Autore:
Aoimoku_kitsune
Titolo:
I want to wake up
Pacchetto del
contest: Lilium - La bella addormentata nel bosco.
Storia partecipante al contest C'era una volta di Samidare.
Tipologia:
One-shot
Rating:
Arancione
Personaggi
principali: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha, Sakura Haruno
Pairing:
Sasu/Naru Sasu/Saku
Genere:
Yaoi
Avvertimenti:
AU, OOC,
Note
dell’autore: Non so mai cosa mettere, ma
cercherò di spiegare a grandi linea come è nata
questa storia. La storia è ispirata, non alla favola, ma
bensì alla leggenda della Bella addormentata. Rispetto alla
favola dei Grimm, la leggenda è molto diversa. Le piccole
somiglianze sono che, Aurora, la principessa, viene maledetta ad un
sonno lungo cento anni, poiché al suo battesimo non venne
invitata la tredicesima fata. Poi è tutto molto diverso.
Nella leggenda in questo lasso di tempo la principessa viene posta in
bosco, dove le fate la proteggono e vegliano il suo lungo sonno,
finché, quando si arriva al centesimo anno, un re non la
scova e, approfittando dell’incoscienza della ragazza la
violenta, ingravidandola. Da qui nascono due gemelli, Sole e Luna, che
saranno presenti nella storia come due gatti. (Inventiva portami via!)
In realtà la storia che leggerete non avrà nulla
a che fare con la leggenda o la storia. Non sembrerà neanche
ispirata. In realtà non so come mi sia uscita fuori una cosa
del genere… Bho! Bhe, che dire, fatemi sapere se vi garba =P
Un’ultima cosa. Yoshiwara è un quartiere a luci
rosse di Tokyo, la nuova Edo. Una volta era il quartiere delle Geisha,
prima della guerra.
Introduzione:
Un’ambientazione un po’ gotica e dark per una
rivisitazione della classica favola della Bella Addormentata nel Bosco.
La nostra Aurora sarà Naruto, un bellissimo studente che si
ritroverà in un giro di prostituzione. Ma Naruto non
è un prostituto qualunque. I clienti lo cercano
perché amano fare sesso con lui mentre è
addormentato.
E mentre il protagonista è perso in un limbo oscuro, ecco
che appare Sasuke… e Sakura!
I
want to wake up.
I’ll
give you a kiss
“La tua tomba
sarà una foresta di rovi, folta e intricata
che nessuno la scovi.
Ora va e porta nella tua
spira l’oscura
forza della mia
ira!”
La stanza era buia, illuminata appena dalle candele profumate, che
tremanti, creavano giochi d’ombra sugli arazzi e sui muri
tappezzati di rosso.
L’odore d’ incenso si diffuse tanto velocemente,
quanto i gemiti rauchi dell’uomo in ginocchio sul letto.
La seta della veste si mescolava al broccato delle coperte con perfetta
sincronia e non si capiva dove iniziasse l’uno e finisse
l’altro.
Il letto a baldacchino era ricoperto da coperte di seta scura, mentre
le tende pesanti di un tetro color nero scendevano verso il suolo,
cercando di coprire i corpi sul materasso.
Le cosce sottili, attraversate da stille brillanti di sudore, erano
trattenute dalle mani grosse dell’uomo, che con violenza e
goduria, si spingeva sempre più avanti, sprofondando nella
lussuria di quel corpo addormentato.
Lo stesso rito di sempre.
Lo fissavano, contemplando ogni centimetro, ogni cavità. Lo
spogliavano lentamente, già eccitati e con il respiro
pesante e poi si svestivano, sdraiandosi sul corpo che non poteva
rispondere a nessuno di loro.
Si mostravano per quello che erano, posavano fuori da quella stanza la
loro maschera e si lasciavano andare dentro quell’involucro
di carne che non li avrebbe mai giudicati davanti ai loro occhi.
Necrofilia? Niente affatto. Alcuni uomini trovavano l’estasi
in quel corpo addormentato, quasi senza tempo. Trovavano gusto ad
assaporare quel corpo, quando il giovane dormiva.
Il ragazzo era bello.
