Till
your last breath
PARTE
PRIMA
~
CAPITOLO
1
FIRST SIGHT
Era
una tipica giornata invernale nel Distretto 2. La neve cadeva in
lenti vortici candidi, celando sotto le sue coltri il paesaggio del
Distretto e tingendo tutto ciò che toccava di un bianco
cristallino,
quasi irreale.
Quando
fuori faceva così freddo la cosa più bella che si
potesse fare era
restare al caldo, magari avvolti in una morbida coperta di lana,
vicino ad un camino scoppiettante e con un tazza calda tra le mani.
Ma qualcuno preferiva il contrario.
Essere
fuori, all’aperto, con addosso più strati di
vestiti che di pelle,
correndo nella neve e sprofondandovi, con gli stivali inzuppati e le
dita umide dei piedi, le guance arrossate dal freddo e le labbra
screpolate.
Questo,
senza ombra di dubbio, era più divertente.
Clove
osservava la neve cadere da dietro una grande finestra chiusa. Il
caldo del salotto di casa sua era confortevole ed accogliente e la
bevanda che le aveva preparato sua madre la riscaldava
dall’interno
ma... ma mentre seguiva con lo sguardo gli altri bambini che
giocavano a palle di neve, facevano angeli per terra e sfrecciavano
in ogni direzione con gli slittini di legno, sentì una punta
di
invidia.
Clove
amava l’inverno. Amava l’avventura. Amava la neve.
Le piaceva
anche il freddo, ma solo quando era all’aperto e poteva farlo
passare correndo.
Eppure
quella domenica non le era permesso uscire, pensò sbuffando.
Posò
la tazza, ormai vuota, sul tavolino di legno di fianco al divano dove
si era messa per fissare gli altri ragazzini e si sistemò
con stizza
il fiocchetto rosso di velluto che sua madre Maryse le aveva
appuntato tra i capelli corvini. Odiava sembrare una dolce e brava
bambina. Soprattutto perché non lo era affatto. Clove, otto
anni,
era la ragazzina più indisciplinata del Distretto, tanto che
i
bambini del suo quartiere avevano paura di lei e le giravano allargo
quando la vedevano avvicinarsi. Ma del resto la sua reputazione se la
era guadagnata. Non le piaceva stare in compagnia degli altri bambini
della sua età, per questo preferiva starsene sola. Ma
comunque sua
madre amava conciarla come una bambolina e lei non poteva far altro
che lasciarglielo fare. In fondo a lavoro finito sembrava davvero
una bambola, pensò Clove, scorgendo la sua immagine riflessa
nel
vetro della finestra: capelli neri come la notte e mossi come le onde
del mare in tempesta. Occhi di un blu scuro e intenso che con il buio
sembravano quasi neri. Pelle candida come porcellana e una
spolverata di odiose lentiggini sul naso e sulle guance; labbra
piccole e rosse che in quel momento si incurvarono ai lati,
dipingendole in viso uno studiato sorriso da brava bambina. Clove
sorrise alla sua immagine riflessa, pensando che non doveva farne poi
una così grossa tragedia: solo poche ore e poi avrebbe
potuto uscire
fuori a rovinare il divertimento agli altri bambini. Quel pensiero
parve elettrizzarla. Forse non era del tutto normale che una bimba di
otto anni si divertisse spaventando i suoi coetanei. Ma Clove era
fatta così. Per esempio quando trovava un pupazzo di neve,
probabilmente costruito con tanta cura e dedizione da qualche altro
bimbo, non poteva fare a meno di distruggerlo. Non capiva cosa ci
fosse di male. Era divertente!
Quando
qualcuno bussò alla porta la bambina balzò in
piedi, mettendo da
parte i ricordi delle sue scorribande e lisciandosi le pieghe della
gonna rosso vinaccio, come il fiocchetto che aveva tra i capelli. Sua
madre e suo padre sbucarono dalla cucina e si precipitarono
all’ingresso. La mamma indossava ancora il grembiule ma se ne
liberò in pochi secondi e lo gettò con noncuranza
su una sedia
nell’ingresso. Clove li seguì a qualche passo di
distanza, mentre
loro aprivano la porta, cercando di mascherare l’espressione
scocciata ed annoiata che aveva sul volto.
Ed
ecco apparire davanti ai suoi occhi la causa della sua reclusione in
una così bella domenica invernale. Gli amici dei suoi
genitori.
