Last, Say Goodbye

di Lady Antares Degona Lienan
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Last, Say Goodbye

 

 

 

 

Last, Say Goodbye.

 

 

 

 

 

 

 

 

"Hai preso il posto di una persona particolare, per lui."

"Cerca di essere discreto."

"Non fargli troppe domande."

"E se ti tratta male, lascialo perdere. Sta soffrendo."

"Hai capito, Tobi?"

 

Annuire. Lentamente, annuire. Niente di più facile, niente di più inutile - almeno per lui. Essere appena arrivato comportava una serie di complicati gesti servili a cui era meglio sottostare senza farsi troppe domande.

Non sapeva chi fosse quello prima di lui.

Non gli importava quanto fosse stato importante per il suo sempai, o quanto avesse segnato il suo cuore nel profondo. Non credeva affatto nei sentimenti duraturi e non voleva convincersi di essere solo un rimpiazzo. Semplicemente perché non lo era.

Adesso di fianco a Deidara c'era lui.

Lui.

E non un marionettista qualsiasi. Una bambola troppo fragile per sembrare umana. Quasi…

… un gioco.

 

 

"Il giorno in cui Sasori è morto, io non ho saputo dire niente."

"Semplicemente, non pensavo a quell'eventualità. Perché avrei dovuto?"

"Aveva un senso, che venisse ucciso da una vecchia e da una ragazzina?"

"No."

"Non l'aveva. Capisci, Tobi?"

 

Non capiva nemmeno il senso di quello. Perché c'era bisogno di un addio, quando per settimane ci si era scambiati promesse silenziose, o momenti d'affetto?

Aveva intuito quel legame. Ne aveva saggiato i confini con disperata consapevolezza. Convinto di non potersi insinuare in quel territorio nascosto, lo aveva rispettato. E aveva semplicemente cercato di fondarne un altro.

Tuttavia.

Il motivo per cui il sempai si rodesse così tanto per un ricordo rimaneva un mistero. Ma d'altra parte…

… nemmeno lui aveva mai pensato ad una simile eventualità.

 

 

"Così quando Deidara è morto, non avevo pensato ad addio."

"Che senso poteva avere?"

"Voglio dire, non l'avevo mai capito prima d'ora."

"Perché proprio il sempai?"

"Poi ho capito."

 

 

A lui non aveva mai fatto ribrezzo, il sangue. Non provava piacere nel vederlo, e nemmeno disgusto.

Era un liquido così, che stava dentro il corpo.

Avrebbe dovuto essere così, di fatto: non si sarebbe dovuto vedere, quel rosso, perché era l'inequivocabile segno della sconfitta. Il senso dell'addio non esisteva, solo perché automaticamente escludeva qualsiasi incontro futuro.

E una cosa del genere non doveva avere senso.

Non avrebbe mai potuto immaginare che in quel momento il suo sempai sarebbe stramazzato al suolo privo di sensi, ricoperto di carminio.

Davvero, non avrebbe potuto.

Davvero.

 

 

 

 

"Suppongo dovremo dirci addio adesso."

"Sempai."

"Non vorrei pentirmi di questo momento. Vorrei usarlo come avrei dovuto fare tempo fa."

"…"

"Dì qualcosa, sciocco."

"Non mi piacciono gli addii. Non le dirò addio."

"Addio, comunque, Tobi."

"Sì."

 

 

 

Poi pensi al dolore, all'addio in sé.

Ti penti perché sapevi cosa dire.

E non l'hai fatto.

Davvero, avresti potuto aprire la bocca e parlare.

Dire qualcosa per salutarlo, per non farlo sentire colpevole.

Lui voleva il suo addio.

E tu gliel'hai negato.

Non ti chiami Sasori,  non sei una maledetta bambola fatta di pezzi umani.

Ma avresti potuto salutarlo.

 

Perché Deidara per te era qualcosa.

Anche se salutarlo voleva dire rimanere solo.

E dover cercare qualcuno a cui dire addio.

Di nuovo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

No, lo so.

Lo so, è orrenda.

Abbiate pietà. La mia febbre ha toccato i 40.6 or ora.

Dovevo fare qualcosa.





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