EPILOGO
Due anni dopo.
“Teresa,
hai visto mia moglie?”
Il dottor Santamaria correva spedito verso il banco
dell’accettazione, dove la
donna era intenta a compilare alcune cartelle. In mano aveva un
fascicoletto
beige.
“No,
l’ultima volta l’ho vista
questa mattina quando siete arrivati, mi dispiace.”
“Va
bene, grazie.”
Teresa
si alzò sulle punte per
dare un’occhiata intorno. “No, aspetti, dottore.
Laura!” le gridò forte per
farsi sentire dal lato opposto dell’ingresso.
“Eccola là” disse poi a Valerio,
che la raggiunse rapido.
“Mamma!”
La bimba si dimenava in
braccio a Cristiana e allungava le braccine verso il pavimento
sbilanciandosi
con tutto il corpo: voleva scendere.
“Giù!”
“Sì,
tesoro, adesso ti metto giù,
un attimo di pazienza.” Stava lottando contro le due borse,
una a tracolla e
l’altra che rischiava ogni secondo di scivolare dalla spalla,
e la bambina che
non stava ferma. Si piegò e le lasciò appoggiare
i piedini sulla zona asfaltata
antistante la porta d’ingresso del Morandini, poi le prese la
manina e, mentre
si sistemava le borse, insieme varcarono l’entrata.
Sorrideva,
la piccolina, con
quella sua boccuccia dalle labbra sottili che somigliava tanto a quella
di
Riccardo.
E
con due occhioni scuri e
luminosi.
Quelli
della madre.
“Allora,
dottor Malosti, ci sono
due pazienti che stanno aspettando, ecco” Teresa
allungò oltre il bancone due
cartelle. “Sono al box doppio, reduci da un incidente in
bicicletta, non
sembrano gravi.”
“Grazie
Teresa, vado subito. Non
c’è nessun’altro libero?”
“Provvedo
a cercare qualcuno.”
Squillò
il telefono.
“Pronto
soccorso Morandini.”
Riccardo
tamburellò con le dita
sul piano perfettamente liscio dell’accettazione.
“Sì,
dottore, va bene, ho capito,
ma poteva avvertire prima…”
Malosti
sbuffò. “Teresa, datti
una mossa!”
La
donna appoggiò la cornetta.
“Palumbo non riesce a venire, ha un’emergenza a
casa.”
“Sì,
con la sua amante.”
“Non
è la sua amante!” lo
contraddisse svelta. “E comunque cosa vuole che
faccia… chiamo Coselli?”
“Ma
sì, dai, prova a sentire se
almeno lui non è occupato a guardarsi allo specchio e a
dirsi quanto è bello
con la divisa da medico specializzato.”
“Esther,
basta!” esclamò Rocco
decisamente adirato.
“Mi
viene rabbia, tutte le volte
che la vedo.”
“Lo
so, ma ti devi abituare.”
I
suoi ciuffi perennemente
meshati dondolavano allegri sulla sua fronte. “Non ci riesco.
Mi ha preso il
posto, porca miseria!”
“Oh,
calmina, eh! Casomai sei tu
che hai preso il posto a lei.”
La
caposala entrò nello studio
del primario passando indifferente tra i due infermieri.
“La
babysitter mi ha detto che
può stare fino a stasera alle nove” disse
richiudendo la porta.
“Direi
che è perfetto.” Sergio
lasciava ciondolare le gambe dalla scrivania.
“Già,
così avremo anche il tempo
per andare a decidere le bomboniere. Questa mattina ho telefonato e
dicono che
sono aperti fino alle nove, visto che è sabato.”
“E
io che ti volevo portare a
mangiare fuori, visto che è sabato”
enfatizzò l’ultima frase.
“Dopo.”
Scese
dalla scrivania e le andò
incontro.
“Quando
finisce il suo turno,
signorina Graziosi?”
“Alle
otto.”
“E
in un’ora facciamo in tempo
sia a scegliere le bomboniere che cenare?”
“Direi
di no, professore.
Dobbiamo cambiare i programmi della serata.”
Portò
il proprio viso a pochi
centimetri dal suo. “Noi non cambiamo proprio niente.
Perché non chiede al suo
primario di anticiparle la fine del turno?”
“Non
mi sembra il caso, dai…” gli
disse, sfuggendo ad un suo bacio. “Mangiamo a casa.”
“Ma
quanto sei testarda.”
“Vuole
trasgredire alle regole
troppo spesso, professor Danieli.”
“Tu
no?”
“Odiosa,
odiosa, odiosa, odiosa.”
L’ex caposala si massaggiava le tempie seduta su una delle
sedie di plastica in
corridoio.
“Esther,
è successo qualcosa?” La
voce di Marina la fece saltare in piedi.
“No,
dottoressa, niente.”
“Ti
va di venire a bere qualcosa
con me, questa sera finito il turno?”
“Oh,
beh, sì, certo, come no!”
sorrise.
“Bene,
allora a dopo. Ciao.”
E
l’infermiera rimase a guardarla
andar via con un sorriso mezzo ebete sulla faccia.
