Questi personaggi non
mi appartengono, ma sono proprietà di J.K. Rowling; questa
storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
...ma so
proteggerti
Quindi adesso penso a te
che ti ascolto parlare
da dietro il mio muro
e ciò che ora
divide ci unirà in futuro.
Con una mano stringeva la
tracolla di finta pelle che poggiava morbida sulla spalla destra,
mentre con
l'altra teneva un paio di tomi troppo grandi per poterli mettere in
borsa con
gli altri libri. Le nocche erano lievemente arrossate a causa del
freddo. La
gonna era liscia e il colletto della camicia ben stirato. Persino il
nodo della
cravatta rosso-oro era ordinatamente legato sotto il candido collo,
nonostante
non avesse lezione. Insomma, tutto nell'aspetto esteriore della
ragazza, tranne
quei suoi soliti ricci indomabili, era perfettamente nella norma. Se
non per
quei dettagli che solo un occhio attento e consapevole poteva cogliere:
le
profonde occhiaie che contrastavano con l'incarnato chiaro, il lieve
tremore
delle dita che a tratti stringevano spasmodiche quello che tenevano in
mano e
lo sguardo che di tanto in tanto diventava vacuo.
Mentre camminava ripeteva in
mente le date delle varie fasi della guerra tra i troll e i giganti.
Completamente inutile dal momento che le sapeva meglio del professor Rüf
stesso. Salutò col capo un paio di ragazze di Corvonero che
stavano a sedere
sul muretto sotto al portico del castello. Si affrettò a
rientrare per andare
in Sala Comune. Prese una di quelle scorciatoie che aveva imparato
grazie alla
Mappa del Malandrino, anche se non l'avrebbe mai ammesso nemmeno sotto
tortura.
Spostò con un colpo di bacchetta il pesante arazzo che
sollevò non poca
polvere, trovandosi davanti a un lungo corridoio che l'avrebbe fatta
uscire a
pochi metri dall'entrata dei dormitori di Grifondoro.
A un tratto si bloccò
sorpresa. Tutto in lei gelò e si sentì
formicolare le guance. Con grande
autocontrollo, riprese a camminare come se niente fosse, col capo
dritto e lo
sguardo deciso, oltrepassando il ragazzo davanti a lei.
Sempre quell'occhio attento
avrebbe notato quanto forte stringeva in quel momento la sua tracolla.
Le
nocche, prima rosse, erano adesso bianchissime.
- Perciò, è
così che andrà
d'ora in avanti? - domandò una voce tagliente.
La ragazza fece finta di
niente e continuò imperterrita col suo passo, sperando che
quel corridoio fosse
diventato d'improvviso più corto. Sentì un forte
sbuffò di frustrazione venire
da dietro.
Non ti voltare, non ti
voltare, si ripeteva.
- Ti comporti come
un’immatura, - continuò l'altro.
Hermione fece un profondo
respiro, si morse la lingua più forte che poteva per non
sputare tutto il
veleno che aveva nel cuore. Avrebbe dovuto farlo, era vero, ma sapeva
di non
essere ancora abbastanza lucida per poterlo affrontare.
È ancora presto.
Combattendo con sé per non
correre via da quell'incubo, cercò di mantenere lo stesso
passo, finché non
uscì dall'altra parte di quel corridoio segreto, protetto
dagli arazzi, e
corse. Corse più che poteva, fino a quando ressero le gambe.
Corse lontana da
quella voce, da quelle parole, da quella lontananza.
Si chiuse in quel
bagno dove qualche anno prima aveva pianto per una frase detta da Ron.
Rimpiangeva quel dolore, perché era il dolore di una
ragazzina, niente in
confronto a quello che provava in quel momento.
Eppure era abituata a cose
più spiacevoli, aveva rischiato la vita con i suoi amici
tante di quelle volte,
ma niente la rendeva così maledettamente debole come quello.
Si permise di piangere,
ancora una volta, ripromettendosi che quella sarebbe stata l'ultima.
Singhiozzò
forte, credendo di poter buttar fuori anche la sofferenza che provava.
Si appoggiò con le mani al
lavandino e vide il suo riflesso allo specchio. Ciò che
stava guardando non le
piaceva per nulla: quegli occhi rossi, le labbra che tremavano e le
lacrime che
le bagnavano il viso.
Ho deciso che questa cosa non
può più continuare.
Altre lacrime.
Siamo troppo diversi.
Lacrime.
Ti sarei grato se continuassi
a mantenere il segreto su quello che c'è stato.
Tutta la rabbia che aveva
dentro venne fuori con un urlo trattenuto fra i denti.
L'aveva lasciata.
In un modo orribile.
E lei era lì a piangere per
lui, a umiliarsi davanti se stessa. Strinse i pugni e cercò
di ricomporsi.
Pronunciò un “Gratta e
netta”
sul suo viso, che tornò liscio e pulito.
