DISCLAIMER: Con
questo mio scritto, pubblicato
senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione
veritiera del
carattere dei componenti dei Guns N’ Roses, né
offenderli in alcun modo.
Now Is Not
Forever
I
St.
Louis, 1991
Non era niente
di nuovo: Axl aveva
preso l’abitudine di arrivare in ritardo e tutti i concerti
iniziavano in quel
modo, con un pubblico incazzato che avrebbe sfogato tutta la rabbia
cantando
insieme a loro. Perché erano grandiosi; nonostante tutti i
casini, sul palco
erano il fuoco, e nessuno li avrebbe mai superati – non in
quello, almeno.
Eppure qualcosa
andò storto quella
sera, perché Axl se n’era appena andato con un
diavolo per capello e a quanto
sembrava non era per nulla intenzionato a ritornare. Gli altri
continuarono a
suonare per un po’, ormai fin troppo bravi a riempire gli
spazi morti. Ma
quanto sarebbe durato il supplizio quella volta? Axl sembrava davvero
determinato a non tornare indietro.
Duff
lanciò un’occhiata al tizio con
la macchina fotografica che aveva scatenato tutto. Non gli sembrava
così grave.
Be’, ad ogni modo, quell’affare non c’era
più: quel che rimaneva erano
solamente dei pezzi distrutti – più o meno come il
suo naso, che continuava a
sanguinare. Slash intercettò lo sguardo di Duff e, scuotendo
il capo,
bloccarono a metà le note di Rocket Queen, mollando gli
strumenti dove capitava
per andarsene dietro le quinte.
Fanculo al
riempire gli spazi morti.
Fanculo al parare il culo di Axl.
Era troppo
umiliante rimanere lì e
non sarebbe servito a nulla se Doug avesse continuato ad assecondare
Axl senza
tentare minimamente di infilargli un po’ di sale in zucca. A
ben pensarci, lo
pagavano proprio per quello, e la sua negligenza raggiungeva ogni
giorno
livelli sempre maggiori.
Rinchiusi nel
camerino come dei
carcerati, nessuno diceva niente, si limitavano a guardare a terra e a
fumare
senza sosta, come se la nicotina potesse calmare l’angoscia e
la delusione che
sentivano dentro. Erano un ammasso di disperati, si godevano la vita e
tutti i
vizi che essa aveva da dispensare, rendendoli spesso più un
bisogno che un
superfluo, ma sul palco erano sempre stati dei grandi a suonare e a
dare al
pubblico tutti i brividi che guadagnavano di diritto una volta comprato
il
biglietto. Lo avevano fatto anche quella sera, naturalmente prima che
Axl desse
di testa.
Tuttavia
sembrava che anche la platea
avesse deciso di esplodere come un dannato vulcano. Si sentivano colpi
ovunque,
urla, schiamazzi, insulti e botte. Forse era già arrivata la
polizia ad
aumentare il casino, o forse si era solamente aperto il pavimento ed
era salito
l’inferno in terra. A ben pensarci era quasi assurdo,
perché probabilmente all’inferno
ci sarebbero finiti anche loro solamente per tutte le ragazze che si
erano
scopati in nemmeno trent’anni di vita. E per la droga, e per
l’alcol, e per non
avere mai avuto le palle di dire al proprio cantante di darci un
taglio. E per
la delusione che avevano provocato in quelle decine di migliaia di
persone che
non avevano ottenuto i brividi che avevano richiesto. C’era
ancora speranza?
Se anche Axl
fosse ritornato, sarebbe
valso a qualcosa tornare sul palco o sarebbero solamente riusciti a
farsi
ammazzare?
“Torniamo
sul palco.”
Axl era tornato
per davvero, ma Slash
ebbe un moto di rabbia che riuscì a stento a trattenere. Non
era facile farlo
arrabbiare, ma lui ci riusciva ogni cazzo di volta con il suo
comportamento che
calpestava il rispetto di chiunque nel raggio di chilometri.
