Durante
la tremenda “caccia alle streghe” diffusa in tutto il mondo conosciuto avvenne
qualcosa d’incredibile, qualcosa che mai non fu riportato dalla storia o
ricordato dai popoli. Ciò che, di questa storia, rimane ai giorni nostri sono solo
racconti, quasi interamente inventati, quindi non so dirvi nemmeno dove essa si
svolse, mentre invece la data è rimasta invariata e precisa.
Tutto
ciò che voglio e che finalmente, dopo tanti anni, venga riportata alla luce.
Sperando
che sia di vostro gradimento vi scriverò la vera storia di una strega e dei
suoi sentimenti, di un villaggio e della sua mentalità ristretta e di un’altra
grande lotta tra il bene e il male. Ma fate attenzione perché è molto semplice
che questi due sentimenti si possano mescolare.
13
Novembre 1396.
Ormai
era notte fonda e in quel piccolo villaggio, mai riportato sulle cartine, tutti
stavano già dormendo, anche perché lì era considerato molto sconveniente
restare alzati anche solo più di due ore dopo il tramonto se non per validi
motivi. Ma nel buio risplendeva ancora una luce totalmente invisibile al paese.
Proveniva
da una casa situata fuori dalla città e perfettamente nascosta dai primi alberi
di un bosco. Era da sempre sconsigliato avvicinarsi e nessuno avrebbe mai sospettato
ci fosse una casa.
Nonostante
non fosse molto in profondità riusciva a mimetizzarsi con ciò che le stava
attorno e nella notte, se la guardavi da vicino, sembrava confondersi in quella
buia natura grazie ai suoi colori tetri e oscuri. Il tetto, un pò malandato,
era di un colore viola spento mentre le mura erano di un azzurro chiarissimo
quasi bianco che però riusciva a dare anch’esso un’idea d’oscurità; accanto
alla casa c’era un vecchio pozzo in mattoni coperto con delle travi di legno
per impedire che nella notte ci cadano dentro delle foglie o dei rametti. Il
giardinetto che la circondava era pieno d’erbacce e sembrava non essere mai
stato coltivato ed il sentiero che portava ad essa era malconcio e quasi del
tutto inagibile.
All’interno
due donne piuttosto anziane discutevano sul da farsi.
-
Dobbiamo sbrigarci, Samira, se qualcuno del paese scorgesse la luce
arriverebbero tutti qui.
-
Calmati, nessuno è sveglio a quest’ora; e anche se fosse non potrebbe certo
vederci da laggiù. Possiamo stare tranquille Luise.
L’interno
della casa era senz’altro migliore rispetto all’esterno ma dimostrava
ugualmente i suoi molti anni. Era corredato da un arredamento semplice e
vagamente antiquato, la fioca luce delle tre candele accese dava alla stanza
sia calore che, in un certo senso, freddezza.
Luise
si avviò alla credenza e, dopo aver aperto uno sportello sopra la sua testa, ne
prese fuori varie ampolle e qualche vasetto con delle spezie.
-C’è
poco da stare tranquilli!- prese una manciata di sale e si diresse verso il
centro della stanza dove si trovava un grande calderone –Gli abitanti già
sospettano di noi, basta una piccola distrazione per farci finire sul rogo.-
così dicendo lanciò di forza il sale nel calderone da cui cominciò a
fuoriuscire del fumo. Samira rabbrividì al pensiero di quella terribile
condanna. Sgranò gli occhi e si portò una mano alla gola come se si vedesse già
avvolta dalle fiamme, senza via d’uscita, mentre il fumo, denso e pesante, le
impediva di respirare. Quando si riprese da quella scioccante visione balbetto
parole senza senso finché non riuscì a dire una frase compiuta.
-
Forse...................dovremmo andarcene da qui. Se fuggissimo domani, al
calar del sole, non ci noterebbero.-
-
Non dire sciocchezze! Dovunque andassimo sarebbe lo stesso. E poi ormai siamo
vecchie e abbiamo bisogno di un erede al quale tramandare i nostri incantesimi
e le nostre pozioni.- Samira fece per interromperla ma lei, accorgendosene,
concluse il discorso.
- E, se sarà abbastanza potente, potrà garantirci la
salvezza. Ora però sbrighiamoci è quasi mezzanotte.
Le
due si scambiarono un sorriso e, dopo aver dato distrattamente un’occhiata alla
finestra, si avvicinarono al calderone e, quando furono abbastanza vicine,
strinsero le mani sopra ad esso. Ormai mancava pochissimo alla mezzanotte.
Dopo
essersi concentrate per qualche istante pronunciarono insieme una sorta di
filastrocca:
-
Oh Nume che su ogni luogo regni sovrano
conduci qui la luce dal tuo mondo lontano
nasca ora colei che porterà a noi il suo grande
Potere
e assolverà, della strega, ogni più
recondito dovere.
Le
due ripeterono per svariate volte la formula chiudendo gli occhi e stringendosi
più forte le mani; le tenui fiamme delle tre candele che illuminavano la stanza
iniziarono a tremare finche, a mezzanotte precisa, il vento si alzò talmente
forte da spalancare le finestre sbattendole ai lati del muro. Luise si avvicinò
alla finestra e sentì uno strano suono trasportato dall’aria, oltre ai fruscii
delle foglie, il suono dolce e acuto dei pianti e delle grida di un neonato.
Aprì la porta e avanzò di qualche passo fino a raggiungere il pozzo mentre
Samira si stava avvicinando.
-
Proviene dal sentiero, deve essere vicino!
Si
misero a correre finche non giunsero su di un vecchio sentiero, ormai poco
agibile, non utilizzato da anni.
- E
qui sotto!- ribatte nuovamente Luise indicando un precipizio in mattoni, non
molto profondo, sul lato destro della strada; che la faceva somigliare, in quel
punto, ad un ponte.
-
Sbrigati, passiamo da qui.