Lui non meritava tutto quello
e infatti lei era arrabbiata con se stessa per avergli permesso di
farle
quello. Sapeva che la stava prendendo in giro, dal primo istante. Il
suo
stupido cuore però si era fatto presto abbindolare e lei si
era ritrovata ad
amarlo. Il ragazzo invece una volta stanco di quel giochetto li aveva
spediti
entrambi – lei e il suo stupido cuore - con un calcio, in
cima alla torre del
loro dormitorio. Sapeva che non si sarebbe mai perdonata per quella
debolezza e
le stava bene, così imparava a fidarsi di Draco Malfoy.
*****
- Ti prego, ti prego, ti
prego. -
La ragazza alzò gli occhi al
cielo. - Diciamo che posso farti leggere le prime tre pagine del mio
tema, solo
come spunto, poi farai da solo, - cedette.
- Grazie Hermione! Tu sei la
persona migliore che io conosca e da grande vorrei essere come te, - le
disse
Ron. Lei lo guardò con un misto di rassegnazione e
divertimento, mentre si
sedeva sul tappeto vicino al caminetto.
- Dov'è Ginny? - chiese
Hermione a Harry.
- Doveva vedersi con un paio
di amiche, - rispose lui visibilmente deluso.
- Ma allora ha ancora una vita
sociale, - disse Ron fingendosi stupito.
I due amici lo guardarono
male, ma sapevano che in realtà stava solo scherzando. Aveva
preso piuttosto
bene il fatto che si fossero rimessi insieme, consapevole che Harry non
l'avrebbe più lasciata, perché non vi era
più pericolo. Chiaramente però era
toccato a Hermione fargli una bella strigliata e spiegargli che l'anno
prima
Harry si era separato da lei per proteggerla.
Quello era
vero amore.
Una passione che va oltre il
razionale e l'egoismo. Fare di tutto per l'altro.
Tutte cose che Malfoy non
avrebbe mai potuto capire.
- Sei d'accordo Hermione? -
Si riscosse dalle sue
riflessioni, volgendo interrogativa il capo verso Ron.
- Non fanno che stare
insieme, solo loro due. Si sono dimenticati degli amici, - disse
ammiccando,
dando una gomitata al moro seduto accanto a lui. Delle volte Ron
esagerava
anche nel suo mostrarsi “totalmente d'accordo col rapporto
tra Harry e Ginny”,
che diventava goffo o inopportuno.
- Non cercare di farmi
sentire in colpa, - gli rispose l’amico tirandogli un cuscino
e facendo cadere
tutto l'inchiostro sulla pergamena.
La ragazza capendo che di lì
a poco sarebbe scoppiato uno dei loro scontri scherzosi, si
alzò per andare
via.
Da quando la guerra era
finita scene di calma e gioia erano frequenti. Era come se tutti
fossero sempre
su di giri per via del pericolo scampato. Come quando si ha paura per
un'interrogazione, che poi va bene e si è felici per tutto
il resto della
mattinata. Tutti sembravano respirare in maniera più libera
e vivere sereni.
Chiuse il ritratto della
Signora Grassa con un sorriso affettuoso rivolto ai due amici.
Decise di andare in
biblioteca a ripassare un po', giusto per
sicurezza.
Con l'avvicinarsi del Natale
l'atmosfera del Castello diventava sempre più piacevole.
Aleggiava un clima di
calore e solidarietà e persino i Serpeverde apparivano meno
tremendi. Qua e là
vi erano delle decorazioni tenute ferme con i potenti incantesimi della
McGrannit. Per questo un Pix piuttosto irritato non riusciva a staccare
dalla
parete una ghirlanda grande più di un metro, con gocce di
rugiada ghiacciate
sulle foglie.
- Pix, smettila subito! - gli
urlò.
Il poltergeist si voltò verso
di lei e rise. - Uhh! Che paura. - la prese in giro. -
Perché non mi dimostri
le tue doti da strega staccandola? - la sfidò indicando la
ghirlanda.
- Sì, certo. Non ho niente da
dimostrarti. E ora vattene o chiamo il Barone Sanguinario. -
Pix a quel punto rise ancor
più sonoramente, tenendosi la pancia.
- Ti ho detto che non mi
spaventi, Caposcuostupida. Lui non
parlerebbe mai con te. -
- Ma con me sì, -
ribatté
qualcuno gelido. - Per cui fai quello che ti ha detto e non azzardarti
più a
chiamarla così. -
Come sempre quando si parlava
del Barone Sanguinario, Pix si volatilizzò senza
più dire nemmeno una parola.
Anche Hermione tentò di fare lo stesso, ma Malfoy le
afferrò un polso.
- Aspetta. - La sua voce era
come il richiamo delle sirene. Tutti sapevano che fine avrebbero fatto,
ma si
sarebbero volentieri sacrificati pur di sentirle cantare.
Hermione socchiuse lievemente
gli occhi al suo tocco, ricordandosi di non dover essere debole.
Nonostante
tutto, non si girò. Ma non andò nemmeno via.
- Non... - strinse ancora di
più la mano intorno a quel pezzo di carne che un tempo era
stato suo, come se
cercasse di trasmetterle in quel modo quello che pensava. O per trovare
semplicemente il coraggio che a lui era sempre mancato e che invece
sembrava
impossessarsi di lei nei momenti più sbagliati.
La ragazza aspettò, ma dalle
labbra del Serpeverde non uscì altro.
