NDA:
Dico solo, leggete con attenzione il poem che ho messo
come incipit.
Cirucci,
grazie. Hai riassunto tutto quello che c’era da
dire, sia per Linalee che per Rukia. ♥
E
diamine, Ichigo e Linalee che battibeccano come una
coppia sposata mi fanno morire. x°D
Per
non parlare del fatidico e tanto atteso incontro tra
Lavi e Rukia in questo capitolo... io AMO le coppie che si danno del
lei. N e m e con la sua long AU
crossover Hortum Septentriones qui
su EFP ne sanno
qualcosa. *-*
E
come al solito, mi scuso per il ritardo, e ringrazio
tutti quelli che mi lasciano a ogni capitolo delle recensioni che
apprezzo
davvero!
-
CAPELLI DI FUOCO, OCCHI DI
GHIACCIO.
Ti ostini ad agghindarti
Pur sapendo che ti aspetta la falce
Ti ostini a farti bella
Pur sapendo che ti aspetta la falce
È spaventoso, è spaventoso
Il momento in cui verrai falciata
I tuoi capelli recisi
Somiglieranno a te, priva di vita
Sia i miei capelli che le mie unghie
Sono stupendi, curati come tesori
Perché basta che vengano
separati dal corpo
Per diventare qualcosa di sporco e
disgustoso?
La risposta è semplice:
Essi così non sono altro
Che l'immagine della mia morte.
[Bleach – volume
29]
Linalee
Lee guardò con occhio critico lo smalto fresco di
stesura sulle sue unghie, inclinando la testa di lato e chiedendosi se
ci
avrebbe messo ancora molto prima di asciugarsi. Le sue dita fremevano
impazienti sotto il suo sguardo concentrato, quasi come se fissandole
così
intensamente, fosse convinta che avrebbe potuto dimezzare il tempo.
Finché
aveva le mani in quello stato, non poteva muoversi.
Giusto respirare, ma anche quello era qualcosa che faceva con estrema
lentezza
e attenzione. Linalee Lee amava colorarsi le unghie, soprattutto delle
tonalità
del viola, che metteva in risalto i suoi occhi proprio di quella
sfumatura
particolare. Amava prendersi un po’ di tempo per
sé stessa, la sera, prima di
uscire per andare a lavorare. Scegliere il colore, sdraiarsi a pancia
in giù sul
divano con un foglio di giornale sotto le mani per proteggere la fodera
da
eventuali gocce ribelli, e guardare come le sue unghie mediamente
lunghe
prendessero vita sotto i luminosi riflessi violacei creati dal sole,
che
proprio in quel momento stava tramontando dietro la schiera di edifici
su cui
si affacciava il piccolo balconcino della sua camera da letto.
Curarsi
le unghie, anche solo dargli una sistemata
impercettibile con la lima, era un piccolo rituale quotidiano al quale
non
sapeva rinunciare. Così come lo spazzolarsi i capelli
esattamente cento volte
prima di andare a dormire. Si rendeva perfettamente conto da sola che
era una
cosa stupida e senza senso. Eppure, da quando
all’età di sedici anni si era
volutamente rasata i capelli a zero, il farli ricrescere forti e sani
era
diventato il suo scopo prioritario. E un detto sentito una volta per
caso,
diceva proprio che spazzolarseli cento volte ogni giorno contribuiva a
farli
crescere più velocemente, rendendoli più lucenti
e morbidi. Così Linalee aveva
fatta sua questa discutibile perla di saggezza, credendoci ciecamente,
volendo
crederci ciecamente.
Perché
proprio un altro luogo comune, l’aveva spinta a
fare quel gesto decisivo. Il luogo comune secondo cui una donna col
cuore
spezzato, si taglia i capelli, come a dare un taglio netto col passato
e
iniziare una nuova vita.
E
Linalee Lee, i cui capelli un tempo arrivavano ai
fianchi, si era rasata completamente.
Ora
le arrivavano appena di un dito sotto le spalle.
Poteva legarli, se voleva. La prima volta che ci aveva provato, dopo
anni che
non era stata in grado di farlo, non era riuscita a trattenere le
lacrime davanti
allo specchio che rifletteva la sua immagine.
Linalee
svolgeva altri “rituali” quotidiani per lei
sacrosanti, come il lavarsi i denti dopo ogni pasto, anche solo uno
spuntino, e
passarsi il filo interdentale ogni sera. Oppure le maschere di bellezza
che si
applicava una volta alla settimana, sempre lo stesso giorno, o ancora,
i
regolari bagni col sale grosso. La sua, però, non era
vanità. Non era per
apparire bella agli occhi degli altri che faceva tutto questo.
Piuttosto, era
una cura e pulizia maniacale del proprio corpo. Come se in un certo
senso,
credesse che in questo modo si potesse purificare da tutte le scorie
che era
fermamente convinta di avere dentro di sé.
Quel
giorno però, stava affrontando la sua tanto amata
manicure non con la solita calma. Normalmente, avrebbe aspettato con
pazienza i
minuti necessari affinché lo smalto si asciugasse, senza
appunto muoversi di un
solo millimetro per evitare di prendere dentro con le unghie da qualche
parte e
dover ricominciare tutto daccapo. Anche il tempo che dedicava a
sé stessa e ai
suoi rituali, per lei che per tutta la vita aveva messo sempre gli
altri al
primo posto, su un piedistallo, era qualcosa di sacro. E qualcosa di
cui
approfittava, per prendere una pausa dalla sua vita e rilassarsi un
po’. Eppure
in quel momento, avrebbe voluto veramente che il tempo accelerasse,
perché le
sue dita fremevano davvero dalla voglia che aveva di battere sulla
tastiera del
computer sulla scrivania al suo fianco, la risposta che aveva
già costruito e
cambiato tante volte nella sua testa.