Trovarono
nelle vicinanze del muro una minuscola stradina in discesa da cui era
possibile, facendo attenzione, scendere senza scivolare.
Arrivate
sul fondo del precipizio trovarono un fagottino, composto da stracci e pezzi di
coperte, che gridava con più fiato di quanto ne poteva avere una creaturina di
quelle dimensioni.
Samira
lo sollevò, lo prese tra le braccia e dolcemente lo cullo affinché si calmasse.
Non
appena fini di piangere Luise lo tolse dalle braccia dell’altra prendendolo
nelle sue e spostò qualche straccio per scoprirne il volto.
La
bimba la fisso per qualche istante con i suoi occhi viola poi sorrise. Nel
vedere quella scena anche la sua dura espressione mutò in un sorriso. Samira le
si avvicinò.
-
Credi sia lei?- lo sguardo di Luise tornò alla sua solita severità.
-
Ne sono certa.
-
Ma sembra solo una bambina indifesa!
Luise
fece qualche passo in avanti cullando la piccola.
-
Si. Per ora, ma presto crescerà e diventerà forte- osservando il volto della
bambina le chiese – Non è vero?
Accarezzò
con due dita un pezzo di coperta dove scoprì una lettera scritta in oro: la R.
Autunno
1414
-
Reyc! Reyc dove sei?
Luise
era davanti al pozzo gridando con tutto il fiato che aveva e cercando di
intravedere qualcosa fra gli alberi. Avanzò di qualche passo aggrappandosi al
muricciolo che avevano da poco eretto intorno alla casa.
-
Reyc! Quella ragazza non ha un minimo di rispetto! Reyc!
Nel
frattempo, sotto il sentiero, una ragazza se ne stava rannicchiata per terra
con la schiena contro lo stesso muro di, quasi, diciott’anni fa. Aveva gli
occhi chiusi, il volto proteso verso l’alto e un lieve sorriso. Aveva sentito
la voce che la chiamava ma per nulla al mondo si sarebbe alzata da li; voleva
rimanere ancora un pò per poter respirare, insieme all’aria, l’essenza stessa
di quel luogo.
Era
una cosa che faceva da molto tempo, nonostante sua nonna fosse contraria, lei
non capiva cosa ci potesse essere di pericoloso in quel posto così
meraviglioso, specialmente tra l’autunno e l’inverno quando si colorava di
colori freddi, spenti contornati di sfumature calde.
Portava
i capelli, lunghi e castani molto chiari forse un pò verso un lieve rossiccio,
sempre sciolti e spettinati pronti a nasconderle completamente il viso ad ogni
folata di vento, aveva una semplice camicia bianca, un pò larga e vagamente
scollata, e una gonna leggera tra il rosa ed il beige con disegnata qua e la
qualche linea color verde chiaro che, partendo da sottile, si allargava
assomigliando ad una foglia, davanti ad essa un grembiule corto con una tasca
sulla destra; ed infine una mantellina che arrivava poco oltre le spalle.
Luise
la vide e continuando a chiamarla scese a fatica giù dal dirupo.
-
Quante volte te l’ho detto di non venire in questo posto? Se qualcuno del
villaggio ti avesse visto lo sai cosa ti aspetterebbe vero?
La
ragazza non si scompose minimamente; continuò a starsene immobile con gli occhi
chiusi come se non la sentisse.
- E
non fare finta di non sentirmi. Lo so che hai percepito la mia presenza da
prima che arrivassi.
Reyc
aprì gli occhi e con fare indifferente cominciò ad osservarla con quelle in
perscrutabili sfere violetto, poi le richiuse come se niente fosse.
-
Non ricordavo di averti insegnato ad essere così maleducata.
Comunque.......come ti avevo detto: se
proprio vuoi venire qui almeno copriti il volto- così dicendo le sollevò sulla
testa il cappuccio della mantella. La ragazza si sollevò e si sistemò un pò la
gonna mentre Luise riprese a parlare.
-
Potresti passare un pò più tempo in città e comportarti come gli altri, così
nessuno sospetterebbe di te.
-
Mi dispiace ma non posso farci niente nonna. Io non sono come gli altri e
non riesco a fingere di esserlo.
-
Quindi preferisci stare qui a non far niente?
-
Si- Reyc avanzò di qualche passo posando delicatamente la mano sul tronco di un
albero- Potrei passare delle ore qui, per percepire le sfumature d’ogni singolo
colore, la vita d’ogni singola foglia. E poi.... non so....... questo posto, in
questa stagione.......... è unico, è......... è magico!
L’espressione
di Luise si rabbuiò di colpo, ma le bastò un attimo per tornare normale e
riprendere il discorso.
-
Bè è meglio tornare a casa adesso. Tua zia ci starà aspettando.
Luise
e Samira avevano allevato Reyc come una figlia, anzi per l’esattezza come una
nipote, diventando rispettivamente sua nonna e sua zia, e lei gli aveva sempre
dimostrato il giusto affetto nonostante il suo carattere ribelle l’avesse
portata spesso alla disobbedienza. Alle volte correva fuori dalla casa senza
permesso solo per inseguire qualche animale oppure usciva all’alba per veder
sbocciare un fiore. Nonostante si arrabbiassero ormai conoscevano bene Reyc,
era sempre stata una ragazza ribelle e solitaria fin da quando avevano iniziato
ad insegnarle la magia, quattordici anni prima.
Spesso
Samira sentiva la mancanza della piccola Reyc, una bambina di soli quattro
anni, un pò pallida ma dal dolce sorriso, che correva da lei per farsi
raccontare la sua favola preferita. La storia di una strega potentissima che
proteggeva il mondo dai mostri, si guadagnava la stima di tutti e alla fine
s’innamorava di un principe.
Ma
da quando le raccontarono la verità la bambina non volle più sentire favole,
sentendo delle torture inflitte alle streghe e di come dovevano nascondere la
loro natura Reyc capì che una strega non avrebbe mai avuto il rispetto della
gente, ne avrebbe mai trovato il grande amore.