Ho deciso che questa cosa non
può più continuare.
Dopo due mesi non era nemmeno
riuscito a dare una definizione del loro rapporto. Era una cosa
per lui.
- Molto bene, - disse sicura.
Non fece resistenza quando
lei si liberò dalla sua stretta. Incapace, come tutte le
volte, di trattenerla
o di spiegarsi. Per via di tutto ciò che non
diceva gli inizi tra loro
erano stati duri, ma poi lei aveva imparato a conoscerlo e a leggergli
nello
sguardo le parole che non pronunciava. Probabilmente però
era stata tutta una
sua invenzione, aveva visto cose che in realtà non c'erano e
non ci sarebbero
mai state in lui.
*****
Ci
giudichiamo adulti come per invenzione
perdiamo tempo a urlare ma
senza ascoltare
e tratteniamo lacrime come
in competizione
come se essere grandi fosse
una gara ad occultare
- Adesso basta. Smettila di
comportarti come una ragazzina. - Le afferrò con forza le
spalle stringendole.
- Lasciami, - ordinò lei
divincolandosi.
- No, - rispose duro. -
Smettila di far finta che non ci sia stato niente, dannazione. - La
lasciò per
sbattere un pugno al muro.
- Ma è questo che è
stato:
niente. - L'unico modo per trattenere le lacrime era concentrarsi sulla
rabbia
che provava verso di lui. - E' la tua parola contro la mia, visto che nessuno
deve sapere niente. -
Malfoy la guardò con uno
sguardo pieno d'odio. Verso chi, non lo sapeva.
Forse verso di lei per
avergli ricordato quelle parole.
Forse verso se stesso per
averle scritte settimane prima.
- Non fare questi giochetti
con me, Granger. -
- Tanto per te è tutto un
gioco. -
Il ragazzo strinse la
mascella.
- Sei una stupida. -
Hermione fu seriamente
tentata di colpirlo con uno Schiantesimo, ma non voleva rispondere con
la
violenza.
Ne sarebbe uscita con
l'orgoglio intatto.
Per una volta.
- Vuoi dire che per te non ha
significato niente? - le chiese con rabbia.
- Tanto quanto ha significato
per te. - Lo guardò negli occhi decisa.
Non sarebbe stata lei la
sconfitta quella volta, oh no.
Malfoy fece un sorriso amaro
scuotendo la testa. Le si avvicinò poggiando una mano sulla
sua nuca, a
contatto con i capelli cespugliosi. Lei incrociò le braccia
al petto, in un
inconsapevole gesto di difesa e spostò lo sguardo dal suo.
Sentiva quella mano
pesare come un macigno e quegli occhi, grigi come il cielo in tempesta,
talmente
intensi da poter sciogliere anche il metallo più prezioso.
Era sempre così con lui.
Nessuno dei due voleva scoprirsi prima dell'altro e si erano persi.
Non era orgoglio. No, quella
era paura. Una
fottutissima paura di essere ferito dall'altro, perché
questo, aveva il potere
di farlo.
- Avevamo fatto l'amore, -
sussurrò lei.
Subito dopo si morse la
lingua: fatto l'amore.
L'unico motivo per cui
l'aveva detto piano era perché sapeva di non avere
abbastanza voce. Pregò
perché riuscisse a non piangere davanti a lui, anche se
tutto quello la faceva
star male. Ma aveva evitato per troppo tempo un confronto che comunque
pretendeva, perché voleva che glielo dicesse in faccia che
era stata solo una cosa.
Sentì premere la mano ancora
sul suo collo. Come sempre quando era nervoso, cercava un appiglio,
senza
chiedere.
- Granger... -
Lei lo guardò, dritto negli
occhi, sfidandolo. Ma anche allora non aggiunse niente.
- Mi hai stancato! - urlò. Si
allontanò da lui furiosa. - E' per questo che mi hai mandato
un gufo? Uno
stramaledettissimo gufo?
Perché è
troppo faticoso parlare? E' per la tua pigrizia che
mi sono ritrovata a
porre fine a una cosa di due mesi con un
fogliettino e senza uno
straccio di spiegazione? -
Malfoy sembrava una statua di
cera. Non si muoveva e non scaturiva nessuna emozione. In
realtà non sapeva se
avesse ascoltato o meno quello che aveva detto. La mancanza di risposta
non
voleva dire per forza che non l'avesse fatto.
Hermione raccolse i cocci
della sua dignità, che lui aveva sparpagliato pian piano
tutt'intorno. Era
evidente che non ci sarebbe stata nessuna spiegazione, per cui era ora
di
chiudere definitivamente. Così come faceva anche lui, rimase
in silenzio mentre
si risistemava, pronta per tornare a mischiarsi con gli altri studenti.
Non era
da lei restare muta in una situazione del genere, ma sicuramente era da
lei
ripagarlo con la stessa moneta. In fondo era dal primo anno che
facevano così,
quando le parole non mancavano mai. Al contrario di adesso.
- Mi dispiace, - disse piano
Malfoy un attimo prima che lei mettesse il piede fuori.