Sul suo volto sembrava essersi steso un velo di serenità
imperturbabile, sul cui colorito emergeva un lieve rossore delle
guance. Una traccia di vita su quel corpo immobile.
I capelli corti, che danzavano nel gioco delle ombre e dalle spinte
dell’uomo, erano biondi, quasi bianchi in
quell’oscurità.
L’uomo grugnì, tremando, e poi gli
crollò sul fianco, riprendendo fiato.
Un dito accarezzò il ragazzo dormiente sulla fronte,
proseguendo su quella serica pelle, fino ad arrivare alle labbra
turgide e bagnate, rosse come il rubino.
-Quando arriverà il tuo principe… mio dolce
addormentato?
Sulle strade quasi deserte della città, Naruto camminava con
le mani in tasca. Sul viso un’espressione cupa, addolorata,
mentre nella tasca destra il ragazzo sentiva il peso di quei soldi
sporchi.
Deglutì, strinse le palpebre e poi sospirò
ancora, tremando appena per il freddo della notte.
Avrebbe voluto smettere.
Avrebbe dovuto
smettere.
Ma ormai c’era talmente tanto dentro, che non riusciva
più a trovare uno spiraglio di luce per farlo riemergere.
Si sentiva le lacrime agli occhi. Si sentiva male, passo dopo passo.
Voleva vomitare, scomparire, addormentarsi
per sempre.
Era perso in un limbo di tristezza e oscurità, da cui mai
avrebbe avuto la sua redenzione. Era come se stesse dormendo da una
vita. Da ben cent’anni.
Nessuno lo conosceva. Nessuno che si prendesse cura di lui.
Ma non ne aveva bisogno. Era forte.
Posso farcela.
Era questo che si ripeteva ogni notte, ogni mattina, ogni minuto di
quella vita persa in quel baratro oscuro.
Ancora non riusciva a capire come, quegli uomini potessero provare
piacere, quando lui dormiva.
Non riusciva a trovare una risposta soddisfacente.
Era strano.
Erano strani.
Tutti quei personaggi, che, come in un sogno, vedeva solo dietro ad una
coltre di nebbia.
Si strofinò gli occhi, sbadigliò e
aprì con le chiavi la sua porta di casa.
Domani avrebbe avuto lezione all’università che
frequentava da due anni.
Per quello gli servivano soldi, e il modo più veloce che
aveva trovato era stato quello di vendere il proprio corpo.
Dopo che i suoi genitori erano scomparsi nel nulla, lasciandolo in una
casa famiglia, aveva dovuto crescere in fretta, pronto a cavarsela in
quel mondo che lo aspettava, come il Lupo attendeva Cappuccetto Rosso
nel bosco.
Tolte le scarpe, si buttò a peso morto sul letto, aggraziato
per quanto potesse esserlo in quelle occasioni, e si
addormentò, facendo perdere la mente in un sonno senza sogni.
Cosa mai avrebbe potuto desiderare, lui, che dalla vita aveva sempre
avuto ironia.
La mattina seguente fu un disastro.
Svegliarsi con delle occhiaie e con degli ematomi vividi sulla sua
pelle era una routine quotidiana, ma svegliarsi apprensivo, spaventato
quasi terrorizzato, non era affatto da lui.
Aveva fatto un sogno strano, alquanto stupido e il bello è
che non riusciva a ricordarselo dettagliatamente.
In mente aveva inciso solo il dolore di quelle spire di rovi che gli
perforavano la carne nuda, di quei demoni che lo stavano divorando
sempre di più. Dei suoi
occhi neri.
Naruto si fece una doccia veloce, prese del fondotinta coprente, e
cercò di celare la macchia viola sotto il mento, con scarso
successo.
Spazientito afferrò la tracolla nera, e percorse a ritroso
la strada della notte scorsa, sorpassando il locale chiuso, che di
giorno sembrava meno tetro della notte.
La scritta Malefica
, spenta il giorno, scompariva sullo sfondo nero, un po’
grigio per l’intemperie degli anni.
Quella mattinata era nuvolo.
Il cielo grigio lo accompagnò fino all’entrata
dell’università. Sorpassò i cancelli e
si diresse velocemente e con sguardo chino verso l’interno,
cercando di sembrare il più invisibile possibile.