Non
c’erano parole per descrivere
quant’era affascinante suo marito con quel camice.
“Risponde?”
Anche
se non era proprio di
ottimo umore.
“No,
dottore, il telefonino
suona…”
“Quando
si cerca qualcuno, oh!”
Non si trova mai, rispose automaticamente
Cristiana.
La
bambina tirava la mamma per
camminare più in fretta.
“Vai
pianino, ché cadi…”
Laura
e Valerio si erano fermati
ai distributori.
“Ho
una fame che mi mangerei
tutto” dichiarò la Costa addentando una barretta
di cioccolato.
Valerio
l’osservava sorridendo.
“Perché
mi guardi così?” gli
chiese, la bocca ancora impastata.
Sollevò
la cartellina, e Laura
tossì per il cibo che le andò di traverso.
“Di
già!?” si stupì pulendosi le
labbra con un fazzolettino.
Santamaria
annuì.
“Io…
non ce la faccio ad aprirle.
Oddio…”
“Non
ti devi scomodare. Le ho già
aperte io.”
“E
allora?”
“E
allora aspettiamo un bambino”
svelò, con tutta la sua tranquillità.
La
donna gli corse incontro e si
tuffò tra le sue braccia. “Ma sei
sicuro?”
“Ma
perché, non mi credi?”
Risero
entrambi.
“Certo
che ti credo. E ti amo.”
“Ettore?”
Fece un cenno del capo
a Riccardo per rassicurarlo. “Sì, raggiungi per
favore il box doppio. Ok,
perfetto, ciao.”
“A
posto” si rivolse poi al
dottore.
“Grazie
eh.”
“Ma
si figuri!”
“Mammaaa.”
La voce squillante
della piccola per poco non richiamò l’attenzione
di un padre intento a tornare
nell’ala interna del pronto soccorso.
“Ssh.”
Cristiana
le si inginocchiò
accanto e le tolse il giubbetto. “Facciamo una sorpresa al
papà, va bene?”
“Sì!”
“Dai,
allora, corrigli incontro!”
La
bambina, divertita, non vedeva
l’ora di farlo.
“Papiii!”
Le
sue gambine corte ma agili in
un battibaleno la portarono a poca distanza da un Riccardo che si
voltò dopo
essere stato agguantato ad una gamba.
“Amore!”
Con lo stupore negli
occhi e la felicità di poter abbracciare sua figlia per la
prima volta in
orario di lavoro, la prese in braccio e le fece fare un giro intorno.
“Sei
venuta a trovarmi!” Le diede
un bacione tra i profumati capelli castani.
La
bambina rideva: adorava
guardare il mondo da così in alto.
Poi
Malosti tornò serio e i suoi
occhi caddero sull’ingresso del Morandini, alle sue spalle,
dove colei che aveva
permesso tutta quella felicità stava immobile, con borse e
giubbino in mano.
“Cristiana.”
Sorrise
dopo aver pronunciato
quel nome.
“Mamma”
fece eco la piccolina.
“Andiamo
dalla mamma?”
“Nooo.
Cavalluccio!”
“No,
niente cavalluccio, quello
stasera!”
“Nooo!”
“Niente
storie, papà ha mal di
schiena!”
Riccardo
si avvicinò a Cristiana
che non si era ancora mossa.
“Cosa
ridi tu, eh?” le sorrise
appena le fu abbastanza vicina.
“Con
me non fa mai i capricci,
vero Giulia?”
La
bambina annuì.
“Che
cosa le hai promesso,
stavolta? Torta al cioccolato, nutella, una casa delle bambole ancora
più
grande…”
“Sììì,
bambole!”
“Oddio,
adesso ti tocca
comprargliela…”
“Non
ci penso nemmeno.”
Riccardo
si piegò verso la moglie
e le posò un leggero bacio sulle labbra.
“Ma
non sono bellissimi? Guarda
Giulia, è tutta sua madre…” Con sguardo
sognante Teresa commentava la scenetta.
“Ma
che dici, è uguale a Malosti…
speriamo non ne abbia ereditato anche il carattere!”
“Rocco,
sempre con queste
allusioni… si amano, si sono sposati, e chissenefrega se
è il dottore più str…
cioè, più beh insomma hai capito… del
Morandini!”
“Terry.”
“Che
c’è ora?”
“Finalmente.
E adesso basta
immischiarti nei fatti dei poveri lavoratori di
quest’ospedale.”
“Ma
non ho mica detto questo,
oh!”
L’infermiere
si allontanò a passo
svelto dal bancone ridendo sotto i baffi, mentre Teresa
cercò di rincorrerlo.
“Rocco!
Hai frainteso le mie
parole!”
Il
telefono della reception
trattenne la donna dall’aumentare il passo.
“Vai
vai, Terry, vai a
rispondere, non si sa mai che sia il tuo amante!”
“Piccola!”
Marina
raggiunse i due coniugi e
con un allegro sorriso salutò la bambina.
“Posso
prenderla in braccio?”
“Ma
come no, certo!” rispose
rapida la donna, anche se il mugugno che fece nel contempo Riccardo non
era del
tutto d’accordo.
