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PICCOLE
COSE
1. PAPO
Pioveva.
La bimba non è potuta uscire.
Tanto dubitava che le sarebbe stato dato comunque il
permesso di arrivare fino alla spiaggia a raccogliere conchiglie. La pioggia ha
solo reso più facile la rinuncia. E’ rimasta seduta alla scrivania della camera
da letto, ad ondeggiare le gambe intrecciate che ancora non arrivano a toccare
terra, al ritmo di una nenia scandita da sbuffi annoiati.
Ha stretto il suo orso di pezza tra le braccia, reprimendo
l’ennesimo sbadiglio nella nuca morbida e pelosa.
E’ stata svegliata all’alba.
La madre, china sul letto, riempie la valigia per lei
gettando troppa roba tutta insieme alla rinfusa in una valigia sola. La bimba
piega la bocca in una smorfia seccata quando vede anche il suo maglioncino
preferito, quello rosa e bianco, ammucchiato malamente con gli altri, ma non
dice niente.
La mamma è un po’ nervosa.
Il padre è in cucina a leggere il giornale, ad inchiodare le
dita nella carta come se volesse ucciderla, e quella smorfia di profonda
preoccupazione marcata sulle sopracciglia che riserva anche alle notizie più
banali. Ogni tanto si porta la pipa alle labbra, ma il fumo non esce da un
pezzo.
C’è un lieve bussare alla porta d’ingresso.
“Sono loro.”
Ma “loro” chi?
C’è solo un uomo là fuori, alla finestra.
Una figura storpiata dalla pioggia battente: la testa
occultata dall’ombrello, le spalle strette e la schiena curva nella stoffa di un
cappotto lungo e scuro. La mamma porge la valigia alla figlia in un gesto un po’
rude, quasi gliela butta in grembo svuotandole i polmoni in uno sbuffo sorpreso.
Lei, la presenza gentile, un fantasma garbato dai lunghi capelli biondi di cui a
tratti si dimenticava l’esistenza.
La prende per la spalla e la fa alzare in piedi.
Sulla soglia le mette in fretta il suo nuovo impermeabile
blu chiaro e l’abbraccia forte. La bimba gira la testa per evitare la massa
imbrogliata di capelli biondi, e guarda il papà: è ancora in cucina, col
giornale e la sua pipa spenta, e non la guarda. La mamma cerca di sfilarle
l’orso che ancora tiene tra le braccia, ma la bimba caccia un grido e lo stringe
al petto con impeto.
Per nessun motivo…
Nessuno la separerà mai dal piccolo Papo.
E si divincola dall’abbraccio della mamma cattiva, e non
vuole vederla mai più, e scoccandole uno sguardo di fuoco apre la porta da sola
anche se la maniglia è in alto e lei ci arriva a fatica.
Quasi finisce in braccio a “loro”.
“Loro” è un signore molto gentile che odora di dopobarba e
pulito, che le mette una mano sulla spalla mentre le sorride. Le copre la testa
con l’ombrello, le apre la porta della carrozza trattandola come una signorina
ricca. Le fa segno di entrare mentre lui mette il suo bagaglio in cassetta,
sotto un telo impermeabile. Dentro ci sono altre persone, una donna troppo
impegnata a leggere certe carte scritte fitte fitte per salutarla e un uomo che
russa, con la testa pigiata contro il vetro umido.
Sono vestiti uguali, di blu chiaro.
Color “impermeabile”.
Come “loro”.
La bimba rimane in silenzio a guardare la sua casa farsi
piccina e scomparire inghiottita dalla pioggia, e poi la strada informe. I
grandi stanno zitti: la donna legge, l’uomo dorme. “Loro” continua a fissarla in
una maniera che la mette a disagio, e le dita corrono a tormentare il naso del
piccolo Papo.
“E’ strano che non pianga.”, dice la donna in un tono
sgradevole. “Non ti avranno mica appioppato quella cosetta muta, con tutto il denaro che abbiamo dato loro.”
“Io parlo.”, dice la bimba.