- Non mi basta, - rispose. -
E' troppo tardi. -
Malfoy ebbe paura che fosse
vero e quella paura era molto più grande rispetto all'altra.
*****
Il
destino che connette ogni mondo
un giorno mi
portò a te
e ti rincorsi per caso
e fu surreale
l’amore che
urlasti, fu forte da far male
La piuma si posò delicatamente
a terra, con un movimento dolce e ondulatorio. A Draco
ricordò le onde che
s’infrangono sul bagnasciuga. La raccolse guardandola per un
attimo e perché
no? Invidiandola perfino, perché essa poteva godere di
quella meravigliosa
compagnia che a lui era stata negata. La chiamò senza troppa
enfasi e non solo
perché era scortata dai suoi amici, ma anche
perché aveva il sospetto che lei
l’avrebbe ignorato.
Lei si girò, lentamente, come
se avesse preso prima un profondo respiro.
Anche Hermione doveva
ricordarsi che era scortata dai suoi amici e che
quindi doveva
comportarsi con indifferenza. Alzò un sopracciglio
interrogativa e lui le
allungò la piuma che aveva raccolto.
- Tieni, Granger, - le
aveva detto nascondendo in quelle due parole tutti i significati del
mondo.
Uscirono tutti e tre di corsa
dall’aula di pozioni: uno
fumante di rabbia e gli altri due divertiti. Harry era stanco delle
continue
attenzioni che gli rivolgeva Lumacorno, come si poteva immaginare,
ancora più
insistenti di quelle del sesto anno. Figuriamoci se il professore si
sarebbe
fatto scappare un gioiellino del genere dal suo album di pupilli.
Niente meno
che il Salvatore del Mondo Magico! Persino Hermione, ormai, si era
rassegnata a
quel favoritismo e se la rideva con Ron.
Erano stati così
impazienti di uscire dall’aula, una
volta finita la lezione, che non si era nemmeno accorta di aver
dimenticato il
libro sul tavolo.
Mentre Draco Malfoy riordinava con
tutta calma le sue
cose, lo vide. Si avvicinò e notò un segnalibro
che sbucava da esso. Era
decorato con una foto nella quale i soggetti erano immobili –
quindi immaginò
essere una foto non magica, - e rappresentava tre persone abbracciate,
tra cui
riconobbe la Granger. Quelli vicino a lei dovevano essere i suoi
genitori. La
ragazza aveva il volto un po’ girato. Sorridevano tutti e tre
e sembravano
immersi in un’atmosfera di serenità, ma quello che
lo colpì fin nel profondo erano
i suoi occhi. Quegli occhi che fissavano la madre e che esprimevano un
amore
che Draco non aveva mai neppure immaginato. Si domandò
distratto se anche
Narcissa aveva lo stesso sguardo quando lo guardava. Senza pensare
prese il
libro, uscì dall’aula di corsa e la
chiamò.
Hermione stava ancora prendendo in
giro l’amico, insieme
a Ron, quando sentì la voce di Malfoy e si voltò
con ancora il sorriso
rassicurante e divertito che aveva appena rivolto a un Harry sempre
più
irritato. Fu un attimo, ma Draco lo colse. Vide di nuovo nello sguardo
della
ragazza le stesse emozioni che aveva ritrovato in quella foto. Un
affetto così
profondo rivolto prima alla madre e poi all’amico. Li vide
quegli occhi che
brillavano d’amore e provò una fitta
d’invidia.
- Tieni, Granger, - le aveva detto
sbrigativo
allungandole il libro, per poi voltarsi subito dopo e andare via.
I due rimasero a guardarsi per
un tempo infinito, finché Ron non disse sarcastico: - Ho un
déjà-vu. –
Così Hermione e Draco seppero
di non essere stati i soli ad averlo avuto.
Quella volta però, lui non si
voltò e non scappò via. Aspettò che
lei seguisse i suoi amici, osservandola
finché non sparì dalla sua visuale.
*****
- Basta! - le ordinò
fingendosi esasperato e chiudendole
con un tonfo, il libro che aveva davanti.
- Ti ricordo, - cominciò
Hermione col suo solito tono
petulante, - che domani ho un test. –
Una decina di libri erano
sparpagliati tutt’intorno a
loro, che erano nascosti al sicuro da occhi indiscreti, fra gli alberi
della
Foresta Proibita, pochi metri oltre l’inizio. Erano talmente
spensierati e
sicuri delle loro abilità che non badavano ai possibili
rischi che potevano
correre lì dentro. D’altra parte entrambi erano
sopravvissuti a una guerra –
lei più di lui – e ciò aveva dato loro
abbastanza arroganza da sfidare le
creature che vivevano lì. Inoltre, da quando Hermione
Granger si faceva
scrupoli a rischiare la vita o a infrangere le regole quando si metteva
in
testa qualcosa? Be’, forse qualche scrupolo se lo faceva, ma
ciò non le
impediva comunque di agire.
- E io ti ricordo, -
cominciò Malfoy imitandola e
avvicinandosi sempre di più a lei. – Che hai
studiato già tutto lo studiabile
su Antiche Rune, per cui ora faresti meglio a dedicarti a me, - le
disse con un
sorriso malizioso. – Non vorrai mica che ti boccino in Dracologia?
