Titolo
Titolo: The importance of being Stiles
Fandom: Teen Wolf
Pairing/Personaggi: Stiles/Derek
Rating: Pg13 (?)
Charapter: 1/1
Beta: Samek ci ha riso su molto in anteprima
Words: 4301 (fiumidiparole)
Genere: commedia, fluff
Warning: crack, slash, cliché
Summary: Stiles sapeva che il suo nome – quello vero – gli avrebbe causato problemi.
Note: Scritta per la Sagra del Kink 2.0 di kinkmemeita sul prompt “Pomiciare” + il prompt di
Samek “A cuccia!”. Parola d’ordine del mio menù Oriente: cliché O/
DISCLAIMER: vorrei tanto possedere Stiles, ma no, né lui né nessun altro mi appartiene .__. Neanche Derek, no *sigh*
Stiles sapeva che
il suo nome – quello vero – gli avrebbe causato problemi. Certo, lui si era
aspettato più delle prese in giro per la sua impronunciabilità
o perché qualcuno poteva scambiarlo per un'offesa in una qualche lingua
straniera – o morta – piuttosto che... questo.
E invece la sua
vita aveva di nuovo dato prova della sua assurdità quando Deaton gli aveva detto
di sussurrare il suo nome a Derek. Che stava morendo.
«Non c'è una...
che ne so, una pozione che possiamo dargli?» aveva suggerito lui.
«Stilinski,
questa è la realtà, non si salvano le persone con le pozioni magiche» gli aveva
ringhiato contro Isaac - e ringhiato davvero, non per modo di dire, eh. Se non
gli aveva staccato la mano era stato solo perché Scott lo aveva fermato in
tempo. Sia ringraziato Scott e i suoi riflessi da lupo.
«Ah certo, perché
sussurrando nomi invece sì, vero?» Okay, magari un po' se le andava a cercare.
Isaac ringhiò di nuovo e Stiles fece un passo indietro, mettendo tra lui e il
licantropo psicopatico il bancone dello studio di Deaton - e quindi il corpo
dell'Alpha stesoci sopra.
«Ascolta Stiles»
lo richiamò proprio Deaton «i nomi hanno un potere intrinseco, sopratutto quando
si parla di licantropi. E più un nome è... sconosciuto più il suo potere
aumenta. Nel tuo caso potrebbe essere l'unico modo per salvare Mr. Hale».
Stiles annuì
seriamente un paio di volte e batté piano con il pugno sul tavolo, accanto la
mano inerme di Derek.
«Nessuna
pressione, eh?» disse. Con gli occhi risalì fino al viso del licantropo,
imperlato di sudore, esangue e con due profonde ombre scure attorno agli occhi.
Le labbra avevano virato pericolosamente verso il viola e il rosso del sangue
della ferita che gli squarciava il petto sembrava ancora più vivido visto sotto
la luce scialitica. «Okay, che devo fare?»
«Devi solo dirgli
il tuo nome e poi ordinargli di svegliarsi» rispose Deaton. Stiles lo guardò
scettico.
«Tipo... Alzati
e cammina?» tentò. Il veterinario sorrise e scosse la testa.
«Più "apri gli
occhi"».
Stiles annuì e
prese un respiro profondo. «Okay, ci siamo, lo faccio».
Spostò il peso da
un piede all'altro, nervosamente, poi si passò una mano sul viso e infine si
chinò. Sussurrare il suo nome non fu questo gran problema, a dire il vero - fu
strano, più che altro, perché non ci era abituato -, la cosa più assurda fu dire
la formula. Gli sembrava di essere finito in un B-movie condito di cliché
ridicoli sui licantropi e salvataggi dell’ultimo secondo – fermi tutti, in quel
caso era lui il principe sul bianco destriero e Derek la principessa in
pericolo? Forte!