Quando
ebbero finito di pranzare le due chiesero a Reyc di svolgere una commissione
per loro in città e le dissero di tornare entro il tramonto.
Reyc
afferrò un cesto e lo infilò fino a metà braccio, poi si allontanò con il suo
solito passo svelto che le permise di raggiungere in fretta il villaggio.
Era
un insieme di case grigiognole dai tetti rosso spento, come quelle illustrate
nei libri di favole, circondate da viuzze ed una piazza centrale attorniata da
negozi d’ogni tipo: dai mercati dove potevi acquistare il cibo, alle botteghe
più complesse dove la gente si faceva fare i vestiti o i mobili. Le case erano
di media grandezza, abitate da gente di condizioni modeste, le ville dei nobili
o degli arricchiti si trovavano fuori città e non si facevano vedere quasi mai
da quelle parti. In genere per gli acquisti o i reclami mandavano dei
servitori. La gente passeggiava tranquilla, si scambiava saluti o pettegolezzi,
non avvenivano quasi mai delle liti. A vederli sembravano delle persone gentili
e comprensive, ma spesso l’apparenza inganna.
Non
le piaceva stare li, detestava quel paese e i suoi abitanti che ricambiavano
questo suo odio rafforzandolo, perciò prese alla svelta la frutta e la verdura
che doveva acquistare e, sempre tra gli sguardi diffidenti dei paesani,
accelerò ulteriormente il passo per tornare in dietro.
Mentre
stava ancora attraversando la cittadina quattro ragazzi più o meno della sua
età, che stavano parlando tra loro, la videro.
-
Guardate un pò! Ma quella non è la strega?- disse uno di loro in tono derisorio
e parlando a voce alta per farsi sentire da lei.
-
Si, è proprio lei. Quella fattucchiera che ogni tanto appare dal nulla e, così
lasciò scalfire da quelle parole ormai era abituata agli insulti che le gettava
com’è venuta, sparisce.
-
Nessuno ha mai visto la sua casa, c’è chi dice che venga direttamente
dall’inferno.
Reyc
non si la gente e alle voci che correvano sul suo conto perciò non prestò
attenzione ai suoi persecutori. I ragazzi, un pò delusi dall’atteggiamento
indifferente della giovane, le si avvicinarono ridendo e le chiesero.
-
Salve, sei tu la strega? Oh scusa, forse strega è un pò generico; preferisci
megera,
fattucchiera, figlia del diavolo........
dimmi pure quale ti sembra più appropriato.
Reyc non gli rispose e tentò di passargli oltre ma due dei
suoi compagni le si pararono davanti bloccandole la strada. Il capo, quello che
prima l’aveva derisa, le si avvicinò nuovamente.
-
Che c’è? Hai forse perso la lingua? O ti comporti come quello che sei, un
animale
senz’anima!
A
quelle parole fu pervasa da una rabbia incontrollabile e allontanò da sé il
ragazzo con una spinta scomposta. Gli altri due di fronte a lei istintivamente
indietreggiarono di un passo temendo le reazioni della ragazza. Ma il capo non
si fece intimidire per così poco.
-
Sai ti converrebbe comportarti bene. Se uno dei miei cani morisse potresti
prendere il suo
posto!
Il
quarto di loro, che si trovava ancora alle sue spalle, le diede una spinta che
la fece finire a terra rovesciando un pò di frutta.
-
Ops! Ti sei fatta male?
Non
ne poteva più, avrebbe voluto reagire, avrebbe voluto alzarsi e gridare una
formula che avrebbe trasformato tutti e quattro in qualcosa di viscido, anche
se in quel momento non riusciva a pensare a niente che fosse più viscido di
loro stessi.
Poteva
far diventare quel ragazzo un cane visto che gli piacevano tanto, se non fosse
che sarebbe stato un’offesa per l’intera specie.
Avrebbe
tanto voluto fare qualcosa, ma non poteva: aveva giurato che non avrebbe mai
utilizzato una delle sue formule in pubblico e poi sapeva la condanna che ne
sarebbe derivata.
Contenne
dentro di se la sua rabbia e rimise la frutta nel cesto senza rispondergli.
-
Se fatto tardi dobbiamo andare. Ma non temere la prossima volta giocheremo
ancota un
pò insieme!
I
ragazzi si allontanarono continuando a ridere tra loro.
Reyc
finì di raccogliere la frutta e se ne andò tranquillamente, con il solito passo
veloce ma senza tradire la minima fretta dai suoi atteggiamenti. La gente la
stava guardando, certo con aria indifferente ma la stavano comunque guardando,
e il suo orgoglio le impediva di mettersi a piangere davanti a quelle persone
così crudeli ed egoiste.
Appena
fu fuori dal villaggio si mise a correre, ma non in direzione della sua casa
bensì verso il fitto del bosco.
Raggiunse
una caverna, piccola e poco profonda, quasi più somigliante ad un grande buco,
una volta entrata si sedette con le spalle alla parete e, posata la testa sulle
gambe, iniziò a singhiozzare. Strinse le braccia attorno alla testa, coprendosi
del tutto il viso.
Pensò
a quella maledetta specie degli esseri umani, a quanto fossero incapaci di
capire i sentimenti altrui e di quanto fossero spaventati da ciò che era
minimamente diverso da loro.
Un
rumore la desto dai suoi pensieri, sollevò la testa e vide numerosi pipistrelli
appesi al soffitto e svegliati dal frastuono da lei provocato.
-
Scusate non volevo svegliarvi.- disse dolcemente tendendo una mano in avanti,
un pipistrello più piccolo si posò su essa, tentò di rimanere eretto ma scivolò
nuovamente a testa in giù appeso con le zampette al suo dito. Gli sorrise ma un
istante dopo torno di nuovo seria.
