scolopendra 1
Scolopendra
Capitolo I.
– Danni allo scafo inferiore, turbina di babordo danneggiata. Stiamo perdendo quota!
– Cosa dicono dalla sala macchine?
– Gli ingegneri stanno tentando di stabilizzare l’engine, ma siamo troppo pesanti per poter procedere con un motore solo!
– Staccate i carghi allora!
– Ma la merce…
– Sempre meglio che il mio equipaggio!
Carica il prossimo colpo! –
Ma, professore, non vedo come… –
Avanti, ragazzo, animo! Non abbiamo ancora tutti i dati necessari! –
– Cos’è stato?!
– Comandante, la corazzatura è stata perforata!
– Dalla sala macchine non rispondono, Signore!
– …Date l’ordine d’evacuazione.
– Comandante, ma il carico?
– Non importa. Non avrebbe avuto una sorte diversa, comunque.
– A tutto l’equipaggio, abbandonare la nave. Ripeto: abbandonare la nave.
***
– Kaisa, di qua!
– È di qua, Kaisa!
– Ho capito, ho capito.
La ragazza continuò la sua
placida discesa lungo il sentiero sulla scogliera con tutta calma,
ignorando le incitazioni dei due ragazzini a fare in fretta.
In realtà non era difficile
capire cosa fosse accaduto di così eccitante, in fondo il boato
notturno l’aveva sentito pure lei. Eccome, se l’aveva
sentito. Probabilmente qualcosa era precipitato dal livello superiore.
Poteva succedere, seppur non così spesso come in passato:
c’erano ancora diversi antichi relitti sparsi per la campagna ad
arrugginire – o marcire, nei casi più antiquati.
Non ci volle ancora molta strada
prima di arrivare alla spiaggia, ed ecco che proprio sulla riva, in
buona parte in acqua, stava la carcassa metallica dell’aeronave
precipitata nottetempo.
Kaisa si fermò a pochi metri
e osservare lo scempio che ne era stato fatto: le corazzature esterne
parevano esser state fuse, più che bombardate, e lo scafo si
apriva in una voragine lungo tutta la fiancata destra. Uno dei due
motori esterni si intravedeva tra le onde, a qualche decina di metri di
distanza, mentre diverse lamiere e parti meccaniche costellavano la
spiaggia nel raggio di una ventina di metri. Di sicuro, in acqua erano
rimasti molti più detriti.
Doveva esserci stato un incendio,
prima o dopo l’impatto con il suolo, e la sabbia si era fusa a
contatto con il metallo rovente dell’aeronave. Nell’aria
permaneva ancora il pungente odore tipico delle officine.
– Kaisa, non indossi la maschera?
– Non
serve, sciocco. Oggi non c’è nebbia. – rispose
laconica a Dado, che le era corso incontro festante mostrandole il loro
ritrovamento.
– E non toccate nulla, potreste farvi male.
Non curandosi troppo di quel che
facevano i bambini – i bambini l’adoravano, chissà
per quale motivo – rimase ferma a osservare il mostro di ferro,
come venivano chiamate una volta dai paesani tutte le aeronavi del
mondo di sopra.
L’interno non sembrava messo
troppo male, a parte la famosa fiancata. In più era sicuramente
un modello militare, rinforzato dalle più recenti tecnologie.
Sarebbe stato interessante studiarne i componenti.
– Kaisa! Kaisa! Corri, Kaisa!
Una bambina dalle trecce bionde,
pure lei, come Dado, con una maschera indosso che le copriva la parte
inferiore del viso e dei grandi occhialoni da aviatore in testa –
come a imitare la giovane donna – le corse incontro trafelata e
agitata, di quell’agitazione che nasce da una scoperta nuova ed
eccitante, dal gusto dell’avventura che nei bambini è
scatenato da ogni più insignificante evento.
Kaisa si fece trascinare per la
manica del cappotto logoro da Sorra, evitando le macerie che ogni tanto
ostacolavano il cammino e imprecando quando non ci riusciva. La piccola
le indicò trionfante il punto in cui si ammassavano i resti di
un’intera sezione dell’aeronave, davanti i quali se ne
stavano impalati gli altri ragazzini della banda. Dado si sporgeva
incuriosito, mentre Spar, il più grande dei cinque, le
indicò ulteriormente un indefinito qualcosa che si intravedeva
appena dall’angolazione in cui si trovava.
Si avvicinò al gruppetto, per poi trovarsi di fronte all’oggetto delle loro attenzioni.
– Cos’è?
– Kaisa, perché ci sono delle collane?
– Non sono collane, stupido, sono catene!
– Chi ti ha chiesto niente?
– Secondo me c’è nascosto uno spirito della nebbia!
La ragazza scostò Lina e
Kolto, sorella e fratello dai capelli corvini, ignorando il loro
bisticciare, e si abbassò a sollevare la lamiera che
parzialmente copriva lo “spirito della nebbia”, un paio di
coperte da cui spuntavano delle catene in ferro alquanto grossolane.
Kaisa sollevò un sopracciglio, leggermente sorpresa.
– Questa sì che è bella.
***
Lo svegliarono l’odore di
legno bruciato, non così sgradevole come poteva esserlo durante
un incendio, e il crepitio del fuoco. Rimase diversi secondi immobile,
ancora con gli occhi chiusi, tentando di ricordare cosa fosse successo:
ricordava un’esplosione, il cambio di rotta improvviso e subito
una seconda, molto più vicina a lui, che gli aveva fatto perdere
i sensi.
Dove si trovava?