Sì, perché prima
faceva il cazzone e poi pretendeva di sistemare tutto facendolo passare
come un
enorme gesto di generosità, ma non sarebbe servito a nulla
quella volta. St.
Louis era troppo incazzata, avrebbero preferito tagliare la testa a
tutti e
portarsela a casa per rimborsare il costo del biglietto piuttosto che
sentirli
di nuovo suonare.
Questo non
impedì loro di provarci
ugualmente; giunsero fin dietro le quinte e scoprirono di essere
bloccati là.
La folla aveva preso possesso del palco e aveva distrutto tutti gli
strumenti.
Le chitarre, le tastiere, le pelli, gli amplificatori… tutto
distrutto.
Distrutto come la loro dignità, come la speranza.
E si guardarono
negli occhi con
sgomento sempre maggiore, capendo che non avrebbero più
potuto rimediare questa
volta. Forse avrebbero dovuto cominciare a pensare a come mettere in
salvo le loro
chiappe milionarie.
Improvvisamente
una porta si aprì,
lasciando intravedere enormi risse scoppiare violentemente e
ininterrottamente,
come fossero una sola. Forse erano una sola. Una
ragazza sbucò dal
nulla, gli occhi sbarrati e un labbro sanguinante. Chiuse
l’anta alle sue
spalle, appoggiandosi ad essa come se con il suo peso minuto avesse
potuto
trattenere la furia cieca che si stava scatenando dall’altra
parte. Sbatté gli
occhi scuri con incredulità, forse non aspettandosi di
trovarli così
facilmente. Forse credeva che se la fossero già data a
gambe, e avrebbero fatto
decisamente meglio.
“Dovete
andarvene subito,” ansimò
terrorizzata, dopo aver passato svariati secondi piegata in avanti nel
tentativo di recuperare fiato. “Dei ragazzi hanno rubato
pistole e spranghe ai
poliziotti e vogliono venirvi a cercare.”
“Cosa?”
allibì Doug Goldstein,
sbiancando di colpo come se la folla incazzata fosse stata una cosa non
legittima. Li avevano fatti esplodere loro, li aveva fatti esplodere
lui, per
dio! “Devo portarvi via di qui. Forza, andiamo.”
Prese Axl e
Dizzy per un braccio, e
con un cenno del capo intimò agli altri quattro di seguirlo.
Tuttavia Slash non
si mosse, guadagnandosi le occhiatacce del manager, che
indurì la mascella e
fece per replicare, ma il Slash lo precedette.
“Lei
viene con noi,” decretò, serio
come poche altre volte l’avevano visto.
“Sei
pazzo?” sbottò di nuovo Doug. “Non
abbiamo tempo adesso di stare a seguire i tuoi ormoni, Slash, qua
vogliono
farvi fuori!”
Slash
però scosse il capo, non
potendo e non volendo credere che un uomo così sveglio come
lui, che per anni
si era barcamenato nel loro entourage, che era arrivato dove stava
proprio
grazie al suo cervello, non capisse una cosa tanto semplice.
“Come
fai a sapere che ci stanno
cercando?” domandò alla ragazza, ancora spalmata
contro la porta bianca che
celava l’apocalisse. Era una domanda retorica, lei lo
capì e spiegò guardando
Doug.
“Mio
fratello,” sillabò impaurita,
sfiorando con la lingua il taglio che deturpava il suo labbro
inferiore. “Lui è
tra quelli che hanno rubato le armi.”
“E non
credi che sarebbe in pericolo
se la lasciassimo qui?” ringhiò di nuovo Slash,
prendendola per un gomito con
forse un po’ troppa foga, ma la delicatezza in quel momento
così teso non era
di certo la sua priorità. Dovevano andarsene di
lì e dovevano portare via
quella ragazza.
“No,
ehi…” lei tentò di intromettersi,
senza però risultare particolarmente convincente.
“So cavarmela.”