–
Hermione spalancò gli
occhi. – Malfoy, era ironia quella?
–
- Ogni tanto capita anche a me, -
alzò le spalle.
Da vera serpe approfittò
dell’attimo di confusione della
ragazza per attirarla a sé e baciarla. Lei tentò
qualche debole protesta prima
di lasciarsi andare completamente. Dopo un tempo infinito lui si
staccò e puntò
il suo sguardo in quello di lei, scrutandola fin nel profondo.
Probabilmente
quello che vi trovò lo soddisfò molto,
perché si aprì in un sorriso luminoso e
riprese a baciarla con una passione che non sapeva di avere.
Hermione si riscosse quando si
sentì chiamare con insistenza.
- E’ domani il test di Antiche
Rune? – le domandò esasperata la Abbott,
probabilmente dopo aver ripetuto la
domanda un paio di volte. Grifondoro e Tassorosso frequentavano insieme
le
lezioni di Antiche Rune, quindi anche lei avrebbe dovuto fare il test
il giorno
seguente, senza sapere, però quali pensieri esso aveva fatto
sorgere nella
mente di Hermione Granger.
Quest’ultima venne investita
d’un tratto dai rumori e dalle voci della Sala Grande, di cui
si era
dimenticata fino a un attimo prima. Con la coda dell’occhio
vide la compagna di
Tassorosso rivolgere un saluto timido a Neville, che
ricambiò con un sorriso
altrettanto tirato, diventando tutto rosso. Se in quel periodo non
fosse stata
così suscettibile su questioni simili, li avrebbe trovati
incredibilmente
teneri. Sospirò spostando lo sguardo e incontrando un paio
di occhi grigi che
la fissavano. Sobbalzò per la sorpresa, sebbene fino a
qualche tempo prima non
fosse strano trovare il suo sguardo su di sé, anzi le faceva
più che piacere.
Strinse i pugni sotto al tavolo e s’impose di essere forte.
Non poteva scappare
per sempre, così rivolse la propria attenzione ai suoi amici
seduti accanto a
lei, aspettando in uno stato di costante ansia che arrivasse il momento
di
ritornare in Sala Comune.
- Hermione, mamma sarebbe
felice di avere anche te a casa per Natale. – Ginny la
guardò sorridendole.
Era già arrivato il Natale e
lei non se ne era nemmeno resa conto. Non aveva molta voglia di
festeggiare, ma
l’anno prima aveva trascorso la vigilia insieme a un serpente
che voleva
uccidere lei e Harry, quindi, forse, poteva fare uno sforzo, giusto per
non
essere ingrata.
- Ringrazia la signora Weasley
da parte mia, ma quest’anno voglio passarlo con i miei
genitori, - rispose. Se
non l’avesse fatto, non l’avrebbero mai perdonata.
Era già stato difficile, per
loro, accettare che la figlia li avesse esclusi dal proprio mondo e
spediti in
Australia, mentre lei rischiava la vita ogni singolo giorno.
Ginny annuì comprensiva e
felice che l’amica avesse finalmente riabbracciato la madre e
il padre.
- Tu Harry verrai, vero? –
chiese Ron. – La mamma sarà fuori di testa,
avremmo bisogno di tutto l’aiuto
possibile. –
Per un attimo calò su di loro
il peso della scomparsa di Fred. Sapevano che il dolore non sarebbe mai
andato
via e che ogni festa sarebbe stata sempre più difficile, ma
dovevano sostenersi
a vicenda e sostenere soprattutto i signori Weasley e George.
- Ma certo, - rispose Harry
ancora un po’ malinconico. – Ci saranno anche i
signori Tonks con Teddy. –
I nomi di Lupin e Ninfadora si
aggiunsero a quello di Fred.
Rimasero in silenzio per
qualche minuto, ognuno perso nei proprio pensieri. Ginny e Harry erano
seduti
vicini e lei gli teneva una mano poggiata sul ginocchio, rassicurante.
Ad un tratto Ron fece una
mezza risata e gli altri lo guardarono interrogativi.
- Scommetto che Fleur non vede
l’ora di ricevere uno dei maglioni di mamma. -
*****
Ho
la testa i primi sette giorni
Insieme sempre 24 ore
ed è passato
ancora molto tempo
Ma sono sequestrato sempre
dal tuo odore
La neve cadeva lentamente,
donando lo stesso aspetto candido a tutto il panorama. In tutto il
castello
c’era odore di pino e cannella. Diversi abeti decorati erano
sparsi qua e là
nei corridoi e perfino Pix sembrava più calmo del solito.
C’era un’atmosfera
frenetica, perché quello era l’ultimo giorno prima
delle vacanze di Natale e
anche chi restava a Hogwarts era indaffarato a salutare gli amici o a
pensare a
quali regali comprare.
Hermione era sola in camera,
mentre riordinava il baule e decideva cosa portare con sé a
casa. Mise tutti i
libri scolastici, mentre lasciò sul letto la divisa.
Continuando a frugare posò
le dita su un pezzo di stoffa morbido, che si trovava sul fondo. Lo
tirò fuori
e vide che era un maglioncino grigio. Per un attimo si sentì
mancare. Il cuore
cominciò a battere all’impazzata e la mente a
vagare.
