NDA:
Pardon
per il ritardo! –come sempre, del resto. xD
Non
ho niente da dire in
particolare su questo capitolo, solo che spero vi piaccia anche se
è molto
descrittivo. Ma d’altronde mi tocca!
Se
avete dubbi o
perplessità mi raccomando, non esitate a chiedere nelle
recensioni, che tra l’altro
mi fanno immensamente piacere! >w<
Ordunque,
buona lettura!
-
CAPITOLO
2: Promessa
Gli
ultimi bagliori del fuoco nel
caminetto illuminavano la stanza. Con uno sbadiglio,
l’anziana ancella ravvivò
i tizzoni ardenti, per poi tornare a sedersi sullo sgabello di legno e
riprendere in mano il suo lavoro a maglia.
Fin
da giovane, Nania era sempre stata
una donna mossa dalla frenesia. Quando ancora le rughe non le
deformavano i
lineamenti e il grigio non le striava i capelli, quella sua innata
vivacità
l’aveva sempre spinta a cercare qualche cosa in cui
incanalare le proprie
energie. Per forza di cose, la sua condizione sociale l’aveva
portata a divenire
niente di più che una domestica, nonostante i suoi giovanili
e piuttosto vani
sogni di gloria. Ma non per questo si era persa d’animo,
l’ottimismo faceva
parte della sua natura così come la facoltà di
respirare. Era quindi diventata una
domestica efficiente, che svolgeva sempre il doppio del lavoro delle
altre sue
compagne per il semplice motivo che non era in grado di starsene con le
mani in
mano. E aveva svolto talmente bene il suo lavoro, che questo
l’aveva portata ad
ascendere fino al livello di ancella personale della principessa
secondogenita.
Questo, ovviamente, per lei era motivo del più grande
orgoglio. Aveva visto
quella bambina crescere, l’aveva amata come se fosse sua. In
mancanza di
un'altra guida femminile nella sua vita, in un certo senso Nania aveva
preso il
posto della madre che la principessa aveva perso troppo presto.
Le
sue mani ripresero a muoversi
veloci ed esperte, nonostante un altro sbadiglio l’avesse
nuovamente
interrotta. Lavorare a maglia non era esattamente il suo passatempo
preferito, eppure
come il ceto basso l’aveva costretta a diventare una donna di
servizio, ora il
penetrante dolore alla schiena che ogni sera si faceva sentire in tutta
la sua
intensità, la costringeva a rimanere seduta a starsene
tranquilla. Ma Nania odiava
starsene tranquilla. Tanto quanto odiava quel dolore ai lombi, e
l’età del suo
corpo che non voleva più tenere il passo della sua mente
ancora attiva e piena
di forza di volontà. Odiava quella tranquillità
così come non sopportava il
silenzio che in quel momento rimbombava nella stanza, e il tiepido
calore del
fuoco che le carezzava il viso segnato dal tempo, avvolgendola di
tepore e
rendendo le sue palpebre pesanti, sempre più pesanti...
« Nania! », un sibilo, niente di
più, che però ebbe il potere di
spezzare il silenzio e strapparla dalle grinfie suadenti del sonno.
« Nania,
presto! »
Scattando
in piedi e lasciando perdere
in fretta e furia lana e uncinetti, si diresse a veloci passi verso il
pesante
uscio di legno vecchio che separava dall’esterno quella
piccola stanza nell’ala
adibita alle cucine del castello.
Fuori
sibilava un freddo vento di
inizio primavera. Era notte inoltrata, l’unica fonte di luce
proveniva dalla
Stella di Ghiaccio che brillava alta nel cielo scuro e limpido, e dalle
torce
che balenavano in lontananza su tutto il perimetro delle mura
fortificate del
castello.
Rykfort
sorgeva nell’esatto centro di
Rykstad, strategicamente posta a nord ovest dell’Impero di
cui era la capitale,
in un’ampia valle circondata dall’impenetrabile
catena montuosa delle Tre
Vette. L’unica via di accesso all’interno di essa,
era costituita dalle strade
che fiancheggiavano il letto del fiume d’Ambra, che
costeggiava le mura della
capitale su tutto il perimetro orientale e poi sfociava fuori dalla
valle,
scavandosi il suo sentiero tra la roccia, fino a gettarsi nel mare.