-Mugetsu:
06:13
pm
È la cosa più
stupida che abbia mai sentito.
-YanWeiDie:
06:13
pm
Tecnicamente non la stai sentendo,
la stai leggendo...
-Mugetsu:
06:15
pm
Resta una cosa stupida.
Completamente idiota.
-YanWeiDie:
06:16
pm
Per te ogni cosa che dico lo
è. Non mi prendi mai sul serio.
-Mugetsu:
06:17
pm
...
“Tecnicamente” non stai dicendo niente, stai
scrivendo.
-YanWeiDie:
06:20
pm
...
-Mugetsu:
06:21
pm
Perché quando ho ragione
io ti offendi?
-YanWeiDie:
06:21
pm
Perché tu vuoi sempre
avere ragione. E non mi sono offesa.
-Mugetsu:
06:22
pm
Ah no?
-YanWeiDie:
06:24
pm
No.
-Mugetsu:
06:24
pm
Come vuoi.
-YanWeiDie:
06:32
pm
... Va bene, forse un po’
sì. Ma mi da fastidio che etichetti quello che
penso come “stupido”.
-Mugetsu:
06:37
pm
Ma lo è.
-YanWeiDie:
06:40
pm
Vedi? Lo stai facendo ancora.
-Mugetsu:
06:41
pm
...
Tecnicamente non posso vedere
niente.
-YanWeiDie:
06:42
pm
!!!!!
-Mugetsu:
06:46
pm
Va bene, scusa. La pianto.
-YanWeiDie:
06:53
pm
Tanto lo so che stai ridendo di me,
come ogni volta che chattiamo...
-YanWeiDie:
07:05
pm
Mugetsu?
-Mugetsu:
07:07
pm
Scusa, un contrattempo.
Piuttosto... Come fai ad essere convinta che io stia ridendo se non mi
vedi neanche?
Era
vero.
Linalee
Lee, alias Yān
Wěi Dié, nome cinese per il macaone,
un
tipo di farfalla dalle ali particolari,
non
poteva saperlo.
Così come non poteva sapere, anzi, neanche lontanamente
immaginare, chi fosse
il suo interlocutore, con cui da mesi si intratteneva a parlare. Anche
per ore,
senza che si accorgesse minimamente di quanto in fretta il tempo
scorresse.
Preferiva
non fare supposizioni campate per aria sulla sua
identità. Da come si esprimeva, però, doveva
essere un uomo. Cosa che
inizialmente l’aveva frenata. Ma al riparo dietro lo schermo
del computer, si
era fatta forza. E pian piano, si era trovata ad aprirsi sempre di
più con
quello sconosciuto.
Le
loro conversazioni erano sempre così. Discutevano. Non
facevano che discutere. Presto però Linalee si era resa
conto che le concise e
pungenti risposte, o meglio, frecciatine
di Mugetsu non erano che un sottile
modo per prenderla in giro, ma non con intento offensivo. Linalee Lee
conosceva
i propri difetti, si rendeva perfettamente conto di essere molto
permalosa. Ma
per qualche motivo che ancora non riusciva a spiegarsi nonostante mesi
e mesi
di messaggi – scambiati privatamente, perché
entrambi preferivano mantenere una
sorta di intimità – non riusciva proprio a mettere
il broncio per le sue
parole. Anzi. Avevano sempre il potere di strapparle un sorriso.
Esattamente
come in quel momento in cui delicatamente
aveva preso a schiacciare coi polpastrelli le lettere della tastiera.
-YanWeiDie:
07:13
pm
Perché anche io sto
ridendo. Come ogni volta che chattiamo.
Lo sai... mi piace parlare con te.
-Mugetsu:
07:15
pm
...
-YanWeiDie:
07:15
pm
?
-Mugetsu:
07:18
pm
Niente.
“Scriverti”,
vorrai dire.
-YanWeiDie:
07:20
pm
Va bene, va bene! Chi me
l’ha fatto fare di correggerti...!
-Mugetsu:
07:21
pm
Ecco, l’hai capito.
-YanWeiDie:
07:21
pm
Smettila di ridere!
-Mugetsu:
07:22 pm
Anche tu, se è per
questo.
Stava
giusto portandosi una mano alla bocca per
nascondere un sorriso, come se lui potesse vederla nonostante tutto,
quando il
tintinnio di un mazzo di chiavi la riscosse dai suoi pensieri,
facendola
tornare alla realtà. Distogliendo lo sguardo dallo schermo
del computer, si
voltò nella direzione della porta, riuscendo appena ad
intravvedere la minuta
figura di una ragazza dai capelli corvini che si chinava per
raccogliere e
indossare un paio di bassi anfibi, sparendo dietro il muro ad angolo
che
segnava l’ingresso.
Esitò
solo un secondo prima di formulare la domanda.
«
Rukia, esci? »
In
tutta risposta, Rukia Kuchiki non diede nessuna
risposta. Ovviamente. Linalee aveva
chiesto qualcosa del tutto superfluo, visto che era più che
evidente il fatto
che lei si stesse preparando per uscire.
«
Verso... verso
che ora torni? », Linalee provò nuovamente,
cercando di risultare cordiale.