“Posso
giocarci un po’?” Le fece
solletico nei fianchi.
“Oh,
certo, questa è la sua
borsa, se ha bisogno di qualcosa” gliela appoggio sopra una
spalla.
“Grazie,
a dopo! Ma che bella che
sei…”
“Fff.”
“Sempre
a sbuffare, dai.”
“La
vedo sì e no due ore al
giorno e per una volta che me la porti qui…”
“Senti,
ti volevo dire una cosa.”
“Sentiamo.”
“Non
qui.”
Si
recarono in sala medici, dove
finalmente Cristiana poté liberarsi di cappotto, cappottino
e della seconda
borsa.
“Allora?”
“Sei
nervoso?”
“No,
non sono nervoso.” Stava
alzando la voce. “Solo vorrei avere un po’
più di tempo.”
Non
rispose. Perché quello che
gli voleva dire l’avrebbe fatto imbestialire ancora di
più.
“Qual
è il problema, Riccardo?”
“Sono
in ospedale dalla mattina
alla sera, ti vedo poco, troppo poco! E mi manchi…”
“Lo
sapevamo entrambi che le cose
sarebbero cambiate con il trasferimento e tutto il resto. Abbiamo tutti
meno
tempo.”
Abbassò
lo guardo, dopo essersi appoggiato
al mobile della cucinetta.
“E
tu vuoi tornare a lavorare.”
Cristiana
spalancò gli occhi.
Come
diavolo aveva fatto a
capirlo?
“Io…”
“Hai
tutte le ragioni del mondo.”
Le
prese le mani e l’alzò dalla
sedia.
“Se
non vuoi, io me ne resterò a
casa. Dario, Alessandro, Giulia: me ne occuperò io, come ho
fatto sinora, così
non dovremmo chiamare nemmeno una babysitter.”
“Non
posso chiederti di lasciare
per sempre il tuo lavoro.”
“Non
per sempre, Riccardo, non
per sempre.” Malosti l’avvicinò a
sé. “Come posso sentirmi così
male?”
“Amore
mio…”
La
donna si lasciò andare tra le
sue braccia in un abbraccio.
“Io
sono contenta, davvero.” Si
strinse a lui. “A che ora torni, stasera?”
“Adesso.”
Si
tolse rapido il camice e lo
appoggiò allo schienale della sedia.
“Andiamo
a casa.”
Cristiana
sorrise divertita per
quell’improvviso cambio di programma.
“E
cosa dirai a Sergio?”
“Che
vada a casa pure lui.”
Afferrò
il cappotto della Gandini
e l’aiutò ad infilarlo.
“E
che ti riprenda a lavorare.
Perché è qui il tuo posto. Con me.”
“Ma…
cosa ti prende?”
“Mi
prende che è così e basta. E
visto che ho sempre ragione io…”
A
Cristiana scappò un sorriso.
“Dovresti darla un po’ anche a me.”
“E
non è quello che ho appena
fatto!?” In fretta indossò anche il proprio
soprabito e la sua attenzione
ricadde poi sulle labbra della moglie, che baciò
ardentemente prima di aprirle
la porta.
“Prego.”
La lasciò passare per
prima.
“Grazie…”
rispose ancora scossa
da quel contatto imprevisto.
“Ah,
aspetta.” Le catturò per un
braccio e la trascinò di nuovo dentro la stanza, rubandole
un altro bacio.
“Ti
amo, eh.”
Ed
ora erano tutti finalmente
felici.
Chi
per finta, chi per davvero.
Chi
aveva messo su famiglia, chi
stava per farlo, chi viveva già nella propria da anni.
Ma
almeno una consolazione c’è: adesso
possiamo essere un po’ felici anche noi.
Fine.
No,
aspettate…
“Cristiana…”
“Che
c’è, non vedi che ho da
fare, devo visitare quello del cinque…”
“Ci
pensa Ettore. Ettore?”
L’aveva visto passare nel corridoio trasversale.
“Letto cinque.”
“Sì,
dottore.”
L’afferrò
da dietro e le baciò il
collo.
“Riccardo…
che cosa vuoi?”
Dalla
tasca sfilò qualcosa di
tintinnante e le lasciò oscillare davanti ai suoi occhi.
“Sono
dello studio di Sergio. E
Sergio non c’è.”
La
Gandini si voltò verso di lui
sorridendo. “Come hai fatto a…?”
“Ssh.”
La prese a braccetto. “Ho
le mie conoscenze.”
“Le
hai rubate.”
“Poco
importa.”
Aprì
la porta ed entrambi
entrarono richiudendola dietro di loro.
“Gandini?”
la chiamò, facendole
cadere il camice a terra.
“Sì?”
Avvicinò
il viso al suo. “Parquet
o divano?” le sussurrò con voce profonda.
“Non
lo so…” Cristiana sorrise
maliziosa e lo guardò negli occhi mentre gli passava una
mano tra i capelli.
“Come preferisci.”
“Ok.
Vada per tutt’e due.”
Questa è la FINE.
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