Vento dell'Ovest - Capitolo 1
-
Capitolo Primo -
Arrivo del Vento
Tra
tutti i venti, quello dell’Ovest, detto anche Vento di
Ponente, è
senza
dubbio il
più chiacchierino e il più bravo a raccontare
storie. Infatti, i suoi fratelli venti e le sue
sorelle brezze non aspettano altro che il suo ritorno da qualche
lungo viaggio, sperando sempre che abbia in serbo per loro una qualche
bella storia che possa intrattenerli.
In particolare, quella che vi sta per narrare è una delle
sue preferite,
forse
quella che ama di più in assoluto, poiché sembra
che, nella vicenda, abbia
avuto un
ruolo quasi da protagonista.
Perciò, mettetevi comodi, perché ai venti piace
essere molto
dettagliati quando raccontano e odiano che si metta loro
fretta...
Era un tiepido giorno sul finire di settembre del 1986 e il Vento di
Ponente
soffiava pigramente tra le mura degli edifici della Capitale,
quando decise di lasciare il centro per muoversi
tra i giardini del quartiere pinciano. Si ritrovò, quindi,
a soffiare nell’immenso
parco di
una villa d’epoca
ben tenuta, con pini altissimi, fiori e arbusti che si
stavano ormai preparando al sonno invernale.
Mentre era impegnato a solleticare le bacche non ancora mature di una
rosa canina, la sua attenzione fu catturata da una ragazza dal volto delicato e con lunghi
ricci scuri che le arrivavano poco oltre le spalle,
appoggiata alla balaustra della
veranda canticchiando un motivetto allegro: «What a
feeling, bein’s believin’, I can have it all, now
I’m dancing for my life...1»
«Vittoria, se non te ne fossi accorta, stiamo cercando di
finire di lavorare» intervenne, a quel punto, un giovane
dalla chioma ribelle biondo dorata seduto ad un tavolo lì accanto, senza alzare gli
occhi dagli incartamenti che stava leggendo.
«Sono quasi le sette, non dovreste smettere?»
gli fece, però, notare quella, accigliata, smettendo di dondolare la testa a ritmo. «La festa è alle
sette e mezza!»
«Se tu la piantassi di distrarci, forse riusciremmo a
finire!»
la rimbeccò l’altro, seccato. «E,
comunque, ti ricordo che sei l’unica di noi tre che
smania per andare alla festa di compleanno di Maria Luisa».
Indispettita, la ragazza si alzò in piedi e
riservò al suo interlocutore un’occhiata di
rimprovero.
«So perfettamente che non ci vuoi andare,
Marcellino» affermò, mentre si avvicinava al
tavolo cosparso di fogli dove, oltre all’amico, era seduto anche
un altro giovane. «Sappi, però, che non presentandoti
deluderesti tutte le
tue ammiratrici, a cominciare proprio dalla festeggiata».
«Sai, Vittoria, non credo sia questo il modo giusto per
convincerlo» si intromise, allora, il ragazzo dai capelli castani,
ridacchiando
sommessamente.
«Be’, Gerardo, Marcello deve sapere della scia di
cuori infranti che lascerà se non andiamo da Maria
Luisa!» commentò la ragazza, mettendo su un
cipiglio ostinato.
In risposta, il diretto interessato alzò gli occhi al cielo,
poiché, in realtà, era fin troppo a conoscenza di
ciò che pensavano e dicevano di lui Maria Luisa Foscari e la
sua banda di amiche starnazzanti: infatti, lo
adocchiavano ormai da troppo tempo, reputandolo un ottimo
partito, senza curarsi del fatto che a lui non interessava
nessuna di loro.
Reprimendo un brivido, Marcello si riscosse da quei pensieri
raccapriccianti e decise, invece, di rivolgersi a Gerardo.
«Potresti ricordarmi qual è stata
l’ultima mossa di Lord Carter?» gli chiese,
cercando di ignorare le proteste di Vittoria.
«Così, forse, riusciremo a mettere il
punto a questa faccenda».
«Niente di importante» rispose l’altro,
sfogliando distrattamente il plico che aveva in mano.
«Qualche piccola contrattazione nello Yemen del Nord, per
ottenere
più petrolio».
«Chissà perché ha preso in
considerazione noi, come possibili partner finanziatori dei suoi
grandiosi progetti...» si domandò a voce alta Marcello,
prendendo in mano un bicchiere colmo di succo e appoggiandosi
con la schiena alla poltroncina di vimini.
«Non ne ho la più pallida idea. Magari, lo
scopriremo tra qualche settimana, quando lo incontreremo»
osservò cautamente Gerardo, sfregandosi nervosamente il
collo.
Trascorse qualche istante di assoluto silenzio, poi, però,
Vittoria cominciò di nuovo a sbuffare e ripartì
alla carica: «Adesso avete finito? Non voglio arrivare in
ritardo!»
Subito, i due si voltarono verso di lei e la osservarono attentamente,
sbattendo le palpebre.
«Lo sai che sei davvero irritante?» le fece notare, allora, Marcello, che davvero non aveva voglia di
andare da nessuna parte. Purtroppo, però, dopo che la sua
amica lo aveva sfiancato con continue e pressanti richieste, aveva
ceduto ed ora si trovava obbligato ad accompagnarla. Non gli erano mai
piaciute le feste di compleanno, specie quelle dove c’era
un’alta probabilità di ritrovare vecchie
conoscenze, ma, ad essere sinceri, non amava in generale le occasioni dove c’era
troppa gente chiusa nello stesso posto.
Sapeva di non essere una persona molto socievole che preferiva
tenersi lontano da ogni forma di agglomerato sociale.
«Dai, Marcellino, lo sai che le feste sono sempre
un’ottima occasione per conoscere gente nuova!»
insistette Vittoria, lasciando che sulle sue labbra affiorasse un
sorriso
malandrino. «Magari, questa potrebbe essere la volta buona che
conosci una ragazza adatta ai tuoi gusti difficili... e farai
felice la tua mammina».
«Io non cerco nessuna ragazza e, soprattutto, non voglio fare
felice nessuno!» borbottò in risposta quello,
ritrovandosi a chiedere per l’ennesima volta in
vent’anni come avesse
fatto a diventare amico stretto di quel terremoto vivente che era Vittoria
Farnese.
«Dai, lascialo stare» la rimproverò con
dolcezza Gerardo, lanciando all’altro un’occhiata
solidale. «Abbiamo promesso che ti accompagneremo e
così faremo».
«Ecco,
tu sì che sei gentile, Gerardo. Mica come
lui...» replicò la ragazza, indirizzando un
sorriso riconoscente al giovane e mostrando, invece, la lingua a
Marcello.
Esasperato, quello decise di porre fine alla questione e si
alzò in piedi.
«Ho capito, ho capito, andiamo» sospirò, arreso. Poi, si rivolse a Gerardo: «Noi continueremo
domani».
«Certamente» acconsentì quello, annuendo
e alzandosi a sua volta.
Allora, con un’espressione trionfante dipinta sul volto,
Vittoria fece schioccare la lingua contro il palato; stava per
aggiungere qualcosa, quando una presenza
disturbante si materializzò accanto ai tre e la
giovane fu costretta a tacere. Infatti, ostentando la sua espressione
più
impassibile, era appena sopraggiunta la madre di Marcello, bionda come
il figlio, ma
con occhi scuri e penetranti dai quali traspariva tutto il disprezzo
che provava per gli amici del ragazzo.
«Buonasera,
signora Claudia» la
salutò gentilmente Gerardo, un po’ teso.
«Salve,
signora. Noi stavamo per andare via»
si
affrettò ad aggiungere Vittoria, indietreggiando di qualche
passo per allontanarsi da lei, mentre quella li fissava entrambi
arricciando appena le labbra. Di
fronte ad un simile atteggiamento, Marcello digrignò i denti
poiché, anche se aveva ormai smesso da diversi anni di
sperare
che sua madre potesse prendere in simpatia Vittoria e Gerardo, quella
avrebbe almeno potuto mostrare un minimo di educazione nei loro
confronti. Soprattutto perché che si vantava di essere una donna raffinata.
«Sì,
infatti mi pare una buona idea»
rispose la Matrona, come veniva chiamata dalle cameriere della villa, perseverando
nella sua ostilità. «Passate decisamente troppo
tempo qui.
Potrebbe quasi sembrare che non abbiate nulla di meglio da fare...
soprattutto tu, Gerardo. Poi, non lamentarti se in giro si dice che
è Marcello a sbrigare tutti gli oneri».
