the year without summer
The year without summer
Dean tese una mano e guardò
un batuffolo bianco sporco posarsi sul suo palmo troppo calloso per
avvertirne il peso quasi inesistente. Si sbriciolò lasciando un
baffo di polvere grigia che il vento disperse.
L’aria che gli entrava nei polmoni faceva male, il freddo
penetrava le falde della giacca e tagliava la carne come una lama
d’argento. Sentì la pelle ritirarsi, i peli rizzarsi nel
tentativo disperato di trattenere il calore che piano piano abbandonava
il suo corpo. Il fiato condensava in nuvolette di vapore prima di
seguire i fiocchi nel loro viaggio etereo. Una folata gli sferzò
il viso e lui si girò per asciugare gli occhi che feriti dal
freddo e dalla luce avevano iniziato a lacrimare.
La mano del Dottore si poggiò sulla sua schiena e lo sospinse
nuovamente all’interno della cabina blu, dove l’altro uomo
gli lanciò un’occhiata di sottecchi. Jack si scostò
dalla parete contro la quale aveva poggiato la schiena e leggendo la
sua domanda inespressa stirò le labbra in un sorriso stanco ed
iniziò a parlare.
«Siamo nell’anno 1816. È il 4 luglio, emisfero
boreale. Gli americani dovrebbero festeggiare l’Indipendenza, e
invece muoiono di fame.»
Dean guardò interrogativo il Dottore.
«Lo chiamano “l’anno senza estate”. Quella che
vedi è cenere vulcanica. Non ha mai smesso di cadere
dall’aprile dell’anno scorso, quando il vulcano
Tambora è esploso portandosi via mezzo arcipelago, in Indonesia.
La cenere impedisce al sole di scaldare il pianeta. In capo alla fine
dell’anno saranno morte sessantamila persone.»
Fu interrotto dalla risata fredda di Dean.
«Mi avete rapito per impedire ad un vulcano di eruttare? Avete
sbagliato uomo, ragazzi. Cercate il vostro supereroe in qualche fumetto
Marvel e riportatemi a casa.»
Aveva appena iniziato ad avvicinarsi alla console –era un
meccanico, cazzo, un’astro-cosa non poteva essere troppo diversa
da una macchina- quando qualcosa lo afferrò per il collo della
giacca di pelle e gli diede uno strattone abbastanza forte da fargli
perdere l’equilibrio.
Si sentì trascinato e sballottato come un gattino disobbediente
afferrato per la collottola da mamma gatta, finché si
trovò con la schiena al muro e un alieno molto incazzato a due
centimetri scarsi dal naso.
«Non ho vissuto più di un millennio per farmi assoggettare
da un bambino, Dean Winchester. Concentra i due neuroni che non hai
ancora lasciato sul fondo di un bicchiere o tra le cosce di una puttana
per ascoltare. Questa cosa permetterà agli europei di
conquistare il west, a Turner e Munch di dipingere i loro tramonti
rossi e a Mary Shelley di scrivere Frankenstein. Non può, non
deve essere evitata. È un punto fermo nel tempo,
influenzerà la storia in maniere che nemmeno puoi immaginare.
Non ti ho trascinato qui per fermare l’eruzione, ma per farla
accadere.»
Mentre parlava i suoi occhi erano accesi di una luce febbrile, quasi folle.
Quest’uomo ha più di mille anni.
«Non ho ancora capito a cosa ti servo.»
E ti sarei grato se mi schiodassi dalla parete, magari.
«Demoni, Dean Winchester. Direttamente dall’inferno. Hanno
trovato il modo di imbrigliare l’energia esplosiva del vulcano e
convogliarla da qualche parte. Non si sa dove, non si sa a che scopo.
Per questo ho bisogno di te. Ho bisogno di un cacciatore.»
Abbassò lo sguardo e lasciò la presa, facendo scivolare Dean lungo la parete.
Il cacciatore sciolse le spalle rigide.
«Non va vagamente contro il tuo credo, il massacro di creature
soprannaturali? Non che abbia delle remore a freddare qualche mostro,
ma sei uno di loro, o sbaglio? Tutto quel tuo sproloquiare sulla
violenza e poi mi chiedi di fare una strage? Sei un ipocrita, Cas.»
