The Hunger and the Anger

di LawrenceTwosomeTime
(/viewuser.php?uid=25959)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Una volta gli capitò un episodio sgradevole. La paura persistette per qualche ora, e quando finalmente si calmò, rimase sorpreso nello scoprire quante cose avesse imparato. Su sé stesso.

Un tizio, un tipo di colore come se ne vedono tanti, gli si era fatto incontro chiedendogli dei soldi. Era smunto e sporco, si vedeva che aveva davvero fame. Di solito, Giorgio era piuttosto tirchio per quanto riguardava le offerte spontanee, ma quel giorno si sarebbe persuaso a donare qualche spicciolo, se solo non avesse dimenticato a casa il portafoglio.
Aveva mostrato i palmi in un gesto che comunicava buone intenzioni e assenza di liquidi, ma l’uomo, disperato, gli aveva ficcato le mani nelle tasche e aveva cominciato a frugare.
“Ho fame, signore, sto morendo di fame!”
Giorgio l’aveva preso per i polsi e gli aveva tirato un calcio nello stomaco. Distrutto dal dolore e dall’umiliazione, il senzatetto l’aveva attaccato. Giorgio si era difeso. L’aveva gonfiato di botte, ma senza odio, in modo metodico.
L’assalitore non era un nemico. Non c’era niente di personale, in realtà. Aveva solo fame.

A differenza di alcuni suoi amici, che se la prendevano con il primo che capitava per sfogare le frustrazioni causate da genitori, estranei, ragazza, lui non riusciva ad arrabbiarsi con una persona che non se lo meritava.
I suoi sentimenti di odio erano tutti rivolti al passato. In verità, covava una rabbia terribile che aveva sempre trattenuto a stento, sepolta nei recessi più reconditi del suo stomaco. Si sentiva impotente perché odiava dei ricordi, non degli individui in carne ed ossa. E non erano pochi.
Erano come tanti minuscoli frammenti d’osso sparsi qua e là nel suo corpo, conficcati nelle braccia e nelle gambe; un microcosmo di stelle morte che lo rodeva come un cancro.

“Hai cercato di portarmi via qualcosa che non avevo”, disse al nero che indietreggiava zoppicando.
“Voglio dire, tutto ciò che ho sono questi occhiali… e questi pugni”

Si chiamava Giorgio Dunato, un nome che possedeva una curiosa assonanza con ‘torto subìto’, e per una qualche ironia estemporanea i suoi nemici erano esclusivamente maschi; poteva disprezzare le donne per come lo manipolavano, perché lo schifavano o lo abbandonavano, ma quello era niente in confronto al sentimento distruttivo che provava per gli individui del suo stesso sesso.
Un giorno o l’altro, avrebbe trovato il modo di liberarsi del suo fardello.




Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1281583