Apologia di una Writer: ovvero, come si
consiglia di arrivare fino in fondo e di leggere le note finali, prima di
protestare (eventualmente).
Stagioni
–Make a baby-
By
elyxyz
Capitolo IV –
Epilogo.
Ma come mai il tempo fugge già,
le stagioni ora sono realtà,
E' tornato il vento e l'amore va,
com'è strano essere amici io e te,
eravamo ieri amanti io e te.
(Nomadi, Stagioni)
Gregory House aveva da poco finito
il suo turno di lavoro, quel venerdì pomeriggio, e sedeva scompostamente su una
delle panchine libere del piccolo parco di pediatria del Princeton
Plainsboro Hospital, guardandosi pigramente attorno.
James Wilson aveva venduto metà
della propria anima al Direttore Sanitario, per ottenere che quel fazzoletto di
terra venisse bonificato e reso idoneo al suo scopo.
Il diagnosta ghignò tra sé, al
ricordo. Ma, alla fine, il buon Jimmy c’era riuscito.
E adesso un allegro vociare giungeva alle sue orecchie. Il
fastidioso strepitio dei piccoli pazienti felici di poter fare un giro sulle
giostre, una discesa dallo scivolo, un turno in altalena.
Il medico li fissava distrattamente, e si chiedeva dove mai
trovassero ancora la forza di gioire, di attaccarsi con le unghie alla vita, con
quei corpicini straziati dal male.
Una palla colorata rotolò fin quasi ai suoi piedi, ma non si
scomodò a prenderla.
Bastava allungare il suo inseparabile bastone e colpirla,
per restituirla al padrone poco lontano, invece preferì lasciarla scivolare
oltre. Avrebbe potuto, ma non lo fece.
Una bambina castana gli corse incontro, i codini che
svolazzavano al vento “Greg! Greg!”
Il dottor House accennò un sorriso, curvando poi le labbra
con finta serietà: “Quante volte ti ho detto che non
mi devi chiamare per nome, piccola marmocchia?!”
“Sì, papà.” Rispose lei, ubbidiente.
Lui si chinò ad abbracciarla.
“Brava la mia marmocchietta…”
La bimba ricambiò la stretta con uno slancio d’affetto.
“E’ stato lungo il viaggio?” s’interessò lui, ancora un po’ impacciato
in quei convenevoli.
“Un po’. Ma ho visto tante cose dal finestrino…”
Oh, sì. Gregory non dubitava
affatto che le corsie dell’autostrada fossero un’occasione estremamente
interessante e istruttiva, sotto vari fronti. Il senso di marcia, e quello al contrario.
Magari.
Ma non ebbe cuore di contraddirla. “La mamma dov’è?” chiese,
notando solamente in quel momento che era da sola.
Lei si strinse nelle spalle.
“Sta arrivando, ma è una lumaca! Così io sono corsa qui…”
gli spiegò.
Il medico sogghignò per l’irriverente similitudine, prima di
disapprovarla.
“Non dovresti…”
“Susan! Quante volte ti ho detto di
non allontanarti da me, senza permesso!” la sgridò da lontano, apprensiva, una
voce familiare.
“Ma c’era papà…” tentò di giustificarsi lei, aggrappandosi
alla giacca dell’uomo.
Lisa arrivò trafelata, con armi e bagagli al seguito.
E un’altra bambina addormentata in braccio.
“Bentornata, Cuddy.” S’intromise,
come se considerasse l’argomento chiuso.
“Ciao, House. Ti vedo
in forma! Bastone nuovo?” ansimò, sedendoglisi
accanto.
“Il bastone è lo stesso dell’ultima volta; ma riprendi fiato, prima di farti stroncare da un infarto.” Rispose
sollecito, per poi rincarare: “Sta per esploderti la camicetta! Dovresti
smettere di comprarle due taglie in meno della tua…” la canzonò, divertito,
fissandole senza ritegno il generoso decolleté.
“Posso andare a giocare, mamma?” li interruppe la bimba,
strattonandole il vestito.
“Certo che puoi, Susan, ma…”
“…resta dove ti posso vedere.” Terminò la piccina, con fare
compassato, al posto suo. E si allontanò verso i giochi.
“Riesce a tenerti testa! E’ proprio mia figlia…” disse Greg, con una punta di malcelato orgoglio.
“Non pensavo che la testardaggine fosse una dominante
genetica ereditaria.” Si rammaricò lei, scuotendo la
testa, rassegnata. “Sue diventa ogni giorno più cocciuta.”