Quando però,
l'attimo dopo, Derek aprì gli occhi, prendendo un singhiozzante respiro, Stiles
fece un poco cavalleresco salto all'indietro, preso alla sprovvista. Derek tossì
e si piegò su un lato, sputando del sangue grumoso sul metallo; poi ringhiò,
stringendo i pugni, mentre lentamente lo squarcio sul suo petto si rimarginava
sotto gli occhi scioccati dei presenti.
Quella vista
schizzò al primo posto delle cose più assurde che gli erano mai capitate in vita
sua, surclassando quella volta in cui Lydia aveva accettato di andare al ballo
d'Inverno con lui e gli aveva addirittura concesso un ballo - prima che Peter la
mordesse quasi a morte e scoprissero che Lydia era un qualche strano scherzo
della natura immune al soprannaturale.
«Tutto questo
è... assurdo» mormorò Scott, sorridendo e dandogli una pacca sulla spalla.
Isaac, da bravo cucciolo di papà, era già accorso al fianco di Derek per
sostenerlo. Stiles lo guardò aiutarlo a mettersi a sedere e controllare
ossessivamente il petto ormai guarito, anche se ancora sporco di sangue.
Poi Derek alzò
gli occhi nei suoi e Stiles seppe che i casini, per lui, erano appena
cominciati.
***
A dire la verità,
i problemi veri e propri per Stiles cominciarono solo una settimana più tardi.
Per quasi sette
giorni ebbe una normale vita adolescenziale scandita da compiti a sorpresa di
chimica, allenamenti di lacrosse, tentativi più o meno imbarazzanti di farsi
notare da Lydia e brevi ma intense immersioni nei problemi di un lupo mannaro
adolescente innamorato di una cacciatrice di lupi mannari. Si era quasi convinto
che quello spiacevole brivido alla schiena quando aveva incrociato lo sguardo di
Derek era stato solo frutto della sua fervida e iperattiva immaginazione quando,
il venerdì sera, dovette ricredersi all'istante sull'infallibilità del suo sesto
senso.
Aveva appena
parcheggiato sul vialetto di casa quando, uscendo dalla sua jeep, aveva notato
una Camaro ferma di fronte casa sua - e appoggiata ad essa c'era Derek Hale,
sguardo torvo e giacca di pelle in corredato. Fu strano, perché lo vide avere
una contrazione di braccia e gambe e ruotare appena il collo, come a voler
allentare la tensione - o prepararsi per ucciderlo. Era lì per ucciderlo? Perché
lo aveva minacciato più volte, ma Stiles aveva creduto che ormai fossero andati
oltre quello stadio e fossero più verso il "ti trovo irritante, ma sei utile,
quindi posso resistere e non strapparti la giugulare a morsi". Stiles sperava
davvero tanto che fossero in quello stadio del loro rapporto.
«Ti prego, dimmi
che non sei qui per uccidermi» lo supplicò. Derek lo guardò male – come sempre –
e sbuffò, sviando lo sguardo.
«No, idiota»
sbottò. S'infilò le mani in tasca, le sfilò e incrociò le braccia al petto. Uhm,
strano. «Io... mi sono reso conto che non ti ho mai... ringraziato. Per quello
che hai fatto» ammise in fine e Stiles, finalmente, capì che diavolo stava
succedendo.
«Oh mio dio,
quanto ti è costato venire fin qui e dirmi una cosa del genere?»
Derek non rispose
e lo guardò anche peggio, ma ormai il danno era fatto e Stiles poteva vedere
l'imbarazzo aleggiare attorno a lui come una nuvoletta rosso vergogna. O rabbia.
O sangue – il suo, se Derek avrebbe deciso di lasciarsi andare ai suoi istinti e
sbranarlo.
Decise di evitare
di mettere alla prova la sua fortuna e si guardò attorno, ringraziando il fatto
che suo padre aveva una pattuglia per tutta la notte. Non credeva sarebbe finita
bene se l'avesse beccato a parlare cordialmente con una persona accusata di
omicidio. Due volte.