Clove
non se li ricordava minimamente. Sapeva solo che suo padre e
l’uomo
lavoravano assieme ed erano due pezzi grossi nell'industria del
Distretto. Mamma e papà le avevano anche detto che erano
stati loro
ospiti parecchie volte dalla sua nascita. Probabilmente era troppo
piccola per ricordarselo. O forse non le importava proprio,
pensò
Clove osservando a turno i visi sconosciuti della donna e di suo
marito. I suoi genitori salutarono calorosamente gli ospiti,
cominciando subito con i convenevoli di rito, i complimenti e le
domande da copione. Clove rimase alle loro spalle, con le mani
intrecciate dietro la schiena, mordicchiandosi un labbro in attesa
che i grandi la smettessero di parlare. Ma mentre fissava i volti dei
nuovi arrivati cercando di ricordarsi qualcosa di loro, i suoi occhi
ne incontrarono un altro paio.
Erano
azzurri come il cielo d’estate o come il ghiaccio in cima a
una
montagna altissima. E le parvero curiosi e beffardi. Improvvisamente
si ricordò che anche quei due sconosciuti avevano un figlio.
Glielo
aveva detto sua madre la sera prima.
Il
ragazzino doveva essere solo qualche anno più grande di lei
e
continuava a fissarla con le labbra piegate in un sorriso di scherno.
Clove, in risposta, lo osservò con aria di sfida e un
sorrisetto
divertito, mentre la tanto studiata espressione da bambina innocente
lasciava il suo viso.
«Oh
Clove! Santo cielo come sei cresciuta!» Esclamò la
donna della
quale Clove non si era ricordata il nome almeno fino a quando non
aveva sentito sua madre chiamarla Grace. La piccola distolse lo
sguardo per posarlo su di lei. Era una signora ben curata sui
quarant’anni con i capelli color biondo miele raccolti in
un’acconciatura impeccabile, un tailleur elegante di un verde
smeraldo, gli occhi di un castano intenso e un’espressione
calorosa
sulle labbra rosse. Era molto diversa da sua madre, che invece non
dava mai troppo peso all’aspetto esteriore, figurarsi
indossare un
tailleur o raccogliere i capelli in quel modo! L’uomo dietro
di lei
invece sembra più vecchio perché nei capelli
castani si
intravedevano ciuffi di grigio e in più la sua espressione
sembrava
tirata, quasi finta e sicuramente meno entusiasta di quella della
moglie, visto che guardando l’orologio ad intervalli
regolari, con
una strana espressione in volto, come se avesse fretta.
Bé,
allora non era l’unica che non vedeva l’ora che
quel pranzo
finisse. E pensare che non era ancora nemmeno cominciato.
«Clove,
ti ricordi di lui?» Le chiese sua mamma, indicando il
ragazzino
spavaldo che la donna, Grace, stava spingendo in avanti senza molto
garbo.
«Credo
proprio che non se lo ricordi, dico bene Clove?»
La
bambina scosse la testa senza parlare.
«Suvvia,
non essere maleducato!» Esclamò Grace rivolta al
figlio. Il
ragazzino la guardò con astio e con una smorfia indistinta
sulle
labbra. Quell’espressione era davvero irritante,
pensò la bambina
mentre studiava con sguardo indagatore il ragazzo biondo. Alla fine
lui posò di nuovo lo sguardo su di lei, fece un passo avanti
e
allungò la mano nella sua direzione.
«Ciao.
Io sono Cato.»
«Clove.»
Sussurrò la piccola, con voce vellutata.
~
SPAZIO
AUTORE
Salve
a tutti popolo di efp! Eccomi per la seconda a pubblicare qualcosa su
questi bellissimi libri. Questa volta però ho deciso di
spostare la
mia attenzione non sui protagonisti, bensì su quelli che,
per certi
versi, potrebbero essere definiti gli antagonisti della storia: Cato
e Clove.
Di
fatto, sappiamo ben poco di loro: che vengono dal Distretto 2, che
sono forti ed allenati, che vogliono vincere. Ma cosa sappiamo
veramente
di loro? Bé, io
direi nulla.
Per
questo ho deciso di scrivere la mia fanfiction. Credo che anche loro
si meritino un passato, una vita e una loro storia.
Ma
ora passiamo alla fanfic. Il primo capitolo è una sorta di
introduzione ai personaggi principale e le loro famiglia. Ed
è anche abbastanza corto e
posso dirvi che anche i prossimi non saranno lunghissimi. Ma
c’è
un perché. I capitoli a seguire, più o meno fino
al quinto, saranno
sul passato più remoto di Cato e Clove, quando erano ancora
dei
bambini. Per questo potrebbe capitare che, tra un capitolo e un
altro, ci sia un grandissimo sbalzo temporale, anche di anni. Ma
capirete meglio leggendo, lo giuro ;)
Ed
ora... bé, direi che posso anche smetterla di tediarvi con
tutto
questo poema e lascio la parola a voi. Non so ancora se la storia
sarà un flop totale oppure no, ma mi farebbe davvero davvero
piacere
sentire cosa ne pensate
voi. Quindi... sentitevi liberi di recensire ;)
Ora
vi saluto e, ovviamente, possa la fortuna essere sempre a vostro
favore u.u
~
C