Salutò Madama Pince e
uscì dalla biblioteca. Le braccia
le facevano già male per via del peso di tutti i libri che
aveva preso in
prestito. Camminava come un pinguino, tentando di non investire
nessuno.
Sebbene la scuola fosse cominciata da poco, i professori non si erano
fatti
scrupoli a caricarli di compiti, ma d’altronde li attendevano
i M.A.G.O.
Non vedeva l’ora di poter
posare tutti quei tomi sul suo
letto e andare a mangiare in Sala Grande.
A un certo punto il libro che stava
sulla sommità prese a
fluttuare e allontanarsi da lei. Lo fissò un attimo
allarmata, pensando a come
poterlo afferrare. Non poteva prendere la bacchetta perché
aveva le mani
occupate, così poggiò i libri a terra e
inseguì velocemente il libro. Appena si
voltò non le fu difficile capire la situazione. Nel
corridoio c’erano solo lei
e Malfoy e lui aveva in mano la bacchetta.
- Ti sarei grata se mi restituissi il
mio libro, - gli
disse piccata.
- Vedi, Granger. Questo non
è il tuo libro. È della
scuola e si dà il caso che mi serva. –
Solo tempo dopo lui le aveva rivelato
che in realtà quel
libro non gli serviva affatto, quello che voleva era una scusa per
parlarle.
- Ma si dà il caso, che
l’ho preso io. Quando avrò finito
potrai usarlo tu. – Tentò di afferrarlo, ma il
ragazzo fu più veloce e con un
gesto elegante della bacchetta, lo allontanò da lei.
Hermione non voleva
prendere la bacchetta: era contro le regole, ma non avrebbe resistito
ancora a
lungo.
- Oh, andiamo Granger. Sappiamo
entrambi che tu puoi
farne benissimo a meno. Ne sai molto di più di chi
l’ha scritto, - sbuffò.
Cos’era, una specie di
complimento?
- Per favore? – Chiese
alzando un sopracciglio come se la
stesse apertamente prendendo in giro. Hermione gli lanciò
un’occhiataccia,
notando che stava stringendo il libro al petto, su un maglioncino
grigio.
Sospirò: - Va bene, ora
andiamo da Madama Pince a dirle
che l’hai preso tu e non io. Non voglio certo prendermi la
colpa per gli
eventuali danni. –
Quello era stato il primo
discorso civile che avevano fatto da quando si conoscevano. Strinse
l’oggetto
che aveva in mano e se lo portò al viso inspirando a pieno.
Aveva ancora il suo
profumo.
Prese in tutta fretta le radici
dall’armadietto delle
scorte. Il tempo che aveva dato loro Lumacorno era quasi finito e lei
doveva
ancora tagliuzzare le radici e metterle nel calderone. Si
girò velocemente
determinata a non perdere tempo, ma andò a sbattere contro
qualcuno.
- Oh, scus… -
alzò lo sguardo e incontrò un paio di occhi
divertiti.
- Figurati Granger, - le disse Malfoy.
La ragazza riabbassò la
testa e vide che gli aveva macchiato
la maglia con le radici.
- Merlino, - cominciò
imbarazzata. – Mi dispiace
tantissimo… invece di grigio ora è
marrone… oh, accidenti… aspetta ho la
bacchetta là… però sta per scadere il
tempo… un semplice “Gratta e
netta”… -
Quello alzò gli occhi al
cielo. – Rilassati. È solo un
maglione. – Allungò la mano per prendere qualcosa
dall’armadio e tornò al suo
calderone.
Con ancora il viso premuto
contro il tessuto scoppiò a piangere, stringendolo
più forte che poteva.
Singhiozzava forte e senza ritegno, incurante del fatto che qualcuno
sarebbe
potuto entrare da un momento all’altro.
- Credo di averti trovata nelle
figurine delle
Cioccorane, - disse tenendo in mano una piccola carta e muovendola un
po’, come
a guardarla da diverse angolazioni. – Però
c’è scritto solo il nome. Potresti
anche mostrarti ogni tanto. –
Hermione era appoggiata a un albero,
sulle sponde del
Lago nero. Si asciugò in fretta le guance quando lo
sentì parlare, ma era
troppo tardi. Malfoy le si parò davanti preoccupato. La
fissò per un attimo,
colpito nel profondo da quell’immagine. Nessun singhiozzo la
scuoteva, ma le
lacrime continuavano a uscire dall’angolo degli occhi,
nonostante facesse di
tutto per evitarlo. Sentì la gola seccarsi,
allungò una mano e la poggiò sulla
sua guancia.
- Che succede? – le chiese
piano.