“E Mary?” chiese, annuendo in direzione della bimba che
riposava sul seno materno.
“Marian è più ragionevole.”
“Ha ancora quegli attacchi d’asma?”
Lisa sospirò.
“Meno di frequente. Ma gli antistaminici le creano molta
sonnolenza.”
“Migliorerà con l’età.”
“E’ la peggior prognosi che abbia mai
sentito.” Si lamentò, scettica.
“Mi sono mai sbagliato?!” Replicò
lui, punto sul vivo.
“Di rado, devo concedertelo.” Ammise, accarezzando dolcemente
la testolina riccia di fronte a sé.
“E tu… come stai?” si sforzò di chiederle, celando la
sollecitudine in un tono disinteressato.
“Come una che è sempre di corsa!” sbuffò, stancamente, controllando
che Sue non cadesse dallo scivolo.
“Non ho capito perché non porti mai la tata giovane e carina
con voi.” Le suggerì, amabile.
“Perché io non sono così sprovveduta,
e lei è impressionabile. Quindi non
voglio che si licenzi dopo averti conosciuto.”
House stiracchiò le labbra in una smorfia che sapeva di
sorriso. Quella era la Cuddy che voleva sentire al suo fianco.
“Tu, invece, stai invecchiando! Perdi colpi. Non hai più il
buon vecchio mordente.”
“Hai ragione, dovrò andare a rileggermi il manuale del Marzipan House.”
“‘Hansel e Gretel’
non funziona, con quelle due pesti.”
“E’ che quando arrivano le ragazze tendo ad affogare nella
melassa, per prepararmi spiritualmente… qualche giorno prima sfogo il mio
malumore sui paperotti… pensa che ieri Cameron mi ha persino mandato al
diavolo! E Chase si è quasi messo a piangere, quando
l’ho rimproverato… ma ha le sue cose, quindi è
emotivamente instabile.”
Lei rise piano, divertita.
“So che muori dalla voglia di aggiornarmi sui pettegolezzi,
quindi spara, dai!”
Greg s’accomodò meglio sul legno.
“Wilson intrattiene ancora relazioni illecite con le sue pazienti terminali,
per compassione.”
“Per compassione.” Ripeté lei, scettica.
“Sì, lo sai che è troppo sensibile.”
Fu la doverosa precisazione del diagnosta, che
tuttavia le lanciò un’occhiataccia che i due sapevano sottendere a ben altro.
“Continua… i tuoi assistenti?” chiese, sinceramente
interessata, e in parte spiritualmente partecipe, per la malasorte di quei
poveri ragazzi.
“Fiocco di Neve corre ancora dietro alle infermiere di
maternità; ma, in compenso, l’ho promosso perché ha imparato a fare un ottimo caffè.”
“Eh, certo! E’ un requisito fondamentale nel curriculum di
ogni medico neurologo.” Lo canzonò, bonariamente.
“Chase e Cameron
convivono da 6 mesi. E ancora, ogni mattina, Koala-man
– ma io lo chiamo ancora affettuosamente ‘Giuda’ - arriva allo studio 10 minuti
dopo di lei… e sono convinti che non me ne sia accorto! Quegl’idioti
mi sottovalutano… ne sono quasi offeso.”
“Forse temono – a ragione – di venir
bersagliati continuamente dalle tue sfrecciatine…” tentò la donna, conciliante.
“Perché, secondo te, io me le risparmio?!”
“No. Effettivamente no.” Concesse, confortata dal fatto che
certe cose restavano uguali a se stesse, dopotutto.
Il diagnosta si passò il bastone
da una mano all’altra, con un movimento un po’ nervoso.
“Lisa… ho sentito… qui circolano strane voci, su un tuo
possibile ritorno…” buttò lì, con noncuranza.
Lei scosse la testa, bonariamente rassegnata.
“Sono solo voci, e
tali rimarranno.
Mi piace Atlantic City e le
bambine si trovano bene lì. E non ho nessun rompiscatole particolare da dover
tenere al guinzaglio.”
Lui sorrise malandrino.
“La verità è che ti manco. Senti la mancanza del filo da
torcere che ti davo…”
“Oh, sì, come no?! La mia ulcera ti
ringrazia ogni mattina!
Ma dimmi… gira ancora quella leggenda metropolitana su una
tua fantomatica proposta di matrimonio, che io avrei
disgraziatamente rifiutato?”