-
Mi hanno cacciato un altra volta. Forse pensano che non senta nulla e non mi
importi di come mi trattano...... o forse sanno ciò che provo e diventano ogni
giorno più crudeli apposta per vedermi piangere. Ma non vi preoccupate, io non
ho intenzione di cedere. Non piangerò mai davanti ad uno di loro, e nemmeno
davanti alla nonna o alla zia.
Spesso
mi danno dell’animale o della bestia, ma se gli esseri umani fossero più simili
agli animali ci sarebbe più rispetto in questo mondo. La nonna mi dice di
passare più tempo al villaggio con gli altri, ma nessuno lì m’accetterà mai per
quella che sono. E se per avere la loro stima devo fingere di essere un’altra
persona allora preferisco restare da sola. E poi lo so, siete voi i miei amici
non quelle bestie senza cuore.
Parlare
con voi mi ha fatto bene; adesso però sarà meglio che vada, mi staranno
aspettando e non voglio che siano in pensiero per me.- detto questo riappoggiò
il pipistrello dov’era prima ed uscì dalla caverna raccogliendo il cesto.
In
quello stesso momento, nella casetta nascosta, Luise camminava avanti e in
dietro per la cucina con un fare misto tra rabbia e desolazione. Era
visibilmente agitata; e senza accorgersene prendeva dei vasetti da uno scaffale
della credenza e li metteva in un altro per poi prenderne ancora e ripetere
l’operazione.
-
Sono preoccupata.
- E
perché mai? Non è ancora il tramonto.
A
quel punto la donna perse la pazienza e rispose in malo modo all’altra.
-
Non è per quello.- dopo essersi calmata si riconcentrò sul problema – Alcuni
giorni fa
Reyc mi ha raccontato un sogno molto strano.
-
Un sogno?
-
Si. In quel sogno aveva visto noi due con in mano un bambino avvolto di
stracci.
- E
cosa significa?- chiese Samira, non capendo dove volesse arrivare, ne quale
fosse il
problema.
-
Su uno di quegli stracci- riprese- c’era la lettera R tessuta in oro.
-
Ma non è possibile vuoi forse dire che....
-
Si. Reyc ha sognato la sua nascita.
-
Quindi ha il potere di vedere nel passato. È molto raro che una strega abbia un
simile
dono.
-
Purtroppo questo complica ulteriormente le cose...
In
quell’istante Reyc, che si trovava ancora sulla via del ritorno, fu colta da un
improvviso capogiro. La vista le si annebbiò d’un tratto e le forze le vennero
a mancare lasciandola cadere a terra.
Nella
mente le si formarono delle immagini. Era una casa, la sua casa. Prima la vide
esternamente e poi all’interno.
Lì
c’erano sua nonna e sua zia che parlavano. Sembravano preoccupate, ma cosa
stavano dicendo?
Benché
stessero parlando con un tono normale, nella sua mente percepiva le voci come
dei mormorii all’inizio, poi cominciarono a farsi sempre più forti finche tre
frasi le rimbombarono nella testa:
-
Se capisse la verità diventerebbe molto pericolosa.
-
Non credi che potrebbe capire?
-
No, non capirebbe e la sua furia si scatenerebbe su di noi.
L’ultima
frase era talmente alta che le fece riprendere i sensi. Riuscì a mettersi
seduta, mentre tutto attorno a lei girava.
Quando
poté vedere il paesaggio nitidamente pensò a ciò che le era accaduto, ma non
riuscì a trovare una spiegazione logica. Forse aveva solo sognato? No, lei era
certa di no. sentiva che ci doveva essere qualcos’altro.
Alzò
gli occhi e vide la casa in lontananza. Si alzò afferrando il cestino e corse
in quella direzione più velocemente che poteva. Doveva arrivare presto, di sicuro
sua nonna avrebbe saputo dirle cos’era successo.
Allo
stesso tempo in casa la discussione andava avanti, ma Luise era giunta ormai ad
una conclusione.
-
Possiamo solo continuare a non dirle nulla e sperare che non riesca a capire
l’entità dei
suoi sogni.... Almeno per un pò.
Reyc
irruppe nella stanza spalancando la porta. Aveva una faccia sconcertata e
respirava a fatica.
-
Nonna. Nonna devo parlarti è importante!
-
Che cosa ti è successo?- chiese notando i suoi vestiti sporchi di terra.
-
Adesso non ho tempo di spiegartelo. Ascolta.- la interruppe la ragazza mentre
cercava di
riprendere
fiato.- Mentre stavo tornando a casa ho sentito uno strano capogiro e....e sono
caduta a terra. Poi, non lo so, mi sembrava
di essere sotto ipnosi; non vedevo nulla di ciò
che era intorno a me....Poi....ho visto voi
due! Mi sembrava un sogno e... eppure ero
sveglia, ne sono sicura.
Luise
distoglieva lo sguardo con aria quasi annoiata finche un particolare della
storia la incuriosì.
-
Aspetta un momento. Ci hai viste? E cosa facevamo?
Reyc
sbatte la palpebre cercando di ricordare il più possibile della visione.
-
Stavate parlando. Tu le hai detto: “se sapesse la verità diventerebbe
pericolosa”, la zia ti
ha chiesto, mi sembra, se potrebbe capire ma
tu le hai risposto di no ed hai aggiunto che la
sua furia si scatenerebbe su di noi.
Luise
era visibilmente turbata nonostante tentasse di mantenere la calma.
-
Hai sentito di che stavamo parlando?
-
No.
-
Non preoccuparti è una cosa normale.- riprese la donna dopo un pò- Significa
solamente
che sei stanca. Questa sera vedremo di far
durare la lezione il meno possibile. E domani
vedi di riposarti un pò invece di alzarti
all’alba per una delle tue solite sciocchezze.- detto questo si allontanò da
loro in silenzio e salì le scale che portavano al piano di sopra.
Samira
si avvicinò a Reyc, le posò dolcemente le mani sulle spalle come a volerla
rassicurare e le disse:
-
Ma si, vedrai che tutto si sistemerà bambina mia, sta tranquilla.
