Titolo: Mani
Personaggi: Houtarou,
Eru.
Pairing: Houtarou/Eru.
Rating: Verde.
Genere: missing
moment, fluff che più fluff non si può.
Avvertimenti: One-shot.
Note: Non
avevo intenzione di pubblicarla (ma che novità!)
perché, ovviamente, nemmeno questa fanfic mi piaceva (che
novità! e 2). Ha passato qualcosa come una settimana e mezza
nel dimenticatoio, senza che io la guardassi nemmeno da lontano, e
senza che la facessi leggere ad anima viva. Oggi, alla fine,
è venuto in mio soccorso (?) la solita anima pia che
s'è sacrificata per voi (?) e l'ha letta. Ha detto che era
una delle cose più realistiche che mi avesse mai visto
scrivere (non con queste parole precise, ma ci siamo capiti...).
Tuttavia, per me manca ancora di qualcosa... manca il cuore (giusto per
citare Willard!). Dopo tutte 'ste caga*e, leggete pure, sempre se
v'aggrada.
Disclaimer: Loro
non mi appartengono in alcun modo, sennò Chitanda sarebbe
curiosa rispetto ad altre
cose.
Mani
San
Valentino era una festa per gli sciocchi che avevano tempo e denaro da
spendere
inutilmente. Ad Houtarou non era mai importato di ricevere nulla in
quel giorno
privo di alcun significato – e se anche avesse ricevuto
qualcosa, non gli
sarebbe importato più di molto. Impegnarsi con qualcuno
sarebbe stato fin
troppo complicato e dispendioso di energie.
“Oreki,
stai andando a casa?”, la voce squillante di Chitanda lo
riportò coi pensieri a
terra, ricordandogli che San Valentino fosse già passato e
che i doni da lui
ricevuti ammontavano ad un totale di... zero – escluso il
cioccolato
regalatogli per pietà da sua sorella; il cioccolato
più amaro che avesse mai
provato.
“Mh”,
un cenno del capo fu l'unica risposta che diede alla ragazza, senza che
dovesse
sprecare troppe parole inutilmente. Chitanda sorrise, avvicinandosi con
passo
svelto a lui, finché non si ritrovarono faccia a faccia
– ed ancora una volta,
aveva invaso il suo spazio personale, quello spazio che una volta
oltrepassato
lo metteva a disagio.
“Verresti
a casa con me, Oreki?”, gli occhi tondi da bambina lo
fissavano
insistentemente, quasi senza batter ciglio. Rifiutare una sua richiesta
era
sempre stato difficile per lui, sin dall'inizio. Tuttavia, c'era un
confine che
s'era imposto di non oltrepassare – probabilmente
perché non avrebbe retto –
con Chitanda. Andare a casa con lei era una delle cose sulla lista
“Da
evitare”. Certo, aveva fantasticato più di una
volta di pedalare la sua bici mentre
lei si reggeva al suo busto, magari con il capo appoggiato alla sua
schiena...
però aveva subito accantonato l'idea. Non era una cosa da
lui, troppo
impegnativo e poi non ci sarebbe mai nemmeno riuscito. Lei lo metteva a
disagio, un disagio piacevole, ma era pur sempre spiazzante.
“Passo”,
indietreggiò, chiudendo gli occhi per non doverla vedere,
“ho da fare.”
Gli
venne quasi da ridere di sé stesso per quelle parole; quando
mai aveva avuto da
fare, lui?
Due
mani piccole afferrarono le sue ed Houtarou sentì il cuore
– che ormai aveva
raggiunto la gola – saltare un battito. Forse anche due.
“Ti
prego, è una cosa davvero importante, Oreki!” e
quando tornò a guardarla negli
occhi sentì uno sfarfallio nello stomaco.
Come
poteva quella ragazza ridurlo in quello stato?
Satoshi
aveva ragione: era proprio la Forza. Controllato irrimediabilmente da
una donna
alla quale non era in grado di dire di no – ed anche se
avesse provato, avrebbe
avuto lei la meglio.
“Satoshi
mi sta aspettando...”
“Ho
già parlato io con Fukube! Ha detto di non preoccuparsi e di
dirti di stare
attento, anche se non ho capito a cosa dovresti fare
attenzione.”
Dannato
Satoshi. Un giorno o l'altro l'avrebbe seriamente preso a pugni, lo
sapeva.
