La Fatina della Pasta ed il Folletto Ruba-Cappellacci

di Mandie
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C’era una volta una fatina.
Non una fatina qualunque, è chiaro, se no non avrebbe avuto una storia tutta sua.
Era una fatina molto particolare, perché non apparteneva né all’acqua, né alla natura né agli animali od al fuoco.
Apparteneva alla Pasta.
Si, alla pasta. Dopotutto il suo nome era Fatina della Pasta. I suoi capelli erano biondo impasto, la sua pelle bianco farina e gli occhi color zucca.
E sapete perché? Perché non era una Fatina della Pasta come tante (come se in giro ce ne fossero molte, ma tant’è…), era una Fatina dei Cappellacci. Altrimenti gli occhi arancioni si spiegano solo descrivendola come un tipo strano. Od un cane.
Ma non è divagando che si raccontano le storie, perciò procediamo.
Il suo compito era semplice: preparare cappellacci, ogni giorno della sua vita, da quando le era stato assegnato l’incarico.
Ma non cappellacci qualunque: no, quelli che preparava lei erano in grado di esaudire i desideri delle persone. Come? Semplicemente assaggiandoli. Una volta nell’organismo, essendo magici, percepivano i desideri più grandi delle persone ed essi si realizzavano.
Peccato che solo pochi avessero questa fortuna.
E peccato anche che in giro ci fosse un folletto, tutt’altro che verde, tutt’altro che simpatico, che si divertiva a rubare i famosi cappellacci magici ed a lanciarli addosso ai conigli, agli scoiattoli ed ai Bambi di passaggio, ghignando come un matto ogni volta che li colpiva violentemente e questi barcollavano, atterrando sulla faccia.
Dunque, la Fatina aveva fatto ciò che si faceva in ogni momento di crisi: per la prima volta aveva indossato pantaloni (militari), anfibi, un elmetto da soldato, tinto le ali di nero e si era armata di fucile, svolazzando avanti e indietro, facendo la guardia al suo laboratorio come una fata fuori di testa (cosa che poi, si è visto, era davvero).
I primi due mesi, il vero problema, la Fatina della Pasta l’ebbe con il suo Capo, la Fata Mastro. Ovviamente, con tutto quel cazzeggiare (a dire della colpevole, pura e semplice protezione dei propri interessi), non stava facendo granchè cappellacci.
Lato negativo: niente cappellacci, niente desideri.
Lato positivo: niente cappellacci, niente Folletto.
Chiunque esso fosse.
Insomma, la Fata Mastro era stata chiara: o si riprendeva a lavorare, o la Fatina della Pasta poteva considerarsi ufficialmente una Fatina Lavapiatti.
Di fronte ad un simile ultimatum, la Fatina dovette cedere le armi. Letteralmente: posò il fucile, si tolse l’elmetto e tornò a fare cappellacci.
Ma, una notte, il Folletto colpì.
Come fece ad entrare, nemmeno l’aria riuscì a capirlo.
Il giorno dopo, le cronache avrebbero detto che la Fata, intenta ad impastare, si sarebbe ritrovata la faccia ghignante e insulsa del Folletto che la guardava dall’altro lato del banco di lavoro.
Ma la Fata non era certo tipo da lasciarsi rubare dei cappellacci impunemente.
Afferrò il mattarello ed inseguì il Folletto per tutto il laboratorio, mentre quello scappava via ridendo come un pazzo.
Descrivere la scena in questo modo sarebbe a dir poco un omicidio a sangue freddo per i nervi fragili: perciò, vi risparmierò la cruenta situazione.
Tuttavia, la nostra eroina non la spuntò: il mattarello finì fracassato contro il tavolo di marmo su cui lei lavorava abitualmente e non c’erano altre armi a disposizione.
Il fucile le era stato sequestrato dalla Fata Mastro.
Ma non il suo cervello!
Era una mossa azzardata, quella che le venne in mente, che forse non avrebbe potuto funzionare, ma doveva tentare. Era l’unico modo per salvare i cappellacci!
Ma doveva sbrigarsi: il Folletto stava già riempiendo dei sacchi (comparsi da chissà dove) con una quantità industriale di cappellacci.
La Fataafferrò con decisione un grosso pezzo di formaggio e si posizionò con un ghigno davanti alla grattugia. Niente di strano, certo.
Peccato che quella grattugia fosse dotata anche di una piccola cerbottana, all’occorrenza.
I pezzi di formaggio si concentrarono tutti nella cerbottana; una volta che la Fata ebbe tirato il cordoncino, questi vennero sparati a raffica contro il Folletto, che si convinse di essere sotto attacco di un caccia tedesco.
La Fatanon accennava a smettere e questo convinse definitivamente il Folletto a mollare il malloppo ed a fuggire a gambe levate.
Vi risparmio la scena della danza scozzese intrapresa dalla Fata per festeggiare la vittoria.
Andiamo invece alla mattina dopo, quando la Fata si svegliò nel suo letto e foglie di rugiada (o almeno presumeva che la foglia fosse bagnata per via della rugiada…).
Si osservò.                                   
Non aveva più il suo vestito giallo pasta, con l’orlo sfilacciato.
Adesso era grigio ferro, come quello…di una grattugia!
Apprese del cambiamento solo più tardi: la Fata Mastro si era vendicata della sua insubordinazione col fucile e l’aveva declassata al ruolo di Fata della Grattugia, dato il suo passato da eroe salvifico in questa maniera.
Bella ricompensa per aver salvato i cappellacci!
 




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