«Mamma!» la
richiamò il figlio, indignato. «Gerardo
ed io siamo soci allo stesso livello e ci dividiamo equamente il lavoro!»
Tuttavia,
la
donna non rispose a quell’obiezione, limitandosi ad
assumere un’espressione così dura che il suo volto
perse istantaneamente tutta la sua bellezza, mentre Marcello offriva un’occhiata
mortificata di scuse all’altro. In risposta, quello scosse la testa, accennando un sorriso.
«Ti
aspettiamo fuori dal cancello»
disse in fretta Vittoria, intromettendosi e tirando Gerardo per un
lembo della giacca,
prima che la signora Claudia potesse dare un giudizio negativo anche su
di
lei.
«Arrivederci,
signora!» la
salutò in fretta il ragazzo, sparendo con l’amica
oltre la porta-finestra.
Rimasti
soli, il ragazzo si voltò verso la madre, squadrandola con
fare
ostile e, non riuscendo più a trattenere il suo
risentimento, le
sbottò contro: «Devi smetterla di trattare male Gerardo e Vittoria!»
«Sono
solo due approfittatori che sfruttano la tua
popolarità. Se tu non le avessi presentato lo scultore
Bartolomeo Davoli, la Farnese sarebbe ancora una zitella con la lingua
troppo lunga e quel Marini non sarebbe nessuno se tu non gli avessi
chiesto di diventare tuo socio»
gli
rispose lei, con una smorfia di disgusto. «Avresti dovuto prendere in considerazione Ascanio Colonna, invece,
perché, da
quello che sento dire in giro, sembra molto in gamba».
«Mi
sarei tagliato la lingua, piuttosto che chiedergli una cosa
simile»
ribatté, però, Marcello, con un sibilo
irritato. Sua
madre non aveva il diritto né di mettere bocca nelle sue
scelte professionali, né tantomeno di insultare i suoi amici
solo
perché
non li considerava al loro livello, visto che, per lui, i
due ragazzi erano come fratelli. Nemmeno per Tiberio, suo
fratello di sangue, ma così
simile alla genitrice da risultargli insopportabile, provava
un attaccamento simile.
«Comunque,
a parte gettare fango su chi non è nelle tue grazie, devi
dirmi
qualcosa di importante?»
aggiunse poco dopo, vedendo che la donna
non sembrava avere intenzione di voler andar via.
Per qualche secondo, la signora Claudia si soffermò a
studiarlo, giocherellando con la collana di perle che portava al collo,
per poi cominciare a parlare, molto lentamente: «So che stai andando alla festa di compleanno di Maria Luisa».
Inarcando appena un sopracciglio, curioso di sapere dove intendesse
andare a parare la genitrice, il giovane ricambiò
l’occhiata e rimase in attesa che l’altra
continuasse.
«L’altro giorno, Serena mi ha detto che
tu piaci molto alla figlia, pertanto volevo invitarti a prenderla in
considerazione come
tua possibile fidanzata» spiegò subito dopo,
infatti, la donna, aggrottando la fronte e spostando lo sguardo verso
l’alto, come se stesse valutando sul serio
l’eventualità che quella ragazza potesse entrare a
fare parte della sua famiglia.
«Che cosa?!» scattò subito Marcello,
impallidendo al solo pensiero. «Mi auguro seriamente che
tu stia scherzando, mamma».
«Affatto» ribatté, però, la
donna, con estrema convinzione. «La conosco e so che
è una ragazza remissiva e ben educata, davvero adatta a te».
Sconcertato, il figlio la guardò come se fosse uscita di
senno, cosa che accadeva abbastanza spesso quando
si ritrovava a parlare con sua madre. Evidentemente, si era messa in
testa che anche con lui avrebbe potuto portare avanti le sue
macchinazioni, come aveva fatto con Tiberio quando lo aveva
spinto tra le braccia dell’insulsa ed instabile
Ortensia Torlonia, meritevole solo di avere un padre ricco ed essere
una discendente di ex marchesi. Qualità che
solo una donna retrograda ed arrivista come la Matrona avrebbe potuto
trovare allettanti.
«Io non sono come Tiberio e non accetterò mai un
tuo consiglio» replicò, allora, il giovane, non
celando il disprezzo che riservava verso di lei e verso il fratello,
talmente desideroso di compiacere la madre da aver accettato subito la sua insana proposta. Purtroppo, la signora Claudia
considerava i suoi
due figli come se fossero sue appendici, a tal punto da sentirsi in
dovere di
instradarli ad essere a sua immagine e somiglianza, cercando matrimoni
vantaggiosi per non perdere il prestigio sociale che lei, da ragazza
provinciale della campagna viterbese, aveva
guadagnato sposando il padre di Marcello.
«Vuoi forse rimanere scapolo a vita?» gli chiese a
quel punto la madre, assottigliando pericolosamente lo sguardo.
«Hai già rifiutato tutte le figlie delle mie
amiche, facendo addirittura piangere la povera Costanza!»
«Mamma, quella non è una ragazza, è una piovra
gigante!» rispose l’altro, rabbrividendo al solo
ricordo di quel pomeriggio passato a scappare per tutta la casa,
sperando
di scrollarsi di dosso quella tipa appiccicosa, nonostante la milza
dolente e l’ordine del medico di restare a letto. «E poi,
le avevo
solo detto di non avvicinarsi perché non ero ancora del tutto
guarito dalla mononucleosi... In fondo, mi stavo preoccupando per
lei» aggiunse, non riuscendo a soffocare una nota ironica.
«Come
ti è saltato in mente di andare a fare il buon samaritano al
Bambino Gesù2
con quella sciocca della Farnese!»
gli inveì contro l’altra, sbraitando come una di
quelle popolane che tanto disprezzava. «Sai benissimo che i
bambini sono un ricettacolo delle
peggiori malattie!»
A quel punto, il ragazzo si portò una mano alle tempie e
contò fino a dieci per non essere costretto a risponderle
per le rime.
«Invece, è stata una bellissima iniziativa andare
a visitare i bambini ricoverati in ospedale» le
fece notare, dopo qualche secondo che servì a tenere a bada
la rabbia che sentiva crescere dentro di lui. «E, comunque,
guarda
il lato positivo, mamma: non ne verrò più
contagiato. Questo significa che, per evitare Costanza, la prossima
volta dovrò andare a cercare qualcuno con la
varicella».
Poi, Marcello si avvicinò al tavolo per mettere a
posto tutti i fogli, impilandoli l’uno sull’altro e
strappando quelli inutili. Improvvisamente,
però, la
signora Claudia, arrabbiata per i suoi commenti, gli si avvicinò come una furia e, preso
tutto
quello che era sul ripiano, lo scaraventò a terra.
«Sei impazzita?! Sono documenti di
lavoro!» esclamò il giovane, guardandola
sbigottito.
Tuttavia, quella non sembrò per niente dispiaciuta, anzi,
cominciò anche a gridargli contro, gesticolando furiosamente:
«Sei solo uno stupido! Tutti
i figli maschi delle mie amiche sono sposati e tuo
fratello ha perfino una bambina! Sei
ormai prossimo ai venticinque anni... davvero credi che riuscirai mai una donna di buona famiglia con
sarcasmo e
maleducazione?»
Di fronte a quella sfuriata, il ragazzo esaurì anche
l’ultimo residuo di pazienza: aveva mantenuto la calma
più
a lungo che aveva potuto, ma a tutto c’era un limite.
«Te lo dirò ora e poi non lo ripeterò
più: a me non interessa sposarmi, soprattutto con una
ragazza scelta da te, quindi mettiti l’anima in
pace!» esplose.
Ciò,
però, non scalfì minimamente la madre che, dopo
aver
lanciato un’ultima occhiata angustiata al figlio, gli
sibilò, minacciosa: «Pensala come vuoi, ma stai
pur certo
che troverò il modo di farti cambiare idea!»
Quindi, si voltò con uno scatto e si avviò, impettita,
verso la porta-finestra.
Per qualche istante, Marcello rimase a fissare con astio il punto in
cui era sparita la genitrice, per poi riportare
l’attenzione sul disastro che aveva combinato e,
richiamando a sé la poca calma rimasta, iniziare a radunare tutti i fogli sparsi. Con
suo
grande sollievo, notò che, fortunatamente, nessun documento importante si era rovinato.
«Bella
serata, non è vero?»
gli chiese, all’improvviso, una voce dolce.
«Per essere fine settembre, fa ancora parecchio
caldo».
«Davvero
magnifica, papà» rispose
sarcasticamente il giovane, senza alzare la testa, ammucchiando da una
parte i resti dei fogli strappati e dall’altro quelli ancora
sani.