Reyc
però non ne era molto convinta. Stava per accadere qualcosa, ne era certa, quel
sogno e quella visione non potevano essere solamente un caso.
La
ragazza entrò nella sua stanza e cominciò a prepararsi per quella sera. Le
“lezioni” di cui parlava sua nonna erano delle prove di magia. Quando era
piccola le avevano insegnato a riconoscere le erbe, a preparare filtri ed a
inventare formule per far accadere ciò che le dicevano. Ogni sera, due ore dopo
il tramonto, la portavano nel bosco e li la aiutavano ad esercitarsi.
Il
bosco a quell’ora era incredibilmente silenzioso. Ma si poteva sempre udire il
canto dei grilli, i passi degli animali notturni e più in la nascosta fra gli
alberi una civetta che da sempre li
accompagnava.
Tutt’intorno
c’era soltanto il buio, fatta eccezione per il piccolo focolare che illuminava
i loro volti. Non potevano correre il rischio di accendere un vero fuoco. Se ti
allontanavi anche solo di pochi passi saresti rimasto totalmente al buio e da
solo.
Ma
per le streghe è diverso che per la gente comune; Reyc lo sapeva da sempre, ed
era certa funzionasse così anche per le sue parenti. Lei non aveva mai temuto
il buio anzi era sempre stata attratta dai misteri nascosti nelle ombre, ed una
frase la spingeva a fissarle: dietro ad ogni ombra si nasconde una luce.
Non
sapeva dove l’avesse sentita, era nella sua mente e ciò bastava.
La
voce di sua nonna la risvegliò dai suoi pensieri.
-
Stai migliorando ogni giorno che passa, ma ora non è il momento di distrarsi.
Prova a
rimpicciolire quel sasso.
La
giovane chiuse gli occhi, sfiorò il sasso con la punta delle dita e ripete:
-
Se fino ad oggi questa grandezza hai mantenuto
ora con un gesto le tue forme io muto
e più piccolo di quanto tu sia al naturale
con le mie semplici parole dovrai diventare.
Detto
questo il sasso rimpicciolì.
Luise
lo prese in mano e lo esaminò; poi alzò gli occhi su Reyc, che pareva ansiosa,
e le annunciò:
-
Bè sembra tutto a posto.
La
ragazza poté tirare, finalmente, un sospiro di sollievo accennando anche un
lieve sorriso di soddisfazione.
Nel
frattempo Samira disse a bassa voce.
-
Direi che per oggi ha fatto già abbastanza, ricordati che si deve riposare.
-
Si hai ragione,. Possiamo tornare a casa.
Quella
notte Reyc non riusciva a prendere sonno; ne approfitto per leggere. Tutti
ignoravano che lei sapesse leggere, nemmeno lei capiva come c’era riuscita
perché nessuno glie l’aveva mai insegnato. Quando era piccola aveva trovato un
libro sotto il suo letto, corse a raccontarlo ma non le credettero, pensarono
si fosse inventata tutto come al suo solito, lei decise di non mostrarglielo ed
iniziò a leggerlo, un pò sorpresa di saperlo fare. Non continuò per molto,
preferiva riflettere su ciò che era successo e continuò a pensare fino a tardi
quando non poté più tenere gli occhi aperti.
Tutt’intorno
c’erano moltissimi alberi tanto fitti da non vedere altro, anche se l’autunno
li aveva rinsecchiti e privati delle loro belle foglie che ora si trovavano,
rosse e gialle, sul terreno. I rami erano vagamente coperti dalla nebbia.
Lei
avanzava mettendo le mani avanti ed urtando qualche albero, ma nonostante
questo sapeva di dover proseguire; si sentiva bene, non provava nemmeno il
freddo.
Tutto
sembrava stregato, quasi fuori dal tempo.
In
questo incantevole panorama si sentiva rimbombare, decisa, la voce di una donna
molto giovane, quasi una ragazzina.
-
Fai attenzione Reyc. Tu hai un grande potere, ma se non impari a
dominarlo saranno gli altri ad usarlo contro
di te. Ricordati queste
parole: l’amore potrà essere una grande forza
per te, ma anche una
grande debolezza.
L’immagine
che aveva davanti mutò di scatto nella sagoma sfocata di un ragazzo di cui però
riuscì ad intravedere solo gli occhi, dei bellissimi occhi d’un colore fra il
blu e l’azzurro; degli occhi così intensi, così profondi, che, lei sapeva, non
avrebbe mai dimenticato.
Il
sole era appena sorto, portando con se i suoi dolci colori e i silenziosi
rumori prodotti dagli animali che allontanavano i ricordi della notte. Soltanto
il cielo era uno spettacolo da lasciare senza fiato, ma era raro che qualcuno
si fermasse ad ammirarlo; a quell’ora la gente o dormiva o già lavorava.
Nonostante
le avessero detto di riposarsi Reyc non aveva resistito, era uscita di casa e
si era seduta sul muretto per ammirarlo.
Il
vento soffiava un pò; seguendo un ordine preciso, quello della mano di Reyc che
ondeggiava nell’aria. Dove essa andava il venticcello la seguiva spostando in
quella direzione le numerose foglie sul terreno.
Lei
socchiudeva gli occhi, lasciandosi avvolgere dall’aria, un pò fredda, del
mattino.
Stava
ripensando al sogno; ma, a differenza delle altre volte, non era preoccupata da
quale fosse il suo significato. Dentro di se rivedeva ancora quegli occhi,
intensi e magnetici, che le facevano battere il cuore ma che, allo stesso
tempo, le procuravano una grande sensazione di pace.
Il
vento continuava a soffiare leggero.
Si
sentiva sciocca a pensarci, infondo era soltanto un sogno e poi non era da lei
comportarsi in quel modo.
Eppure
sentiva che un giorno avrebbe incontrato colui a cui appartenevano, o almeno lo
sperava.