«Okay, ci
vediamo» sbottò Derek, scostandosi dalla Camaro e rimontando in macchina. Stiles
lo guardò sgommare via alla velocità della luce e rientrando in casa si chiese
che diavolo stesse succedendo. Poi accese la console e passò gran parte della
sera a sparare ad alieni e mutanti, accantonando la questione fino al giorno
dopo, all'ora di pranzo.
Fu appunto mentre
si dirigevano in mensa che Scott si fermò nel bel mezzo del corridoio e guardò
verso la finestra, confuso.
«C'è Derek»
disse.
«Dovrà parlare
con i suoi cuccioli?» suppose lui, scrollando le spalle. Scott, invece, pensò
bene di fargli venire un mezzo infarto, rispondendo:
«No, ti sta
seguendo. Ormai è una settimana».
Stiles strabuzzò
gli occhi, afferrandolo per la spalla e voltandolo verso di sé.
«Aspetta, fammi
capire. Per tutta l'intera settimana sono stato seguito da Derek e tu non hai
pensato di... che ne so, di dirmelo?»
Scott fece
spallucce. «Non credevo fosse importante».
«Non--» Stiles
congiunse le mani davanti al viso, chiuse gli occhi e prese un respiro profondo.
«Sei un idiota» decretò, andandosene.
***
Da quel momento
in poi, Stiles si rese conto di essere letteralmente perseguitato. Dovunque si
girasse vedeva Derek, il suo sempiterno sguardo omicida e la sua Camaro.
«È un incubo. Un
folle e assurdo incubo, ecco cos'è» si lamentò tra sé, osservando dalla finestra
della sua camera Derek Hale che, in modo spaventosamente inquietante, se ne
restava fermo dall'altro lato della strada. A non fare assolutamente niente.
Come aveva già
detto: inquietante.
Uscì dalla
propria camera e si fiondò fuori dalla porta di casa, attraversando la strada e
allargando le braccia. «Okay, che diavolo sta succedendo?» sbottò.
Derek tentennò
appena – tentennò davvero – e voltò il viso. «Non so di che diavolo stai
parlando» disse.
«Mi stai
seguendo, sono giorni che mi segui» ribatté, incrociando le braccia al petto. Le
labbra di Derek si assottigliarono e le sue sopracciglia si aggrottarono,
dandogli quell'espressione di puro odio che lui conosceva tanto bene.
«Non è vero».
Stiles inarcò un
sopracciglio e annuì. «Oh no, infatti, hai ragione, non mi sembra assolutamente
di essere in un maledetto film horror dove della gente si sente osservata e poi
viene rapita e si sveglia incatenata in una stanza vuota con uno sconosciuto
mentre un pupazzo in un video gli chiede "Vuoi giocare con me?"» ironizzò.
«Saw? Davvero?»
«L'ho rivisto
ieri sera» ammise. «Senti, dimmi solo perché diavolo mi stai seguendo e
facciamola finita».
Derek sospirò,
guardandosi con astio la punta delle scarpe. Quando rialzò lo sguardo, sembrava
infastidito. «Non lo so. All'inizio credevo fosse perché mi sentivo in debito
con te, ma poi anche dopo che ti ho ringraziato ho continuato a sentire di
doverti proteggere e...» ringhiò frustrato e incassò la testa tra le spalle.
Stiles aprì la bocca, sorpreso e confuso.
«Okay, frena. Da
quanto va avanti questa storia?» domandò, temendo la risposta. Seppe di aver
fatto bene quando l'altro, dopo una smorfia infastidita, ammise:
«Dalla stessa
sera in cui mi ha salvato».
Stiles strabuzzò
gli occhi e fece un passo indietro, quasi inciampando e fracassandosi la testa
contro l'asfalto. Se non avvenne fu solo per la presa rapida con cui Derek fermò
la sua rovinosa caduta, tirandoselo contro.