«
Tornerò quando
tornerò. », si limitò a replicare la
ragazza senza neanche degnarla di uno
sguardo, mentre si sistemava sulle spalle un sobrio trench nero,
legandosi la
cintola attorno alla sottile vita.
Colta
da un improvviso moto di irritazione, Linalee
tentò, come sempre, di sorvolare sulla sua indifferenza e
mandare giù le sue
risposte secche che avevano il chiaro intento di stabilire un confine
netto tra
di loro. Ormai aveva capito da tempo che Rukia non aveva la minima
intenzione
di instaurare il benché minimo rapporto di amicizia con lei,
nonostante
condividessero lo stesso tetto. Voleva starsene per i fatti suoi, in
pace,
senza essere disturbata da nessuno. Ma Linalee non riusciva proprio a
rassegnarsi ad essere così palesemente ignorata dalla sua
coinquilina, con cui
aveva sperato fin dal primo momento di andare d’accordo. Le
sarebbe bastato
anche solo un saluto prima che uscisse di casa, cavolo.
«
Okay. Hai
preso il cellulare, vero? Così posso chiamarti nel caso-...
»
Ma
la porta si chiuse non proprio delicatamente dietro le
spalle di una Rukia a cui era bastato voltarsi per una breve frazione
di
secondo e guardarla con la stessa pena ed esasperazione con cui si
guarda la
propria madre troppo ansiosa, per zittirla all’istante.
Linalee
Lee si sentì infinitamente stupida. Eppure la sua
indole amichevole e forse davvero un po’ materna e
apprensiva, le rendevano veramente
impossibile non impicciarsi, o
comunque, non tentare di intavolare un minimo di discorso.
Con
un sospiro sconsolato, appoggiò la testa alla
scrivania, rendendosi conto troppo tardi che con la fronte aveva preso
dentro la
tastiera del computer.
-YanWeiDie:
07:33
pm
hyuj777tg645sall
-Mugetsu:
07:34
pm
... Che?
-YanWeiDie:
07:34
pm
Aaah, scusa!
Rukia
Kuchiki tamburellò con le corte unghie
mangiucchiate da anni e anni di nervosismo sul tavolo di legno, mentre
sfogliava l’ennesima pagina. Non si accorse minimamente
dell’occhiata curiosa
che una cameriera dai lunghi capelli biondo ramato e il ventre
teneramente
arrotondato sotto il grembiule, le lanciò passandole
davanti, andando a
registrare sul taccuino l’ennesima ordinazione. Quella
singolare ragazza dalla
corporatura minuta e dal trucco esasperato, era ormai seduta a quel
tavolo ai
margini del locale da più di tre quarti d’ora.
Aveva ordinato una bibita e
delle patatine fritte, che non aveva pressoché toccato, e
non aveva fatto altro
che starsene seduta compostamente – fin troppo, ogni tanto
l’aveva persino vista
guardarsi intorno con aria circospetta e rilassare la schiena impostata
rigidamente contro lo schienale della panchina di legno, per poi
tornare al suo
libro.
Dava
l’idea di non sentirsi a suo agio, fuori posto.
Anche se si stava dedicando a un passatempo tranquillo come la lettura,
per di
più di un libro che da quando lo aveva iniziato
l’aveva presa molto, era
visibilmente nervosa, e ci metteva secoli a girare una pagina. La
verità è che
Rukia Kuchiki aveva sfogliato almeno una decina di facciate rileggendo
tre
volte ogni frase senza neanche rendersene conto, perché non
riusciva proprio a
concentrarsi e ad estraniarsi da tutto il resto come era solita fare
quando le
capitava di imbattersi in un libro così bello e avvincente.
La sua mente era
assente, persa neanche in pensieri, ma piuttosto attanagliata
nell’ansia, così
come il suo stomaco.
È in ritardo, riusciva
solo a formulare, ogni volta che spostava lo sguardo dalle lettere
stampate ai numeri in rilievo dell’orologio appeso al muro
dall’altro lato
della tavola calda.
C’è
anche da dire che lei era arrivata in anticipo di
almeno trenta minuti rispetto all’ora segnata sul pezzo di
carta che ancora
conservava, al sicuro nella tasca dei jeans. Sta di fatto che il
misterioso... ragazzo?, uomo?, che gliel’aveva
consegnato quella famosa sera in cui aveva
creduto di essere vittima di una rapina, non le si era ancora
presentato.
È in ritardo di un
quarto d’ora.
Tentò
per l’ennesima volta di rilassarsi, lanciando
un’occhiata alle patatine fritte davanti a lei. Ne prese una,
constatando già
al tatto ancor prima di dare un netto morso coi denti, che ormai tutto
il
piatto doveva essere diventato freddo.
Lui
era in ritardo, ma il luogo dell’appuntamento era
quello, senza dubbio. Non poteva essersi sbagliata, aveva controllato
più e più
volte prima di recarsi lì quella sera. Si era chiesta
perché quella persona
avesse scelto un posto così affollato e
dall’atmosfera accogliente come quel
ristorante per famiglie, l’Oinari,
pure
a pochi isolati dal suo appartamento. Si era domandata parecchie volte
anche
cosa volesse da lei, quale fosse lo scopo di quell’incontro.
La sua mente era
al contempo piena di ipotesi e vuota di certezze.
Cosa sta aspettando?
La
tensione saliva dentro di lei a ogni scocco della
lancetta dell’orologio a muro che non poteva udire,
sovrastato da tutte le voci
dei clienti con figli al seguito, che all’ora di cena
riempivano la tavola
calda.
Sfogliò
un'altra pagina, senza aver realmente afferrato
una parola.