Incurvando le labbra, quello si
chinò
a sua volta per dargli una mano: era un uomo dalla figura
elegante, i capelli scuri e gli occhi verde chiaro uguali a
quelli
di Marcello. Se
non avesse avuto almeno un genitore dalla sua parte, avrebbe
probabilmente avuto una vita molto più difficile in quella
casa, ma, per
sua fortuna, lui e suo padre avevano un ottimo
rapporto basato sul rispetto e sulla comprensione reciproca.
«Tua
madre a volte esagera»
commentò pacatamente il padre, mentre gli passava una
cartellina rosso spento.
«No,
non a volte, lo fa sempre»
precisò il giovane, secco. «Con lei non ho mai
terminato
nessuna conversazione in modo civile. Nemmeno quando ero
bambino».
«In effetti, secondo lei sei sempre stato il figlio
ribelle» ridacchiò il signor Giancarlo, mentre si
tirava
su e gli passava la risma di fogli che aveva
raccolto. «È davvero così
terribile questa
Maria
Luisa?» domandò, poco dopo, dimostrando di essere già
al
corrente di ogni dettaglio.
«Non ha nulla di attraente per me» spiegò in poche parole
il figlio, rimettendosi in piedi a sua volta. «Ed io
le interesso solo per il mio successo professionale, nulla di
più».
«E, scommetto, anche perché sei un bel
ragazzo» tirò ad indovinare l’uomo,
tradendo un sorriso
divertito, recuperando tutta la carta straccia per buttarla in uno dei secchi che avevano sulla veranda.
A quell’osservazione, il giovane si accigliò e rispose:
«Veramente, non penso sia un vanto. La bellezza, prima o poi,
sfiorisce... e poi cosa rimane?»
«Be’, tu hai anche tante altre qualità,
Marcello» gli fece pazientemente notare il padre.
«Qualità che non interessano ad una come Maria
Luisa, che aspira solo a fare la mantenuta»
ribatté, però, lui, tra lo sprezzante e il
demoralizzato. «E
preferisco restare solo che accollarmi una così!»
A
quel punto, il signor Giancarlo gli rivolse un sorriso malinconico e occupò una delle sedie intorno al tavolo.
«Marcello,
nessuno vuole davvero restare solo. Sei troppo giovane per essere
così disilluso all’idea
dell’amore»
considerò, con una punta di severità.
«Vedrai che, prima o poi, troverai una ragazza che ti
piacerà» aggiunse qualche istante più
tardi, questa volta incoraggiante.
In
risposta, Marcello increspò le labbra, ma non disse nulla,
limitandosi solo a rivolgergli un’occhiata
scettica, poiché, pensando all’impossibile donna che
quello aveva
sposato, le sue parole gli suonarono decisamente troppo
ottimistiche.
«Comunque, spero tu voglia andare lo stesso a questa
festa» concluse l’uomo, dopo qualche minuto di
assoluto
silenzio, mentre si alzava per andare a studiare da vicino il melograno
carico di frutti, la cui cima sfiorava appena la balaustra della
veranda.
«Ad
essere onesto, se
questa sera non ci fossero stati con me Gerardo e Vittoria, avrei preferito
restare a casa a
leggere» gli rispose Marcello, cupo, seguendolo con lo
sguardo.
«Sai, ho appena iniziato un libro molto
interessante che mi ha prestato Gerardo. Parla di Bilbo Baggins, un
Hobbit, cioè un mezzuomo, che parte in compagnia di un stregone e tredici nani alla
ricerca di un tesoro perduto e...»
«Forse,
per questa sera puoi mettere da parte la tua amata lettura e divertirti
un
po’» lo interruppe, però,
l’uomo, lanciandogli
un’occhiata eloquente. «D’altra parte,
non è
detto che una
festa che si preannuncia noiosa, non possa riservarti qualche
piacevole sorpresa...»
Non del tutto convinto, Marcello inarcò un sopracciglio.
«Oh,
sì, certo. Come no!» commentò, ironico,
voltandosi
verso il tavolo per raccogliere tutti i fogli, così da
portarli
dentro. «L’unica cosa che potrebbe sorprendermi
è
se gli invitati dovessero cominciare ad ubriacarsi dopo le dieci, ma
conoscendoli, direi che...»
Tuttavia,
non riuscì a completare la frase, poiché, quando
si girò nuovamente verso il genitore, quello era scomparso in
un
battito di ciglia,
esattamente come era arrivato.
Allora, corrugando appena la fronte, il giovane emise un sospiro e,
infine, si avventurò in casa
per cambiarsi in fretta, non volendo far aspettare Gerardo e Vittoria più del dovuto.
***
«Bartolomeo non vuole mai accompagnarmi a queste feste, ma io le trovo perfette per svagarsi!»
osservò
una saltellante Vittoria, di ritorno da uno scatenato Gioca
jouer3. «Per fortuna, posso contare su di voi!»
«Io ancora mi domando come tu riesca sempre ad estorcerci un
sì» borbottò, in risposta, Marcello, scrutando dubbioso la calca
di gente che si dimenava nel salotto dei Foscari, tramutato per
l’occasione in un’improvvisata discoteca, con tanto di
sfera specchiata che scendeva dal soffitto.
«Sai,
Marcellino, non credo che quell’espressione
da misantropo sia sufficiente a tenere alla larga le tue ammiratrici. In
realtà, il bel tenebroso è un tipo che piace molto»
gli rivelò allora l’altra, con una punta di malizia. Quando,
però, notò che l’amico aveva alzato gli
occhi al cielo, scoppiò a ridere così fragorosamente da
superare perfino la musica che risuonava a tutto volume per tutta la
stanza.
«Vittoria, non esagerare» la rimproverò
blandamente Gerardo, scuotendo la testa e facendola calmare un
po’.
«No,
no che parli pure! Anzi, perché non fai ridere anche noi e ci
racconti che cosa ci trovi di tanto divertente?»
l’apostrofò invece Marcello, stizzito, spostandosi con un gesto
nervoso
la frangia ribelle dalla
fronte, mentre osservava un manipolo di chioccianti ragazze ammassarsi davanti alla console del disc jockey. Il fatto che
Maria Luisa
potesse permettersi di assumere un dj famoso per animare la sua festa di
compleanno aveva fatto sì che fossero presenti non solo quasi
tutti gli invitati, ma anche una buona quantità di imbucati.
Altrimenti, Marcello non avrebbe potuto spiegarsi il numero
spropositato di ragazzi che in quel momento affollava la sala.
«È divertente la tua insofferenza per il fatto di essere
il ragazzo
più ammirato della festa!» gli spiegò
l’amica, alzando la voce per farsi sentire e riscuotendolo da
suoi pensieri. Fu proprio allora che, con suo grande disappunto, lui
notò che parecchie giovani, molte delle quali note solo di vista
o addirittura perfette sconosciute, lo stavano guardando avidamente.
«Secondo me, aspettano solo che ne inviti una a ballare»
commentò Vittoria con un sorriso birichino, mentre prendeva da
un vassoio appoggiato sul tavolo dietro di lei un cocktail fruttato,
decorato con una fetta di arancia.
«Per me possono aspettare e sperare» decretò
Marcello, caustico, scrutando con un sopracciglio alzato il folto
gruppo
che, sotto le luci psichedeliche dei faretti, si era radunato al centro
del salotto per storpiare la coreografia di Thriller4. «Io odio tutto questo».
«Non sei l’unico» gli fece eco Gerardo,
solidale, prendendo
una tartina
con salsa rosa, insalata e gamberetti da un piatto poggiato sul
mobile vicino,
ispezionandola accuratamente prima di mangiarla.
Di
fronte a quelle due facce sconsolate, Vittoria scosse la testa con un sorriso e si
avvicinò a Marcello, proponendogli scherzosamente: «Se
non ti piace questa musica, potresti invitare una delle tue ammiratrici
a ballare come ha fatto Alexandre Sterling con Sophie
Marceau».
«Siamo
un po’ grandicelli per imitare Il tempo delle mele5,
non trovi?» grugnì lui in risposta, senza quasi farla finire prima di parlare.
Infatti, non si era dimenticato di quando l’amica aveva letteralmente
trascinato lui
e Gerardo al cinema per vedere quella pellicola che, per giunta, non
gli era piaciuta per
niente, costringendolo a quasi due ore di lotta incessante contro la
noia ed il sonno. Già tollerava a stento i film francesi,
figuriamoci quelli
sui primi amori e le volubilità dell’adolescenza,
argomenti troppo distanti da lui per poterlo interessare.