Ritrovarsi
stretti al petto di un aitante licantropo Alpha può sembrare fantastico se sei
una ragazza – o, beh, anche un ragazzo, a dire il vero – ma lo è un po' meno
quando il suddetto Alpha non ha mai fatto mistero del suo desiderio di
squarciarti la gola. Senza contare il fatto che ritrovarsi spiaccicati contro il
suo petto muscoloso dopo la confessione che aveva appena fatto rendeva tutto
molto strano. E imbarazzante.
Motivo per cui si
separarono con rapidità e misero molti passi di distanza tra loro, infilandosi
le mani nelle tasche e cercando di evitare un contatto visivo diretto.
Purtroppo il
problema restava, quindi la tregua non durò molto.
«Allora? Che si
fa ora?» chiese Stiles e Derek rispose esattamente nel modo che lui si
aspettava, ma avere ragione non lo riempì di gioia, per niente.
«Chiediamo a
qualcuno che ne capisce di più».
Purtroppo per
Stiles, come aveva sospettato, Derek non parlava certo di Deaton – visto che era
suo il tiro mancino - bensì di Peter, nascosto nella loro decrepita casa, che
pensò bene di ridere per un buon quarto d'ora dopo che ebbe saputo le ultime
novità. Probabilmente avrebbe continuato anche per più tempo, se Derek non
avesse minacciato di strappargli le dita una ad una.
«Quello che hai
fatto non è stato semplicemente salvare la vita di Derek» spiegò Peter,
prendendo il suo laptop e aprendo un file, voltandolo poi verso Stiles. «Ma
legarlo indissolubilmente al tuo nome e, di conseguenza, a te stesso».
Stiles e Derek si
scambiarono uno sguardo incerto – e anche un po' spaventato, okay, ma Stiles
credeva di poterselo concedere, vista la situazione.
«Aspetta, in che
senso?» domandò, giusto per amor di chiarezza. Peter si sfregò la barbetta
curata con fare pensoso.
«Vediamo, come
posso spiegarvelo?» inclinò la testa a sinistra e guardò il soffitto pericolante
della vecchia dimora degli Hale, tamburellando con le dita sul suo mento. Poi
schioccò le dita e indicò prima l'uno e poi l'altro. «Derek è il tuo cagnolino».
Da qualche parte,
dentro la sua testa, Stiles sentì qualcosa andare in frantumi. Probabilmente la
sua sanità mentale.
***
Peter raccontò
loro che quel rito un tempo era utilizzato dagli sciamani per tenere imbrigliati
i licantropi, che diventavano delle vere e proprie guardie del corpo pronte a
tutto per la salvaguardia dei propri padroni. Inoltre imbrigliare un Alpha era
considerato il modo più sicuro per controllare il branco ed evitare che i lupi
scorrazzassero indisturbati mietendo vittime.
Ovviamente, come
ogni soluzione a un problema, divenne esso stesso un problema quando uomini
avidi avevano cominciato a servirsi dei lupi per conquistare potere e ricchezze,
facendosi la guerra fino alla morte.
Stiles si chiese
perché tutto questo non fosse scritto nei libri di storia. Sarebbe stato
sicuramente più interessante della storia governativa degli ultimi
cinquant'anni.
«Quindi io
sono... cosa? Un Signore dei Lupi?» domandò, beccandosi un ringhio da parte di
Derek e una risata da Peter.
«Perché no? Non
credo esista un titolo vero e proprio, quindi immagino tu possa farti chiamare
un po' come ti pare» rispose quello, tornando a controllare sul suo laptop se ci
fosse altro da dover aggiungere.
«Se era una
pratica così comune perché io non ne ho mai sentito parlare?» intervenne invece
Derek, braccia incrociate e broncio ringhioso. Stiles si chiese che avrebbe
fatto se lo avesse picchiato sul naso con un giornale arrotolato. Probabilmente
lo avrebbe ucciso.