«
Buonasera. », disse
a quel punto una voce dal tono perfettamente studiato per risultare
profonda e accattivante,
con una punta di ironia, amplificata dalle labbra da cui proveniva,
tese in un
sorriso che a prima vista, per uno sguardo ingenuo, sarebbe potuto
apparire
amichevole.
Rukia
Kuchiki trasalì, ma cercò in tutti i modi di non
darlo a vedere. Così come si impose di non alzare lo gli
occhi verso la figura
che si era posta di fronte a lei, con le mani coperte da mezzi guanti
infilate
nelle tasche di un paio di pantaloni color khaki. Si
concentrò sui suoi vestiti
evitando accuratamente il suo viso, mentre chiudeva il libro,
infilandoci
l’indice dentro per tenere il segno. Indossava una sciarpa,
una giacca di pelle
slacciata di evidente scarsa qualità. Niente completi
eleganti e cravatte.
Niente abiti costosi e firmati. Sembrava incredibilmente un ragazzo
normale,
come tanti, come quelli che erano seduti a qualche tavolo di distanza
da loro,
e che stavano ridendo per chissà quale battuta, poveri
stolti senza
preoccupazioni di sorta.
Non
rispose al suo saluto, non lo degnò neanche di uno
sguardo come faceva sempre con le persone che evidentemente volevano
qualcosa da
lei, ma non arrivavano dritte al punto se non dopo una serie infinita
di falsi
convenevoli e gentilezze immotivate. E quando infine lo facevano, si
esprimevano con un tono talmente mellifluo da farle venire la nausea,
credendo
che adulandola avrebbero ottenuto un risultato migliore. Aveva passato
gli
ultimi cinque anni della sua adolescenza in mezzo a gente del genere,
gente
bugiarda, calcolatrice, egocentrica ed egoista, oppure fredda,
altezzosa,
sprezzante. Gente che era stata costretta a chiamare
“famiglia”. Si era
ripromessa davanti alla tomba di sua sorella che non si sarebbe
più lasciata
ingannare da persone del genere, mai più.
« Mi
scuso per
averla fatta attendere, non era mia intenzione. »,
continuò il ragazzo che ai
suoi occhi rimaneva ancora con un volto sfuocato, indistinto, mentre si
accomodava sulla panchina di fronte a lei.
Rukia
prese fiato e socchiuse gli occhi, prendendo il
segnalibro e chiudendo definitivamente il volume che posò
sul tavolo,
spingendolo di lato. Aveva bisogno di concentrarsi per trovare la forza
di
guardarlo in faccia senza sentire l’impulso di riversargli
contro tutta la sua
ira repressa per troppo tempo. Oppure senza provare l’istinto
di scappare via a
gambe levate per la paura.
Rukia
Kuchiki era incredibilmente brava a scappare.
Ma
era stanca di farlo, stanca di comportarsi così
debolmente, senza polso. Almeno, non con qualcuno che avrebbe saputo
come
gestire. La sua cosiddetta famiglia era qualcosa di completamente
diverso,
qualcosa contro cui era meglio non mettersi. Per questo, per il modo in
cui
quel ragazzo l’aveva avvicinata, aveva concluso che non
lavorasse per i
Kuchiki. Probabilmente era un giornalista, o un informatore che campava
di
notizie, o qualcosa del genere. Insomma, qualcuno che voleva essere
pagato per
il proprio silenzio. Quindi i tremiti che inizialmente
l’avevano scossa la
notte dopo quel loro incontro, impedendole di dormire, erano cessati
lentamente. E Rukia aveva preso ad analizzare la situazione con mentre
fredda,
lucida. Calcolatrice, come le persone che odiava e in cui si era
trasformata
vivendo insieme a loro. Sul suo cuore era calata una spessa coltre di
ghiaccio,
talmente gelida da mordere la carne della mano di chiunque avesse
provato a
sfiorarla, a scioglierla.
Questo
si rifletté nei suoi occhi blu scuro, quando
finalmente li piantò sul viso di Lavi Bookman, gelando il
suo sorriso.
« Non
si scusi
se non è veramente dispiaciuto. »
« ...
Prego? »
« Se
non fosse
stata sua attenzione farmi attendere, non avrebbe passato gli ultimi
venti minuti
a fissarmi seduto all’altro capo del locale. »
Lavi
Bookman ricambiò il suo sguardo, sconcertato. Era
vero. Lui era arrivato in perfetto orario, non un minuto in anticipo o
uno di
ritardo. Eppure aveva passato esattamente venti minuti ad osservare e
fotografare
mentalmente la figura di Rukia mentre sfogliava lentamente le pagine di
un
libro, nascondendo il viso e i capelli facilmente riconoscibili sotto
il
cappello che era solito indossare. Era stato quello a tradirlo? Ma non
era
possibile, fino a quel momento c’erano stati metri di
distanza tra di loro, lei
non avrebbe mai potuto riconoscerlo da così lontano, e per
di più la prima
volta non l’aveva nemmeno guardato in faccia. Resistette
all’impulso di girarsi
per gettare un’occhiata al lato del bancone presso cui era
stato seduto, per
controllare come fosse la visuale dal posto di lei, e se la distanza
fosse
effettivamente quanta gli era sembrata. In fondo, nella sua testa,
ricordava
perfettamente quanti passi avesse fatto per raggiungerla, quando
finalmente si
era deciso ad alzarsi, stanco di studiare da lontano i suoi gesti, il
suo modo
di porsi apparentemente ignaro del suo sguardo attento. Già,
apparentemente. Perché
Rukia Kuchiki si
era accorta di tutto, solo Dio – sulla quale esistenza
preferiva non pronunciarsi
– sapeva come.