«Sono un soldato, o almeno lo ero, e so che in guerra sono
necessari dei sacrifici. Forse dovresti smettere di considerare
un’aberrazione tutto ciò che è diverso da te. Non
siete soli, i demoni sono solo la punta dell’iceberg, e la tua
razza dovrà scenderci a patti molto presto.»
Dean si passò una mano sul volto.
«Ricapitolando: i demoni stanno risucchiando l’energia che
dovrebbe far esplodere il vulcano con l’aspirapolvere dei
Teletubbies, la stessa energia che farà saltare in aria mezza
Indonesia e ucciderà sessantamila persone. Tu vuoi che li fermi.
Vuoi che impedisca al vulcano di fare il grande botto e che condanni
tutta quella gente ad una morte atroce.»
«Moriranno ben più di sessantamila persone. Il tessuto
stesso dell’universo si sta disintegrando mentre parliamo. Il
futuro può essere piegato, Dean, e ora è duttile come
metallo bollente. E non mi piace affatto la piega che sta
prendendo.»
Per la prima volta da quando quella conversazione era iniziata il Dottore abbassò gli occhi.
«Non credevo che la situazione fosse così grave, non ho
più il controllo sulla tua linea temporale. Non posso riportarti
al tuo tempo, Dean. Stai plasmando il tuo destino, e quello
dell’intero universo. Un uomo non dovrebbe avere un tale potere,
e la colpa è mia che ho deciso di coinvolgerti. Mi
dispiace.»
Dean scivolò a sedere per terra, le ginocchia strette al petto
come quando da bambino i tuoni scuotevano le finestre della sua casa in
Kansas e lui si tirava il lenzuolo sulla testa. Una torcia di plastica
rossa gli faceva compagnia mentre l’aria che gli usciva dal naso
scaldava lo spazio angusto e soffocante. Gli bastava pensare
“è fuori, non mi succede nulla, sono al sicuro come il
fratellino nuovo nella pancia della mamma”.
Ora suo fratello non esisteva più. Cancellato dal tempo come un disegno fatto col gesso in un giorno di pioggia.
Respirò pesantemente, le tempie che pulsavano forte contro le ginocchia strette, non riusciva nemmeno a piangere.
Non doveva piangere, sarebbe riuscito a sistemare tutto, come aveva
fatto nel resto della sua vita incasinata. Avrebbe raccolto i resti di
ciò che altri avevano rotto, si sarebbe tagliato con i cocci, ma
che importava?
Era il suo lavoro, farsi carico dei casini altrui.
Si tirò su dopo quella che gli sembrò un eternità,
o forse un secondo, e tirò un ultimo respiro profondo.
Si girò verso il Dottore e Jack, si stampò un sorriso in faccia.
«Andiamo a prendere a calci qualche culo demoniaco.»
Jack sorrise, smagliante come la pubblicità di un dentifricio.
Castiel sorrise a sua volta, con un’ombra negli occhi che gli
strinse la gola e gli ricordò quanto fosse piccolo, e giovane, e
ingenuo a credere di poter nascondere qualcosa a un essere sotto i cui
occhi erano sfilate centinaia di generazioni.
Il Dottore si avvicinò ai comandi di quello che scoprì
chiamarsi T.A.R.D.I.S. (ormai aveva smesso di farsi domande). Toccava
le leve con il rispetto di un figlio per la madre anziana, di un padre
per una figlia e con la sensualità di un amante.
La cabina diede uno scossone che mandò Dean a sbattere contro i
suoi compagni di viaggio e il suo cuore a bussare ai timpani.
Non si sarebbe mai abituato.
Non che avesse intenzione di abituarsi.
Atterrarono con lo stesso suono cavernoso e Dean uscì quasi di
corsa, ansioso di sentire la terra sotto i piedi e sordo agli
avvertimenti degli altri.
Una ventata d’aria appiccicosa gli investì il corpo, unita
ad un odore come di uova marce che aveva imparato a conoscere con la
stessa familiarità di quello del suo shampoo.
Il terreno brullo e scuro crocchiava sotto le suole delle sue scarpe,
le minuscole bolle d’aria intrappolate nella roccia che cedevano
sotto il suo peso e trasformavano la pietra in polvere.