Ma
per Ryk Hegertal il Primo, l’Imperatore
che dava il nome al regno e alla capitale nonché alla casata
regnante, la
protezione naturale non era stata sufficiente. Per questo aveva fatto
costruire
attorno alla sua fortezza e alla sua città uno spesso strato
di mura doppie, a
quanto si diceva, con un cuore del duro basalto importato direttamente
dall’arcipelago delle isole Vulkaan, quando ancora erano
inabitabili e i
crateri delle loro montagne eruttavano lava.
Dalle
alte e impenetrabili mura che
proteggevano la capitale e Rykfort, perciò, era possibile
avere una visuale quasi
completa di tutto ciò che le circondava. Rykstad era
praticamente
inespugnabile, dall’esterno. Ma l’interno era la
sua debolezza.
Era
una città talmente grande che non
era possibile sorvegliarla tutta. Episodi di violenza e moti
insurrezionali si
erano svolti periodicamente da un lato o dall’altro del suo
perimetro, fin
dalla sua fondazione, parecchi secoli prima.
Negli
ultimi e pacifici anni del regno
dell’Imperatore Raleigh Hegertal, però, nessuna
scintilla di rivolta era
riuscita a avvampare, repressa ancor prima di poter nascere. Il merito
era
dovuto al ripristino di un antico ordine di soldati devoti al culto di
Vurige,
il dio dell’Astro Infuocato, che costituivano il ferreo corpo
di guardia
cittadino, per cui anche i più fervidi rivoluzionari e
sostenitori della
repubblica provavano un timore quasi reverenziale.
Eppure,
i soldati di Vurige non erano
affatto temuti dall’ombra ammantata di nero che
scivolò silenziosa al fianco di
Nania, aiutandola poi a richiudere la porta, contro cui si
abbandonò con un
sospiro si sollievo.
« Per poco non venivo beccata dalle guardie
vicino alla Porta dei
Mercanti. », mormorò cautamente la figura ancora
nascosta nell’ombra. Non si
poteva sapere quali e quante orecchie potessero essere in ascolto nelle
cucine,
anche a quella tarda ora della notte.
« Se restaste nel vostro letto come dovreste
fare, non correreste nessun
rischio. », sibilò in risposta Nania, con una
punta di stizza nella voce.
Avvicinandosi alla figura cercando di fare meno rumore possibile, si
alzò in
punta di piedi e le slacciò il mantello freddo di
umidità, rivelando un giovane
corpo femminile le cui curve erano scarsamente celate da bendaggi sotto
i
vestiti neri come l’inchiostro. La ragazza inarcò
la schiena stirandosi le
braccia intirizzite sopra la testa, poi si passò una mano
tra i capelli, liberando
una folta chioma di ricci corvini dal nastro che li teneva bloccati
sulla nuca.
Infine, non prima di essersi gettata un’occhiata intorno, si
abbassò la bandana
nera che le celava metà del viso, fino al naso dal profilo
affilato. Un sorriso
furbo balenò sulle sue labbra carnose non appena i suoi
occhi di un azzurro
intenso incontrarono quelli castani e pesanti di sonno di Nania.
« Diventa sempre più difficile
muoversi in questa dannata città, con gli
uomini di Vurige che spuntano come erbacce in ogni angolo. »,
si limitò ad
ignorare il rimprovero, dirigendosi verso il calore del fuoco, davanti
al quale
si sedette, sfilandosi i guanti di pelle dalle mani che aprì
e chiuse
ripetutamente, cercando di riattivare la circolazione. «
Perdono, “che ovunque si
accendono come fiaccole che portano la luce nelle tenebre”.
Tsk. », ripeté a
memoria un passo del giuramento del rituale di investitura recitato
nuovi adepti
dell’Ordine, a cui aveva assistito decisamente troppe volte.
Nania
la raggiunse, piegando come
meglio poté il pesante mantello, fin troppo pesante per le
sue braccia stanche
e la sua schiena dolorante. Ma non un lamento uscì dalla sua
bocca, mentre
invece non riuscì a fare a meno di sussurrare un altro irato
richiamo, dettato
dalla preoccupazione.