A
quel punto, non avendo ancora ricevuto soddisfazione,
Vittoria si voltò verso l’altro ragazzo e, dopo averlo
squadrato con attenzione, lo incalzò: «Su,
Gerardo, perché non inviti anche tu una ragazza a ballare?»
Immediatamente, quello trasalì e la fissò a bocca aperta.
«Vitto’, lo
sai che sono del tutto incapace nel ballo» farfugliò, intimidito. «E
poi, non ho lo stesso fascino di Marcello, perciò dubito che
qualcuna accetterebbe».
«Secondo me, invece, qualcuna lo farebbe. E al
volo!» replicò invece lei, con sorprendente
rapidità, indirizzandogli attraverso il bicchiere ormai quasi
vuoto un’occhiata così ambigua che stupì non poco
Marcello.
Purtroppo,
in quel frangente, sopraggiunse tra di loro la festeggiata.
«Ciao,
Vittoria! Ciao, Marcello!»
li salutò Maria Luisa, gaia, agitando freneticamente la mano
come se i due fossero lontani almeno una ventina di metri e non soltanto due
passi da lei. Nel
complesso, era una ragazza dai lineamenti graziosi, con i capelli
castani cotonati e un abitino a palloncino giallo limone con degli
inserti neri che, però, secondo Marcello, la faceva assomigliare ad
un’ape in formato gigante. Inoltre, aveva le guance parecchio
rosse e gli occhi lucidi, anche se il giovane non sapeva se era per il ballo oppure per qualche bicchiere di sangria di troppo,
poiché, in quel caso, non sarebbe certo stata la prima volta che
eccedeva con gli alcolici.
«Ciao, Maria Luisa. Come stai?» si intromise Gerardo, con
un tono tra il risentito e l’amareggiato per essere stato
completamente ignorato. Subito, l’altra si voltò verso di
lui e sbatté un paio di volte gli occhi, guardandolo trasecolata.
«Oh, ciao, Gerardo. Ci sei anche tu?» domandò, atteggiando le labbra ad una smorfia stupita.
«Be’, sì, mi hai invitato...» tentò di
spiegarle debolmente il giovane, ma poi si zittì, deglutendo un
paio di volte a vuoto.
Indignato per il suo comportamento, Marcello stava quasi per dire alla ragazza che era solo merito dell’altro se, alla
fine, aveva deciso di accompagnare Vittoria e partecipare a quella stupida festa, quando
intercettò uno sguardo ironico dell’amica a Gerardo, poco prima
che prendesse lei le redini del discorso.
«Carissima, hai
trascorso bene le vacanze a Montecarlo?»
chiese, infatti, subito dopo, stiracchiando le labbra in un sorriso che aveva qualcosa di artefatto.
«Mais oui!» rispose
prontamente Maria Luisa,
contenta che qualcuno le chiedesse del suo recente
viaggio. «Sono
stata ospite di Adèle, una mia lontana cugina. Sapete, quella
che ha sposato l’imprenditore veneziano Antonio Della
Valle...»
Interdetto dallo strano comportamento di Vittoria e dispiaciuto per
l’espressione afflitta di Gerardo, Marcello smise di ascoltare il
martellante e vanesio cicaleccio della festeggiata e squadrò
entrambi i suoi migliori amici con la fronte appena aggrottata,
desideroso di trovarsi quanto prima a tu per tu con loro per
capire cosa stesse succedendo.
«...hanno appena avuto il loro secondo bambino e dovreste
proprio vedere che amore è il piccolo Andrea... Per non parlare
poi del primogenito! Adriano è davvero un enfant prodige,
a soli tre anni riesce già a fare trucchi con le carte come un
vero prestigiatore!» stava continuando a dire quella, senza
accorgersi che i tre erano immersi nei propri pensieri. Quando se ne rese
conto, assunse
immediatamente un’espressione indispettita e si rivolse
direttamente a Marcello: «Perché non mi stai
ascoltando? Sei molto carino, ma in questo momento ti stai comportando
un po’ da maleducato».
Riscosso da quelle parole brusche, il ragazzo
spostò subito la sua attenzione sulla giovane e, dopo aver notato il suo
broncio da bambina capricciosa e le guance ancora più rosse, non
ebbe più alcun dubbio che fosse un po’ brilla.
«Mi dispiace, temo di essere un po’ stanco» si
scusò sbrigativamente, sperando che fosse sufficiente a
liberarsi di lei. Tuttavia, fu tutto vano, perché Maria
Luisa si avvicinò rapidamente a lui e lo prese per il braccio.
«Visto che è il mio compleanno, per farti perdonare,
dovrai passare un po’ di tempo con me!» decise, animata da
un febbrile entusiasmo.
Poi, senza che l’altro avesse avuto il tempo di replicare o di
capire cosa stesse succedendo, sotto lo sguardo stupefatto dei suoi amici,
venne trascinato via dalla giovane con una forza sorprendente.
E, mentre la canzone in sala passava da The Final
Countdown a I
want to brek free6, Marcello
si voltò verso i due per chiedere loro silenziosamente di
aspettarlo finché non si fosse liberato, ma ciò non fu
possibile, poiché l’ultima cosa che vide prima di essere
catapultato sulla terrazza lo lasciò sgomento: Gerardo e Vittoria
avevano cominciato a discutere.
***
Nonostante la compagnia non fosse delle migliori,
Marcello si ritrovò a ringraziare per il cambio di scenario: anche se la terrazza era discretamente affollata,
dopo tutto quel tempo passato nell’atmosfera soffocante della sala, con la musica ad
altissimo volume, trovò estremamente piacevole respirare l’aria
della sera autunnale, così fresca e aromatica.
«Credo che ci vorrà un po’ per cercare un posticino
tranquillo per noi» ridacchiò Maria Luisa, senza lasciare
la presa sul suo braccio, facendo cenno alle numerose persone intorno a loro. A
quell’affermazione, il giovane aggrottò appena la fronte,
preoccupato per le intenzioni della ragazza, visto
che lui non aveva alcuna voglia di restare solo con lei, anzi, desiderava
solo tornare dai suoi amici il prima possibile. Infatti, voleva
assolutamente capire cosa fosse successo tra Gerardo
e Vittoria, poiché, se da una parte era vero che, in passato,
era già capitato che litigassero, avendo caratteri
diametralmente opposti, dall’altra, quella volta gli
erano piuttosto oscure le dinamiche con le quali era iniziato il tutto.
Poco dopo i due
ragazzi raggiunsero l’angolo più buio della terrazza,
illuminato solo dalla tenue luce dei lampioni del giardino sottostante.
Distrattamente, Marcello buttò uno sguardo oltre il parapetto,
ma quando scorse tra i cespugli il suo storico rivale
Ascanio Colonna, molto indaffarato a palpeggiare una
procace biondina, si pentì amaramente di
averlo fatto e, disturbato da quella visione, si ritrasse immediatamente.
«Che cosa te ne pare? Non è meraviglioso qui...?» languì Maria Luisa, richiamando la sua attenzione.
Subito, il giovane si voltò verso di lei e notò che gli stava rivolgendo un’occhiata incantata.
«Mmh, sì» bofonchiò, laconico, pensando a quale potesse essere il modo più rapido
per defilarsi da quella scomoda situazione.
La
ragazza, però, non sembrò curarsi della sua scarsa
partecipazione e continuò a parlargli come se niente fosse: «Ho saputo che partecipi ad
incontri amatoriali di
pugilato, vincendo spesso. Posso venire a vederti? Mi piacerebbe tanto
fare il tifo per te!»
Sbattendo le palpebre, l’altro notò che, parola dopo parola, quella si era fatta davvero
troppo vicina per i suoi gusti e che, per sua sfortuna, da ubriaca era
ancora più loquace del solito.
«A dire il vero, ultimamente non sto partecipando
più. E, comunque, sono sempre incontri a porte chiuse, mi
spiace» le spiegò, indietreggiando appena, sperando che quella
smettesse di protendersi verso di lui, invadendo il suo spazio
personale. Non aveva davvero nulla contro di lei. Semplicemente, non era il suo tipo.
«Oh, che peccato...» mugugnò la ragazza, guardandolo imbronciata.
«Eh, già» borbottò
lui in risposta, trattenendosi a stento dallo scuotere la testa davanti
a quel comportamento così infantile, consapevole che non fosse del tutto dovuto all’alcool.
Per qualche istante, nessuno dei due disse nulla, lasciando che in
sottofondo si sentissero solo le risatine della biondina, provenienti dal rododendro che si trovava esattamente sotto di loro.