Da un’apertura poco lontana usciva un pennacchio di fumo scuro.
Si girò versò i due che avevano appena varcato la soglia
della cabina, Castiel guardava con astio le mani di Jack che caricavano
una pistola sottile di metallo lucido.
«Zolfo e fumo. Devono quasi sentirsi a casa.» osservò con palpabile sarcasmo.
Il Dottore li guidò lungo un passaggio contorto e molto
relativamente sicuro fino a una parete di basalto liscia come n foglio
di carta e alta come un palazzo. Tirò fuori il coso che ronza
–“cacciavite sonico” gli sussurrò Jack con un
sorriso di condiscendenza che non gli piacque affatto- e lo
puntò contro la parete che contro ogni previsione iniziò
a scorrere liberando una pioggia di detriti e accogliendoli con un
soffio d’aria rovente e una zaffata mefitica.
Il budello di roccia si avvolgeva in tornanti infiniti e tanto stretti
che i gomiti di Dean si graffiarono in più punti. Il trench di
Castiel si impigliava continuamente nelle sporgenze che costellavano le
pareti, ed era ormai completamente lacerato ai bordi quando si decise a
toglierlo ripiegandolo con riguardo su un avambraccio. Sembrava quasi
nudo, più fragile con solo la camicia bianca a coprirgli le
spalle solide e la schiena, l’unica cosa che Dean riusciva a
scorgere nella luce fioca. Quando anche quel lieve chiarore proveniente
dall’esterno comparve il Dottore iniziò ad avanzare
tastando le pareti e con una mano afferrò inaspettatamente la
mano di Dean, che inspirò seccamente al contatto estraneo.
Il silenzio era opprimente, il calore aumentava ad ogni passo e il
suono dei loro respiri, il fiato caldo di Jack che avanzava subito
dietro di lui, contribuivano a stringere i polmoni di Dean in una
stretta claustrofobica.
Una luce tremolante apparve alla fine del tunnel, passando dalle
dimensione di una stella lontana a quella di un faro il cui calore si
faceva ad ogni passo più soffocante, inzuppando di sudore i
vestiti ed i capelli dei tre.
Varcarono la soglia di una caverna alta come una cattedrale, con il
pavimento attraversato da crepe larghe come un braccio e attraversata
da quella che sembrava a tutti gli effetti lava incandescente. Il puzzo
di zolfo era quasi insostenibile.
Castiel si voltò con un sorriso sardonico che mal si sposava con il suo viso.
«Benvenuti all’Inferno.»
NdA:
Sì, ho anche il coraggio di scrivere la NdA. Mi scuso, al
solito, per i miei tempi da lumaca preistorica con l’artrite, ma
la povera testolina che partorisce questa fic è fonte per la
sottoscritta di incredibili fastidi quando si tratta di uscire da
Neverland e affrontare la Vita Vera.
Bene, li ho cacciati in un vulcano
in attività. Come ho accennato all’inizio della fic quando
mi annoio vado veramente a leggere il Portale Catastrofi di Wikipedia.
Ci tengo a precisare che le informazioni qui riportate sono accurate
nei limiti delle mie conoscenze di geologia, meteorologia e storia,
supportate da quasi due anni di ricerche e spulcia menti vari dentro e
fuori internet. Per quanto riguarda i riferimenti alla pittura di
Turner e Munch mi sono basata sulla ricerca della storica Carnen
Gonzalos de Andrès, che non viene universalmente riconosciuta ma
che nel mio piccolo ritengo possibile e affascinante da morire.
In caso foste interessati vi
rimando a qualche pagina che mi è stata utile nei miei
vaneggiamenti da fan di eventi storici oscuri e misconosciuti.
http://en.wikipedia.org/wiki/Year_Without_a_Summer
http://it.wikipedia.org/wiki/Anno_senza_estate
http://it.wikipedia.org/wiki/Minimo_di_Dalton
http://www.brogi.info/2010/04/il-vulcano-tambora-e-turner.html
Ringrazio tutti coloro che
leggono/preferiscono/seguono/ricordano, e tutti coloro che mi hanno
fatto l’enorme regalo di recensire. Scrivetemi quando e cosa
volete, significate tantissimo per me <3
Un bacio,
Lycoris
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