Mandava occhiate fugaci nei corridoi, aguzzava la vista verso quelli
dall’altra parte del giardino.
Gli piaceva fissare le persone che lo circondavano.
Macchie di colori e risa che gli macchiavano la vista. Mai qualcuno si
era inciso tanto profondamente.
Nell’intento di guardare verso il giardino circondato dai
corridoi della scuola, andò a sbattere contro il petto di
qualcuno.
Era un maschio.
Su questo ne era abbastanza sicuro.
Le mani del ragazzo gli afferrarono le spalle, tenendolo in equilibrio
e Naruto lo guardò con occhi spaventati.
-Mi dispiace tanto, non volevo spaventarti.
Mormorò il ragazzo.
Naruto spalancò gli occhi.
-Non è questo… è che solo che tu sei
un… un…
Sasuke inarcò un sopracciglio, indietreggiando di un passo,
senza staccare gli occhi da quelli del biondino.
Erano magnifici. Erano azzurri, grandi, lucidi appena, ma erano tristi,
angosciati.
Ammiccò un sorriso.
-… un estraneo?
Naruto annuì, guardando, studiando, il ragazzo
più grande.
Forse era dell’ultimo anno, pensò.
Sasuke ridacchiò sommessamente, scuotendo appena il capo.
-Sono del consiglio studentesco. Sasuke Uchiha, quinto anno. Tu?
Il biondo deglutì, grattandosi nervosamente una guancia e
fissò il suolo.
-Naruto Uzumaki. Secondo anno.
Rispose con un mormorio.
In quel momento la campana suonò e i due ragazzi si
fissarono per un ultimo momento.
-Ci si vede in giro, Uzumaki kun.
Ghignò Uchiha, salutando il ragazzo con un gesto veloce,
scomparendo tra i corridoi.
Naruto ne seguì l’uscita, con le sopracciglia
arcuate e con l’espressione pensierosa.
-Oggi ho incontrato un ragazzo.
Mormorò, fissando la porta della sua camera, a testa in
giù.
Il sangue che gli arrivava troppo velocemente alle tempie aveva creato
un fastidioso formicolio.
Sentì un piccolo zampettare sulla pancia e
ridacchiò appena.
-E’ carino…
Rispose al miagolio del gatto.
Sole, il gatto persiano di un color aranciato, strusciò il
dorso contro la testa di Naruto che si trovò a stringere le
palpebre per il pelo, mentre Luna, il persiano dal manto grigio, si
contorceva sul suo stomaco.
Luna fece le fusa, guardò il suo padrone con gli occhi di
ghiaccio.
E Naruto la fissò di rimando, ammiccando un sorriso.
-Il felice e contenti non esiste.
Mormorò, chiudendo gli occhi, ritornando le libo dei suoi
pensieri.
Sasuke lo invitò al caffè
dell’università.
Lo invitò in biblioteca la settimana seguente e poi a delle
caffetterie dopo la scuola.
Naruto era rimasto spaesato quando il giovane gli aveva presentato i
suoi amici. Una banda rumorosa per quel ragazzo abbastanza calmo.
In quei mesi aveva conosciuto sempre di più Sasuke,
rimanendo sorpreso e affascinato ogni volta che scopriva qualcosa di
nuovo.
Al contrario, Sasuke era rimasto folgorato dal carattere del ragazzo
biondo. Dalla sua strana luminosità, che non pareva saper di
avere. Così come la sensualità che quel ragazzo
trasudava. La semplicità dei movimenti. Mai calcolati ma
sempre improvvisati.
Giorno dopo giorno, si era sempre più reso conto che si era
avvicinato a quel ragazzo, più di quanto in vita sua avesse
fatto con i suoi amici.
Intorno a quel ragazzo c’era anche quell’aura di
mistero che lo circondava e che lo faceva sembrare più
interessante.
I suoi amici ne erano rimasti affascinati quanto lui. Quando uscivano
la sera c’era sempre qualcuno che gli domandava se lo
invitasse.
Sasuke lo faceva, perché la compagnia di quel ragazzo gli
piaceva.
Ma Naruto aveva sempre rifiutato, montando la cosa con bugie sempre
più strane, sempre più uguali.