Greg fissò il parco davanti a lui,
figurandosi però il terzo cassetto del comò in camera da letto, quello dove
occultava i calzini spaiati e le magliette vecchie che non usava più. Pensò al
fondo di quel cassetto. Ad una piccola scatolina di velluto blu con la scritta argentata,
sepolta dal resto.
E sorrise.
“Mi domando chi sia stato quell’idiota
che ha messo in circolazione certe sciocchezze…” le rispose, con una punta di
scandalizzata derisione.
La Cuddy stava per assentire, quando un
pigro movimento richiamò la sua attenzione. I due adulti tacquero, osservando Marian risvegliarsi lentamente, sbadigliando senza
complimenti.
Si stropicciò gli occhietti, ancora assonnata.
“Siamo arrivati, mamma?” sussurrò, prima ancora di mettere a
fuoco dove si trovasse e con chi.
“Sì, tesoro.” Le confermò la donna, posandole un bacio sulla
fronte.
La piccola si rannicchiò un po’ più contro di lei, faticando
ad uscire dalle maglie del sonno.
Poi l’allegro strepitare attorno a lei le
colpì i sensi, destandola.
La bambina si svegliò di colpo, puntando l’attenzione sull’uomo
seduto vicino.
“Papy!”
“Ciao, rannocchietta.”
Marian scese dalle ginocchia
materne per risalire su quelle del padre, e stampargli un sonoro bacio sulla
guancia ruvida.
“La tua barba punge!” sbottò, contrariata, pulendosi le
labbra col dorso della manina.
L’altro si strofinò rudemente un palmo sullo zigomo. “Macché,” si lasciò sfuggire “mi sono rasato ieri, apposta per
voi!”
La bimba non poteva cogliere i sottintesi di una frase così,
ma essi non sfuggirono a Lisa, che ne gioì in cuor suo.
Solo lei conosceva i compromessi a cui
Greg era sceso, nel corso tempo, per amore delle
figlie, e ne riconosceva l’encomiabile impegno.
“Come stai, rospetta mia?” le
chiese, stropicciandole i capelli ricci.
“Bene, papy… ma mi sei mancato!”
Il burbero misantropo rimase colpito dalla genuinità di quell’affermazione. Sentì un leggero rimescolio allo
stomaco. Una frase così avrebbe fatto inorridire il vecchio Greg
House, che sarebbe corso ai ripari liquidando quello slancio smielato con una
battuta sarcastica e un affondo ben piazzato, giusto per prevenirne i guai.
“Ti ho portato un regalo!” riprese la bimba, incurante delle
sue riflessioni, e gli porse un foglio bianco tutto stropicciato, tirato fuori dalla tasca della gonnellina.
Gregory lo aprì, lisciandone i
bordi sgualciti.
Un Omino Testone di carta lo fissava con aria severa, fidato
bastone alla mano, assieme ad altre quattro figure.
“Sei tu,” Mary lo indicò col il
ditino “e zio Wilson” – l’inconfondibile oncologo con tanto di cravatta
multicolore – “Chase, Foreman...”
– due ometti vicini, uno dai capelli giallo canarino, e l’altro color
cioccolato - “Ally…”
“Questa è Cameron?” chiese,
additandola. “Ma Cameron non è bionda!” la corresse.
Marian fece spallucce: “A me
piaceva di più così.” Rispose, come se fosse
un’ovvietà.
“Sai che hai ragione? Le dirò di farsi le mèches!”
La Cuddy sperò vivamente che scherzasse,
anche se da lui ci si poteva aspettare questo ed
altro.
Greg ripiegò la carta.
“Grazie del bellissimo disegno. Lo appenderemo sul frigo di
casa.” Propose, archiviando l’evento.
“Perché?” chiese lei, sorpresa.
“Come, perché?! Perché così posso tenerlo per
ricordo!” spiegò, con logica lineare.
“No, papy!” protestò Marian, rabbuiandosi.
“Perché?!” ripeté lui, stavolta,
scimmiottandola.
“Lo devi attaccare nel tuo studio, sennò gli altri non lo
vedono!” protestò la piccola, quasi offesa.
“Ma è per me, o per gli altri?!” il
medico sogghignò, prima di divertirsi a metterla in difficoltà.
Lei parve pensarci un po’ su, poi ribatté: “E’ tuo, ma così Came-… Ally si decide!”
“Mi hai convinto.” Capitolò. - E lei fece un enorme sorriso
sdentato. - “Ma ora vai a giocare con tua sorella!” e le diede una piccola
spinta d’incoraggiamento.