Momentaneamente
aveva dimenticato le parole della ragazza. O forse voleva soltanto, per un pò,
perdersi nelle sue fantasie dimenticando tutto apparte quella sensazione, che
in quel momento le permetteva, senza accorgersene, di far dondolare i rami
degli alberi.
Quello
stesso pomeriggio dovette sottostare alla prova, per lei, più terrificante.
Doveva tornare nel villaggio.
Al
solo pensiero sentiva un misto di ribrezzo, rabbia e desolazione. È strano come
un luogo “normale” possa diventare, per chi non si comporta come gli altri, il
peggior girone dell’inferno.
Nonostante
tutto non poteva rifiutarsi. Sua nonna e sua zia non potevano, doveva andarci
lei.
Prese
la sua solita cesta e si diresse fuori di casa, promettendo a se stessa di
camminare veloce e di non fermarsi più del necessario.
Ogni
sua speranza si dimostrò vana, poiché loro erano li, ad aspettarla dietro
l’angolo di un negozio. Gli stessi ragazzi del giorno precedente.
Tentare
di oltrepassarli sarebbe stato inutile quindi decide di aspettare che
passassero loro.
-
Però. Questo villaggio è proprio piccolo. Capita spesso la piacevole
coincidenza di
incontrarsi.
Disse
ironicamente il capo con il suo solito sorriso di superiorità. Ovviamente stava
mentendo. Non era certo una coincidenza che si trovassero davanti a lei.
Uno
di loro provò a sferrarle un pugno nello stomaco, ma lei riuscì ad evitarlo. Il
capo seccato da questo inconveniente le chiese:
-
Hai forse intenzione di reagire?
Quelle
parole la riportarono alla realtà.
Tutti
li la credevano una strega, era viva solo per la mancanza di prove. A lei non
era concesso neppure difendersi, o ne sarebbe andata di mezzo anche la sua
famiglia.
Approfittando
della sua distrazione i ragazzi la spinsero nuovamente per terra, le lanciarono
qualche sassolino trovato per la strada e continuarono a prenderla in giro
ridendo rumorosamente alla loro ignoranza.
Nel
frattempo, dall’altro lato della strada, una ragazza ed un ragazzo, che
passeggiavano mentre lei osservava i negozi, videro ciò che stava accadendo.
Lei
disse:
-
Ma che stanno facendo? Sono impazziti?
-
Non lo so, ma dubito sia un’usanza del posto.
-
C’è una ragazza lì in mezzo. Non possiamo starcene qui a guardare, dobbiamo
aiutarla!
-
Hai ragione, però aspetta un momento- ma la ragazza stava già avanzando nella
loro direzione- Judith, potrebbe essere pericoloso aspetta!
Intanto
Reyc non ne poteva più. Assillata dagli insulti e dalle grida aveva
completamente scordato le torture, il rogo, tutto quanto.
Nella
sua mente gli echi delle risate iniziavano a spegnersi finché, come le era
successo il giorno precedente, riuscì a sentire soltanto il battito del suo
cuore che andava sempre più veloce sembrando quasi impazzito. Un intenso calore
le partì da dentro raggiungendo gli occhi. Gli altri non potevano vederlo,
perché la ragazza aveva il capo chino a terra, ma i suoi occhi stavano passando
dal loro solito color violetto ad un accecante rosso fuoco. In quel momento le
sarebbe bastato sollevare la testa per incenerirli.
Stava
quasi per farlo quando una voce la bloccò e la fece tornare in se.
-
Fermatevi! Volete lasciarla stare.
-
Non impicciarti, se non vuoi fare la sua fine, il che sarebbe un peccato.- le
disse senza neanche guardarla.
Il
ragazzo, che era rimasto in dietro, si avvicinò velocemente e lo girò verso di
loro strattonandolo per la spalla e dicendogli:
-
Non ti azzardare neanche!- dopo averli visti il capo dei quattro rimase
scioccato. Si vedeva da com’erano vestiti che dovevano essere abbastanza ricchi
da fargliela pagare per quello che aveva detto.
-
Non intendevo.......... noi stavamo solo- si voltò a guardare i suoi compagni
ma loro stavano già scappando via- io ecco..... mi dispiace, perdonatemi.-
detto questo corse via anche lui.
Reyc
era rimasta a terra incredibilmente sorpresa; nessuno prima di allora l’aveva
mai aiutata.
-
Non penso che daranno ancora fastidio.
Disse
il ragazzo, parlando più a se stesso, mentre guardava la direzione da dov’erano
scappati gli altri.
La
ragazza attirò, senza farsi notare, la sua attenzione e gli sussurrò:
-
Aiutala ad alzarsi, no?
Si
chinò e le porse la mano. Reyc sollevò la testa e non credette a ciò che
vedeva: gli occhi di quel ragazzo erano gli stessi del sogno, ne era sicura;
talmente profondi e unici com’erano sentiva di non volersene più staccare.
Anche
lui si sorprese non poco nel vedere il suo volto. Era bellissima con uno
sguardo tanto dolce quanto misterioso, come se dietro ad esso fosse celato un
altro mondo. Sembrava quasi irreale, quasi una visione, ma allo stesso tempo
era più reale della maggior parte della gente che aveva incontrato.
Destata
da quel meraviglioso sogno ad occhi aperti, Reyc si alzò senza l’aiuto del
giovane; lui rimase un pò seccato da quest’atteggiamento ma non lo diede a
vedere.
Judith
le si avvicinò con fare deciso, le porse la mano e si presentò.
-
Io mi chiamo Judith e lui è Lawin il mio......- voltò leggermente la testa
verso di lui; entrambi parevano nervosi, poi lei si corresse con un pò di
imbarazzo- un mio amico.
La
ragazza rimase ad aspettare con un dolce sorriso sulle labbra. Pensandoci, a
quell’epoca, era piuttosto insolito per una donna voler stringere la mano, ma
chi conosceva Judith non si sarebbe certo stupito.