«Perché è stata
bandita dai nostri antenati secoli fa» Peter lo guardò seriamente, prima di
arricciare le labbra in un ghignetto divertito. «Anzi, a ben vedere, se il
branco di Alpha lo scoprisse, ucciderebbe il tuo Signore dei Lupi senza pensarci
due volte».
«Eeeeed ecco la
fregatura» rispose Stiles, chinando il capo sconfortato.
Ritornando verso
la jeep, né lui né Derek parlarono molto. A dire il vero, non parlarono affatto
e fu solo una volta che fu seduto al posto del guidatore che Stiles si voltò a
guardare l'altro, le dita che accarezzavano nervosamente sullo sterzo.
«Allora... che
facciamo?» domandò, perché ormai avevano rimandato fin troppo e non c'era più
tempo. Ignorare il problema, per quanto lui preferisse farlo, non sarebbe stato
d'aiuto.
Derek guardò
dritto davanti a sé e scosse la testa.
«Ci comportiamo
normalmente» disse, voltandosi finalmente verso di lui. «Se nessuno sa cos'è
successo, tu sei al sicuro, no?» Non diede a Stiles il tempo di rispondere e si
allontanò, tornando verso il rudere della sua infanzia.
***
Spiegare a Scott
la novità fu abbastanza facile, fargli tenere la bocca chiusa con Allison lo fu
un po' meno, ma alla fine ce la fece, con buona pace di Stiles. Peter aveva
suggerito loro di evitare le fughe di notizia e per fortuna Scott comprese
abbastanza rapidamente il significato di “pericolo mortale”.
Dal suo canto,
Stiles si abituò abbastanza presto al suo nuovo ruolo di Signore dei Lupi e
scoprì che i suoi poteri erano semplici ma assolutamente fantastici.
Derek faceva
qualunque cosa lui gli comandasse, che fosse uno «Stai zitto» o un «Dimmi la
verità» – ma l'apice lo raggiunse quando, un giovedì pomeriggio, si lasciò
scappare un «A cuccia» e vide la faccia di Derek contrarsi di rabbia e vergogna
mentre il suo corpo eseguiva l'ordine e si sedeva. Fu esilarante. Da quel
momento in poi Stiles non perse occasione per ordinarglielo, tra il divertimento
degli altri.
Col senno di poi
probabilmente fu quello che diede il via alle chiacchiere, ma nonostante tutto
Stiles, quando, la settimana dopo, Lydia gli chiese se ci fosse qualche novità
con Derek, ebbe comunque un piccolo infarto. Nulla di grave, giusto
quell'istante in cui gli sembrò che il cuore battesse per l'ultima volta prima
di fermarsi per sempre, un attimo prima che la sua faccia, contratta in una
smorfia di dolore, si schiantasse sul vassoio della mensa.
«Io... cosa?»
boccheggiò.
Lydia gli rubò
una patatina dal piatto e scrollò i suoi bellissimi capelli perfetti, dandole
poi un morso.
«Andiamo, ormai è
evidente, è inutile negare».
«Negare cosa?»
intervenne Danny, accomodandosi con Jackson di fronte a loro. L’istante dopo
furono raggiunti anche da Isaac, Scott e Allison, questi ultimi due intenti a
fingere di essere amici quando si vedeva lontano un miglio che tutto ciò che
volevano era spalmare l'altro contro il muro e pomiciare fino a farsi cadere le
lingue.
«Di lui e Derek»
rispose lei e Stiles sentì chiaramente tutti i colli presenti al tavolo unirsi
in un sonoro crack quando si voltarono contemporaneamente verso di lui.
«Cosa?»
gli fece eco Scott.
«Derek chi?» si
interessò ancora di più Danny.
«Derek Hale»
rispose Lydia. «C'è decisamente qualcosa tra voi due, ma Derek non parla.
Andiamo, Stiles, raccontaci» lo incalzò. Stiles boccheggiò ancora, guardando nel
panico Scott, che gli rispose con la stessa espressione disperata, prima di
voltarsi verso Isaac. Questi scosse la testa sbuffando e tornò a mangiare.
