Fix you

di Attide
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Buonasera! Questa storia era nata ancora mesi fa, con il nome di “Carry on”. Mi scuso con tutti coloro che l'avevano letta, recensita o seguita, ma per vari motivi ho preferito cancellarla e ricominciare da capo con questa.

Spero che vi possa piacere più dell'altra, e vi invito a commentare o quantomeno di farmi sapere cosa ne pensate :D un bacio, alla prossima.

 

 


Cap. 1

 

 


Scricchiolava il mondo ormai, sotto quei piedi.

Cigolava e si crepava come legno marcito dall'acqua salmastra.

Si teneva il cappuccio del mantello nero ben calcato in testa, una mano artigliata sulla nuca come a proteggersi.

Passi veloci, silenziosi. I passi di chi non vuole nemmeno sentirsi.

Poi entrò.

Spinse con delicatezza il pesante portone di legno, entrata dell'ennesima bettola maleodorante in cui da troppi anni si decideva la sua vita; sì la sua vita, quella che una volta tutto il mondo magico gli invidiava, quella vita che si districava tra abiti in velluto e maschere d'ipocrisia.

L'odore di alcool gli arrivò forte come un pugno, i fumi nell'aria gli premevano la testa, ma lui non era lì per questo anche se avrebbe voluto con tutta l'anima: lui no, lui non era lì per dimenticare.

Si guardò attorno fino a che non lo vide, seduto al tavolo: lui, curvo su un boccale vuoto, gli occhi bassi di chi ha tutto e nulla da dire, le mani magre e nodose aggrappate al legno scuro del tavolo.

Si avvicinò e si sedette di fronte a lui, senza guardarlo, senza parlare: quando si hanno troppe cose da dire ed altrettante da perdere è difficile trovare le giuste parole.

 

-L'hai trovato?-

 

Tre parole, tre insignificanti parole.

Eppure tre parole che lo avrebbero condannato ancora e con lui la sua famiglia.

Non sarebbe stato difficile sottrarsi, decidere di liberarsi da quei giochi di potere e opportunismo. Sarebbe bastato alzarsi e uscire da quella locanda, senza guardarsi indietro, senza pensare.

Ma la mente ormai aveva già deciso, il suo stomaco aveva già deciso.

 

-Si- sussurrò tra le labbra, muovendo impercettibilmente la testa e facendo scivolare fuori dalla copertura alcune delle sue ciocche biondo pallido.

 

Tremava, Lucius Malfoy, tremava della sua stessa decisione.

 

-Si trova dove pensavamo che fosse?-

 

Deglutì, inspirando a fondo. Che diamine stava facendo, ancora una volta?

 

-Si, ho controllato di persona- rispose.

 

Un ghigno deforme gli si presentò davanti, occhi scuri e illuminati dalla follia, cerchiati da profonde occhiaie violacee. Lo guardò bere dal bicchiere con avidità, quasi a brindare affogando nell' autocompiacimento, una gloria sporca come opachi erano i vetri di quelle finestre da cui entravano gli ultimi raggi prima della sera.

 

 

-Agiremo stanotte. Non c'è altro da dire- decretò la figura che gli stava davanti, improvvisamente chinatasi in avanti come per sorreggersi.

 

Lucius si alzò, senza aspettare altro per andarsene.

Passi veloci,silenziosi. Passi di chi non vuole credere.

Svoltati due angoli delle vie laterali si fermò, appoggiandosi al muro e trattenendo il fiato.

L'aveva fatto per la sua famiglia, per un avvenire migliore.

E perchè allora non smetteva di sentire quella patina che gli appesantiva i polmoni?

L'aveva fatto per sua moglie, per suo figlio.

 

Si sistemò il cappuccio sugli occhi con un gesto rabbioso, disperato.

 

-Perdonami- sussurrò piano, diretto al vuoto.

Si sentì uno schiocco e poi più nulla.

 

 

 

§§§

 

 

 


Chilometri di distanza.

Passi concitati, impazienti. Passi di chi ha tutta la vita davanti.

 

Con le gambe fasciate da dei semplici jeans, l'impermeabile grigio chiaro e i capelli raccolti in una coda allentata, Hermione Granger tornava a casa dopo una giornata di lavoro.

Percorse il piccolo ingresso di ciottoli prima di far girare le chiavi nella toppa del portone verde bottiglia, incastonato in una facciata color mattone, e con il sorriso sulle labbra entrò.

 

-Sono a casa!- urlò verso le scale nella speranza di ricevere una risposta.

 

Una risposta che, come ogni volta, non arrivò.

Si spogliò lentamente, procedendo verso la cucina e guardando dentro il frigo: la desolazione dei ripiani vuoti le si parò davanti,facendola sospirare.

Anche questa settimana Ronald si era dimenticato di andare a fare la spesa: possibile che dopo quasi un anno di convivenza non avesse ancora imparato i turni che avevano concordato?

Lo richiuse con stizza, cercando nella dispensa qualcosa che avrebbe potuto saziare l'appetito indomabile del fidanzato una volta tornato dal lavoro.

 

Guardò l'ora sull'orologio da polso, impaziente: Ron era in ritardo, nuovamente. Questa volta una bella ramanzina a lui e ad Harry non l'avrebbe tolta nessuno, pensò la ragazza, addentando una mela e versandosi dell'acqua.

Il campanile della cittadina suonò i nove rintocchi, e il buio dell'esterno ormai era invalicabile.

Guardò fuori dalla finestra, pensierosa.

Ron non si era mai assentato per così tanto tempo senza avvisarla.

 

Una strana sensazione le strinse le viscere, costringendola a sedersi per l'ansia che cominciava a salire.

Subito si diede della sciocca paranoica, colpendosi la fronte con una mano e tendendo le labbra in un sorriso: in fondo il suo Ron era parte della squadra più specializzata degli Auror, sapeva come fare il suo lavoro e soprattutto sapeva come difendersi.

Rassicurata fece scorrere lo sguardo per la cucina, in cerca di qualcosa da fare per ingannare il tempo nell'attesa.

Poi lo vide.

 

L'orologio regalatole dalla signora Weasley per lo scorso Natale, appeso alla parete, le fece gelare il sangue nelle vene.

Le lancette di Ron ed Harry puntavano sul segno “pericolo di morte”.

Non accadeva da anni, da quattro anni ormai, da quando...

 

Il bicchiere che teneva in mano le cadde, frantumandosi sul pavimento.

Frantumandosi nello stesso istante in cui dentro di lei si propagò il terrore.

 

 

 

 





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