Represse
a stento un sorriso che gli nacque spontaneo
sulle labbra di fronte a quella magistrale dimostrazione di furbizia,
nella
quale lui, a cui non sfuggiva niente, era cascato in pieno. Se non
fosse stato
che si era già tolto il cappello sedendosi di fronte a lei,
l’avrebbe fatto in
quel momento rivolgendole un cenno della testa a mo’ di
inchino. Aveva fatto
bene a studiare la sua strategia mettendo in conto che quella ragazza
non era
da sottovalutare. Ma non avrebbe mai pensato che gli avrebbe dato
così filo da
torcere.
Ora
che aveva trovato la forza di guardalo, Rukia Kuchiki
studiò il suo viso, la sua chioma rossa mediamente lunga e
vagamente
spettinata, i dorati orecchini a cerchio che portava ai lobi delle
orecchie, ma
più di tutto, le sue labbra incurvate leggermente, come se
fosse divertito, o
piacevolmente sorpreso, e l’unico occhio visibile, quello
sinistro, non coperto
da una benda nera che non la incuriosì più di
tanto. Un occhio di un verde
incredibile, brillante, ma allo stesso tempo completamente vuoto. Il
sorriso
sulla sua bocca non raggiungeva il suo sguardo.
La
ragazza prese nuovamente fiato, intrecciando le mani
sul piano di legno. Lei, al contrario di tutti i giri di parole velati
di
disprezzo degli altri Kuchiki, amava andare direttamente al punto.
« Cosa
vuole? »,
chiese quindi, pungente, gelida come ghiaccio. « Soldi? Al
momento,
probabilmente lei ne ha più di me. »
Lavi
considerò mentalmente che nonostante la sua esile
corporatura e l’aria da adolescente ribelle a dispetto dei
suoi venti anni di
età, la sua voce, il tono con cui si esprimeva, erano
improntati di una
maturità incredibile. Così come i suoi occhi. Li
trovava incredibili, come
ipnotizzanti. Le sorrise ancora, accondiscendente.
« Su
questo avrei
i miei dubbi, ma comunque... Se il suo timore è che vada a
spifferare ai
quattro venti chi è e dove abita, allora non si preoccupi,
non sono queste le
mie intenzioni. »
E quali sono, allora?, si
chiese Rukia
assottigliando lo sguardo.
« Sa
dove abito?
»
« So
cose che
lei nemmeno immagina, signorina Ku-... »
«
Rukia. Mi
chiami Rukia e basta. »
«
Possiamo anche
smettere di usare il lei e darci un taglio con questo tono formale?
», propose
Lavi sempre con un fare affabile che non intaccò minimamente
l’impassibilità di
Rukia.
« Non
ho
intenzione di offrirle tutto il braccio. Si accontenti del dito.
»
« Ma
come, non
era la mano? »
« Non
ho
intenzione di darle nemmeno quella. »
Questa
volta, Lavi dovette sopprimere una vera e propria
risata, che sicuramente agli occhi della sua glaciale interlocutrice
sarebbe
parsa sgarbata. O forse non si sarebbe scomposta minimamente,
chissà.
Tossicchiò appena, coprendosi la bocca con il dorso di una
mano, mentre con
l’altra attirava l’attenzione di Rangiku Matsumoto
che stava passando proprio
davanti a loro, diretta in cucina. Ordinò un
caffè, per poi abbandonarsi contro
lo schienale della panca in legno, prendendosi un momento per
raccogliere i
propri pensieri e riorganizzare la sua “strategia
d’attacco”. Dopo qualche
secondo di silenzio, fece un cenno verso il tavolo, indicando il piatto
di
patatine fredde.
«
Posso
rubargliene una? »
«
Anche tutte. »,
e Lavi non se lo fece ripetere due volte, anche se non aveva
esattamente fame. Ma
sentiva come il bisogno di temporeggiare per alleggerire la tensione.
Come
aveva immaginato, la sua aria amichevole non attecchiva minimamente con
quella
Kuchiki-... no, Rukia. Nome che
trovò
incredibilmente adatto ai suoi occhi di una tonalità di blu
profonda quanto la
notte, nonostante significasse “luce”.
«
Bella trilogia,
Millennium. »,
commentò quindi con
noncuranza, leccandosi il sale delle patatine dal labbro superiore.
Anche se
non sarebbe servito ad ingraziarsela, Lavi non avrebbe mai rinunciato
la sua
galanteria e la sua parlantina sciolta. Dopotutto, amava conversare,
trovava
che così si potesse capire molto di più delle
persone rispetto al semplice
osservarle. “Conosci il tuo nemico”, diceva il buon
vecchio Sun Tzu ne L’arte della
guerra.
Se
poi l’argomento su cui verteva la discussione erano i
libri, chi era lui per tirarsi indietro?
«
Ottima trama e caratterizzazione psicologica
dei personaggi », continuò, « anche se a
mio parere poteva essere scritta
meglio. In particolare tutta quella abbondanza di caffè e
tramezzini infilata
in ogni capitolo, Larsson avrebbe potuto risparmiarsela. »
Incredibilmente,
il ragazzo notò che Rukia fu colpita da
quella sua constatazione, senza però poter sapere che il
tono secco con cui
replicò fosse dovuto al fatto che le sue parole avevano
espresso un pensiero
che più di una volte era passato anche per la sua testa. E
la cosa, per qualche
motivo, l’aveva irritata. Senza volerlo, Lavi aveva messo a
segno il primo
punto contro l’imperturbabilità di Rukia Kuchiki.