Stiles lo odiò un po'. Un po' tanto, a dire il vero.
«Derek Hale?
Hale? Te la fai con un ricercato, Stilinski?» ritentò Danny. Jackson,
accanto a lui, fece una smorfia disgustata.
«Uhm» disse,
grattandosi nervosamente il collo «Tecnicamente non è più un ricercato. E quando
lo era è stato tutto un malinteso».
«Partito da
Scott» lo indicò Jackson e Scott si agitò sul posto.
«Mi sono già
scusato un milione di volte, finirà mai questa storia?»
«Conosci Derek,
quindi no» rispose Stiles. Se ne pentì l'istante, quando Danny chiese:
«Posso conoscere
anche io il tuo ragazzo?»
Lui spinse il
vassoio lontano da sé, incrociò le braccia sul tavolo e ci affondò la testa nel
mezzo, desiderando di sparire.
***
Questa storia di
lui e Derek non lo impensierì più di tanto – chiacchiere da cortile, sarebbero
sparite nel giro di una settimana, se non di meno – quindi decise di non dirgli
nulla.
In realtà poteva
capire perché fossero nate, davvero. Dopotutto, dal loro punto di vista, Derek
si comportava in modo bizzarro da un po' di tempo. Minacciava meno di ucciderlo,
ascoltava i suoi consigli e Peter aveva pensato bene di prenderlo ampiamente in
giro sul suo controllare ossessivamente che Stiles stesse bene.
Quindi sì, si
poteva dire che Derek si stesse comportando in modo carino con lui – ma
addirittura... quello? Stiles non credeva che Derek sarebbe stato
così con qualcuno che gli piacesse davvero. Se si lasciava la libertà di volare
con la fantasia, Stiles lo immaginava molto più romantico e molto meno
scontroso, molto più "Morirei se ti succedesse qualcosa" e molto meno "Vorrei
ucciderti, ma per colpa di uno stupido rito sento il desiderio di proteggerti
fino alla morte".
Se lo immaginò
come uno dei personaggi di Twilight e rise per venti minuti buoni, entrando in
casa e abbandonando lo zaino nell'ingresso, prima di dirigersi in cucina.
C'erano state una
serie di effrazioni – cinque in una settimana – e suo padre era dietro al caso
giorno e notte, quindi si prese una scodella di cereali, il cartone del latte e
andò a piazzarsi davanti alla televisione. L'unica nota positiva del suo essere
solo in casa era quello, il poter cenare guardando Grey's Anatomy.
Aveva appena
versato il latte sulle palline di cacao quando qualcuno suonò al campanello.
Era Derek e la
cosa lo meravigliò meno di quando avrebbe dovuto – cosa che lo meravigliò.
Contorto, ma la sua mente lo era spesso.
«Cosa ci fai
qui?»
Derek guardò male
la porta e ringhiò qualcosa di incomprensibile. Stiles inarcò un sopracciglio e
continuò a guardarlo.
«No, davvero, che
ci fai qui?»
«Sono venuto a
controllare» si interruppe bruscamente, digrignò di nuovo i denti e poi riprese:
«Sono venuto a controllare che tu stia bene».
Stiles aprì la
bocca, la richiuse e poi annuì.
«Quella cosa del
Signore dei Lupi?» domandò. Derek annuì, sempre più torvo in viso, e Stiles fece
un passo di lato, lasciandolo passare. «Accomodati. Però sai, sono sopravvissuto
perfettamente per diciassette anni, puoi anche tenere a bada questa tua
iperprotettività».
Derek sbuffò dal
naso, seguendolo all'interno della casa, guardandosi attorno. Dopotutto era la
prima volta che vedeva qualcosa che non fosse camera sua. Uhm, detta così
suonava strana.
«Certo,
andandotene di notte in cerca di cadaveri nel bosco».
