Warnings:
Fluff (kind of); H/C (kind of anche qui)
Word
Count: 971
(fdp)
Disclaimer: Magari
fossero roba mia. Li tratterei meglio dei loro veri possessori e_e
N/A: Scritta
per 500themes_ita,
prompt #209.
Moralità colpevole
─
IDEK, volevo solo un po' di fluff su questi due. Tutto quello che
voglio da questo show è un po' di fluff su questi due, ma il
mondo non vuole darmelo. Mondo, sei brutto e cattivo.
─
Timeline indefinita. Diciamo da qualche parte tra la prima e la seconda
stagione.
Unspoken
Una
delle prime cose che, una volta vampiro, Damon aveva imparato ad
ignorare era il senso di colpa. O, per meglio dire, il concetto di
colpa in generale. Quello di responsabilità ─ che il resto
del mondo ci credesse o meno ─, rimaneva ancora annidato da qualche
parte dentro di lui, e no, non erano la stessa cosa, e sì,
si poteva vivere anche in quel modo.
Lui
ci riusciva.
(Una
vocina all'interno della sua testa a volte gli suggeriva malignamente
che in fondo lui poteva permetterselo perché sapeva che
c'era Stefan a portare il peso della coscienza di entrambi, ma quella
voce riusciva a farsi sentire solo dopo due o tre bicchieri di buon
liquore, quindi non gli era affatto difficile metterla a tacere con una
semplice scrollata di spalle).
…
o comunque ci riusciva per la maggior parte del tempo.
Ci
riusciva fino a quando Stefan non ci si metteva di mezzo, ecco.
Il
problema era che Stefan ci si metteva sempre di mezzo in un modo o
nell'altro.
*
Il
motivo del loro ultimo litigio, Damon non se lo ricordava. Non dava
molta importanza a quel genere di cose, e comunque, tra tutti e due,
non è che avessero molta fantasia in proposito.
Al
novanta per cento, quando litigavano, era a causa di Elena. O per
qualche recriminazione su Katherine. A volte, sempre più
raramente, era a causa di qualche “brutale attacco da parte
di un animale selvatico”. Poi discutevano parecchio anche sui
turni in lavanderia, ma difficilmente si prendevano a pugni per un paio
di magliette sporche.
Ad
ogni modo, non era stato un litigio importante. Niente parole
particolarmente pesanti. Niente minacce di eternità di
miseria. Niente pezzi di legno infilati nello stomaco dell'uno o
dell'altro.
(La
loro relazione stava migliorando un sacco, davvero).
Niente
per cui sentirsi in colpa, insomma.
Sennonché...
«Cos'è
quello?»
Stefan,
che si stava giusto preparando per andare a dormire,
sobbalzò e si girò di scatto, trovandosi faccia a
faccia con il fratello. Era sorpreso non tanto dell'esserselo trovato
improvvisamente alle spalle, quanto piuttosto del sentirsi rivolgere la
parola. Dopo una lite, di solito, tendevano ad ignorarsi a vicenda fino
a quando non era strettamente necessario ritornare a parlarsi o a
prendersi a pugni.
In
quel momento, però, Damon non gli sembrava incline alla
violenza. A dire il vero aveva un'espressione molto curiosa in volto,
qualcosa che non gli riuscì di identificare.
«Quello
cosa?», domandò allora, confuso.
Damon
alzò un dito e glielo puntò contro la faccia,
quasi all'altezza del naso.
«Quello».
Stefan
batté le palpebre un paio di volte, indeciso se voltarsi o
meno. Non si fidava ancora molto a dare la schiena all'altro.
«Di
cosa stai parlando?», chiese ancora.
Per
tutta risposta, Damon gli schiacciò la punta del
polpastrello contro uno zigomo.
Stefan
pensò che fosse impazzito, o ubriaco, o entrambe le cose, ma
poi un dolore lento e pulsante iniziò a diffondersi su tutta
la superficie della guancia.
