormente, ricordandogli l'ironia della sua
sorte.
Rigettato
prima da Jotunheim, poi da Asgard, e ora dalla vita stessa,
condannato ad un'esistenza a metà. È come un
fantasma che vaga per
il nulla, senza tempo, senza speranza.
Se
potesse, si lascerebbe andare ad una risata isterica.
Ecco
la degna fine di un dramma insensato, marcio, malato, nel quale si
è
trovato invischiato, suo malgrado. Come ha potuto anche solo pensare
di poter mutare il suo destino?
Peccato
che a godere di quel quel gran finale ci sia soltanto lui.
Solo.
Per
sempre.
***
Angolo autrice
Spero
che qualcuno sia sopravvissuto alla lettura di
questo capitolo, e
che e non vi siate tutti buttati giù dalla finestra
per
l'eccessiva tristezza ^_^ Credo che questa sia la cosa più
deprimente che io abbia mai scritto, e ogni volta che la rileggo, sto
male. Ma è proprio questo l'effetto che volevo creare, in
fondo,
dato che ho provato a descrivere il terribile dolore che deve avere
turbato l'animo di Loki quando ha deciso di lasciarsi cadere nel vuoto.
Spero di esserci riuscita, almeno un pochino. :3
Un mega
ringraziamento a Blue_moon,
che, ha creato i bellissimi banner di questa storia! *__*
Grazie! <3 <3
PS: questa fanfiction
ha partecipato al contest La
notte degli Oscar indetto su Writers Arena Rewind, bando
sul Forum di EFP.
Alla prossima!
Sayuri
|