«Ehi, io ne sono
uscito benissimo. È Scott quello che è stato morso» ribatté lui, scalciando le
scarpe e sedendosi poi sul divano incrociando le gambe a mo' di indiano. Derek
si sedette dall'altro lato e scosse la testa quando Stiles gli fece cenno con la
scodella, in offerta.
«Sei solo
incredibilmente fortunato» disse e lui scrollò le spalle.
«La fortuna aiuta
gli audaci. E ora zitto, questa puntata è bellissima».
Vide Derek aprire
la bocca, ma nulla ne uscì e lui sorrise, prendendosi un cucchiaio di cereali,
mentre sullo schermo Arizona raccontava ad una Callie in coma quanto forte fosse
la loro bambina nata
prematura.
Quando il
fantasma di Callie cominciò a cantare, anche Derek era preso dalla storia.
Forse fu la voce
di Sarah Ramirez, forse l'empatia per il suo personaggio e l'amore che provava
per la sua famiglia allargata (Mark, Arizona e quella bambina così piccola e
fragile), forse fu perché quella canzone gli ricordò sua madre, ma Stiles sentì
un grumo di tristezza riempirgli il petto e allargarsi lentamente fino allo
stomaco, che si strinse in una morsa di angoscia. Chinò la testa e sbatté le
palpebre in rapida successione, scacciando il velo che scese ad appannargli gli
occhi e si concentrò sull'alone di latte al cioccolato rimasto sul fondo della
ciotola.
L'attenzione di
Derek si spostò su di lui e Stiles si allungò a posare la ciotola sul tavolino
davanti a sé, approfittandone per prendere il più discretamente possibile un
respiro profondo e allentare quella spiacevole sensazione. Non servì a molto.
«Laura adorava
questa canzone» disse Derek, tornando a guardare lo schermo televisivo, dove una
donna acconciata secondo la moda degli anni '50 stava spiegando alla telecamera
come quello smacchiatore l'avesse salvata dalle macchie ostinate.
«Immagino ci si
rivedesse molto» rispose lui, giocherellando con i propri calzini. Con la coda
dell'occhio vide l'altro annuire dopo un attimo di incertezza e si chiese quanto
lui stesso si rivedesse in quelle parole. A dire il vero, probabilmente quella
canzone sarebbe stata molto più adatta a lui che non a Derek - almeno la parte
sul sorriso che nasconde le parole. Derek aveva più un broncio e uno sguardo
omicida, ecco. Tra loro due era lui, invece, quello che fingeva i sorrisi per
fuggire dalle parole. Forse perché sua madre stessa, durante il suo ultimo
periodo in vita, sorrideva spesso, sorrideva molto più del dovuto. Lo aveva
imparato da lei.
«Smettila» lo
richiamò Derek e Stiles incassò la testa tra le spalle, rendendosi conto solo in
quel momento di avere di nuovo la vista appannata. Scacciò le lacrime non ancora
versate e scosse la testa.
«Non sto facendo
niente» borbottò, appoggiandosi contro lo schienale e guardando verso il
soffitto.
«Ti stai
deprimendo da solo e io lo sento. È fastidioso, quindi smettila».
Stiles scattò con
la testa verso di lui e lo guardò sorpreso, aprendo la bocca e richiudendola
subito dopo, non sapendo bene cosa dire.
«Puoi...
sentirmi?» tentò e quando l'altro annuì sentì un'altra parte della sua
sanità mentale esplodere in mille pezzi. Essere lui era assurdo. «Oh. Okay»
disse, tornando a guardare davanti a sé. «Mi sento violato, ma okay» specificò.
Però sorrise appena quando sentì l'altro sbuffare divertito. La pubblicità
terminò e la puntata riprese, ma lui si concentrò su di essa solo marginalmente,
troppo intento a cercare di capire come lo facesse sentire quella novità. «I
ragazzi credono che tra noi... cioè, che io e te siamo... credono che ci
frequentiamo. Romanticamente» si sorprese a raccontargli. Se ne pentì un po'
quando Derek tornò a fissarlo senza espressione – e vide la mano avere una di
quelle contrazioni che erano diventate abbastanza usuali quando erano insieme.