« Sono soldati valorosi, scelti e investiti da
vostro padre, prin-... »,
si interruppe prima di tradirsi svelando il suo titolo nel silenzio. Si
guardò
intorno nervosamente prima di riprendere a parlare, chinandosi su di
lei e
abbassando ancor di più il tono di voce. « E la
“dannata città” è la vostra città. Non dovreste
parlare in
questo modo. E non dovreste neanche mettervi contro di loro. »
« Come dici tu, Nan. », la giovane
ragazza si limitò a trattenere un
sospiro. Ormai aveva perso il conto delle volte in cui era stata
costretta a
sorbirsi quelle ramanzine. « Vieni, Andiamo nelle mie stanze.
», si spazzolò i
vestiti dalla polvere e si rimise in piedi, una volta scaldatasi a
sufficienza.
Lanciandosi
un ultima occhiata
intorno, spense le ultime braci ardenti con una manciata di sabbia
umida, non
prima di aver acceso una lanterna ad olio, alla cui flebile luce si
fece strada
tra i bui corridoi del castello. Nania arrancò
frettolosamente dietro di lei
tentando di tenere il ritmo del suo passo svelto, e cercando a sua
volta di non
fare rumore e non urtare niente per sbaglio. Ma ormai era diventata
quasi una
routine, e, nonostante il costante rischio di essere scoperte, erano
mesi che
si erano abituate a muoversi silenziosamente tra quelle mura, evitando
gli
avamposti notturni delle guardie reali. Così come erano mesi
che il Figlio di
Gevries dava filo da torcere ai soldati di Vurige e
all’ordine di cattura
emesso dall'Imperatore stesso.
Sì, valorosi. Valorosi e inutili, contro di
me, pensò
la ragazza, la principessa, con una
punta di orgoglio, mentre saliva a due a due i gradini di un passaggio
elusivo
che conduceva dritto nelle sue stanze, sempre seguita dalla sua fedele
ancella
che non avrebbe mai osato tradirla rivelando il suo segreto, nonostante
avesse
minacciato più e più volte di farlo.
Giunta
alla fine della ripida
scalinata, aprì una porta nascosta dietro un arazzo e
finalmente raggiunse la
camera da letto nei suoi alloggi, posti nella Torre
dell’Alba, che si
affacciava sull’omonimo picco delle Tre Vette. La mattina,
quando il sole
sorgeva dietro di esso, tingeva il fiume di un caldo color ambra, che
si
rifletteva contro le mura di pietra di Rykfort, creando un gioco di
luci
mozzafiato.
A
quell’ora della notte, però, tutto
era immerso nel buio più nero. La ragazza quindi non perse
tempo ed accese il
candelabro accanto al suo letto a baldacchino, su cui si sedette con
poca
grazia, calciando via gli stivali.
Nania
invece si fermò al suo fianco
asciugandosi il viso con un fazzoletto e poggiandosi una mano sul petto
prominente, nel tentativo di riprendere fiato. La sua veneranda
età si era
fatta sentire ad ogni passo, ad ogni scalino saltato dalla sua giovane
padrona.
Non aveva neanche la forza per commentare il rozzo modo con cui la
stessa si
stava togliendo i vestiti, lasciandoli cadere a terra senza riguardo.
Scuotendo
la testa con forza, si impose di ricomporsi e di dedicarsi allo
spazzolare e
ripiegare camicia di lino, corsetto e pantaloni di cuoio che la ragazza
stava
sparpagliando in ogni dove, per poi nasconderli insieme al mantello nel
doppio
fondo dell’armadio in cui erano riposte le sue numerose paia
di scarpe.
Nel
frattempo, la giovane principessa
si era infilata sotto le spesse coperte, vestita solo del pugnale dal
quale non
si separava mai. Anche d’inverno, odiava dormire con addosso
camice da notte
che le si sarebbero attorcigliate addosso durante il suo sonno
inquieto.
Preferiva il morbido e caldo abbraccio delle lenzuola di seta e delle
pellicce.
Ma
ormai, quello stesso inverno stava
volgendo a termine, lasciando spazio ai boccioli della primavera. E con
la
primavera sarebbe venuta anche la celebrazione
dell’Equinozio, di lì a una
settimana. La ragazza sorrise, pensando quanto fosse ironico che una
festa che
odiava perché la costringeva ad indossare più
merletti del solito, cadesse nello
stesso momento in cui avrebbe compiuto la sua vendetta.