Era
sempre stata una ragazza determinata e sicura delle sue azioni ed, allo stesso
tempo, dolce, femminile e sempre di buon umore. A vederla sembrava fragile e un
pò snob, come molte altre. Aveva dei lunghi riccioli biondi e gli occhi verdi e
portava sempre abiti molto costosi. Quel giorno per una semplice passeggiata in
paese aveva indossato un vestito in due colori: sopra era di un color crema con
dei pizzi chiari attaccati con ricami neri, così continuava fino all’altezza
del ginocchio più o meno dove si apriva rivelando la seconda gonna in rosso
scuro, anch’essa incorniciata da un pò di pizzi.
Nonostante le apparenze era molto intelligente
e generosa con un coraggio superiore a molti uomini.
Reyc
però non aveva intenzione di presentarsi o di restare in loro compagnia, certo
erano stati gentili, ma la sua natura diffidente le diceva di andarsene.
-
Vi ringrazio per ciò che avete fatto. Ora scusatemi, ma devo andare.
Judith
era rimasta delusa quanto affascinata da quella risposta, scortese ed educata
allo stesso tempo, dove la gratitudine delle parole e tradita dall’amarezza del
tono.
Lawin
invece non ci pensò molto, quella frase indicava soltanto che l’impressione che
aveva avuto su di lei era esatta; era solo una ragazza maleducata e arrogante
convinta, con i suoi silenzi, di dimostrarsi superiore.
-
Visto che è stata così gentile verso di te potresti almeno presentarti. O forse
non sei migliore di quei ragazzi?
Judith
tentò di fermarlo ma fu preceduta.
-
Mi chiamo Reyc. Soddisfatti?- detto questo fece per allontanarsi ma fu bloccata
da Judith.
-
Aspetta! Noi non volevamo offenderti. Io, ecco, volevo solo fare la tua
conoscenza. Abito
appena fuori dal villaggio e, ogni tanto,
vengo qui a fare spese o a passeggiare ma non ti
avevo mai vista. Voglio solamente conversare
un pò con te, se poi ti dovessi annoiare
puoi andartene senza dire niente a nessuno,
non te ne faremo una colpa! Allora, questa
strada non mi piace particolarmente quindi
mentre parliamo cammineremo verso casa
mia; lì c’è un sentiero immerso nel verde
che è molto più bello e tranquillo e nessuno ci
disturberà. Bene possiamo andare!
Questa
volta nemmeno Reyc riuscì a rispondere. Quella ragazza era riuscita a dettare
legge su tutti senza scomporsi minimamente. Non lo volle ammettere ma ammirava
la sua spontaneità sebbene la trovasse un pò invadente.
Parlarono
per ore, avvolte camminando ma per lo più fermandosi sui prati confinanti con
la strada. Anzi, Judith parlava: raccontava di se, spiegava qualcosa sul conto
di Lawin, diceva le sue impressioni sul posto in cui si fermavano e faceva
moltissime domande a Reyc; che rispondeva con semplicità nonostante cominciasse
a sentirsi a suo agio con lei.
Camminando
passò il tempo, e quando arrivarono davanti alla casa di Judith era ormai
tardi.
-
Incredibile, è già il tramonto! Forse sarebbe meglio se ti fermassi qui per
questa notte.
-
Mi dispiace, non posso. Mi stanno aspettando a casa e credo che siano già in
pensiero.
-
Certamente, scusa. Hai ragione non bisogna far stare in pensiero i propri
famigliari. Ma
visto che si sta facendo buio Lawin ti
accompagnerà.
-
Cosa? Ma io non posso......- ma la ragazza, determinata, non gli lasciò il
tempo di reagire.
-
Vuoi veramente lasciare una ragazza indifesa camminare da sola in questi luoghi
di notte?
-
Bè no! ma....
-
Allora e deciso: ti accompagnerà lui!
Questa
volta fu Reyc ad intervenire.
-
Non è necessario, conosco la strada.
-
Non preoccuparti e poi mi sentirei più tranquilla così.
Alla
fine fu costretta ad accettare. In fondo non aveva niente contro quel ragazzo
ma sapeva di non essergli simpatica, e contraccambiava. Doveva evitare di
guardarlo negli occhi, perché per essi provava qualcosa, e questo, ripensando
alle sue parole di quel pomeriggio, non le risultò molto difficile.
Camminarono
lungo il sentiero con passo veloce e senza fermarsi. Continuarono a fissare
ciascuno il lato opposto a dove si trovava l’altro senza parlarsi. Reyc stringeva
fra le mani il cestino, ancora pieno, che aveva con se; Lawin invece le portava
talvolta dietro la schiena, talvolta nelle tasche.
I
due proseguirono in silenzio finché lui le chiese, senza nemmeno guardarla:
-
In quale parte del villaggio abiti?
-
Non abito al villaggio. Vivo con mia nonna e sua sorella in una casa appena
fuori dal bosco.
Si
accorse troppo tardi di ciò che aveva detto. Sapeva che non avrebbe dovuto ma
le parole le erano scivolate di bocca. Fortunatamente lui non sembrava
essersene accorto, annui fissando avanti. In seguito aggiunse.
-
Non devo ispirarti molta fiducia immagino. È molto che te ne stai in silenzio.
-
Non mi fido di chi non conosco e penso di non essere l’unica qui. Avresti
potuto rifiutare.
Lui
rispose seriamente, come se in parte condividesse le sue parole.
-
No, non potevo! Me l’ha chiesto Judith.
Reyc
provò a cambiare argomento, capendo, dal tono della risposta, che quello
avrebbe aggravato la loro già difficile vicinanza forzata.
-
Tu non sei di queste parti vero?
-
Come l’hai capito?
-
Dai tuoi modi- e dal fatto che non si fosse sorpreso nel sentire dove abitava,
ma questo, ovviamente, non lo disse.
-
In effetti no. Attualmente vivo nella casa di Judith.
Reyc
non rispose, l’aveva già capito dall’inizio ma questa notizia la fece star male
ugualmente. Anche se non capiva perché.