Immaginò fosse dovuta alla voglia che aveva di prenderlo a pugni per averlo
tirato in mezzo a quel casino. Sinceramente, non si sentiva di biasimarlo,
davvero.
«E tu hai negato»
diede Derek per scontato. Stiles roteò gli occhi, prese un respiro profondo e
ciondolò con la testa, guardandolo poi di sottecchi.
«Dipende da cosa
intendi per negato» ammise. «Se intendi che non ho risposto...
allora sì, assolutamente».
Derek ammiccò un
paio di volte, evidentemente preso in contropiede dalla sua risposta, e Stiles
tentò un sorriso innocente – era bravo in quelli, li faceva da quando aveva
imparato a cacciarsi nei guai, in pratica da sempre.
«Non hai negato?»
gli domandò l'Alpha e lui scrollò le spalle, tornando a stropicciarsi le punte
dei calzini. «Stiles, guardami» gli ordinò e lui alzò lo sguardo oltraggiato.
«Ehi, sono io
quello che da gli ordini, stupido lupo prepotente».
«Perché no?»
rincarò quello e Stiles sviò di nuovo gli occhi, facendo spallucce.
«Perché no»
rispose «Perché non sarà romantico, ma questa cosa tra noi è un qualcosa,
okay?» ammise, gesticolando appena, ma sempre senza guardarlo in faccia. Fu per
questo che non vide quando Deek si avvicinò – e che gli venne un colpo quando se
lo ritrovò nel suo spazio personale, un secondo prima che lo baciasse.
Perché sì, Derek
lo baciò e lo fece nel modo più gentile possibile, come se temesse che lui
potesse scappare, ritirandosi subito dopo.
«Okay» gracchiò
Stiles, guardandolo a occhi spalancati, il corpo teso all'indietro, verso il
bracciolo del divano. «Okay, questo è... uhm» fu la sua risposta
intelligente e per nulla impanicata.
Derek stirò le
labbra e indurì lo sguardo, tornando al suo posto. «Credo sia meglio che--»
«Sta' zitto» lo
interruppe lui, afferrandolo per la spalla per impedirgli di muoversi. SI leccò
le labbra e deglutì, prima di ordinare: «Sta' zitto e baciami».
Derek lo guardò
sorpreso per un attimo, poi lasciò andare un piccolo e continuo ringhio – anche
se sembrava più il ronfare soddisfatto di un enorme gatto che il ringhio di un
lupo – e si sporse verso di lui, poggiando di nuovo la bocca sulla sua.
Stiles chiuse gli
occhi e aprì appena le labbra, rispondendo al bacio mentre assecondava il corpo
dell'altro e si stendeva sulla schiena. Era pesante, solido e assolutamente
fantastico e lui decise che non aveva mai più bisogno di mangiare, bere o
respirare se quello significava dover uscire da lì sotto.
Derek gli morse
piano le labbra e riprese a baciarlo, stringendogli e accarezzandogli i fianchi
in un modo così perfetto da fargli risalire un miagolio in gola - e senza che se
ne preoccupasse. Ma quello forse fu dovuto al fatto che il suo cervello stesse
annegando in un mare di eccitazione adolescenziale.
Non gli
interessava riprendere fiato, né fermarsi, non mentre sentiva le dita di Derek
infilarsi sotto la felpa o lui prendeva il coraggio di fare esattamente la
stessa cosa e raggiungeva la pelle tiepida della sua schiena.
La porta
d'ingresso si chiuse all'improvviso – quando era stata aperta? – e poi la voce
di suo padre annunciò:
«Stiles, ho
portato la pizza».
Oh cazzo.
Fine.
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