«Che cosa ne dici, rientriamo?» propose allora Marcello,
irrequieto, discostandosi di qualche passo dal parapetto.
«Rientrare? Ma siamo appena arrivati!» protestò
lei, lamentosa, quasi arrivando a battere i piedi per terra.
«Se proprio vuoi rientrare, devi prima invitarmi a ballare! E
poi, secondo me, Marcello, tu non sai goderti le gioie della vita e
lavori troppo, sai? Ascanio fa il tuo stesso lavoro,
ma è sempre in giro».
A quell’ultimo commento, il giovane la guardò con ironia,
astenendosi dal dire ciò che pensava sul rivale solo
perché sapeva che sarebbe stato del tutto
inutile, visto che il giorno dopo la ragazza non avrebbe ricordato un
bel niente della loro conversazione. Anche se, conoscendo il
soggetto, non sarebbe comunque cambiato nulla se l’avesse fatto.
«Grazie per il
regalo di compleanno. Ancora non l’ho scartato, ma sono certa
sarà bellissimo» mormorò poi la ragazza, tutto a un
tratto di nuovo sorridente, cambiando repentinamente argomento e
ricominciando ad avvicinarsi.
«Ah, per quello devi ringraziare Vittoria, l’ha scelto lei».
«Davvero?» domandò, così sorpresa che il
giovane si chiese se l’altra ricordasse di chi stesse parlando.
«Be’, se le cose stanno così... penso proprio che tu
dovresti farmi un altro regalo più... personale» aggiunse, fissando le labbra di lui con inopportuna insistenza.
Avvertendo un brivido gelido corrergli lungo la schiena, Marcello
arretrò di qualche passo per
sottrarsi a quel bacio non richiesto e, soprattutto, non voluto,
addossandosi alla balaustra e bloccandosi ogni via di fuga. Per
sua fortuna, Maria Luisa smise improvvisamente di avvicinarsi, scrutandolo
accigliata.
«Ti vedo teso,
forse hai bisogno anche tu di un cocktail per scioglierti un
po’!» gli propose, di punto in bianco, un sorriso ad
illuminarle il volto. «Aspettami qui, non ti allontanare! Ti
porterò la
specialità della serata, un delizioso mix tropicale a base di
Curaçao che ho preparato io
stessa... cioè, in realtà l’ha creato il barman,
ma sono stata io a suggerirgli gli ingredienti!» aggiunse, in un
fiume straripante di parole, mentre si affrettava a tornare dentro
senza perderlo di vista, per assicurarsi che non si muovesse.
Tuttavia, non appena fu sparita dalla sua visuale, il
giovane si lanciò in direzione del salotto, ringraziando la sua
buona stella, o chi per lei, per avergli servito su un piatto
d’argento l’occasione di scappare a gambe levate da
quell’incontro troppo ravvicinato.
Una volta tornato dentro, Marcello prese la direzione opposta a quella
di Maria Luisa, dirigendosi a passo sostenuto verso il salotto in cui aveva lasciato Gerardo
e Vittoria, con la seria intenzione di esortarli ad andare via
immediatamente. Di tanto in tanto, si guardava furtivamente alle spalle
per
essere sicuro che la festeggiata, dopo aver recuperato il tanto
decantato cocktail, non lo avesse intercettato e fosse decisa a venire
a riprenderselo, per obbligarlo a
tracannare qualcosa con un tasso alcolico pericolosamente alto.
Immerso nei suoi pensieri, Marcello
non si rese nemmeno conto di essere sulla strada di un altro fuggitivo,
finendo per scontrarsi con il nuovo arrivato e, per l’urto,
ritrovarsi a terra dolorante, con il
suo compagno di sventure tra le braccia.
«Ma che cos...»
bofonchiò, interrompendosi nello stesso momento in cui
venne avvolto da un fresco profumo di lavanda ed incrociò due
incantevoli iridi color
zaffiro.
«Oh,
mi scusi
davvero, non l’avevo
proprio vista!»
esalò, mortificata, la ragazza. Sembrava piuttosto accaldata, i
capelli di un intenso rosso-rame raccolti nei resti di una coda alta
ormai sfatta e la scollatura del suo abitino violaceo che aveva ceduto in più punti, come se fosse stata
tirata con violenza. Anche una manichetta le ricadeva sbrindellata su una
spalla, mostrando la pelle chiara e liscia.
Marcello, prima di riacquistare l’uso
della parola, deglutì a vuoto un paio di volte.
«Stai... stai bene?» le chiese alla fine, osservandola attentamente: dall’aspetto, non doveva arrivare nemmeno
ai vent’anni. Chissà come era finita tra gli invitati, di qualche anno più vecchi.
«Io... io credo... di sì» gli
rispose quella, scrutandolo a sua volta e arrossendo leggermente.
Trascorse qualche secondo in cui nessuno dei due parlò,
poi, all’improvviso, come se si fosse resa conto di essere ancora tra le braccia di lui, la fanciulla sobbalzò, esclamando: «Oh,
mi scusi, mi sposto subito!»
A quel punto, fece per rimettersi in piedi, ma il ragazzo scosse la testa: «Aspetta, ti aiuto io».
Quindi, si alzò per primo per poi tenderle una mano per agevolarla nel fare altrettanto.
«Mi deve credere, non l’ho fatto apposta...» riprese l’altra, scusandosi ancora, mentre lanciava un’occhiata
nervosa dietro di sé, come se temesse anche lei di essere inseguita.
«Non
importa»
affermò Marcello, scrollando le spalle, incuriosito,
però, da quell’atteggiamento che sentiva affine al
suo. «Ciò
che conta è che non ti sia fatta male».
«No, affatto. Lei, piuttosto?»
domandò, allora, la sua interlocutrice, tornando a guardarlo.
In
risposta, il giovane ricambiò l’occhiata ed
inarcò un sopracciglio, chiedendosi come dovesse apparire agli
occhi di quella ragazzina, vista l’insistenza con cui gli stava
dando del lei. Vittoria, infatti, gli ripeteva in continuazione che il suo
mantenersi continuamente sulle sue, soprattutto nei confronti degli
sconosciuti, lo faceva sembrare troppo austero.
«Non
ti preoccupare, va tutto bene» le disse, lentamente, mettendo da
parte per un attimo le considerazioni della sua amica. «E,
comunque, anche se sono più grande di te, non sono così
vecchio... dammi pure del tu».
Quella proposta dovette piacerle molto, poiché l’altra
piegò le labbra in un piccolo sorriso e fece per aggiungere
qualcosa, quando fu interrotta da una voce cavernosa e così possente
che sembrò riscuotere perfino le pareti.
«Beatrice,
ecco dov’eri finita! Torna subito qui!»
«Oh,
no!» gemette la giovane, portandosi una mano alla
bocca, inorridita. Poi, si voltò e, non appena vide chi si
stava
avvicinando, sbiancò all’istante.
Sorpreso
dalla sua reazione, Marcello spostò a sua volta lo sguardo in
quella direzione e rimase ancor più stupito quando si accorse l’uomo
che la stava chiamando a gran voce era una sua vecchia conoscenza, un
delinquente che aveva sperato di raggirare lui e Gerardo per ottenere un
finanziamento per quella che si era rivelata una spedizione illegale di
armi in Unione Sovietica.
Se, in un’occasione simile, la presenza di quella ragazza era
alquanto bizzarra, la comparsa di quel trafficante d’armi era
semplicemente assurda.
Conrado de Navarra era un omone alto e massiccio sulla quarantina, provvisto di una folta barba scura, occhietti
porcini profondamente incavati e, a giudicare dal volto fortemente
segnato da rughe di espressione,
in quel momento doveva essere molto adirato.
Con andatura barcollante, infatti, lo vide avanzare in direzione della giovane e piantarsi davanti a lei, per poi afferrarle con violenza un polso.
«Ti
avevo detto di non allontanarti troppo!»
sbraitò, strattonandola, senza rendersi minimamente conto della presenza Marcello, il quale, avvertendo il forte e fetido tanfo d’alcool che emanava, ricacciò indietro un conato di vomito. Possibile che a quella festa fossero tutti ubriachi?
Nel
frattempo, la ragazza stava cercando con tutte le sue forze di
opporre resistenza ai tentativi dell’uomo di portarla via.
«Tu
non po’ comandarmi. Non hai
alcun
diritto su di me!»
esclamò, cercando di divincolarsi.
«Ufficialmente ancora no, ma di fatto sei
già mia. Perciò adesso smettila di fare i
capricci e vieni con me, dulzura!»
«Ho
detto che
non voglio!»