Aprì gli occhi a fatica, le
palpebre più pesanti del solito. La vista inizialmente appannata
non riuscì a distinguere subito l’ambiente circostante: la
prima cosa che gli saltò all’occhio fu la
luminosità del caminetto, unica fonte di luce della piccola
stanza rivestita in legno. Davanti al fuoco una giovane donna a dargli
le spalle. I capelli scuri a un’osservazione più attenta
si rivelarono di una tonalità più simile al viola, un
colore assolutamente improbabile che mai aveva visto prima.
Continuò a osservarla in
silenzio mentre sistemava nuovi ceppi sulla fiamma, mentre tornava a
leggere il libro che teneva sulle ginocchia, prendendo ogni tanto degli
appunti su alcuni fogli sparsi ai suoi piedi.
A un tratto si alzò, riponendo il volume sul tavolo addossato alla parete e afferrando un paio di pinze.
– Ben svegliato.
Si girò poi a guardarlo, brandendo l’attrezzo.
– Ora che sei cosciente vedi di collaborare, grazie.
Tentò di risollevarsi sui
gomiti, ma una fitta all’addome vanificò i suoi sforzi,
facendolo ripiombare sul cuscino dolorante. La ragazza subito si
avvicinò, una nota di apprensione nello sguardo azzurro
ghiaccio, aiutandolo a raddrizzarsi.
– Non fare movimenti bruschi, hai una brutta ferita e non vorrei si riaprisse.
– … chi…?
– Io mi chiamo Kaisa. Ti ho trovato sulla spiaggia, vicino all’aeronave affondata ieri notte.
I ricordi confusi del dormiveglia
trovarono una spiegazione, mentre realizzava di trovarsi al di sotto
dello strato ultimo di nubi. Ciò non spiegava ancora cosa
fossero quei boati sentiti mentre si trovava a bordo del mezzo, ma ci
avrebbe pensato dopo.
– Ora, per favore, stai fermo. Ti leverò quelle manette.
I polsi cominciarono a prudergli,
come se al solo nominarle, si fosse accorto di quanto gli stessero
dando fastidio. Quasi se n’era dimenticato di averle.
Con un secco colpo di tenaglie, la ragazza riuscì a liberarlo dai bracciali restrittivi.
La osservò poi avvicinarsi
nuovamente al ripiano del caminetto rialzato, da cui prese una ciotola
di zuppa da un pentolone in rame. Fortunatamente parlavano la stessa
lingua, seppur con accenti lievemente differenti, e non fu affatto
difficile per lui capire dove si trovasse. O meglio: ancora non aveva
idea di dove fosse questa Dover, ma era rassicurante conoscerne il nome.
– E il tuo, di nome, qual è?
– Damasco.
– Esotico.
– Come Kaisa.
– Non
proprio. – ripose la ciotola ormai vuota in un lavello in fondo
alla stanza. – Senti, ormai fuori è buio, ma domattina
pensavo di andare a ispezionare il relitto. Te la senti di venire con
me?
Perché no. Non aveva effetti
personali da recuperare, né gli interessava cercare altri
superstiti – tanto si erano tutti messi in salvo. Ma in fondo non
aveva altro da fare.
La risposta di Damasco fu
affermativa, e Kaisa fece scendere una scala a pioli salendo poi sul
soppalco – per quello era così basso il soffitto, a parte
nella zona del focolare – dove trovavano posto un letto incassato
direttamente nel pavimento e una piccola libreria annessa a un armadio.
Ritirò poi la scaletta.
Non era una sciocca.
– Ah, ti avviso che ho una pistola.
Proprio no.
- Note dell'autrice -
Buonsalve, ben arrivati nel mondo di Scolopendra =)
Questa storia è stata scritta per il contest [Original Concorso 15] L'Oceano e... l'Assassino sul forum degli Original Concorsi, e per un motivo o per l'altro sono l'unica ad aver consegnato X°D
Quindi la pubblico subito, senza aspettare la valutazione
(perché ci sarà comunque, e se sarete curiosi
verrà aggiunta come recensione in seguito).
E' importante che sappiate che al concorso ho mandato solo i primi tre
capitoli di questa storia, molto più lunga, un po' per limiti di
tempo, un po' per limiti di lunghezza e un po' perché ci stanno
benissimo come racconto a sé stante. Provare per credere!=D
A seguito vi aggiungo le note scritte nel testo mandato al contest,
perché sono pigra. Si riferiscono alla totalità della
storia, quindi qualche elemento non vi sarà ancora chiaro.
Credits: da Last Exile l’ispirazione-tributo di Scolopendra per… vedrete.
Note dell'autore:
Scolopendra è… il titolo non ha a che fare con la schifezza cui questo
nome ho scoperto si riferisce. Mi piaceva solo come suonava, fin da
quando l’ho sentito per la prima volta nell’anime Last Exile, dove
indicava un particolare cannone a luna (lunghissima) gittata. Tutto lì.
Se non sapete cos’è una scolopendra non googlate, potreste pentirvene a vita come la sottoscritta.
Poi, a volte, nei dialoghi dei bambini ho inserito espressioni
non propriamente esatte, proprio perché… sono bambini XD
C’è
una città di nome Dover, ci son le bianche scogliere… ma non si tratta
del mondo reale, mi sono solo ispirata alle coste inglesi. Il mondo di
Scolopendra è totalmente inventato.
Gli Spitfire sono i famosi caccia inglesi della seconda guerra mondiale. Qui non sono esattamente aerei però XD
Introduzione alla storia: Kaisa e Damasco. Uno strato di nubi a dividerli, un affondamento a farli incontrare.
Un affondamento e il professore.
E, uhm, niente. Grazie per aver letto, spero vi abbia incuriosito!=D
Alla prossima <3
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