«Ahi!»,
esclamò, schiaffeggiando via la mano di Damon.
Suo
fratello lo guardava ancora con un sopracciglio sollevato, ma non
sorrideva.
Toccandosi
il volto, Stefan lo trovò caldo. E c'era un punto, tra lo
zigomo e l'occhio, che gli doleva anche solo a sfiorarlo. Senza
prestare più alcuna attenzione all'espressione dell'altro,
si diresse verso il bagno e si accostò alla grande
specchiera macchiata di dentifricio al di sopra del lavandino.
«...
Oh!», esclamò, quando infine vi si
ritrovò davanti.
Damon,
dietro di lui, incrociò il suo sguardo nello specchio.
«Che
cos'è?», domandò ancora, quasi
ringhiando.
«Uhm»,
mormorò Stefan. «Credo sia un livido»,
ammise.
Due
minuti dopo, Damon stava ancora urlando.
«Un
livido!», ruggì. «I vampiri non hanno
lividi!»
Seduto
a gambe incrociate sul suo letto, Stefan si strinse nelle spalle,
seriamente confuso dalla reazione del fratello.
«Te
l'ho detto che la mia dieta ha degli effetti collaterali»,
ribatté con calma. «Sparirà in un paio
d'ore».
«Sono
già passate più di un paio d'ore da
quando...»
Da
quando te l'ho fatto,
stava per dire. La voce gli morì in gola. Non capiva
perché quell'occhio nero lo turbasse tanto: di sicuro si
erano fatti ben di peggio, in passato. Una volta si erano addirittura
sparati addosso a vicenda. Ma su di loro non erano mai rimaste
cicatrici, o lividi, o qualsiasi altro segno tangibile a parte dei
vestiti sporchi o strappati. È per questo che era sempre
stato così facile dimenticare, o perlomeno fingere di farlo.
Ora
non riusciva a guardare in faccia suo fratello senza provare un moto di
collera. E non verso Stefan, questa volta.
«Sei
patetico», borbottò comunque al suo indirizzo.
Voleva suonare derisorio, ma non riuscì a nascondere del
tutto la rabbia. «Il vampiro più debole e patetico
che abbia mai conosciuto. Se il patetismo fosse una persona, quella
persona saresti tu».
Prese
una bottiglia a caso dalla scrivania di suo fratello e si
versò due dita di quello che si rivelò poi essere
scotch, continuando a biascicare improperi tra i denti.
«Non
ti denuncerò alla protezione minori, se è questo
che ti preoccupa», replicò Stefan, sorridendo
appena. La situazione cominciava a divertirlo.
«Fallo,
invece. Magari mandano i servizi sociali ed è la volta buona
che mi libero di te».
Il
sorriso di Stefan si allargò ancora un po'.
Pensò
di dirgli che era davvero carino quando si preoccupava per lui (anche
se un po' ridicolo, a dirla tutta), ma alla fine decise di non
infierire.
In
fondo nemmeno lui ricordava più il motivo per cui avevano
fatto a botte poche ore prima.
«Buonanotte,
Damon», disse invece, chiudendo gli occhi e lasciandosi
cadere all'indietro sul materasso.
Damon
lo fissò per qualche istante, ancora risentito.
Pensò
di dire patetico
idiota che non sei altro,
ma non aveva voglia di ripetersi.
Pensò
di dire buonanotte,
ma non lo fece.
Pensò
di dire mi
dispiace,
ma si morse la lingua.
«Vai
tu in lavanderia, domani?», domandò ancora Stefan,
con un tono quanto più possibile casuale.
Di
nuovo silenzio, meno astioso questa volta.
«D'accordo»,
rispose infine Damon. Poi uscì velocemente dalla stanza di
suo fratello, premurandosi di sbattersi la porta alle spalle.
«Patetico
idiota che non sei altro», mormorò al corridoio
vuoto, ma sorrideva.
|