Quando si fu allontanata, si rivolse alla donna che era
rimasta in silenzio per tutto il tempo, gustandosi la scena.
“Dimmi che non è sempre così!” esalò, con l’impressione di
essere uscito malconcio da una disputa dialettica.
“Non è sempre così.” Concesse Lisa “Di solito è peggio.” E sorrise del suo sguardo
scandalizzato. “Ma riprendiamo il discorso di prima: parlami di Pendler, come se la cava?” s’incuriosì, lasciando per un
momento la sua indiscrezione professionale correre a briglia sciolta.
“Stranamente, ce l’ha con il buon
vecchio Wilson…”
“Con James?!”
chiese, scandalizzata. “Chi può mai avercela con lui?!”
“Forse aveva una moglie con un tumore e lui se l’è portata a
letto…” ipotizzò, malignamente.
“House!” lo rimproverò, con quel tono sdegnato di un tempo.
“Ad ogni modo, il nostro oncologo è riuscito a scroccare a
te un baby-park in oncologia, e al nostro attuale, simpaticissimo Direttore
Sanitario, questo parco giochi pediatrico… però ci ha sputato sopra sangue e comunque,
lo sai, è dedito alle Cause Perse.”
“Oh, sì. O non sarebbe tuo amico…” replicò lei, sarcastica.
“E tu, come te la cavi con Pendler?”
“E’ un omuncolo inesistente. Preferisce ignorarmi, piuttosto
che contraddirmi… non c’è neanche gusto a litigare con lui!” si lamentò, come
un ragazzino viziato. “Non so ancora esattamente cosa tu gli abbia detto… ma ha funzionato! Mi fa fare ciò che voglio, e non
protesta neppure!” sbottò, a metà tra lo scandalizzato e il divertito.
“E’ meglio che tu non lo sappia mai.” Rispose, sibillina.
“Non mi hai ancora detto dove te ne
vai, questo weekend.” Riprese Gregory, con finta
noncuranza.
“Accompagno il dottor Lockheart ad
un Seminario.”
“Ohhhh… mooolto
interessante.” Querulò House, in tono palesemente
falso. “E lui sarebbe…?”
“Alfred è l’ultimo acquisto del
mio staff, è un Cardiologo.”
“Toh!, un rubacuori. Beh, col cognome che si ritrova…”
malignò, con soddisfazione, “che altro poteva fare nella vita?” ma non attese
risposta. “E tu lo accompagni?! Non mi ricordavo rientrasse
nelle tue mansione fare da baby sitter ai Convegni!”
“Alfred è…”
“‘solo un amico!’” la prevenne “ma non mi dire! Non ti
giustificare!” ripose a raffica, senza lasciare modo a lei di chiarire.
“Un amico” ripeté lei. “E stimato collega.”
“…di…?”
“Primario di Cardiologia.”
“Nientemeno!” esclamò, stavolta sorpreso. “Wilson, un giorno
o l’altro, soffrirà del complesso d’inferiorità, visto che lo hai snobbato.”
“E perché dovrebbe?”
“Io sono il Primario di Medicina Diagnostica, questo
Rubacuori è Primario di Cardiologia… o tu hai un problema coi tumori, o Jimmy ti sta antipatico!”
Lisa si sentì di colpo in difficoltà. Non riusciva più a
capire se House stesse solo scherzando, o se fosse una
mezza scenata, la sua. “Guarda che stai travisando tutto… non è come pensi…”
cercò di giustificarsi, anche se non ne capiva appieno la ragione.
House sventolò una mano verso di lei, come a darle la sua
benedizione.
“Abbiamo solo due figlie in comune. Fai della tua vita ciò
che vuoi…”
“Fred è solo un amico!” sentì in
dovere di ribadire.
“Non serve fare la parte della moglie infedele pentita…” e, con
le sue parole, fece finta di sbattere la testa e restare incastrato contro qualcosa d’immaginario, appena sopra di loro. “Ah, il mio palco
si è impigliato…” ironizzò, ammiccando con le sopracciglia verso l’alto, con
fare allusivo.
“Il giorno in cui ti spunterà qualcosa, sarò la prima ad
avvisarti!” sbottò lei, in parete risentita.
“Ma io l’aureola ce l’ho già!” reagì
il dottore, con sguardo teatralmente ferito.
La Cuddy non ebbe modo di ribattere, perché
le gemelline erano di ritorno, stanche
ed ansanti.