Finalmente...,
un brivido
le percorse la schiena nuda e candida.
« Nania, avvicinati. », fece un cenno
verso la sua ancella,
interrompendo il suo metodico rassettare. La donna non se lo fece
ripetere due
volte. In quanto a pazienza, la sua padrona aveva ereditato tutto
dall’Imperatore suo padre. « Quanto
durerà quest’anno la celebrazione
l’Equinozio? »
« Quattro giorni, mia signora. Uno in
più dell’anno scorso, dedicato
interamente all’investitura dei nuovi cavalieri di Vurige.
»
La
principessa si lasciò scappare una
smorfia che venne intercettata dallo sguardo severo di Nania.
« E le giostre si svolgeranno come sempre gli
ultimi tre giorni? », la
interruppe prima di sorbirsi l’ennesimo rimprovero.
« Sì, dopo i riti agli dei. Come
sempre. »
A
quelle parole, si abbandonò a un sonoro
sospiro, appoggiando la testa contro il morbido cuscino di piume.
« Tutti i giorni dovrebbero essere dedicati alle
giostre, non solo gli
ultimi tre della settimana. »
« Non dovreste dire così. Sarebbe un
grave disonore verso gli dei che ci
regalano la primavera, se ci limitassimo a festeggiare senza
ringraziarli a
dovere. »
La
ragazza sbuffò ancora, roteando gli
occhi, ma evitando di rispondere. Si ricordava fin troppo bene quando
all’età
di nove anni aveva osato esprimere
la
sua opinione riguardo alla noiosità dei riti agli dei degli
Equinozi e dei
Solstizi davanti al Sommo Sacerdote di Hemel, il Dio Padre del Cielo,
ed era
stata confinata nelle sue stanze per un intero pomeriggio a riflettere
sulle
sue turpi parole. Pomeriggio in cui, tra l’altro, si era
persa lo svolgimento
del torneo di spade.
Da
quel momento, aveva imparato a
mordersi la lingua e a tenersi le sue idee per sé, onde
evitare altri periodi
di reclusione. Non avrebbe sopportato di perdere neanche un secondo dei
tornei
a venire, e il suo venerabile padre le aveva promesso che quella
sarebbe stata
la punizione se avesse dissacrato ancora una volta gli dei. E il suo
venerabile
padre manteneva sempre le sue promesse.
Nania
rimase a guardarla rimuginare
per qualche istante, prima di avvicinarsi al letto e sedersi sul bordo,
lisciandosi la gonna. Sapeva cosa le stesse passando per la testa, dopo
tutti
quegli anni passati al suo fianco la conosceva fin troppo bene.
Così come
sapeva che durante la cerimonia dell’Equinozio di Primavera
si sarebbe
comportata in modo esemplare, pregando e inginocchiandosi insieme a
tutti gli
altri fedeli nonostante la voglia di sbadigliare, e che sarebbe rimasta
seduta
composta sul suo trono di legno intagliato durante l’intero
svolgimento delle
giostre, senza mostrare l’esultanza che sicuramente avrebbe
fatto battere il
suo cuore più veloce. A volte, guardandola, le tornava in
mente la giovane sé
stessa piena di sogni ed energia, e le scappava un sorriso. Ma come
lei, crescendo,
la principessa aveva temprato a forza il suo carattere estremamente
ardente,
costringendosi a comportarsi come si confaceva al suo rango. Forse era
proprio
per tutte le limitazioni che la sua appartenenza alla casata regnante
le aveva
imposto, che ora era arrivata a fuggire quasi ogni sera e a travestirsi
da uomo
– nei cui panni si trovava sicuramente più a suo
agio – per fare gli dei solo
sapevano cosa.
Eppure
non era di quello che avrebbe
voluto parlarle, quella sera, come invece aveva fatto tante altre
volte,
cercando di farla desistere da quel suo comportamento non solo
disdicevole, ma
anche enormemente rischioso. Piuttosto, c’era qualcosa che le
premeva sulla
coscienza da ormai troppi giorni, e non ce la faceva più a
mantenere il
silenzio, tenendosi tutto dentro. Il suo affetto e il suo senso del
dovere nei
confronti della sua padrona la spingevano a esternare quello di cui era
venuta
a conoscenza.