Hermione distolse lo sguardo dal suo,
imbarazzata. Quel
loro strano rapporto era così fragile che ogni parola poteva
essere quella
sbagliata. Non parlavano mai del passato, facevano finta di non
ricordare o di
voler dimenticare. Non passava giorno che non si vedessero, che non si
parlassero, anche solo per un saluto, sempre lontani dagli altri, i
quali, non
avrebbero capito. Nemmeno loro in effetti capivano cosa erano o chi
erano; ma tutto sembrava irrilevante a quel punto. Bastava
passare del tempo insieme, poi il resto veniva da sé. E ora
erano lì, faccia a
faccia, e lei si sentiva nuda. Non solo perché stava
piangendo, ma perché aveva
bisogno di sentirsi così. Era stanca di
essere forte, di dover sempre
trattenere le lacrime perché sapeva, che se avesse iniziato,
non avrebbe più
smesso.
Sentiva il calore che la mano di
Draco emanava sulla sua
pelle, sentì la presenza di quell’abbraccio
immaginario che le stava dando, la
rassicurazione nello sguardo. Lui avrebbe potuto benissimo lasciarla
lì, a
piangere da sola, e forse una parte di lei l’aveva sperato, o
desiderato.
Invece anche lui aveva bisogno di star lì. Doveva
consolarla, doveva
proteggerla, doveva esserci.
- Oggi sarebbe stato il compleanno di
Colin Canon, -
sussurrò tornando a guardarlo. – Suo fratello ha
messo una sua enorme foto
nella bacheca della Sala Comune, con la scritta “Tanti
auguri”. Era così
piccolo e non meritava di morire. Non lo meritava nessuno di loro.
– Continuò
ad asciugarsi le lacrime con la manica della maglia. Aveva anche freddo.
La Battaglia di Hogwarts era un altro
argomento di cui
non parlavano mai, seguendo un tacito accordo. La mano del ragazzo
tremò
impercettibilmente. Negli occhi di lei non vedeva l’amore che
li
caratterizzava, ma solo sofferenza. Era una visione che lo faceva star
male
come non avrebbe mai creduto possibile, ma lui era la persona
più sbagliata in
quel momento, in quel discorso e lo sapevano entrambi.
Hermione afferrò il
maglione grigio di lui e lo tirò
verso di sé. Non seppe mai perché
l’aveva baciato o da quanto tempo desiderava
farlo, sapeva solo che era stata la cosa giusta. Quella bocca calda era
stata
come un balsamo, quei suoi movimenti dolci le lenirono
l’animo e la protezione
delle sue mani sul viso le permise di non sbriciolarsi in tanti
granelli di
sabbia.
Si stavano baciando. Per la prima
volta. E Draco sembrava
dirle in quel modo le parole che non era riuscito a pronunciare per
tranquillizzarla. Erano lì, sulla lingua e lei le
trovò e le fece sue.
Capì di non poter continuare
così. Stava diventando una piagnucolona e non le piaceva.
Prese la bacchetta,
decisa a far sparire il maglione di Malfoy. Stava per scagliare un:
“Incendio”,
quando sentì montare un’incredibile rabbia.
Lanciò l’oggetto sul suo letto e si
fiondò di corsa fuori dal dormitorio.
- Stupeficium! – Una scheggia
volò via dalla corteccia dell’albero. Malfoy
saltò spaventato, afferrando a sua
volta la bacchetta. Hermione aveva aspettato troppo a lanciare il
secondo
Schiantesimo, così lui ebbe il tempo di proteggersi.
- Sei impazzita? – urlò.
- Tu non dovresti nemmeno
avvicinarti a quell’albero! Glacius!- La ragazza
però era troppo agitata per
riuscire a tenere il polso ben fermo e sebbene credesse di volergli
fare del
male, forse in fondo, non lo voleva così
tanto. In battaglia bisognava
restare lucidi, dipendeva tutto da pochi istanti, infatti Malfoy
riuscì a
disarmarla, facendo volare la sua bacchetta che cadde diversi metri
più in là.
Si studiarono per un po’, cercando di calmare il respiro.
- Dimmi il perché. Dimmi il
perché! – Hermione strinse i pugni.
Draco sospirò e distolse lo
sguardo.
- Sappi che questa volta non
me ne andrò finché non farai un fottuto discorso
che abbia un fottuto senso, -
continuò lei. Era finalmente pronta per un confronto.
*****
Sentiva di stare per congelare. Era uscita
senza giacca e
i piedi erano sprofondati nella neve di diversi centimetri. Tra loro,
però,
c’era un silenzio ancora più freddo.
Aveva
detto che l’amava.
L’aveva fatto. Così,
velocemente, tanto che le parole – quelle
due parole – si erano quasi
accavallate tra loro. Glielo aveva lanciato, quel “ti
amo”, come se avesse
avuto paura che da un momento all’altro la piovra gigante del
Lago Nero sarebbe
saltata fuori per sbranarlo.
E lei
l’aveva guardato.
Era rimasta immobile, fissando il suo sguardo
in quello
di lui, incapace però, di leggervi davvero dentro.
Tutto questo, durante un fugace attimo, prima
che
Hermione, piena di collera, si buttasse su di lui tentando di afferrare
la sua
bacchetta. Malfoy con un movimento veloce alzò il braccio,
in modo che la
ragazza non potesse riprendere l’arma. La guardava con gli
occhi sbarrati,
sorpreso.
- Ridammela! – urlava.
Cominciò a prendere a pugni quel
petto su cui si era addormentata la notte prima della rottura, dopo
aver
condiviso con lui tutta se stessa.