“Ho fame, mamma!” esordirono Mary e Sue,
all’unisono.
Greg allungò una mano nella tasca
della giacca ed estrasse un biglietto da 10 dollari. “Andate a prendere un
gelato al chiosco qui all’angolo.” Propose, allungando
loro la banconota.
“Ma non lo sanno fare! Sono troppo piccole!” lo sgridò Lisa,
scandalizzata.
Lui si strinse nelle spalle, facendo loro l’occhiolino, come
se fosse un accordo da cui la madre era esclusa.
“A volte me ne dimentico. Vuoi dire che non posso più
mandarle a prendermi le sigarette?!” chiese,
innocentemente.
Le sorelline scoppiarono a ridere, vedendo la faccia
comicamente buffa della loro mamma.
“Ma se fumare è uno dei pochi vizi che non hai! E, per la
cronaca, ne approfitto per ricordartelo: evita di lasciare in giro Playboy per l’appartamento…
sono bambine impressionabili…”
“E Penthouse?” chiese,
innocentemente. “sai, è di casa…”
Lisa scosse la testa, come a dire che era di fronte ad un
caso perso. Poi si interessò alle bimbe, che avevano assistito incuriosite al
loro scambio. “E’ davvero troppo tardi per la merenda, però possiamo anticipare
un po’ la cena!” propose, sperando di ricevere consensi.
“Cena?” chiesero i tre, squadrandola sorpresi.
“Sì. Possiamo mangiare un hamburger insieme, per esempio.” Suggerì, sorridendo incoraggiante.
Sei identici specchi azzurri si posarono su di lei, “Beh,
non devo mica scappare subito…” si difese, sentendosi quasi in colpa.
L’uomo le diede man forte, sollevandosi dalla panchina: “E
sia! Vi va, ragazze?”
La sua prole squittì di gioia, saltellandogli attorno.
Lisa si sentì per un istante gelosa,
di quell’attenzione rubatale.
Ma, in fondo, Greg non le aveva chiesto poi molto.
Solo di far parte, almeno un po’, delle loro vite. Di
vederle, ogni tanto.
Non si era neppure opposto – come lei invece s’era aspettata
– quando gli aveva comunicato la sua ferma intenzione di trasferirsi
altrove, famiglia al seguito.
“Non entri a salutare?” le suggerì lui, riportandola coi
piedi per terra.
“No.” Lei scosse il capo, con diniego. “La mia vita non
appartiene più a questo posto.”
Alzò lo sguardo sul grande edificio.
Il respiro le tremò in gola. Il cuore s’appesantì un po’ con
i ricordi.
Le ore, i giorni, le notti, i mesi, gli anni di vita che
quel luogo le aveva rubato.
E le gioie che le aveva donato.
Ma era finito.
E non sarebbe tornata indietro.
House rimase a fissarla, ma non parlò.
“Mary, Sue! Venite, andiamo a mangiare!”
le chiamò, allungando le mani nella loro direzione, mentre una tiepida brezza
di fine estate le accarezzava il viso, congedandola.
-Fine-
Disclaimers: I personaggi e la
canzone citati in questo racconto non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di
essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.
Note: L’Omino Testone
è una rappresentazione grafica che i bambini realizzano tra i 2-4 anni di vita.
La testa è formata da un cerchio molto sproporzionato, che - in un certo senso
- simboleggia il corpo intero. Dalla testa partono a raggiera delle linee
semplici, che rappresentano braccia e gambe.
Chi è Mary
Sue?: visto che ho dato
per scontato qualcosa che in realtà non è, breve spiegazione su questa persona importante.
Prima o poi, nel mondo delle fanfic,
ci si imbatte in lei, in Mary Sue, ed è bene sapere a
cosa si va incontro! ^___=
In breve, è un personaggio originale, che entra di prepotenza in una fic e incarna la perfezione.
Mary Sue è bella, brava, gentile, disponibile,
superintelligente, senza difetti, di solito salva il mondo e si mette con/sposa
il figo di turno....
Di storie, con lei protagonista, ce ne sono a migliaia, nel web, ma altrettante
che la prendono in giro, anche. Tendenzialmente è odiata dai lettori, proprio
perché è senza difetti, e quindi 'falsa'.
E’ bene ribadire che non sempre – di fonte ad un Pers. Original - ci si imbatte in
lei. Ma il rischio c’è. (Per dovere di completezza: la
sua controparte maschile è Gary Stu).