Si
schiarì quindi la voce, lisciandosi
nuovamente la gonna, nervosamente.
« Principessa, a proposito
dell’Equinozio... »
« Sì? », replicò
lei, sistemandosi su un fianco per guardare meglio
l’anziana donna, che le era parsa improvvisamente a disagio.
« Parlando con la piccola Pamela, sapete, la
figlia dell’armiere, sono
venuta a conoscenza di certe voci... »
« Che voci? »
« Riguardanti Gellert Cattleback. Lord
Cattleback, ormai. »
« Il vecchio Cattle ha tirato le
cuoia?», la ragazza si tirò su a sedere,
aggrottando la fronte, senza preoccuparsi di coprire il suo corpo nudo;
Nania
l’aveva vista crescere e diventare una giovane donna
dall’infante quale era
stata. «Peccato, era un buon tiratore. Quando da bambina ho
passato l’estate a
Groenwoud, mi riservava sempre la freccia con cui abbatteva i suoi
cervi. Un
tiro pulito, proprio qui. », accennò a un sorriso,
dando un colpetto al centro
della fronte di Nania, che si ritrasse stizzita.
« Walder Cattleback non è ancora spirato,
principessa. Anche se allo stadio della sua malattia, si possono solo
contare i
giorni. »
Suo
malgrado, anche se lo ricordava
poco e niente, fu contenta di apprendere quella notizia. Alla mente le
tornarono con affetto le parole gentili di quel signore stempiato e di
bassa
statura che non l’aveva giudicata per i suoi comportamenti
poco femminili, che gli
avevano certamente causato imbarazzo durante il suo soggiorno alla sua
corte.
Ancora meno poi, ricordava suo figlio Gellert. Tutto ciò che
le tornava alla
memoria, erano alcune immagini di lei stessa che cercava di convincere
a giocare
un ragazzino biondo più piccolo di lei di due anni, che
sembrava una statua
tanto era serio e composto. Le era stato subito antipatico. Eppure,
negli
ultimi anni si era sentito molto parlare di lui, quale impavido
cavaliere e
campione di numerose giostre, tutt’altro che compito. E quei
pochi che
l’avevano conosciuto di persona, l’avevano definito
un giovane arrogante e fin
troppo viziato, che usava il fascino dei soldi della sua casata per
comprare
amicizie, e il fascino del suo aspetto come strumento di vuoti e
superficiali
corteggiamenti. Tutto ciò non migliorava l’idea
che la principessa si era fatta
di lui.
« E immagino che Gellert quale figlio devoto
rimarrà al capezzale di suo
padre al posto di presentarsi alla celebrazione
dell’Equinozio di Primavera. »,
azzardò piuttosto scettica, corrugando nuovamente la fronte,
pensierosa.
Dubitava fortemente che un nobile del suo rango non si sarebbe
presentato,
anche perché tale atteggiamento sarebbe stato considerato
come un’offesa verso
gli dei e l’Imperatore. Eppure la fine sempre più
vicina di suo padre sarebbe
stato una giustificazione valida, che forse
anche i Sommi Sacerdoti di tutti gli dei avrebbero perdonato...
« ... Al contrario, sembra che voglia
trattenersi anche oltre il rito
d’inizio e partecipare al torneo. E si è portato
dietro almeno la metà della
corte di Groenwoud. », replicò invece Nania,
abbassando gli occhi verso le
proprie mani sulla gonna del suo vestito.
Questo
però era decisamente troppo
offensivo, nonché insensibile, nei confronti di Lord Walder
e del resto della casata
dei Cattleback.
« Fin troppo spudorato anche da parte di un
moccioso arrogante come
Gellert. », commentò la principessa,
assottigliando lo sguardo e cercando il
quello della sua ancella, notando come si fosse irrigidita. Ma
l’anziana donna
continuò a fissarsi ostinatamente le mani.
« E inoltre... Inoltre il vostro nobile padre...
»
A
sentirlo nominare senza preavviso in
quella conversazione, fu la giovane ad irrigidirsi.
