Utopia

di Filakes
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Prologo:
“Utopia”


  Fin da quando ero bambina, mia madre mi raccontava sempre la storia di Utopia, una città fantastica, senza disuguaglianze civili, né tantomeno maltrattamenti. Niente razzismo, niente menefreghismo, niente armi. Tutti avevano un lavoro, tutti potevano esprimere la loro opinione e la scienza era a disposizione dell’essere umano, per facilitargli la vita, non per causargli danno. Mi raccontava sempre come due giovani esploratori ci fossero finiti per caso, durante una spedizione nel sud di Oberon, la nazione in cui sono nata, di come ne impararono la cultura e ogni suo aspetto. Mi raccontava che questi esploratori erano tornati e avevano raccontato tutto ai nostri governanti, che avevano voluto sapere come arrivarci, ma Utopia non era sulle mappe e i due non riuscirono mai più a ritrovare la strada per quella città fantastica.
  Ho sempre creduto che fosse un modo con il quale Utopia stessa si difendesse e, sinceramente, lo penso tutt’ora. Una città tanto bella non vorrebbe mai essere scoperta da noi: la corromperemmo con il nostro modo di fare violento e stolto.
L’ultima volta che mia madre mi ha raccontato questa storia avevo sette anni e gli scoppi delle bombe risuonavano assordanti nella notte, mentre l’antico regno di Oberon diveniva un’accozzaglia di macerie e detriti.
Quella notte stessa, mentre le bombe tuonavano e le urla laceravano la notte, fui trascinata fuori dal mio letto con la forza dai soldati nemici che avevano violato la nostra casa. Fui l’unica vittima della mia famiglia. Come pegno per aver perso la guerra, il nostro regno fu privato di diecimila giovani, che furono trascinati a nord, dove le ore di sole sono così poche e l’aria così fredda che le piante che crescono si contano sulle dita di una mano, tre delle quali sono mortali, tanto sono velenose.

  Sono passati undici anni da allora, da quando ho visto l’ultima volta la mia famiglia, da quando mia madre mi raccontava di Utopia. Undici anni passati a lavorare come una schiava per un regno tirannico e dispotico, undici anni in cui mi sono aggrappata con le unghie e con i denti a quel polveroso racconto, che mi ha aiutato a sopravvivere, a non impazzire dal dolore, dalla fame o dal freddo.
Il mio nome è Nilde e sono convinta che Utopia esista e vi giuro che la troverò.





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