-
Cioè. Sono ospite di suo padre. Noi lavoriamo insieme.
-
Allora è così che vi siete conosciuti?
-
Già. Ci siamo incontrati quando era venuta con lui nella mia città.
Non
aggiunse altro a quella frase. Non capiva il motivo ma non voleva raccontarle
altro sul loro incontro.
Una
sera era stato invitato da un ballo; a lui non erano mai piaciute le feste e la
confusione ma nel corso della serata avrebbe potuto discutere con dei colleghi
venuti da fuori città quindi accettò.
Mentre
stava parlando la vide avvicinarsi. Era così bella con un elegante vestito
rosso, con decorazioni a fiori sul busto e su parte della gonna e circondato da
cuciture in oro, ed i capelli pettinati a boccoli, che le ricadevano intorno al
viso senza però mai coprirlo. Venne a salutare suo padre ed a ringraziarlo, per
averle permesso di accompagnarlo e di visitare quella bella città.
Il bel
sorriso le illuminava gli occhi color smeraldo. Se lo ricordava come fosse
successo ieri. In un primo momento sembrava non averlo neanche notato ma,
quando già si stava allontanando, si voltò verso di lui e gli sorrise facendo
un cenno con la testa. Inutile dire che questo gli fece perdere il filo del
discorso.
Più
avanti ebbero l’occasione di presentarsi e di parlare; così si accorse che non
era soltanto incantevole ma anche intelligente, spiritosa, dolce e decisa. Riusciva
a parlare di argomenti interessanti e un pò difficili che lei rendeva leggeri
con il sorriso e un pò di ironia.
Se
ne innamorò immediatamente e, quando fu invitato da suo padre per affari, trovò
il coraggio di dirglielo. Ed ora erano fidanzati.
Lui
era sempre stato sicuro del suo amore ma, qualcosa in quella misteriosa ed
irritante ragazza, lo faceva dubitare, non gli permetteva di parlarne.
Di
certo non era più bella di Judith ma aveva qualcosa che la rendeva unica ed
affascinante come nessuna. Forse era quell’alone di mistero che la circondava
oppure la profondità del suo sguardo o quei suoi modi quasi distaccati. Era come
se lei fosse allo stesso tempo luce ed ombra.
La guardò
per un istante e sentì la stessa cosa che aveva provato la prima volta che l’aveva
vista. La forte sensazione che lei non fosse umana ma che allo stesso tempo
fosse l’unica persona reale al mondo.
Se qualcuno
glielo avesse chiesto di sicuro avrebbe negato tutto, ma era in parte attratto da
lei.
Reyc
si voltò e gli chiese.
-
Perché non ti fidi di me?
-
Non lo so forse per i tuoi modi. Tu sei diversa.
-
Ed è un male essere diversi?- non sapeva perché gli aveva fatto quelle domande,
di cui già conosceva le risposte, aveva semplicemente agito d’impulso. Forse era
solo una scusa, perché non aveva resistito alla tentazione di guardarlo. Lawin ci
pensò un momento poi rispose:
-
No! ma alle volte fa paura ciò che non si conosce.- detto questo le sorrise
dolcemente.
Lei
non lo aveva mai visto sorridere. Senti una stretta al cuore. Lo vedeva. Vedeva
i suoi capelli scuri confondersi nell’oscurità mentre il suo viso rimaneva
nitido. Per un attimo gli sembro una delle sue visioni, come se stesse
sognando. Ricambiò il gesto. Per la prima volta nella sua vita sorrise ad una
persona che non conosceva.
Nemmeno
lui l’aveva mai vista sorridere, e si sorprese non poco di quanto la trovò
bella in quel momento.
Lui
si scostò leggermente e le disse per cambiare argomento.
-
Sarà meglio andare. Si sta facendo tardi e la tua casa e ancora distante.
-
Conosco una via più veloce. Se non hai paura di entrare nel bosco.
La seguì
senza fiatare. Gli alberi erano molto spessi ed, in certi punti, si riusciva a
stento a passare fra i rami. Per chi non conosceva quei luoghi sarebbe stato
facile perdersi, ma lei proseguiva sicura.
Si fermarono
davanti ad una pozza d’acqua, che somigliava ad un piccolo lago. Forse, una volta, era un torrente che ora si stava
pian piano prosciugando negli anni.
Lawin
si piegò e sfiorò la superficie dell’acqua con la mano formando naturalmente le
increspature a forma di cerchio.
Reyc
si avvicinò a lui sicura di ciò che voleva fare e gli disse:
-
Guarda!
Sentiva
un energia scenderle fino alla mano, ma non era il calore intriso di rabbia di
quel pomeriggio e nemmeno la sensazione di tranquillità che aveva provato all’alba
quando per gioco faceva volare le foglie secche.
Chiuse
gli occhi e protese le dita verso quello specchio luminoso e, senza toccarlo,
produsse un piccolo vuoto da cui partirono le stesse piegature.
- È
incredibile! Ma come hai fatto?
Riaprì
gli occhi senza rispondere. Sapeva che lui non avrebbe potuto dirlo a nessuno,
ma non poteva ugualmente fargli scoprire dove abitava.
Lo guardò
e con molta calma gli disse:
-
Casa mia e qui vicino, posso andare avanti da sola adesso. Puoi tornare in
dietro.
Lui
annui e senza dire una parola si allontanò. Era stupito di ciò che aveva visto
ma sentiva, dentro, una voce che gli diceva di non avere paura e di non
raccontarlo. Non avrebbe voluto lasciare Reyc, ma quelle parole, come un
incantesimo, l’avevano spinto ad allontanarsi.
Reyc
lo vide scomparire fra gli alberi e proseguì la sua strada.
Come
previsto Luise e Samira erano molto preoccupate. Luise dopo averla sgridata le
disse di andare a dormire perché quella notte, a causa del suo ritardo,
sarebbero rimaste in casa. |