« Mio padre...? », scandì
lentamente.
L’anziana
ancella prese fiato,
chiudendo gli occhi. Dentro di lei sapeva che se avesse letto
l’espressione in
quelli della sua principessa mentre pronunciava quelle parole che non
avrebbe
voluto dire, il suo cuore avrebbe avuto un sussulto.
« Vostro padre... vi ha chiesto udienza domani
mattina, prima
dell’inizio del rito. »
Improvvisamente,
ogni cosa assunse di
significato nella mente della ragazza dai capelli corvini. Le sue mani,
prima
abbandonate blandamente contro le coperte, ora si strinsero tenacemente
in pugni.
Ecco perché Gellert Cattleback aveva deciso contro ogni buon
senso di ignorare
i propri doveri di figlio. Ed ecco perché aveva deciso, o
meglio, gli era stato chiesto di
trattenersi più
del dovuto a Rykstad, alla corte
imperiale. E ancora, e soprattutto, ecco perché
l’Imperatore suo padre
aveva tanto insistito perché lei stessa passasse
un’intera estate a Groenwoud,
quando era solo una bambina. Ora il motivo per cui era stata costretta
a
visitare l’intero feudo e a fare la conoscenza di tutti i
nobili vassalli maggiori
e minori dei Cattleback le appariva chiaro come l’Astro. Come
aveva potuto
pensare che fosse normale, che fosse dovuto al suo rango di
principessa? Era stata
così stupida, ingenua. O forse aveva voluto semplicemente
distogliere lo
sguardo davanti ai numerosi colloqui che Raleigh Hegertal aveva avuto
con
Walder Cattleback, volendosi convincere che gli accordi che avevano
preso
fossero meramente fiscali. Anche l’immotivata gentilezza del
Lord di Groenwoud in
quel momento acquistò un diverso senso, davanti alla
richiesta di incontrarla
di suo padre, rara come la neve d’estate.
« ... No. », fu tutto quello che
riuscì a dire, serrando i denti,
replicando in un sibilo, come a sottolineare il suo disprezzo. E Nania
tornò ad
alzare lo sguardo su di lei, non riuscendo a celare la compassione che
sapeva
bene l’avrebbe fatta solo infuriare maggiormente.
« Principessa... »
« No. No,
nel modo più
assoluto. », continuò lei, negando con orgogliosa
veemenza il destino che le si
stava prospettando davanti. « Non farò la fine di
Annie. »
L’ancella
sospirò, tendendosi verso di
lei e cercando di prenderle tra le sue una mano stretta sulle lenzuola.
La
giovane la guardò con una fierezza che però non
riuscì a celare i suoi occhi
diventati gradualmente sempre più lucidi.
« Ora calmatevi, e ascoltatemi. La principessa
Annika è-... », ma a
sentir pronunciare il nome della sua adorata sorella maggiore che
idolatrava
come se fosse una delle dee in cui avrebbe dovuto credere, la giovane
scattò
nuovamente, ritraendo immediatamente la mano, punta sul vivo.
« Non provare a dirmi che è
felicemente sposata, Nan. Non ci provare.
Solo gli dei sanno come potrebbe essere felice con un uomo come... come
quello. »
La
sua voce era incrinata, spezzata
dalle lacrime che cercava in tutti i modi di trattenere, troppo
orgogliosa per
lasciarle cadere. Nania si rendeva perfettamente conto di tutto questo,
e
avrebbe voluto piangere per lei, per quella che era la sua bambina
tanto quanto
la sua principessa. Ma non avrebbe mai osato compatirla in quel modo,
se c’era
qualcosa che quella ragazza incredibilmente fiera e testarda odiava,
era
proprio suscitare pena e derisione. Per questo si era impegnata tanto
per
essere all’altezza di tutte le aspettative che si erano
accumulate su di lei
nel corso degli anni. E forse, Nania sottilmente lo sperava, avrebbe
acconsentito a fronteggiare a testa alta anche quest’ultima
prova davanti alla
quale si trovava disarmata...
« Cosa diavolo passa per la testa di mio padre?
», la sentì mormorare,
quasi tra sé e sé, mentre si stringeva le gambe
al petto.