Non sopportando i soprusi e disgustato dagli atteggiamenti
indecenti e cavernicoli di quell’essere,
Marcello, a quel punto, si sentì in dovere di intervenire.
«Sei
tornato in città per portare guai, Navarra?» gli chiese,
beffardo, augurandosi che, dopo aver saputo che lo spagnolo era
di nuovo in circolazione, la Polizia trovasse finalmente qualche motivo
per arrestarlo. Purtroppo, finora quel maledetto era sempre riuscito a cavarsela.
Frastornato, quello
si voltò verso di lui, lanciandogli uno sguardo offuscato da
tutti gli alcolici che gli stavano circolando in corpo. Quando poi,
infine, lo riconobbe, sul suo volto comparve un’espressione
beota, presto sostituita da un sogghigno ferino.
«Sono tornato per finire ciò che avevo lasciato in sospeso, Tornatore. E, questa volta, non mi metterai i bastoni tra le ruote».
«Stasera non hai nessuno dei tuoi loschi affari da portare a
termine?» ribatté, però, il giovane, per nulla intimidito dalle sue minacce. «Oppure sei andato in
bianco e cerchi di rifarti allungando le mani sulle ragazzine?»
Inaspettatamente, Navarra scoppiò a ridere in un modo così orribile da far venire la pelle d’oca.
«Hai messo anche tu gli occhi su questa
bellezza? Spiacente, arrivi tardi, è già
impegnata con
me».
Udendo quelle parole, la fanciulla sgranò gli occhi e sul suo viso comparve un’autentica
smorfia d’orrore.
«Sul serio? E lei lo sa?» replicò Marcello, con un sorrisetto di scherno. In quel momento, gli parve di rivivere una delle scene di Ritorno al futuro7,
un film decisamente più interessante di quelli che lo obbligava
a vedere Vittoria. Solo che non si trovavano nel parcheggio della
scuola per il ballo di fine anno e Navarra non stava tentando di
abusare della ragazza. Anche se non ci mancava molto, in effetti.
«Fatti
gli affari tuoi! Questa è roba mia!» gli
latrò
addosso lo spagnolo, digrignando i denti. Poi, tirando la sua vittima per un polso, le urlò: «Ora basta,
Beatrice, tu verrai con me!»
«Lei, con te, non va proprio da nessuna parte!» si oppose
ancora una volta il ragazzo, piantandosi con spavalderia davanti a lui.
Inferocito, l’uomo prese lo slancio per attaccarlo, ma, invece, cadde come
un sacco di patate, giacché non si era accorto che nel frattempo Marcello gli
aveva fatto
lo sgambetto. Fortunatamente, prima aveva lasciato andare
Beatrice, che subito si mise
da
parte, per non finire schiacciata dalla mole ingente di
quel troglodita.
A quel punto, quello
si rialzò a fatica, sbuffando come un toro e riservando a Marcello un’occhiata infuriata.
«Tornatore,
hai appena firmato la tua condanna a morte!»
ululò Conrado, facendo per tirargli un pugno, ma l’altro,
che al contrario del suo avversario aveva alle spalle ore e ore di
allenamenti in palestra, mandò il colpo a vuoto. Con i riflessi intontiti dall’alcool, l’energumeno inciampò nei suoi stessi piedi, perse l’equilibrio e cadde a terra con un tonfo; da lì in poi, non si mosse più.
Per qualche secondo, il giovane contemplò la carcassa dello spagnolo e scosse la testa.
«La forza bruta è inutile, se non c’è nessuna
tecnica» commentò, citando il signor Nardone, l’ex
pugile che si occupava della sua preparazione atletica. Poi, si
rivolse alla fanciulla, la quale era rimasta
letteralmente a bocca aperta di fronte a ciò cui aveva
appena assistito, chiedendole: «Ti chiami Beatrice, giusto?»
«S-Sì»
balbettò lei, timidamente. «E tu sei...?»
«Marcello
Tornatore»
rispose il ragazzo, senza tante cerimonie.
«Grazie
per l’avermi liberata dal mio... corteggiatore
troppo
insistente. Sembra che
non voglia capire
che non
provo alcun
interesse per lui» rispose lei, lasciandosi andare ad un sospiro liberatorio.
«Figurati.
Anche perché, a dire il vero, non ho fatto molto» si
schermì lui, consapevole di essere stato agevolato dal fatto che
l’altro fosse decisamente alticcio. «Non penso si
risveglierà tanto presto, ma comunque penso sia meglio se
andiamo via, che cosa ne dici?» le propose, quindi, indicandole
con un braccio il corridoio che portava al salone principale.
Sorridendo, Beatrice annuì, mentre lui le faceva strada.
«Come sei finita tra le grinfie di Navarra?»
le
chiese poco dopo Marcello, ancora schifato da ciò che era successo. Infatti, nonostante il giovane sapesse che quello
era dedito ai peggiori vizi - vino, gioco d’azzardo e,
soprattutto, donne - non avrebbe mai creduto che potesse spingersi ad importunare una ragazzina che doveva avere meno della
metà dei suoi anni. Era qualcosa di rivoltante anche solo a pensarlo.
«Diciamo che... conosce i’ mi’ fratello»
rispose lei, improvvisamente incupita.
«C’è anche lui stasera?»
«Sì, la stupida idea di imbucarsi qui l’è stata sua. E non le sopporto le feste con così tanta gente»
borbottò Beatrice, sconsolata, scuotendo la testa e assumendo
un’espressione così buffa che Marcello non riuscì a
trattenersi dallo scoppiare a ridere.
«Cos’ho detto di tanto strano?» gli domandò subito la ragazza, osservandolo stupita.
«Niente. È solo che non sei l’unica a cui non
piacciono» le spiegò, allora, lui, sentendosi non
più tanto
solo e accorgendosi, per la prima
volta da quando aveva lasciato Villa Aurelia, di aver ritrovato un
po’ di buonumore. «Dai,
andiamo, ti aiuto a ritrovare tuo fratello» aggiunse poi,
invitandola a continuare a seguirlo.
«Tuo
fratello è... Guido Tolomei?»
chiese
Marcello,
incredulo, non appena ebbero varcato la soglia del salotto più
piccolo. «Quello
che, dopo quarant’anni di
Repubblica, si vanta ancora di essere un conte solo per
rimorchiare?» insistette, faticando ad accettare che il giovane impegnato in una conversazione decisamente non verbale con una disinvolta moretta fosse il fratello di Beatrice. Anche fisicamente, sembravano diversi come il giorno e la notte.
«Purtroppo
sì» commentò lei, con un misto di imbarazzo e
rassegnazione, indirizzando un’occhiata risentita ai due, strettamente avvinghiati su uno dei divani. «Lo conosci, per caso?»
«Per sentito dire» replicò il ragazzo, tagliando
corto, risoluto a non rivelarle i commenti decisamente poco
lusinghieri che aveva fatto su di lui Vittoria, l’unica di loro
tre ad essere aggiornata su tutto ciò che riguardava la vita
mondana.
«Son proprio stata una sciocca a credergli!» sbottò Beatrice, furente. «E dire che m’aveva promesso che lasciando Firenze avrebbe lasciato lì anche le cattive abitudini».
«Sei fiorentina?» le domandò, allora, il giovane,
facendole segno di spostarsi in una delle nicchie presenti nella stanza per
poter continuare a parlare senza essere di intralcio alle persone che
entravano e uscivano.
«Sì. Non te n’eri già accorto?»
«Avevo capito solo che sei toscana. Purtroppo, non
sono
così esperto da saper distinguere i vari accenti» le confessò, inclinando appena la testa da una parte.
Allora, lei gli concesse un piccolo sorriso, prima di tornare a
guardare in direzione del fratello, facendosi di nuovo triste. Nel
vederla così abbattuta, con indosso quegli abiti stracciati che
lei, nei limiti del possibile, si era risistemata addosso con grande
dignità prima di rientrare, Marcello si intenerì non poco. In fondo, come
lui, anche Beatrice si era ritrovata a prendere parte a quella festa
suo malgrado, senza contare che lei era stata anche vittima di Navarra
e del menefreghismo di quell’idiota di Guido.
«Vuoi tornare a casa?» le chiese, di punto in bianco, con una punta di dolcezza nella voce.
A quella richiesta, alzò immediatamente la testa
verso di lui, un mesto scintillio ad illuminare i suoi occhi blu.
«Sinceramente? Sì».
«Abiti qui vicino?»
«Abbastanza. Purtroppo, ancora non conosco bene Roma, ma non ci si è messo molto a venire» gli spiegò Beatrice, tirandosi nervosamente una ciocca di capelli. «La mia zia abita in Via Merulana, son sua
ospite».