«
Peccato che
non fosse lei il suo editore, almeno così
gliel’avrebbe fatto notare. »
« Oh,
se fosse
ancora vivo avrei sicuramente fatto di tutto per diventarlo e
presentargli le
mie critiche una per una. Ah, grazie. », aggiunse poi,
rivolto a Rangiku che
era tornata col caffè che lui aveva ordinato. Lavi le
rivolse un sorriso
gentile, scendendo poi ad accarezzarle la pancia con lo sguardo.
« Mi dica, di
quante settimane è? »
« Sono
alla
quindicesima. », sospirò la donna. « Il
pensiero di essere neanche a metà mi
uccide...! »
« Non
lo dico
per consolarla, mi creda. Ma per quel che posso vedere io, sta
affrontando il
tutto splendidamente. Non credo di aver mai visto una madre
più bella. »
Rangiku
posò le mani sui fianchi con fare di rimproverò.
Ma il sorriso furbo che le si dipinse sulle labbra carnose, rese la sua
aria
solo più dolce.
« Sono
sposata,
ragazzino. E quasi potrei essere la tua, di madre. »
«
Sarei un
ragazzino molto fortunato, allora. »
Rukia
approfittò di quel breve scambio di battute in cui
l’attenzione era stata distolta da lei per ritrarre le mani
sotto il tavolo,
dove le strinse forte per farsi coraggio.
La
sua espressione non cambiò di una virgola.
Eppure
non si poteva dire lo stesso di quella di Lavi. Quando
aveva guardato la pancia della cameriera, per un attimo il suo occhio
verde le
era sembrato brillare rendendo giustizia a quel bel colore
così vivo.
Ma
era stato davvero solo un attimo, e nello stesso in
cui la cameriera si era allontanata e lui era tornato a posare
quell’occhio su
di lei, ogni luce in esso si era spenta.
Lavi
appoggiò il mento sul palmo di una mano e sollevò
la
tazzina di caffè – rigorosamente senza zucchero
– fino a portarla alle proprie
labbra, lanciando un'altra occhiata al libro di Rukia, mentre un
pensiero lo folgorava,
stimolato dalla copertina e dall’aroma della bevanda.
«
È a lei che si
ispira? Lisbeth, dico. »,
le chiese
con un sorriso, affilando lo sguardo per studiare meglio il trucco nero
che contornava
gli occhi di Rukia, proseguendo lungo il profilo del suo naso fino
all’anellino
a una narice. Forse era anche per questo che si era tagliata i capelli,
anche
se in un’acconciatura molto più sobria di quella
della protagonista di quella
trilogia.
« Cosa
glielo fa
pensare? », domandò con noncuranza lei. Il sorriso
di Lavi si allargò senza che
lui riuscì ad impedirlo.
« Non
è
evidente? »
« La
diverto
così tanto? »
Per
Lavi non aveva alcun senso negare, quando ormai era
evidente.
«
Molto, sì. »
Ma
chissà perché Rukia era convinta che fosse
l’esatto
contrario.
In
tutta risposta, quindi, si portò una mano al naso e
sfilò l’anellino, che subito si rivelò
un piercing con la clip. Falso, insomma.
«
È una
specie... di travestimento? », le chiese quindi il ragazzo,
inarcando un
sopracciglio.
« Lei
è l’ultima
persona nella posizione di farmi una domanda del genere. »,
replicò Rukia con
insensibile calma, facendo un cenno con la mano rivolto alla sua benda
sull’occhio destro, che poteva benissimo essere definita
“da pirata”.
Per
la seconda volta, Lavi cercò di trattenere una
risata, ma questa volta gli fu impossibile. Poi la battuta, se
così si poteva
definire il freddo umorismo di Rukia Kuchiki, era rivolta a lui, quindi
poteva
permettersi di ridere senza sembrare offensivo nei suoi confronti, no?
Ma
si ricompose in fretta, scuotendo la testa.
« Le
è passata
la voglia di prendermi in giro? »
«
Direi di sì. È
meno divertente quando ti rendono pan per focaccia. »
« A
proposito di
pan per focaccia... Lei dice di sapere molte cose su di me, ma io non
so
nemmeno il suo nome. Non mi pare corretto. »,
puntualizzò, mentre lui faceva un
cenno d’assenso.
«
Vero, Lisbeth
odia non conoscere i propri avversari o alleati che siano. »
« E
lei a quale
delle due categorie apparterrebbe? »
«
Questo dipende
tutto dalla decisione che lei stessa prenderà, Rukia. A questo punto, lasci che mi
presenti come il Mikael
Bloomkvist della situazione. »
Il
biglietto da visita che le aveva allungato sul tavolo
recitava a caratteri eleganti:
Dick
Bookman, giornalista freelance.
Rukia
non poté fare a meno di irrigidirsi. Un
giornalista. I suoi sospetti erano
fondati, dunque.
«
Bloomkvist è
un personaggio che non rientra esattamente tra i miei preferiti.
»
«
Eppure Sally
ne è fatalmente attratta. »
« Io
non sono
Lisbeth Salander così come lei non è Kalle
Bloomkvist. »
«
Altrimenti
questo starebbe a significare che lei è fatalmente attratta
da me. », scherzò
lui.
La
ragazza lo fissò per un lungo istante, decidendo ad
occhio e croce che era un bel ragazzo. O meglio, più che
bellezza, aveva carisma.