« È preoccupato per le sorti del
regno, come qualunque buon Imperatore. E
i Cattleback sono una famiglia potente, con cui gli Hegertal hanno
stretto
rapporti di alleanze per generazioni. », tentò di
farla ragionare, invano.
« E alle sue figlie non ci pensa, invece?
», rispose lei con durezza.
« Ci pensa, principessa, ne sono certa.
», sospirò l’ancella, per poi
tornare ad abbassare umilmente lo sguardo così come il tono
di voce. « Così
come... così come continua a pensare al suo amato figlio,
vostro fratello, l’erede
legittimo di Ryk... »
A
quelle parole, la voce della giovane
diventò tagliente come vetro.
« Mark non tornerà mai, Nan.
», replicò con freddezza, assottigliando il
suo sguardo glaciale, mentre sulle sue labbra si dipingeva
l’accenno di un
sorriso amaro. « Continuare a cercarlo non
cambierà il fatto che è morto e
sepolto da strati e strati di oceano. E se invece per qualche...
“miracolo
divino” fosse ancora vivo, farebbe solamente bene a
continuare a starsene alla
larga da... da tutto questo. »
Il
silenzio cadde tra di loro, a quel
punto, Nania non se la sentì di aggiungere altro. Gli occhi
azzurri come
ghiaccio della sua padrona ardevano nel buio, segno che nella sua testa
si
stavano agitando furia e ragione, in una lotta continua. Eppure, quando
nel suo
sguardo brillava quella luce, c’erano pochi dubbi su quale
delle due avrebbe
infine prevalso.
« Ho sentito abbastanza per questa sera. Ora
voglio riposare. », disse
quindi, anche se dalla sua espressione si poteva intuire benissimo che
quella
notte non avrebbe chiuso occhio. Nania avrebbe voluto essere capace di
distrarla e di farle compagnia, magari raccontandole le favole con cui
aveva
riempito le sue notti insonni quando non era niente più che
una bambina piena
di speranze. Ma il tempo delle storie di cavalieri e principesse era
ormai
passato, e l’anziana ancella non avrebbe potuto fare altro
che rimanere con
lei, dormendo al suo fianco, e ignorare il dolore alla schiena che la
stava implorando
di stendersi e riposarsi nel suo letto.
« Volete
che-... »
« Lasciami. Sei congedata. », venne
interrotta bruscamente, al che tacque
di nuovo. Sapeva che il tono duro e la rabbia della giovane non erano
rivolti a
lei, e poteva comprendere il suo desiderio di stare da sola coi suoi
pensieri.
« Buonanotte, principessa. », si
limitò quindi ad aggiungere, ingoiando
il magone e spegnendo gli stoppini del candelabro, per poi appropriarsi
della
lanterna ad olio che le avrebbe fatto da guida nel buio del castello.
Sull’uscio,
però, un sospiro sconsolato
la fece voltare nuovamente, e si stupì di incontrare gli
occhi della
principessa che la cercavano, illuminati questa volta da un lieve
sorriso
sincero, quasi di scusa.
« Nan, quante volte ti ho detto di chiamarmi
solo Lily? »
Anche
Nania le sorrise. Le avrebbe
scusato qualsiasi parola, qualsiasi cosa. Il suo amore materno era
incondizionato.
« Buonanotte... principessa Lily. »
La
lasciò mentre scuoteva divertita la
testa, che poi appoggiò sulle braccia con le quali si stava
cingendo le gambe.
I suoi occhi, ora, erano persi nel vuoto e nell’ombra,
così come le parole che
rivolse a lei sola.
« Io non sposerò Gellert Cattleback.
Fosse l’ultima cosa che faccio. »,
la sentì promettere a sé stessa in un sussurro,
prima di lasciare la sua camera
da letto, chiudendosi la porta alle spalle.
E
così come suo padre, quando Lilyan
Hegertal faceva una promessa, la manteneva a qualsiasi costo. Fosse l’ultima cosa che avesse fatto.
Mentre passava
davanti a una finestra,
Nania alzò gli occhi al cielo e pregò mentalmente
la Stella e la sua dea
Gevries, celebrata per la sua freddezza, di infonderle un po’
di buon senso e
di non guidarla a compiere nessun gesto avventato.
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