“La muta” si chiama Vivie, vorrebbe gridare, e non è una
cosa: è sua sorella minore. Non è possibile scambiarle l’una con l’altra perché
non potrebbero essere più diverse d’aspetto, e di sicuro piange molto più di
lei.
“Loro” allunga una mano verso di lei.
Lei, terrorizzata dall’idea che possa tirargli via Papo dal
petto come ha fatto la mamma sull’ingresso, se lo preme contro la pancia e
accenna un mugolio di diniego. L’uomo rimane un istante con la mano levata
incerta nell’aria, finché non le sfiora la testa bionda in una ruvida carezza.
“Sei una signorina coraggiosa.”
Lei poggia la bocca contro il nasino di plastica.
“Alle signorine coraggiose non servono gli orsetti.”
La bimba affonda il viso negli occhi di bottone di Papo e
trema, serrandolo spasmodicamente tra le dita. Si accuccia sul sedile sollevando
le ginocchia e premendo le cosce nude contro la schiena morbida del pupazzo. Non
le importa se tutti in quella carrozza le vedranno le mutandine da sotto la
gonna, o se starà scomoda, Papo non si tocca.
Non lo permetterà.
E’ stata Vivie a regalarglielo: è il suo adorato Papo,
l’orsetto con cui dorme da quando è nata e che non ha mai voluto nemmeno farle
tenere in braccio: con ciocche di ondine scure appiccicate alle guance rosse, e
le lacrime a premere dagli occhioni grigi, prima di andare a letto.
Non ha che questo.
La carrozza ondeggia e vibra, la pioggia sfrigola. Il
viaggio continua senza che lei si muova di un millimetro, anche se le tremano i
muscoli e le faccia male il tallone, premuto contro il bordo della carrozza. Ma
nessuno tenta di forzarla ad aprire le braccia, né le toglie il suo orsetto.
Nessuno fa nulla.
Poco prima di arrivare, dopo quelle che alle sue gambe
sembrano ore, le viene detto che lei è il primo soggetto del gruppo R, e che
vivrà nel magazzino Z del quartiere Alfa di Central City.
“Il tuo nome è R1zα, adesso.”
La bimba lo trova un nome stupido.
Ma finché avrà Papo andrà tutto bene.
Fine capitolo 1
Note di fine fic:
Innanzitutto, non chiedetemi perchè l'orsacchiotto si chiama Papo.
Proprio non chiedetemelo, perchè non ne ho la più pallida idea (anche se grazie
a questo nome è saltata fuori una cosa geniale della mia amica Ale, che
sbagliandosi l'ha chiamato POPI. Grosse risate di mezz'ora). E' un nome che mi è
venuto in mente nel momento esatto in cui mi sono chiesta "Come si chiama questo
orsacchiotto?" A istinto mi è venuto in mente Papo e sempre viva viva l'istinto!
XD Oppure è un rimando a Paco, l'amico di Chico, che ieri ho deciso essere il
nome di un eventuale gemello malvagio di Ed (anche qui, non chiedetemi il
perchè, si delirava su una yaoi RoyxEd e ci siamo lasciate prendere la mano. XD)
Poi, visto che siete brave persone non mi
chiederete nemmeno perchè non ho messo la dicitura AU, anche se ne sono
convinta, molto probabilmente ci andrebbe (non sono così matta da pensare che la mia idea abbia un fondamento di verità, è troppo assurda! Ma col tempo capirete XD). Sappiate che il motivo principale per cui non metto la dicitura AU è che NON esco dalla storia principale (a meno di
svolte future del manga, allora FORSE penserò alla dicitura, hu hu hu! ^.^).
Infine, visto che nutro la più piena fiducia nei
miei lettori (che ringrazio sempre grandemente), essi avranno la pazienza di
perdonarmi se una volta tanto non finirò una storia nello spazio di un capitolo
solo. XD E sicuramente avranno la pazienza di attendere eventuali sviluppi prima
di lanciarmi addosso delle scarpe. Eventuali teorie e pippe mentali sono
graditissime, naturalmente. ^^
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