Era furiosa di rabbia e voleva solo farlo soffrire quanto aveva
sofferto lei.
Per colpa sua.
- Hermione, - cercò di farla
ragione.
- Non mi dire: “Hermione”!
– gridò lei. Quando avevano
cominciato a venir fuori le lacrime? E perché quei pugni
congelati dal freddo
le dovevano fare così male quando lo colpiva?
Iniziò a sbattere violentemente i
denti e a tremare.
Malfoy scaraventò a terra le bacchette e strinse le sue
braccia attorno alla
ragazza, proteggendola col mantello, col corpo e col suo amore.
Prese un profondo respiro, mentre la sentiva
singhiozzare
forte e sapeva di essere l’unico responsabile.
Aprì la bocca cercando tutto il
coraggio che aveva, perché era facile dire che sarebbe
diventato certamente un
Mangiamorte pur di salvare la sua famiglia, era facile denigrare i ceti
inferiori ed era facile ridicolizzare Babbanologia, ma quando
c’era un forte
sentimento di mezzo, si restava paralizzati. Paralizzati come davanti a
Silente, come davanti a un corpo pietrificato dal Basilisco, come
davanti al
cadavere di un’insegnate, che veniva sbranato da un serpente
davanti ai propri
occhi. E anche lui, ogni volta che vedeva Hermione, restava paralizzato
davanti
alla grandezza di quello che provava e aveva fatto quello che faceva
sempre:
scappare. Avrebbe sempre ricordato gli occhi di lei nel momento in cui
era
diventata una cosa sola con lui; l’aveva baciata con tutta
quella dolcezza che
non sapeva neanche di avere e seppe che non sarebbe più
riuscito a vivere senza
di lei.
La strinse più forte fra le sue
braccia, ripensando al
momento in cui si era reso conto di amarla e deciso a parlare, a
lottare per
lei, per loro.
- Mi dispiace se ti ho fatto del male. Non
posso
prometterti che non risuccederà, perché senza
volerlo, potrei rifarlo. – Le
sussurrava nell’orecchio, sapendo benissimo che lei faceva
sua ogni parola. –
Quello che posso dirti è che ne vale la pena. Io ero
terrorizzato all’idea di
poter provare dolore, ma mi sono accorto che senza quel tipo di
sofferenza la vita
non ha senso. Senza di te, la mia
vita non ha senso. Scusa se ho fatto finta di non capirlo, se ho
cercato di
nasconderlo. – Si staccò da lei per poterla
guardare negli occhi, perché quando
provi qualcosa di enorme dentro al petto, che cerca di saltare fuori,
non puoi
fare a meno di assecondarlo, facendolo passare dalla bocca, non esiste
vergogna, non esiste pudore, esiste solo quel brivido di eccitazione e
paura
che ti rende vivo.
Le accarezzò le lacrime ormai
secche sulle guance. – Lo
so che puoi avere di meglio, che dovrai lottare contro tutti, ma io ti
chiedo
di perdonarmi e di scegliere me, di scegliere noi,
perché io l’ho fatto ed è la decisione
migliore che abbia mai
preso. – Le regalò un sorriso radioso, che
probabilmente sciolse anche la neve
intorno a loro e le si avvicinò lentamente, lasciandole il
tempo di tirarsi
indietro, se avesse voluto. Aveva imparato a conoscerla bene e sapeva
già che
non sarebbe stato facile ricostruire tutto, ma era già
pronto a dare il
massimo. Era appoggiato a quell’albero da ore, aspettandola.
Sapeva che prima o
poi sarebbe arrivata. Invece, quando le loro labbra si toccarono, lei
non si
ritrasse e lui poté finalmente reimpossessarsi di
ciò che gli apparteneva.
- Era un fottuto discorso? – le
chiese ilare, quando si
staccarono.
Lei annuì: - E aveva un fottuto
senso. –
Avrebbe pensato il giorno dopo a come
fargliela pagare e
quello dopo e quello dopo ancora…
Nessuno le dava la certezza che quelle parole
fossero
sincere, ma decise di buttarsi, perché era così
che si faceva. Con i sentimenti
non ci sono certezze, solo scommesse e lei, guardando quegli occhi
grigi
intensi e caldi, sapeva già che avrebbe vinto.
- Ehi, hai detto una parolaccia prima, - le
fece notare
lui.
- E tu hai fatto dell’ironia.
–
Malfoy riprese a baciarla continuando a
sorridere.
Chissà
come si sarebbe arrabbiata quando avrebbe scoperto che quella sera
stessa
avrebbe fatto le presentazioni ufficiali con Narcissa Malfoy.
Spazio autrice:
Salve a tutte!
Allora, la canzone che mi ha ispirato e che dà anche il
titolo alla storia è - appunto - "...ma so proteggerti" di
Tiziano Ferro. Anche l'atmosfera e un po' lo stile, li ho ricavati
dalla canzone, cioè mi sono lasciata guidare dalle emozioni
e dal senso di irrealtà quasi, che mi suggerisce quando
l'ascolto.
Ringrazio di cuore chiunque legga o recensisca.
Un bacio.
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