Peccato che
nessuno dei presenti
sembrasse davvero interessato ad ascoltarla o a prendere in
considerazione il
fatto che, se era riuscita a trovarli, allora poi così
stupida non doveva
essere. E, soprattutto, se li aveva trovati lei, nulla avrebbe impedito
anche
ad altri di farlo.
“Chi
mi dice che non stia facendo
tutto questo solo per scoprire dove andremo e farsi poi
seguire?”
“Se
davvero fossi così meschina, come
evidentemente sei tu, altrimenti non avresti proprio potuto escogitare
un
ragionamento tanto perverso, ti assicuro che sarei riuscita a evitare
di farmi
spaccare il labbro da un membro della mia famiglia,”
sbottò la diretta
interessata, allibendo tutti e guadagnandosi la stima silenziosa di
qualcuno
tra i presenti.
“Mi
sembra ragionevole,” sorrise di
nuovo Slash, allentando un po’ la presa sul suo gomito senza
però lasciarla
andare del tutto. Sembrava più soddisfatto e anche
più tranquillo, certo che
ormai nessuno avrebbe potuto impedirgli di portare con loro quella
piccoletta.
Non voleva sulla coscienza anche la vita di una ragazza che, per di
più, li
aveva avvertiti del pericolo che correvano.
“D’accordo,
andiamo,” cedette infine
Doug, facendo segno al gruppo di seguirlo.
La giovane
roteò gli occhi,
rassegnandosi all’idea di dover andare con loro e
lasciò che la mano di Slash
la guidasse fino a destinazione. Cercò di guardare i lati
positivi della
faccenda, ovvero il fatto che avrebbe passato del tempo con i suoi
adorati Guns
N’ Roses. Gli stessi Guns N’ Roses che,
però, avevano anche provocato tutto
quel casino, nonostante la colpa fosse imputabile solamente a uno di
loro e
solamente in parte.
Un furgoncino
della polizia li
aspettava con il motore già acceso e pronto a scattare
diretto verso chissà
dove non appena tutti fossero saliti.
L’atmosfera
era tesa, nessuno
parlava. Slash guardava fuori da un finestrino oscurato, Axl faceva lo
stesso,
ma dalla parte opposta della vettura, e il silenzio era così
pesante che un
coltello l’avrebbe tagliato senza difficoltà. Ad
un certo punto, con un sospiro
esasperato, Izzy parlò.
“Come
ti chiami?” chiese alla ragazza
e lei, dopo essersi guardata attorno un momento e aver capito che
l’unica
sconosciuta in quel posto era lei, spostò lo sguardo su Izzy.
“Joey,”
mormorò incerta, le labbra
appena dischiuse. Si era pulita il taglio poco prima ma, se avesse teso
troppo
la pelle, avrebbe ricominciato a sanguinare e avrebbe dovuto rifare
tutto da
capo. Non faceva particolarmente male, ma era una vera seccatura.
“E
quanti anni hai?” domandò anche
Matt, sorridendole sghembo. Lui era il più vecchio dei Guns,
in quel momento,
ed era anche il più grosso. Si sentiva un po’ troppo
grosso vedendo lei,
che era così piccola e sembrava anche tanto giovane. Una
ragazzina, ecco.
“Ventidue.”
Axl
sbuffò, facendo sentire la sua
presenza per la prima volta. “Un’altra
bambinetta.”
“Una
bambinetta che ti ha salvato il
culo, cara la mia primadonna,” sbottò alterata per
mordersi un labbro subito
dopo, infischiandosene della ferita che, in un attimo, riprese
immancabilmente
a sanguinare. Aveva esagerato.