Facciamo il punto
della situazione: so che questo capitolo, inteso come epilogo, ha spiazzato
molti di voi, miei lettori.
Il punto è che ho scritto esattamente le quattro parti che mi sono venute in
mente, pensando ad un seguito per ‘Sì, lo voglio!’.
Produrre i primi tre capitoli è stato relativamente
semplice, ma finire questo è stata ardua, perché qui si esula dal mondo
ospedaliero e dalla quotidianità del telefilm.
Ho varcato le Colonne d’Ercole, esplorando un mondo a me
ignoto, con l’eterno fantasma dell’OOC a perseguitarmi, come le Sirene di
Ulisse… ç__ç
Ho riflettuto molto su come potrebbe essere House in veste
di padre. E tre sono le possibilità:
a) Greg rimane il solito
misantropo, bastardo e arrogante. (ma non ci credo
neppure un po’, perché -se è vero che una donna non può cambiarti - può
riuscirci un figlio);
b) Greg diventa un padre dedito,
premuroso e magari apprensivo, per un viscerale senso di rivalsa nei confronti
del proprio padre che lui odia perché… ok, qui mi
fermo o sforo nello spoiler. (nah. Nemmeno questo è
da lui);
c) Greg resta coerente con se
stesso, ma smussa alcuni suoi spigoli che lo caratterizzano. Perché un bambino,
se ti rapporti con lui, ti mette in crisi e ti riporta in discussione.
Questa è la strada che ho scelto io, una mezza via. Potete
contestarla, se volete.
Ma nessuno sa davvero
com’è House da papà, no?! ^__=
Che cosa succederà?: A furia di pensarci, in queste settimane sono nati
tantissimi spunti legati a questa fic, perché,
diciamocelo pure, la non-storia di Greg e Lisa è un
unico, immenso Missing Moment. Ed è per questo che,
entro breve, pubblicherò una raccolta eterogenea (drabble,
flash-fic, one-shot) per
riempire questi buchi narrativi… cosa ha provato Lisa scoprendosi incinta? E Greg, quando lo ha saputo? E la gravidanza? Il parto? (con la partecipazione straordinaria di Wilson e i Paperotti, perché stavolta ci sono anche loro!)
Ringraziamenti:
Fuuma: grazie per il tuo entusiasmo! Sono
felicissima che ogni cap, fin qui (^^’’), ti sia
piaciuto!
Desy: anche io
amo la scena del bagno, ci sono particolarmente affezionata!
Earine: esultare? Addirittura?! E’ un
bellissimo complimento, per me, grazie.
E, sul non far nascere Mary sue,
beh, sorry… ma era già tutto deciso. ^__=
Mistral: sì, come ho già detto… le Colonne
d’Ercole son varcate.. e ora
non si torna indietro!
Sara: spiegazione
ricevuta? Grazie di esser passata!
Siyah: no, non era una battuta ^^’’ cmq, mi viene il dubbio che tu abbia un po’ frainteso la mia frase, perché subito dopo le parole di Cuddy, in una riflessione esterna, le faccio pensare che –
ciò che ha detto - è solo una scusa per proteggersi. Quindi, in parole povere,
non c’è stato davvero qualcun altro.
Perdonami per la contorsione mentale. Ad ogni modo, il tuo dubbio mi ha fatto
venire un’idea stuzzicante…
Miki91: no, niente
malattie alla mia Lisa. Ma grazie dell’entusiasmo!
Sono davvero contenta che vi sia piaciuto, un vostro
feed-back è molto importante per me! ^_____^
Credo sia giusto inserire l’intero testo della canzone,
motivo trainante dell’intera fic.
Album: Un Giorno Insieme (1973) (Nomadi)
Stagioni
Ecco che il tempo cambia già,
comincia qui un nuovo ciclo ormai,
e sento che la mia stagione è qui,
fa freddo ma c'è il fuoco accanto a te.
Di fuori no un suono non c'è più,
le stagioni stan dormendo intorno a noi,
scorre acqua nuova dentro agl'occhi tuoi,
come è strano essere amanti io e te
eravamo solo amici io e te.
E così la vita cambia in me,
io amo te, la mia parola è sì,
impazzirà nel buio la città
che chiaro c'è che pace insieme a te.
Ma come mai il tempo fugge già,
le stagioni ora sono realtà,
E' tornato il vento e l'amore va,
com'è strano essere amici io e te,
eravamo ieri amanti io e te.