Increspando appena le labbra, Marcello visualizzò il percorso
che avrebbe dovuto fare per raggiungere quell’indirizzo,
convenendo che, effettivamente, non ci avrebbero impiegato più di un quarto d’ora. Il vantaggio
dell’usare i mezzi o andare a piedi risiedeva soprattutto nel
conoscere viuzze e scorciatoie che, alla necessità, potevano
rivelarsi molto comode; tuttavia, sapeva che, prima o poi, avrebbe
dovuto comprare anche lui un’auto e smettere così di
chiedere in prestito quella di suo padre o di approfittare dei passaggi
di Gerardo. Persino Vittoria, anche lei fedelissima al
servizio pubblico, era arrivata alla sua stessa conclusione e
aveva cominciato a fare il giro delle concessionarie.
«Se ti va, posso accompagnarti» le propose con naturalezza, ridestandosi
dai suoi pensieri. «Prima che ci... incontrassimo, avevo già una mezza idea di andare via».
«Lo faresti davvero?» le domandò lei, meravigliata.
Annuendo, il giovane si sentì in dovere di precisare: «Solo... ti avviso che siamo a
piedi, poiché sono venuto con due miei amici».
«Non fa niente, a me piacciono le passeggiate»
ribatté la ragazza, scuotendo la testa e facendo ondeggiare le
sue ciocche ramate. «Ma tu come farai a tornare a casa
tua?»
«Non è troppo tardi, la Metro A è ancora aperta, posso prenderla a San
Giovanni e scendere a Flaminio» le rispose Marcello, con
semplicità. «Da lì troverò un bus notturno.
L’ho fatto spesso, sono abituato».
Tradendo una certa sorpresa, Beatrice gli scoccò
un’occhiata di curiosità ed interesse:
«Se’ sempre così organizzato?» s’informò.
«Più o meno» considerò il giovane, con una
rapida scrollata di spalle, mentre pensava che non sarebbe stato
educato presentarsi da Gerardo e chiedergli di dare un passaggio ad una
giovane appena conosciuta.
«Prima di andare, però, devo informare i miei amici».
«Certamente» rispose lei, annuendo con un rapido cenno del capo. «A dire il vero, anch’io devo avvisare quello sconsiderato... sempre che riesca a capire quello che gli dirò...» aggiunse, affranta.
A metà tra l’intenerito e il dispiaciuto per la sua
situazione, Marcello si soffermò a guardarla per un istante,
prima di preoccuparsi di ricordarle: «Prendi anche la tua
giacca, così poi potremmo andare via subito».
Non appena lui ebbe finito di pronunciare quelle parole, lei corrugò la fronte.
«Ah, be’, ecco, a dire il vero... non ce
l’ho» balbettò, mentre le sue guance si colorivano di
un
lieve rossore. «Temo che sarò costretta ad andare in giro
così» concluse, indicandosi. Quindi, abbassò lo
sguardo sul suo vestito e, rabbrividendo per lo stato
pietoso in cui si trovava, osservò: «Per fortuna, l’è buio».
Davanti alla sua stoica accettazione, Marcello si trovò inconsapevolmente a sorridere e la rassicurò: «Non ce ne è bisogno. Ti presterò la mia».
Procedendo con cautela, sempre attento a verificare prima di ogni passo
che Maria Luisa non fosse nei paraggi per riacciuffarlo, il
ragazzo riuscì finalmente a tornare nel salotto, ma ciò
che trovò ad accoglierlo cancellò un po’ della
serenità che aveva ritrovato grazie a Beatrice. Infatti,
afflosciato su uno dei divani e concentrato nel fare a pezzi con
inquietante minuzia un ombrellino per cocktail, completamente isolato dalla confusione intorno a lui, c’era Gerardo, terribilmente scuro in volto. Di Vittoria, invece, non sembrava esserci traccia.
«Dove...?» cominciò Marcello, interdetto, senza però riuscire a finire la frase.
«È andata via con Marta e Paolo» gli annunciò
l’altro, con una punta di irritazione, gettando in aria i resti
della carta e dello stuzzicadenti.
«E perché...?» domandò, allora, il ragazzo,
sempre più incredulo. Sapeva bene che Vittoria era una ragazza
permalosa, ma non avrebbe mai creduto che sarebbe mai stata capace di
lasciare una festa, dopo che aveva tanto insistito per andarci.
«Abbiamo... discusso in maniera abbastanza accesa, dopo che tu
sei andato via con Maria Luisa» fece Gerardo, sbrigativo, alzandosi. C’era qualcosa nella sua espressione
risentita che, per un secondo, fece credere a Marcello che quello potesse
avercela con lui.
«Per quale ragione?» si arrischiò a chiedere, stentando a riconoscere il suo amico.
«Ad essere sincero, per una scemenza. Niente che valga la pena
raccontare» minimizzò lui, sollevando un braccio con uno
scatto nervoso che tradiva, invece, che le cose non stavano proprio
così. «Allora, andiamo via?» chiese poi, con tono
improvvisamente neutro.
Spiazzato da quell’atteggiamento, che l’altro assumeva solo
sul lavoro quando qualcuno cercava di imbrogliarli, Marcello
esitò prima di rivelargli: «Ecco, a dire il vero, ero
proprio venuto per dirvi che mi sono offerto per riaccompagnare a casa
una ragazza e...»
«Ah!» esclamò Gerardo, stupito, per poi aggiungere, acido: «Però,
è proprio vero che alle sorprese non c’è mai
fine!»
Domandandosi cosa si fossero detti di così terribile i due amici in sua assenza, da spingere Vittoria ad andarsene con
altri e Gerardo a diventare così pungente, il ragazzo
scrutò questi con una punta di scetticismo, non riconoscendo
come sua quella vena caustica che gli aveva appena mostrato. Doveva anche riconoscere, però, che, negli
ultimi tempi, quei due avevano cominciato a discutere troppo spesso e,
forse, era stata una grave mancanza da parte sua non interessarsi al vero motivo
di quegli screzi, etichettandoli come mero frutto della differenza
caratteriale fra i due. Tuttavia, non riusciva proprio a
capire cosa stesse cambiando tra di loro, dopo averne passate insieme
di tutti i colori.
«Gerardo, ti dispiace se...» iniziò il giovane, incerto.
«No, no, tranquillo» lo fermò
l’altro, scuotendo la testa. «In fondo, non posso certo
dare la colpa a te per i miei problemi».
Quelle parole, che sembravano estrapolate da un discorso molto
più ampio, colpirono molto Marcello, che si sentì ferito
da quella mancanza di fiducia. Dopo più di vent’anni di
solida amicizia, non credeva che si sarebbe mai trovato ad
affrontare un discorso simile con lui.
«Gerardo, se c’è qualcosa di cui vuoi
parlare...» riprovò. Inutilmente, visto che venne
stroncato per una seconda volta.
«No, no, sto bene, davvero» tagliò corto l’amico.
«Cioè, mi passerà. Come sempre».
Poi, senza nemmeno concedergli il tempo o il modo di riflettere
sul vero significato di ciò che gli aveva appena detto, Gerardo lo
salutò con un cenno del capo: «Allora, buonanotte,
Marcello. Ci vediamo lunedì».
L’espressione di pura tristezza che, però, comparve sul
suo volto mentre si avviava in direzione dell’ingresso, fu la
cosa che più rimase impressa a Marcello, il quale rimase
da solo in piedi in mezzo al salotto, la testa piena di dubbi.
***
Vista l’ora tarda, per strada Marcello e Beatrice non incontrarono
anima viva, eccezion fatta per un paio di Alfa 75 che viaggiavano pigre
per il centro cittadino.
Mentre camminavano fianco a fianco sul marciapiede, i due giovani
scambiarono ancora più di qualche parola ed il ragazzo
trovò molte conferme alla prima impressione che aveva avuto su
di lei:
nonostante
fosse di qualche anno più piccola di lui, avendone compiuti
diciotto appena quattro mesi prima, era indubbiamente molto
matura.
Gli aveva anche raccontato brevemente del suo recente trasferimento
nella
Capitale, lasciando trasparire una nostalgia di casa che contrastava
con la sua apparente sicurezza. In realtà, che
fosse orgogliosa l’aveva già intuito dal modo in cui aveva
affrontato Navarra, ma quel particolare servì a rafforzare
l’idea che se ne era fatto.