Sasuke sapeva con certezza che non era perché non volesse
parteciparvi, ma era qualcos’altro. Naruto forse non si
fidava ancora così tanto da dirgli la motivazione.
Il moro lo aveva baciato.
Sotto l’albero di ciliegio della scuola, che nasceva verso il
piccolo boschetto, Sasuke lo aveva avvolto in un abbraccio, alzandogli
il viso e lo aveva baciato.
Il suo primo vero bacio.
Non è un
sogno. Non sto dormendo.
Aveva chiuso gli occhi, godendosi il momento.
Quando si staccò, ansimante, non per il fiato perso, ma per
l’estasi del momento, Sasuke lo aveva guardato profondamente,
filando un incantesimo con quegli occhi scuri.
-Mi piaci.
Aveva detto, sicuro. Aveva alzato il mento, raddrizzato le spalle e non
staccava i suoi occhi da quelli azzurri dell’altro.
Naruto aveva smesso di respirare.
Contento, spaventato, triste, felice.
Quei sentimenti lo colpirono così velocemente che si
sentì quasi svenire.
-Io… io sono…
Balbettò, scostando lo sguardo.
Sasuke ridacchio divertito, annuendo.
-Lo so. Un maschio.
Naruto lo guardò sconvolto.
-Ma, sfortunatamente per te, questo non mi ferma.
Ghignò.
L’unica, che, a quanto pare non accettava di buon grado la
compagnia del ragazzo era Sakura. L’ex ragazza di Sasuke
Uchiha.
Lei vedeva lo sguardo del ragazzo che gli apparteneva, illuminarsi
quando vedeva Naruto.
Quel ragazzo biondo la infastidiva e avrebbe trovato il modo di farlo
scomparire dalla vita di Sasuke.
Una sera lo seguì.
Dopo scuola camminò per tutto il tragitto dietro a Naruto,
senza farsi accorgere, e lo vide inoltrarsi in uno dei quartieri a luci
rosse.
Spalancò gli occhi, fermandosi poco prima
dell’inizio.
Nei giorni seguenti scoprì, dove abitava Naruto.
Un mese dopo sapeva, dove lavorava.
Aveva trovato il suo filo di lino.
Una risata malefica gli uscì dalla gola.
-Lavora nel quartiere Yoshiwara…
Sputò acida Sakura, indicandolo e fissandolo disgustata.
Gli amici di Sasuke fissarono sbigottiti Naruto che spalancò
gli occhi.
Terrorizzato, guardò Sasuke, disperato cercò il
suo sguardo, ma non ci riuscì e abbassò il capo.
Si morse la guancia interna, deglutì il singhiozzo che
avrebbe dato il via al suo pianto intriso di vergogna, e si chiuse
dentro di se.
Lo aveva detto.
Sasuke sapeva.
Lo avrebbe odiato.
Lo avrebbe respinto.
-… è vero?
Domandò il moro, ancora intento a non crederci.
Com’era possibile che quel ragazzo, così ingenuo,
piccolo… potesse…
Scosse il capo.
Doveva esserci per forza qualcos’altro. Nessuno percorreva
quella strada per scelta propria. Alcuni ci venivano buttati a
capofitto, con solo quella via davanti.
Sakura ghignò maligna, incrociandosi le braccia al petto.
-Ohh… Sasuke kun, è vero. Nel posto in cui
lavora, viene chiamato il bello
addormentato…
Cinguettò.
Il moro la fissò con sguardo di fuoco, facendola zittire,
come le risate dei suoi amici e ritornò a concentrarsi sul
ragazzo davanti a lui.
Ci avrebbe creduto solo se fosse stato Naruto a dirglielo.
Le spalle di Naruto tremarono e lui annuì, portandosi una
mano davanti alla bocca.
Si sentiva male.
Si sentiva svenire.
Avrebbe voluto dormire.
Il moro strinse i denti, cercò di allungarsi verso il
ragazzo ma questi cominciò a correre lontano.
Sempre più veloce.
Corri.
Lontano.
L’ago ti ha punto.
Ti addormenti, precipitando ancora nelle tenebre.