« Cosa
che trovo
alquanto improbabile. », concluse.
«
Così mi
ferisce... »
« Non
è niente
di personale, mi creda. Non sono attratta dagli uomini. »
«
Capisco. »
«
Neanche dalle
donne. », Rukia si sentì in dovere di precisare di
fronte all’ammirevole flemma
con cui lui aveva interpretato quella che aveva creduto una pacata
affermazione
di omosessualità.
« ...
Ora non
capisco. », replicò quindi Lavi, alquanto
perplesso.
« Non
c’è niente
di difficile da capire. »
«
Così si perde
le gioie migliori della vita, me lo lasci dire. »
« Se
è del sesso
che parla, lasci dire a me che è qualcosa che sicuramente
non mi perdo quando
mi capita l’occasione. »
Lavi
corrugò la fronte. Quella ragazza era una fonte
incredibile di novità. Per un attimo pensò che
non sarebbe riuscito a tracciare
un quadro completo della sua psiche neanche avendo a disposizione
interi
secoli.
« In
pratica sta
dicendo che quando le “capita
l’occasione” è capace di fare sesso con
una donna
o uomo che sia, verso il quale non prova neanche la minima attrazione?
»
Quello
che pensò Rukia, invece, fu come fossero finiti a
parlare di un argomento del genere. Soppesò la sua domanda
per qualche secondo.
« No,
credo che abbia
frainteso le mie parole. Sono stata poco chiara. Per attrazione
intendo...
quello che probabilmente lei chiamerebbe “amore”.
», precisò sempre con la
solita freddezza.
Anche
Lavi esitò un attimo, considerando da vari punti di
vista quella risposta a suo parere... interessante. E anche utile, in
un certo
senso. Si erano spinti a parlare di qualcosa di più
personale. Ottimo,
pensò, tendendosi un po’ di più
sul tavolo.
« Non
crede
nell’amore, quindi. »
Rukia
si strinse brevemente nelle spalle, con fare
indifferente.
«
Mettiamola
così. »
« E
nell’amicizia?
», le sorrise Lavi, sempre più colpito. Ma la sua
aria divertita tornò a
congelarsi come la prima volta che Rukia gli aveva rivolto il suo
sguardo
affilato, mentre lei tornava a posare le mani intrecciate sul tavolo,
lentamente.
«
Credo
nell’egoismo dell’essere umano, signor Bookman.
»
E
quelle parole, erano cariche di una veemenza
devastante, nonostante fossero state pronunciate nel tono
più calmo e pacato
che Lavi Bookman avesse mai udito. Come se fossero state lentamente
forgiate da
anni e anni di confronto con un mondo che non aveva fatto che rivelarsi
immancabilmente crudele e sì, egoista,
agli occhi di quella piccola ragazza di cui Lavi si trovò ad
ammirare ancora
una volta la maturità nella voce, che, al contrario del suo
aspetto, sapeva
molto più di donna vissuta.
Si
concesse altri secondi per riunire i propri pensieri,
visto che il tono e gli occhi di lei avevano lo strano potere di fargli
perdere
il filo del discorso. Per un attimo, considerò di non aver
mai incontrato un
individuo che avesse avuto la capacità di risvegliare il suo
interesse così
prepotentemente come aveva fatto lei in neanche mezz’ora di
colloquio.
« Se
io la posso
chiamare Rukia, allora insisto perché lei mi chiami Lavi.
»
«
Lavi...? »
ripeté lei. Per il ragazzo dai capelli rossi era la prima
volta che si
presentava con quel nome, e trovò che pronunciato da Rukia,
gli calzasse
incredibilmente a pennello. E dire che aveva scelto a caso solo qualche
settimana prima.
«
Sì, Dick è
solo uno pseudonimo per il lavoro. »
Uno dei tanti.
Rukia
sembrò riflettere per un istante.
« ...
Lavi,
allora. Non mi ha ancora detto il motivo per cui mi ha chiesto di
incontrarla.
Se non è per i soldi, per che cos’è?
»
Lavi
le regalò l’ennesimo sorriso, improntato di
furbizia
questa volta, mentre si passava appena un dito sulle labbra.
« Io
non ho mai
detto che i soldi non c’entrino. »
« Ma
io-... »
« Non
parlo dei
suoi, Rukia. », la interruppe lui prima che potesse ribadire
le sue scarse
condizioni economiche. « E nemmeno di quelli che la sua
famiglia mi darebbe se
vendessi a loro l’informazione. »
La
ragazza esitò ancora. Improvvisamente, il sorriso di
lui le era parso più minaccioso di quanto le fosse sembrato
per l’intera durata
della serata. Senza sapere ancora perché, si
sentì già in trappola.
« Ora
sono io
che non capisco. », avanzò cautamente, mentre Lavi
si tendeva ancora di più sul
tavolo verso di lei, abbassando il tono di voce con fare confidenziale.
« Cosa
fanno i
giornalisti, Rukia? Perdoni la domanda ovvia, non sto cercando di
trattarla
come una stupida. »
«
Direi che scrivono
storie. », rispose dopo un attimo di prudente riflessione.
«
Raccontano
stralci di vita, mi piace più vederla in questo modo.
», le sorrise
affabilmente lui. Rukia sentì un moto di irritazione salirle
dentro, come prima.
Chissà come, quel ragazzo aveva il potere di colpirla in
modo di far cadere le
sue fredde e imperturbabili difese. Si impose di restare calma come
sempre.