Anche Axl
dovette pensarla allo
stesso modo, perché si voltò verso di lei e,
allungando un braccio fino ad
avvolgerle le dita intorno al collo, la inchiodò al sedile
in pelle dell’auto. Joey
aveva di nuovo gli occhi sbarrati e la sua paura aumentò
ancora una volta
intercettate le iridi verdi di Axl, che nella penombra
dell’abitacolo
sembravano quasi nere. Avrebbe dovuto contare fino a dieci prima di
aprire la
bocca, soprattutto dopo aver visto cosa aveva combinato a quel tizio
con la
macchina fotografica e il casino che ne era seguito. Ma lei era fatta
così, prima
faceva e poi pensava. Era successo lo stesso anche quando era scappata
via
dall’inferno che stavano organizzando i suoi amici solo per
avvertire i Guns;
in quel momento non le era importato nulla di suo fratello, aveva
solamente
dovuto assicurarsi che quei disgraziati che tanto amava rimanessero
sani, salvi
e cazzoni come sempre. Suo fratello probabilmente le avrebbe spaccato
anche il
naso, oltre al labbro, non appena l’avesse rivista, ma non
aveva proprio potuto
fare altrimenti.
“Che
cazzo fai?” sbottò Slash,
vedendo che Joey iniziava a boccheggiare e a divincolarsi.
“Lasciala andare,
non vedi che la soffochi?”
“Bill,”
la voce di Izzy era bassa, ma
vibrava di tensione. Anche lui era infastidito per il comportamento di
Axl, non
poteva che essere così. E in quel momento, con la mano
attorno al polso di Axl,
che a sua volta stringeva la gola della ragazza che aveva salvato a
tutti la
vita, forse nessuno avrebbe dovuto farlo arrabbiare più di
quanto non fosse
già. Mai fare arrabbiare Izzy, era pericoloso. Avrebbe
potuto andarsene da
un momento all’altro.
“Bill,
lasciala,” ripeté di nuovo,
stavolta con più decisione. E Axl, incredibilmente, lo
ascoltò. Mollò la presa
e si voltò verso il finestrino senza più muovere
un muscolo. Fino a destinazione
nessuno vide più i suoi occhi o sentì la sua
voce. Era come una statua.
“Ti
rimarranno i segni,” stava
dicendo Slash, sfiorando piano la pelle di Joey dove facevano bella
mostra
delle strisce rossastre. Lei portò una mano sulla gola, come
a tastare la zona
dolorante, e intercettò per sbaglio le dita di Slash.
Le si
mozzò il respiro in gola e,
alzando lo sguardo, incontrò i suoi occhi scuri e caldi.
Perché avrebbe dovuto
negare a se stessa il brivido che l’aveva scossa?
Ma, dopotutto,
era normale. Amava le
sue mani, le amava perché erano miracolose,
perché la musica che riuscivano a
creare le faceva battere il cuore come null’altro avrebbe mai
potuto fare, e toccare
le sue dita era qualcosa che nemmeno nei suoi sogni
più inverosimili era
arrivata a pensare di riuscire a fare.
Matt si
schiarì la voce, strappandoli
a quello strano gioco di sguardi che non erano nemmeno sicuri di quando
fosse
cominciato. Joey si voltò verso Matt, scoprendolo con il
volto verso il basso e
un sorriso appena accennato. Sembrava particolarmente intento ad
osservare le
cuciture dei suoi pantaloni e si sentì come colta in
flagrante, perché sapeva
che tutti dovevano essersi accorti di come si fosse imbambolata davanti
agli
occhioni del suo chitarrista preferito.
Così
arrossì, ringraziando il buio
della sera che riuscì a nascondere il misfatto.
E poi, Slash si
doveva sposare con
quella tizia… Renee. Non ricordava che faccia avesse, lui
non si mostrava
troppo spesso con lei in pubblico. Chissà, forse si
vergognava.
Ah, ma che
stronzate. Come poteva
vergognarsi della sua futura moglie? Se aveva deciso di sposarsela
doveva pur
esserci un motivo, sempre che lei non l’avesse costretto. Ah,
cazzate. Aveva
sentito dire che Slash odiava fare cose che gli venivano imposte, e
quindi
quella Renee non sarebbe mai riuscita ad obbligarlo… doveva
esserne innamorato,
sì.
“Siamo
arrivati.”
*
A/N:
l’introduzione è presa dalla biografia di Slash.
Ho cercato
di inserire la storia tra gli eventi, senza alterarli, quindi si
svolgerà tutto
in pochi giorni.