Era molto diversa dalle ragazze che aveva conosciuto fino ad allora,
questo doveva riconoscerglielo. Inoltre, parlare con lei fu una
piacevole distrazione dalle preoccupazioni per i suoi migliori
amici: per venire a capo del loro strano comportamento avrebbe fatto
meglio a parlare con loro separatamente, ma non sapeva se ciò
sarebbe stato sufficiente a convincerli a dirgli la verità,
poiché aveva il presentimento, o forse il timore, che gli
nascondessero entrambi qualcosa che non avevano nessuna intenzione di rivelare.
Quando arrivarono all’incirca a metà di Via Merulana, ad un incrocio tra questa ed una stradina
privata,
Marcello scorse una villetta fatiscente che si sviluppava su tre piani,
circondata da alti palazzi eleganti. La ragazza non
disse nulla e lui evitò qualsiasi commento, anche se si
augurò, per la sua stessa incolumità, che quella
catapecchia non crollasse da un momento all’altro come spesso
accadeva a vecchi edifici mai messi in sicurezza.
«Grazie d’avermi accompagnata»
sussurrò Beatrice, una volta che furono davanti al cancello
cadente e male illuminato da un lampione, facendo per
togliersi la giacca e
restituirgliela. Tuttavia, Marcello la fermò,
scuotendo vigorosamente la testa.
«No, tienila. Fa freddo» le consigliò, fermo.
«E quando potrò ridartela?» gli domandò, allora, l’altra, guardandolo perplessa.
Messo davanti a quella giustissima obiezione, il ragazzo la osservò
a sua volta, mentre prendeva coscienza del fatto che non
gli sarebbe affatto dispiaciuto rivederla.
«Be’, suppongo che potremmo metterci d’accordo per uno dei prossimi giorni» affermò, pratico.
Allora, Beatrice strinse le labbra con atteggiamento pensieroso, come se stesse valutando attentamente che risposta dargli.
«Ecco, Marcello, i’ mi’ insegnante privato è ammalato,
pare che
abbia un brutto raffreddore che
lo costringe
a stare a letto» esordì poi, incerta.
«Martedì prossimo saremmo dovuti andare a vedere
la basilica
di sant’Agostino, dov’è custodita la
Madonna dei Pellegrini di Caravaggio
e...»
«Ti piace il Merisi?»
«Conosci il vero nome di Caravaggio...?» fece lei, sinceramente meravigliata.
In risposta, Marcello annuì senza troppa enfasi, forse dando per
scontato qualcosa che, stando agli occhi scintillanti di Beatrice,
tanto ovvio non era.
Dopo quella breve interruzione, però, l’altra riprese,
dimostrando un certo entusiasmo: «Sai, mi stavo chiedendo se ti
piacerebbe accompagnarmi tu, dato che conosci molto bene
Roma. Ovviamente, solo se vuoi e non hai altri impegni per la giornata. Così,
potrò anche ridarti la giacca».
Gli aveva detto tutto senza quasi prendere fiato, continuando a guardarlo con attenzione, forse temendo di ricevere
una risposta negativa. Invece, a lui quella proposta piacque
subito, poiché, pensava
che, accompagnandola a visitare qualcosa che le
interessava, forse avrebbe sentito meno la mancanza di ciò che
aveva lasciato a Firenze.
«Hai detto martedì?» le chiese, ripassando a mente
tutti i suoi impegni e cercando di ricordare se quel giorno fosse
libero oppure no.
«Sì, martedì pomeriggio».
«Mmh, si potrebbe fare. Devo solo accordarmi con il mio socio per
organizzarci con il lavoro» commentò Marcello,
meditabondo. «Va bene per te se ci incontriamo direttamente
lì
fuori?»
Aprendosi in un gran sorriso riconoscente, la ragazza annuì, arrossendo appena.
«Certamente,
nessun problema. Cosa
ne dici
delle quattro e mezza?»
«D’accordo» le confermò lui, soddisfatto.
A quel punto, Beatrice tirò fuori le chiavi dalla micro-borsa
che portava a tracolla e, dopo qualche tentativo, riuscì a far scattare la serratura del cancello, che si
spalancò con un cigolio da perfetto film dell’orrore,
mostrando un giardino incolto e disseminato di rottami di ogni tipo. A
quella visione, il giovane alzò un sopracciglio e fu certo che
se Dario Argento si fosse trovato a passare da quelle parti, avrebbe potuto trarne qualche spunto interessante per i suoi film.
La ragazza, però, ignorando tutto il degrado che la circondava,
si voltò verso di lui un’ultima volta per chiudere il
battente che pendeva pericolosamente tutto da una parte e, con un dolce
sorriso, lo salutò: «Grazie ancora, Marcello. A presto, allora e buonanotte».
«Buonanotte, Beatrice» rispose lui, restando a guardarla
finché non risalì i pochi gradini che conducevano al
portone e venne inghiottita dal buio della casa.
Una volta rimasto solo, il giovane si avviò con tutta calma
verso la fermata della metro, assaporando la tranquillità
notturna e concedendosi del tempo di metabolizzare tutti gli
avvenimenti di quella bizzarra serata, dallo stravagante atteggiamento
di Vittoria e Gerardo, fino all’amarezza malcelata di lui, allo scontro con Navarra e l’incontro con
Beatrice. Se sua madre avesse saputo come era fuggito da
Maria Luisa per poi accompagnare a casa una
ragazzina sconosciuta, non sarebbe stata affatto contenta
di lui. D’altra parte, però, da quando lui aveva
memoria, la signora Claudia aveva sempre avuto da ridire su qualsiasi
sua decisione, pertanto, mentre scendeva i gradini della stazione di
San Giovanni, Marcello concordò con se stesso che, in fondo, il
problema non esisteva.
***
Per la revisione di questo
capitolo ringrazio Lady
Viviana per la sua gentile collaborazione e
disponibilità.
Come sempre la grafica del titolo non sarà
granché ma è opera mia.
Ringrazio anche Anto,
che ha letto molto di questo in anteprima e mi ha dato un parere.
***
[N.d.A]
1. What a... life:
sono versi tratti dalla canzone What
a feeling, facente parte della colonna sonora del film
“Flashdance” (1983);
2. Bambino
Gesù: è l’ospedale
pediatrico di Roma, disposto sotto la direzione e amministrazione della
Santa Sede;
3. Gioca jouer: ballo di gruppo portato al successo dal dj Claudio Cecchetto (1981);
3. Thriller:
singolo del 1983 di Micheal Jackson;
5. Alexandre
Sterling... Il tempo delle mele:
film francese del 1980 che narra una storia d’amore
tra due adolescenti. Vittoria e Marcello si riferiscono in particolare alla scena della
festa dove la
protagonista, interpretata da Sophie Marceau, incontra il suo primo
amore, interpretato da Alexandre Sterling, il quale le mette a sua
insaputa delle cuffie con la nota canzone
“Reality”, riuscendo
così a ballare con lei un lento, mentre gli altri invitati
si
scatenano intorno a loro;
6. The Final
Countdown... I want to break free:
la prima è un singolo degli Europe (febbraio 1986), la
seconda appartiene all’album “The
Works” (1984) dei Queen;
7. come... Ritorno
al futuro:
in effetti, nel film del 1985 (uscito in Italia il 18 Ottobre di
quell’anno), considerato un’icona degli Anni ‘80,
è
presente una scena con dinamiche simili tra il padre del protagonista da giovane, la
futura moglie e il bullo di turno. Originariamente, la citazione non
era voluta, tuttavia, quando mi sono resa conto della similitudine,
l’ho inserita nella riscrittura, poiché, essendo
il film degli anni in cui è ambientata la mia storia, mi
è sembrata molto adatta.
***
Ho
sentito l’esigenza di riscrivere i primi due capitoli
perché, essendo
scritti molto prima rispetto al resto, avevano uno
stile diverso e molte pecche a livello
di trama, sembrando l’incipit di una storia esclusivamente romantica.
Ribadisco, però, alcune premesse della versione originale,
per
chiunque si approcci per la prima volta a questo racconto: le lettere in corsivo nelle
battute di Beatrice stanno ad indicare l’accento
toscano (non parla propriamente il dialetto stretto, vedetela
più come una sorta di inflessione con la presenza, talvolta,
di
qualche intercalare dialettale) e sono
consapevole di aver messo più di un
cliché, ma è tutto voluto, visto che la trama segue lo stampo fiabesco.
Inoltre, se davvero pensate che in tempi
moderni (che
siano gli Anni ‘80 o i giorni nostri) non ci siano
più pressioni sociali/familiari riguardo il
fidanzamento/matrimonio, lasciatevi dire che non è sempre
così, purtroppo.
Grazie a tutti quelli che passeranno di qui, vecchi e nuovi lettori.
Halley
S.C.
|