«
Arrivi al
punto. »
Lavi
usufruì di una pausa ad effetto per rendere le sue
parole ancora più cariche di tensione, che sciolse
lentamente usando un tono
carezzevole.
«
Nessuno ha mai
scritto della vita di sua sorella Hisana. E neanche... della sua morte.
O
almeno, nessuno ha mai scritto la verità. »
Rukia
Kuchiki rimase impassibile.
Rukia
Kuchiki che non ci pensò neanche due volte prima di
afferrare il proprio libro e la borsa, estrarre dalla tasca una
banconota e
qualche spicciolo per pagare le patatine che aveva ordinato, ed alzarsi
rigidamente composta.
« Il
nostro
colloquio finisce qui. »
Lavi
spalancò gli occhi sorpreso, alzandosi a sua volta.
« Mi
dispiace se
l’ho ferita, non-... »
« Lei
non ha
idea di quello di cui sta parlando. », lo interruppe Rukia.
La voce le era
uscita più inferma di quanto avesse voluto, mentre stringeva
un pugno lungo un
fianco. Si sentiva paralizzata, un pezzo di legno.
Lavi
aprì la bocca per replicare, ma si zittì subito,
con
aria dispiaciuta. Dopo qualche secondo riprese.
« Ed
è
esattamente per questo le sto proponendo una collaborazione.
», sospirò,
passandosi una mano alla base del collo. « Rukia... mi
dispiace. Sinceramente. Mi sono
espresso senza il
minimo tatto, capisco la sua reazione, è comprensibile.
»
No, tu non capisci proprio un bel
niente,
sibilò
Rukia mentalmente, senza riuscire ad aprir bocca.
«
Però... mi
ascolti. Mi dia solo un secondo. Poi è libera di andarsene
da qui, e se vuole
io non mi farò più rivedere. Non mi
azzarderò neanche a vendere questa
informazione, si fidi. Non
è mia
intenzione rovinarla, neanche se non mi vuole aiutare. »
Rukia
rimase ancora in silenzio, fissandolo con astio.
Lavi prese fiato, interpretandolo come un muto consenso.
«
È vero, molti
punti di questa faccenda mi sono oscuri. Principalmente sono le
dinamiche
familiari dei Kuchiki che non capisco. Eppure... eppure mi creda quanto
le dico
che è anche vero che io so cose di cui è lei
a non avere idea. »
Cosa?
Cos’era
che Rukia non sapeva? Per un breve istante si
sentì divorare dal tarlo della curiosità e della
vendetta. Ma poi si rivide,
sola, con in mano un mazzo di fiori e il vento che le scompigliava i
capelli
come una carezza, e lo sguardo velato lacrime che però non
le impedivano di
leggere il nome di sua sorella scolpito nella pietra della sua tomba,
dove
avrebbe passato il resto di quella che sarebbe stata la sua vita.
Hisana Kuchiki
21 febbraio 1979 -14
settembre 2011
Sorella e moglie amata.
Non
avevano scritto neanche il suo vero cognome,
quei bastardi. Eppure non l’avevano
nemmeno seppellita nella cripta di famiglia con gli altri membri dei
Kuchiki.
Rukia
chiuse gli occhi, mentre la voce di Lavi le arrivò
ovattata alle orecchie.
«
Insieme
potremmo portare alla luce la verità, Rukia. »
Quale
verità? Le la sapeva già, la verità.
Hisana era morta.
E
questo non sarebbe mai potuto cambiare.
Quando
li riaprì, si sentiva molto più sicura di
sé,
anche se non tanto da sciogliere i pugni che aveva serrato lungo i
fianchi. Prese
fiato. Lei, al contrario di Hisana, poteva farlo.
« Non
permetterò
mai che quel poco che rimane di mia
sorella sia venduto in questo modo. »
Lavi
parve stupito.
«
Neanche se le
stessi offrendo la vendetta su un piatto d’argento?
»
Le
labbra di Rukia tremarono per un secondo, mentre si
costringeva a serrare i denti per impedirne il fremito. Eppure la
fermezza nei
suoi occhi non vacillò neanche per un istante.
« Mai. »
Lavi
Bookman, tornatosi a sedere sulla panca di legno,
osservò silenziosamente la figura di Rukia Kuchiki mentre si
dirigeva a passo
svelto verso l’uscita del ristorante. Sulla porta, quasi si
scontrò con un uomo
di mezza età che stava entrando in quel momento per
raggiungere la famiglia già
seduta a qualche tavolo di distanza da quello che avevano condiviso
loro due
fino a qualche minuto prima. La ragazza buttò lì
qualche parola di scusa e si
allontanò prima che l’uomo avesse anche solo la
possibilità di replicare.
Era
sconvolta, anche se aveva fatto di tutto per non
darlo a vedere di fronte a lui.
Ottimo,
pensò ancora una volta con l’ennesimo sorriso,
nascosto dalla tazzina che
si era riportato alle labbra, mentre faceva un cenno di saluto verso
Rangiku
Matsumoto che passava in quel momento al suo fianco per accogliere il
nuovo
cliente.
Questo
caffè è davvero ottimo.
Era
andato tutto esattamente come Lavi Bookman aveva
previsto.
-
NDA n.2:
... Lavi, fattelo dire, sei un vero bastardo. /facepalm/
Se
il LaviRuki come pairing vi intriga, vi consiglio VIVAMENTE di dare
un’occhiata ai profili di N e m e
e Angy_Valentine,
che sono delle ottime
scrittrici e hanno fatto dei veri capolavori su di loro!
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