Non vorresti andarci a lavoro, ma devi.
Sei stato umiliato, deriso, ma non puoi buttare nel cesso tutti i
sacrifici che hai fatto per arrivare a quel punto.
Ormai ci sei dentro e non puoi fare a meno che finire quello che hai
iniziato.
Entri nel locale, saluti chi devi salutare.
Ti fanno fare una doccia come sempre. Ringrazi che su quel punto di
vista la cosa
è anche molto igienica e sicura. I clienti, almeno una volta
al mese, per quelli abituali, si devono presentare con un certificato
medico e gli esami del sangue.
Agli arbori, molte volte qualcuno era uscito positivo da quella
storia.
Afferrò il kimono del locale e si diresse in camera.
La luce delle candele cominciò a danzargli nelle iridi,
confondendolo.
L’odore dell’incenso lo inebriò,
facendogli girare la testa.
Avrebbe chiuso gli occhi, su quel letto dalle coperte di seta.
Avrebbe dormito perché il suo principe non sarebbe mai
venuto a svegliarlo.
Andava bene così.
Lui non era una principessa e si sarebbe salvato da solo.
Si stese sul letto comodo, fresco e guardò il baldacchino
dalle lunghe tende nere.
Le palpebre calarono, tremanti, e chiuse gli occhi, cingendo le mani
sopra al ventre piatto.
Buona notte bello
addormentato.
Affascinante era la figura stesa sul letto.
Così inerme, così pura.
Così… bella.
Dormiva, quasi serenamente.
Il viso del giovane era rilassato in un’espressione di beata
fanciullesca.
Si avvicinò cauto, quasi terrorizzato a svegliare quella
creatura.
Attorno a lui non erano cresciuti rovi né era rinchiuso
nella torre di un castello. Il suo sonno non era frutto di un
incantesimo di una donna invidiosa e frustrata.
Accarezzò il viso, sfiorò le labbra carnose, si
perse ad ammirare le ombre che lambivano quel corpo.
Dormiva, ma lui era sicuro che lo avrebbe svegliato.
Sarebbe stato quel principe delle favole.
Avrebbe strappato dagli artigli dell’oscurità
quella creatura che avrebbe dovuto crescere nella luce del sole.
Si chinò su di lui, posando le labbra sulle sue, premendole
appena.
-Svegliati.
Sussurrò.
Il tepore che si era sparso sulle labbra era scomparso lentamente. Il
torpore che gli portava il sonno era svanito come per magia e
nell’oscurità di quella camera aveva sentito
qualcuno.
Nelle sue orecchie era apparso come un urlo. Un ordine a cui lui non
riusciva a rimanere indifferente.
Le palpebre tremarono quando il calore si riposò di nuovo su
di lui.
Sulle labbra. Sulla guancia. Sulla fronte.
Mugugnò, fissando con occhi velati il muro scuro della
camera.
Poi la voce lo richiamò.
-Naruto…
Cantilenò.
Si voltò spaventato e occhi neri, rossi quando le fiamme si
specchiavano in essi, lo fissavano.
Si scostò appena, alzandosi a sedere, guardando il ragazzo
accanto a lui.
-S… Sasuke?
Mormorò.
Stava sognando. Era insolito, a sicuramente stava sognando.
Non poteva essere quel ragazzo.
Non poteva essere Sasuke Uchiha il suo… principe?
-Ti sei svegliato, bello
addormentato.
Fece una smorfia, fissando il maggiore.
-Non mi piace quel nomignolo.
Ridacchiò, al broncio che nacque su quel viso e si
avvicinò ancora, fissandolo
nell’oscurità.
Anche se era circondato dalle tenebre della stanza, Naruto riusciva in
qualche modo a vedere ogni particolare di quel viso appena conosciuto.
Si perse in quello sguardo profondo, come il cielo senza stelle che
alcune volte sognava.
Sasuke era li… per cosa?
L’atmosfera sembrò rompersi di botto, come un
cristallo che cade al suolo, e Sasuke Uchiha se ne accorse anche troppo
facilmente.
Arretrò appena.
-Dopo che hai saputo che lavoravo qui… sei
venuto…
Un sorriso amaro nacque sul volto del ragazzo.