Sempre se ne avesse trovato la voglia e la forza.
“Cosa
c'è di così importante che...”
“E'
successa una cosa mentre venivo a scuola stamani, Oreki e... sono
curiosa!”
Quella mattina...? Avevano fatto praticamente metà della
strada insieme. Perché
mai Chitanda, così energica ed impaziente, aveva aspettato
fino a quel momento
per trascinarlo in qualcosa che non gli sarebbe importato se avrebbe
potuto
farlo già ore prima?
Quando
le pose la domanda, rimase allibito nel constare che era arrossita
quasi tanto
quanto lui quand'era stato beccato con le foto che avevano scattato a
Chitanda
al festival – quella ragazza aveva sempre avuto un brutto
effetto su di lui.
“E'
difficile da spiegare...!”, scuoteva la testa, i lunghi
capelli corvini che
s'agitavano attorno al viso da bambina cresciuta.
“Però sono curiosa! Andiamo,
Oreki!”
Camminare
con lei al suo fianco non fu mai così difficile. Lo fissava
di continuo,
rallentando o allungando il passo per stargli sempre accanto e, quando
lei
sfuggì dal suo sguardo per l'ennesima volta, Houtarou le
afferrò una mano,
costringendola a fermarsi.
“Ehi,
Chitanda, tutto bene?”
“Mh,
Oreki...”, continuava a non guardarlo, rossa in volto,
“era questo che mi aveva
incuriosito. All'incirca.”
“All'incirca?”
Per quanto si sforzasse, faticava sempre più a capirla.
“La
mano.”
Qualcuno
di passaggio aveva iniziato a lanciar loro occhiate piuttosto
eloquenti. La
lasciò andare all'istante, facendo un passo indietro ed
iniziando a guardare in
terra. Houtarou non era abituato a questo genere di cose; relazionarsi
con le
persone era sempre stato difficile – perché troppo
impegnativo e perché, alla
fine, non gli era mai particolarmente interessato.
“Che
vuoi dire, Chitanda?”
Lei,
però, era diversa. In qualche modo, era riuscita a far
sì che la sua attenzione
sviasse per diverse volte da quel suo motto che aveva sempre seguito
alla
lettera. Lei era la sua rovina, l'angelo che l'aveva scaraventato in un
inferno
colmo di cose da fare e persone da vedere – una vita rosea
che non aveva
chiesto.
“Stamattina,
mentre camminavamo verso scuola... mi hai sfiorato la mano,
Oreki.”
Ed
ancora, continuava a non seguirla.
“Mh?”,
la incitò a proseguire con il discorso, fissandola.
“P-Penso
di aver sentito il cuore smettere di battere per un secondo!
Così mi sono
i-i-incuriosita, Oreki! Perché ho sentito quella sensazione?
E' normale? Non
credo proprio!”
“Chi-Chitanda!”
“Oreki,
ti prego! Sono curiosa! Perché è successa una
cosa simile? Magari sto male? Si
tratta di qualche malattia? O per caso...”
“Per
caso cosa?”
Rossa
in volto come non mai, la ragazza iniziò a scuotere la
testa, “N-n-n-no! Non è
nulla!”, ripeteva senza degnarlo d'uno sguardo.
Houtarou
le afferrò la mano di slancio, avvicinandosi appena al volto
ora impallidito di
Chitanda.
Aveva
capito a che sensazione lei si riferisse – era la stessa che
sentiva lui di
tanto in tanto quando gli veniva regalato quel sorriso dolce dalle sue
labbra
rosee.
“L'hai
sentito ancora?”, Chitanda annuì in silenzio, gli
occhi bassi.
Non
era giusto che fosse lui l'unico a sentirsi in quel modo,
pensò. E, sapendo ora
che anche lei provava la stessa sensazione, si sentì un po'
più leggero –
contento forse, divertito in parte.
Le
strinse la mano sorridendo, per poi lasciarla andare di colpo.
Era
troppo anche per lui, soprattutto vista la gente che li guardava
curiosa. Forse
era stato un po' troppo avventato. Dopotutto, non era abituato a certe
cose...
non era abituato a Chitanda, e mai si sarebbe abituato a lei, comunque.
Ripresero
a camminare, questa volta assicurandosi d'esser ben distanti l'uno
dall'altra.
“Andiamo.
Ti accompagno a casa, Chitanda.”
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