-Vuoi farti un giro?
Soffiò mieloso ma con acidità mal celata.
-Quei vecchi pervertiti dicono che godono quando sono
addormentato…
Si avvicinò, posando, per tenersi in equilibrio, la mano
destra sul materasso e allungando la sinistra verso il cavallo dei
pantaloni del moro che sobbalzò appena, irrigidendosi poco
dopo.
-Vuoi provare?
Gli mormorò sul viso.
Una rabbia incontrollata pervase il corpo di Sasuke che
allontanò con forza il braccio di Naruto e lo
atterrò sotto di lui, spingendolo sempre di più
sul materasso.
Gli gravò sopra con tutto il peso del corpo e
ringhiò il suo nome.
-Lo vorresti davvero?
Domandò duro.
Naruto lo guardò con aria di sfida per un tempo che
sembrò lungo poi le labbra tremarono e gli partì
un singhiozzo.
Poi la vista gli si offuscò delle sue lacrime, strazianti
agli occhi di Sasuke. Un urlo di aiuto che gli riverberò in
testa.
-Voglio solo svegliarmi…
Gemette, mentre gli occhi cominciarono a bruciargli per le lacrime.
Sasuke alleggerì la presa, s’impuntò
sulle ginocchia e guardò il ragazzo tremante sotto di se.
Si abbassò di scatto e gli rapì le labbra,
coinvolgendo il biondo in un bacio da mozzare il fiato. Gli
aprì le labbra a forza, intrufolando la lingua in
quell’antro umido e fissò il ragazzo sotto di se.
Si staccò, e un filo di bava li unì per poco
calando sul mento del biondo.
-Ti sveglierò, Naruto. Non ti prometto il per sempre, ma ti
farò svegliare da questo limbo.
Senza una parola, Naruto portò una mano ai bottoni della
camicia di Sasuke, indicandogli con lo sguardo da dove cominciare.
Altrettanto silenzioso, lui cominciò a sbottonare la camicia
dal fondo, sfiorandogli di tanto in tanto la pelle con le labbra calde.
Non sarebbero servite altre parole.
Il moro gli baciò una spalla nuda, cominciando a sfilargli
il kimono, mentre Naruto gli accarezzava il petto esposto.
Naruto fece per parlare, ma Sasuke gli chiuse la bocca con un bacio.
Immediatamente il biondo avvertì lo stesso fuoco di qualche
giorno fa, ma ancora più intenso, perché ormai
non c’era più nulla a trattenerli.
Sasuke continuò a baciarlo, dandogli una tale sicurezza che
persino la pelle esposta all’aria fredda diventò
un piacere.
Sasuke stava cambiando tutto.
Lo faceva sentire libero di essere se stesso, e il fatto che lo
desiderasse gli toglieva ogni preoccupazione sul proprio aspetto.
Lo fissò, incantato dal suo viso spigoloso e dalla forza del
suo corpo, rapito dalla linea sottile delle sue labbra. In
quell’abbraccio il mondo intero sbiadiva.
Poi, quando gli avvicinò la testa al petto, sentendogli
battere forte il cuore, si rese conto di colpo del vuoto della propria
anima.
Non gli restava più niente per cui valesse la pena di vivere.
-Va tutto bene?
Sussurrò Sasuke, facendosi ancora più tenero.
Naruto gli nascose il viso nell’incavo del collo.
Ma sapeva che lui avrebbe sentito le lacrime bagnargli la pelle.
Poi si lasciò trasportare.
La stanza era buia, illuminata appena dalle candele profumate, che
tremanti, creavano giochi d’ombra sugli arazzi e sui muri
tappezzati di rosso.
L’odore d’ incenso si diffuse tanto velocemente,
quanto i gemiti dei due ragazzi.
La seta della veste si mescolava al broccato delle coperte con perfetta
sincronia e non si capiva dove iniziasse l’uno e finisse
l’altro.
Il letto a baldacchino era ricoperto da coperte di seta scura, mentre
le tende pesanti di un tetro color nero scendevano verso il suolo,
cercando di coprire i corpi sul materasso.
Quello sarebbe stato il suo castello incantato. Sasuke, il suo principe
fantoccio.
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